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Autore: RedRaven    13/08/2014    1 recensioni
Ci sono due modi di vivere a Summus [...] Io vivo nel terzo modo.
Qualche volta la gente mi aiuta, mi offre la loro casa per qualche notte e il loro cibo. Sanno che io sono pronta a combattere le ingiustizie, le loro battaglie, e credo mi compatiscano. Le favole sono per bambini, e qui anche i bambini stessi hanno smesso di credere nelle favole. Io so bene che potrei morire da un giorno all’altro, perché vivo in questa merda.
Perché il resto di noi ormai sono solo io.

AGGIORNAMENTI SOSPESI A TEMPO INDETERMINATO
Genere: Avventura, Azione, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ellie, Joel, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 3 -

 
Che ore sono? Quanto ho dormito?
La gamba mi fa più male di ieri. Credo sia notte, poiché fuori è buio, e dovrei proprio affrettarmi a recarmi nel mio magazzino.
No. Io non voglio tornarci. Non posso tornarci.
Al prossimo appuntamento con i contrabbandieri mi farò dare ciò che mi servirebbe per curarmi; tutto pur di non ripensare alla sua morte. Non ho abbastanza tempo, c’è qualcuno che si diverte a giocare con la mia vita ed io devo trovare al più presto una soluzione. Forse ucciderlo non basterà, forse dopo di lui ce ne sono altri che saranno pronti a darmi daranno la caccia.
Tutto ciò per spaventare la gente ed istigarli a non essere come me. Tsk. Chi mai vorrebbe stare dalla mia parte? Sono tutti dei cacasotto, ecco cosa sono. Senza il coraggio di lottare.
E’ inutile restare qui a riflettere su cose che non cambieranno mai, così mi do’ la forza necessaria per raggiungere il luogo dell’incontro. Di notte non abbiamo coprifuochi o altro, però si possono trovare facilmente delle guardie in giro, che ti attaccano solo se necessario.
Come al solito, il posto è la stazione di benzina abbandonata in periferia; mi ci vogliono circa dieci minuti di camminata per arrivarci, ma ne vale la pena. Loro sono sempre pieni di roba utile a sopravvivere, soprattutto quando i tre quarti della popolazione di una città vogliono ucciderti per poter sfoggiare la tua testa come trofeo. E fra di loro c’è uno psicopatico che, guarda un po’, dice cose assurde per cercare di confonderti. Fanculo.

Temo proprio che mi ci vorrà più tempo del previsto per arrivare alla stazione, la gamba è difficile da trascinare e ciò riduce la mia velocità. Inizio a pensare alle cose da prendere: dovrò chiedere se hanno dell’acqua ossigenata o delle pomate per tagli profondi. Sono quasi diventata un’esperta in queste cose. Solitamente in cambio mi richiedono del cibo e di quello ne ho a volontà: la signora Jonson l’altro giorno mi ha riempito di lasagna e biscotti, prendendomi per una trovatella. Quella signora ha davvero dei seri problemi di memoria, ma almeno è gentile con tutti.
Qualche volta si scorda persino che sua figlia è morta in un’esplosione, così va girando per la città dicendo di tanto in tanto “Signorino, lei sì che sarebbe un perfetto sposo per mia figlia”. Ce n’è di gente strana in questo posto. Ma preferisco occuparmi di problemi più evidenti, come la gamba, lo psicopatico, ed il restare in vita.
 
Il paesaggio è sempre lo stesso: alberi troppo cresciuti insieme ad auto ed immondizia incastrata fra loro: materiali di edilizia, vecchi vestiti, e persino mobili. Mi chiedo davvero chi abbia reso questo posto così indecente; come al solito sono cose su cui non mi soffermo più di tanto.
A scuola ci hanno insegnato che nessuno stava più bene: ogni giorno la tensione aumentava finché non è scoppiata una grande guerra. Non come quelle fra stati, si trattava di guerre interne, città contro città, e tutte per rivendicare qualcosa. Soldi, appalti, azioni… cazzate insomma. Per colpa loro adesso siamo tutti qui, sotto il comando di questa gente e sotto delle case fatte di immondizia.
 
Non so esattamente in che razza di pensieri mi sono persa, che la stazione di benzina mi compare sotto gli occhi, in tutto il suo splendore. L’insegna un tempo gialla è corrosa da tutti questi anni passati davvero male, e sopra si possono ancora notare le cancellature fatte par lasciar spazio alle minacce di morte che segnavano il territorio allora. Le piazzole fatte di erba appassita sono perfette insieme alla puzza di benzina e di marcio che questo posto emana, l’ho sempre pensato. Fuori dalla struttura più grande, vicino ai distributori che servivano per fare rifornimento, ci sono i soliti appostati come sentinelle; ormai li riconosco molto bene, così tanto da alzare la mano in segno di saluto quando io e la mia gamba malridotta ci avviciniamo alla gentaglia.
- Brutto scontro eh, Ellie? – mi chiede uno di loro, il più grosso. Non c’è molta luce, ma sono sicura che sia Bill. Lui e Joel erano qualcosa, un tempo. Litigavano spesso, per via di favori e conti restituiti troppo tardi, e posso affermare che non si fidavano così tanto l’uno dell’altro; però li vedevi lì fuori a scherzare e giocare a carte quando ad entrambi capitava il turno di sorveglianza. Credo fossero… amici, se è questo il termine che avrebbe usato anche Joel.
- Colpito e affondato. Mi serve roba per disinfettarmi e medicarmi per bene. Altrimenti continuerò a fare questo tratto in venti minuti anziché dieci – sono pronta a rispondere io, con un leggero velo di ironia per nascondere la sconfitta scritta dal mio stesso sangue.
- Sei fortunata. Carico pieno e sembra non ci siano molti feriti –
- Sarebbe la prima volta – e ci salutiamo così, mentre io continuo a proseguire verso l’autogrill, ormai usato come deposito per il contrabbando.
Spalanco le porte come se stessi entrando in una seconda casa, cosa che effettivamente quel posto è per me. La gente mi saluta con cenni, mani, e sillabe, ed io ricambio più o meno allo stesso modo; riescono a strapparmi il primo sorriso della giornata, un po’ tirato: non voglio che qualcuno si preoccupi per me. Mi districo in quello che un tempo era un supermarket per la gente che viaggiava, mentre adesso è colmo di banconi divisi per sezioni. Dietro, tutte le casse con i rifornimenti per ogni zona. Come al solito c’è molta fila per il cibo: io non ho di quei problemi, ed ecco che finalmente giungo al balcone della mia fidata rivenditrice:
- Tess! – esclamo, come se fosse da una vita che non la vedo. Lei ricambia il saluto allo stesso modo, mostrandosi più giovane di quanto non sembrerebbe; i suoi capelli ramati, intrecciati a quella scialba fascia per capelli, non fanno altro che mettere in risalto il suo viso da donna di mezza età, tradendola da ogni possibilità di far conquiste. La sua voce, invece, sempre così serena e spiritosa, acconsente gli appuntamenti.
- Ellie! Dimmi pure cosa ti serve, ora che i miei uomini sono liberi. Così intanto mi racconti cosa è quel peso morto che ti porti dietro – dice lei, con il solito tono tranquillo, ignorando il fatto che il peso morto in questione è la mia gamba e fa anche piuttosto male.
- Acqua ossigenata, qualche medicina per le ferite più profonde se ce l’hai… ah, armi da fuoco, ma se hai quella per armi da taglio dammela ugualmente. Di bende, invece, ne ho a volontà; e qui ho finit – proprio mentre sto per finire di rispondere, mi interrompe con una delle sue domande da persona troppo curiosa.
- Ma non avevate rifornito tu e Joel qualche mese fa? Mi ricordo che la roba era parecchia, infatti gli scorsi mesi da me non sei passata per nulla. E poi, arma da fuoco… come diavolo hai fatto? Non te la sarai presa mica con le guardie –
Mi poggio sul balcone con entrambi i gomiti e gli avambracci, soffermando lo sguardo sul calendario che decora quella sottospecie di scrivania. Poi ricordo che loro hanno i limiti di scadenza, e quindi i giorni assumono una certa importanza in quel lavoro; sposto gli occhi per guardare gli uomini a cui sono stati affidati i miei acquisti e riprendo a parlare con fare riservato:
- Sono stati dei mesi molto lunghi e abbiamo dovuto cedere alcune cose in cambio di altre… per la ferita, ho lasciato una pistola senza sicura e mi sono fatta male, tutto qui – so bene di non essere per nulla convincente, e lo capisco dall’espressione di disapprovazione sulla faccia di Tess, la prima cosa che noto quando torno a fissarla.
Prima che possa chiedermi qualcos’altro mi accingo a pagare il materiale a dovere, prendendo in fretta la mia roba aggiungendo:
- Devo passare a prendere dei vestiti decenti, e poi faccio il solito giro al reparto armi e armamenti. Forse prendo qualcosa per protezione –
- Sarà meglio – sono le sue ultime parole, perché poi mi lascia andare nella parte più a nord, ovvero quella dedicata al vestiario. Qui sono sempre passata di rado, dal momento che avevo la possibilità di dare quantomeno una sciacquata ai miei vestiti. Ma so che i jeans di oggi non potrò più usarli, quindi è meglio prendere qualcos’altro.
- E’ rimasto solo un paio della tua taglia, sono questi qui – con queste parole l’addetto mi mostra un altro paio di jeans in denim neri, leggermente più larghi di quelli che ho portato io fin’ora. Glieli pago in carne, dirigendomi subito ad est e notando la novità di questo mese. Bombe molotov già costruite e progetti per fabbricarle; peccato che io sappia già il loro funzionamento e abbia anche i materiali. Non ho in mente di usarle semplicemente perché non vorrei bruciarmi l’unica gamba su cui adesso posso fare affidamento.

La mia visita di piacere è terminata, e sono pronta ad uscire, quando il responsabile del reparto armi mi si avvicina, tanto quanto basta a farmi sentire la puzza di alcol che emana.
- Ehi… anche senza Joel… fai ancora del contrabbando, giusto? –
- Cosa vuoi? – chiedo seccata. So che Robert è un parassita in cerca di denaro, donne e ogni modo per distruggersi. Ogni tipo di droga passa sempre da lui, per non parlare dei raduni di giochi d’azzardo dei quali è sempre informato. Questa volta però si tratta di un affare serio, me ne accorgo da come si accarezza la fine barba e dal fatto che non è ubriaco, semplicemente brillo.
- Ci hanno già pagato. E pagheranno te quando arriverai. Cassa di granate a frammentazione da consegnare dall’altro lato della città. Devi portarle dietro la scuola superiore in massimo due giorni. Quello che ti danno, è tutto tuo – ci rifletto su, quella parte di città è all’estremità opposta di casa mia, e con questa gamba darò nell’occhio, per non parlare del tempo che impiegherei. Però Octo mi ha dato una tregua, e un po’ di roba mi farebbe comodo. Accetto, evidenziando bene le mie condizioni:
- Se non mi danno nulla, fra un mese torno da te e mi dai il doppio della paga –
- E un po’ di erba, se la vuoi – aggiunge scherzando, sa che non faccio uso di certe sostanze.
Dopo avermi consegnato la cassa mi lascia tornare a casa, ed io ripasso lentamente il piano della giornata.
Devo assolutamente disinfettare la ferita, medicarla nuovamente, applicare la pomata e mettermi a dormire. Una volta sveglia penserò a come portare a termine la consegna senza farmi notare troppo.
Ho bisogno  di quei pagamenti, devo tornare indipendente e prepararmi allo scontro.
  
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