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Autore: bittersweet Mel    13/08/2014    1 recensioni
Prese a grattarlo come se fosse un gatto, ma di sicuro le labbra di Roxas non era pronte a fare le fusa.
«E’ in quei giorni esatti che ti ho conosciuto.»
«E che mi hai perso.»
«E ritrovato.»
«Hai proprio voglia di continuare così oggi, eh?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Saix, Xion
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days, Kingdom Hearts II
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Rintocco





Roxas si ricordava perfettamente le proprie mani sopra al corpo di Axel. Era quello che si ricordava meglio della loro relazione, in effetti.
Le mani.
Le mani che scivolavano sopra ai loro corpi, le dita che si intrecciavano, le mani che toccavano, strisciavano, annaspavano, stringevano, graffiavano, ferivano e curavano.
Roxas le ricordava bene come se solo ieri fossero state sopra la sua pelle, a volte così gentili e altre volte così taglienti. Aveva sempre pensato che le loro mani combaciassero bene nonostante la forma così diversa.
Quelle di Axel così lunghe e magre, affusolate, che al contrario delle sue sembravano perfette, come se  fossero fatte di porcellana; quelle di Roxas invece erano piccole, imbarazzanti per un ragazzo della sua età, e non riusciva a sopportare quelle dita un po’ grassocce, quasi tozze.
Il biondo però aveva smesso di odiare le sue mani non appena Axel le aveva strette tra le sue e le aveva baciate, poi morse e infine appoggiate sopra al suo bassoventre.
Ricordava la voce del fulvo appena divertita mentre sollevava il capo e lo guardava, steso sopra le lenzuola sfatte con quel sorriso strafottente in volto.
«Pensavo preferissi stare sotto.» aveva detto quella volta, le gambe allargate e gli occhi che parevano rilucere sotto la piccola lampadina che Roxas teneva accesa affianco al letto.
Roxas ricordava perfettamente di aver sorriso e di aver mosso il bacino con decisione, prima di donargli un bacio sopra la bocca e zittirlo.
Era stata la loro prima volta, condita da morsi, baci, frasi stupidi e un po’ di imbarazzo gratuito alla fine di tutto, ma non per questo non era il ricordo più bello che il giovane conservava nel cuore e nella mente.
Aveva stretto le mani di Axel quella sera a l’aveva guardato dormire, sicuro al cento per cento che mai e poi mai il rosso l’avrebbe ferito.
Non lui, non Axel, era Roxas quello bravo a deludere le persone.
Aveva stretto ancora più forte la sua mano, la Chiave del Destino, e si era addormentato accanto al numero VIII, mentre le dita lentamente scivolavano dalla sua presa.
Avevano fatto di tutto con quelle mani e Roxas lo ricordava perfettamente, come se avesse mai potuto dimenticare qualcosa che aveva a che fare con Axel.
Era tutto lì, perfettamente memorizzato.

 

Un’altra persona che ricordava bene Roxas era Xion.
La prima volta che l’aveva vista gli era sembrava interessante e al tempo stesso insignificante, nascosta sotto quel cappuccio troppo grande per lei.
Le aveva prestato la sua attenzione per qualche minuto, ma subito il suo interesse era scemato, troppo concentrato sopra la figura di Axel che gli diceva di muoversi, di seguirlo per l’ennesima missione insieme.
Roxas si era sempre chiesto se la sua strana amicizia con Xion avesse mai fatto ingelosire Axel.
Probabilmente no, se lo diceva spesso mentre lo vedeva camminare lungo i corridoi immacolati del castello. Axel era troppo borioso e pieno di sé per rendersi conto dei piccoli tentativi di Roxas di renderlo geloso.
Al contrario, però, Roxas ricordava perfettamente come un semplice sguardo di Axel rivolto a Saix riuscisse a far contorcere le budella al biondo, che spesso e volentieri nascondeva dietro una maschera di indifferenza.
Roxas aveva parlato con Xion un giorno, come se fosse un giorno come un altro, l’ennesima pagina sopra un diario che probabilmente nemmeno avrebbe più riletto.
Ricorda le parole della giovane come se le avesse sentite solo il giorno prima, mentre si portava la mano guantata vicino al volto e si strofinava l’indice sotto al naso.
«Non dovresti preoccuparti, tu e Axel siete una bella coppia.»
« In realtà non lo siamo, ci siamo lasciati.»
Roxas non sapeva spiegare come si era ritrovato con le soffici labbra del numero XIV sopra le sue, ma sapeva di per certo che non l’aveva rifiutata.
Ricordava esattamente com’era stato baciare il suo sorriso soddisfatto e passare le dita sopra le sue cosce morbide, com’era stata graffiarle lentamente fino a far scivolare le dita al centro dell’intimità più profonda di Xion fino a strapparle un gemito.
Un miscuglio di entusiasmo e desiderio si era impossessato della ragazza e la cotta dell’organizzazione era scivolava leggera come acqua sopra al suo corpo, lasciandola nuda davanti al corpo di Roxas.
E lui ricordava che l’aveva voluta quel giorno, lì, contro al muro del corridoio vicino alla sua stanza.
Si era spinto contro di lei, dentro di lei, e il biondo aveva osservato le sue mani. Piccole, minute, delicate, molto più piccole di quelle di Roxas, ma ugualmente troppo piccole per poter sentire un po’ di caldo sopra ai propri palmi.
Gli mancava sentire caldo alle mani, sentire i brividi correre sopra le sue dita e scivolare lungo il braccio.
Non gli mancavano però i guanti che i membri dell’organizzazione indossavano sempre.
Il sesso era sfociato e scomparso in dolci carezze, delicate come solo le mani di una donna potevano essere, e Roxas si ricordava di essersi sentito bene tra le esili braccia della ragazza come non si era sentito da mesi.
Oltre a quel ricordo Roxas non riusciva ad evocare nulla di piacevole della loro breve e disastrosa relazione che si era conclusa con una porta sbattuta in faccia e un naso sanguinante.

 

Le missioni e i giorni continuavano  a passare, alcuni veloci e altri più lenti, e tra i migliori e peggiori ricordi della Chiave del Destino c’erano proprio quei mesi.
Gli allenamenti con Axel, le missioni tra i mondi, le meraviglie che riusciva a scoprire e a scovare; i misteri, gli abitanti del luogo, gli heartless. Anche loro riuscivano ad attirare la sua curiosità, la sua voglia di muoversi e di osservare, di scoprire.
Il ricordo peggiore di tutti quei giorni, se l’avessero chiesto a Roxas, probabilmente sarebbe stato l’orrore di vedere la costante e suprema visione di Saix.
Lui e i suoi occhi gialli, lui e i suoi sguardi seccati e le risposte taglienti, il modo in cui girava attorno ad Axel e quel dannatissimo modo che aveva di rivolgergli la parola.
«Xion è un membro fondamentale, non dovevi usarla.»
«Perché, da quando ti importa qualcosa di cosa le succede?»
«Un pupazzo non serve più se usato e rotto.»
Roxas non era riuscito a resistere e gli aveva tirato un pugno in pieno volto, godendo del sangue di cui si erano sporcate le sue nocche e del naso mal ridotto che si era portato dietro per qualche giorno l’altro.
Non l’aveva fatto per Xion, questo se lo ricordava, ma aveva approfittato di quelle parole improvvise per soddisfare quel suo piccolo desiderio.
Lo avrebbe picchiato ancora, più volte, talmente tanto da farlo svenire se solo avesse potuto, se solo non avesse visto lo sguardo dispiaciuto di Axel una volta aver scoperto che Saix ne era rimasto ferito.
Allora si era sentito una merda per diversi giorni e Roxas se lo ricorda quello che era successo dopo, come si era arrabbiato, come si era sentito frustrato e indesiderato.



Aveva smesso di sentirsi così merda una sera, dopo che Xemnas aveva chiamato tutti a raccolta nel punto più alto del castello.
Kingom Hearts splendeva alto nel cielo cupo di Word That Never Was, ma Roxas non riusciva a trovarci nulla di interessante.
Era la speranza di una vita – Quella dei Nessuno poteva essere chiamata tale?-, la possibilità che gli era stata donata per tornare a sentire qualcosa, ma Roxas ricordava solo di aver sentito un gran fastidio quando la mano di Saix si era posata sopra la spalla di Axel e l’aveva stretta per qualche secondo.
Quanto tutti se n’erano andati Roxas era rimasto lì, fermo al centro di quel grosso spazio, con solo Saix vicino.
Anche lui non se n’era andato e così come il numero XIII anche Saix rimaneva lì a guardare con occhi impassibili quella specie di luna luminescente a forma di cuore.
«Non sembri compiaciuto, numero XIII. »
Aveva esordito con la solita voce cupa e roca, facendo salire i brividi lungo la schiena di Roxas.
Li aveva sentiti correre come insetti sulla colonna vertebrale e per un attimo aveva desiderato ucciderli tutti, dal primo all’ultimo.
«Non è quello che voglio.» aveva risposto solamente il biondo, scrollando le piccole spalle racchiuse dalla tunica troppo larga, che lo faceva solo sembrare più basso e tozzo.
Era meglio nudo, se lo diceva sempre, e tutti glielo dicevano.
«E cosa vorresti, allora?» aveva continuato la voce dell’altro, spostando gli occhi gialli, vividi come quelli di un gatto, sopra la figura a pochi passi da lui.
Roxas non ricordava esattamente perché aveva risposto, probabilmente perché nemmeno quella notte ne aveva saputo il motivo.
«Venire in camera tua.»
Roxas ricordava esattamente l’espressione mutare per la prima volta sopra al volto di Saix e con suo orrore ricordava come il suo stomaco si era tramutato in un serpente vivo e viscido non appena aveva visto il numero VII accennare un sorriso e avvicinarsi ancora un po’.
Probabilmente quel giorno aveva visto cosa Axel poteva averci trovato in un tipo così.

 

L’Organizzazione si stava muovendo e i passi iniziavano a diventare più grandi di tutti i loro piedi messi assieme.
Troppi cuori catturati, troppi mondi visitati, metà del gruppo dimezzato e tutte quelle dissonanze tra i pochi rimasti.
L’Organizzazione si stava pian piano spezzando e stava disseminando fastidiosi pezzi ovunque, Roxas ricordava che nemmeno lui, che ai tempi era un gran osservatore, riusciva ad accorgersene.
Saix l’aveva capito e glielo aveva confidato una notte, mentre gli cingeva la vita con un braccio e appoggiava le labbra sopra la sua spalla.
Sdraiati sopra al largo letto del Nessuno Roxas aveva sollevato il capo e aveva puntato i suoi occhi azzurri sopra al volto sfregiato del numero VII, non sapendo esattamente che cosa dire.
Aveva azzardato a dire un: “ Perché non li raccogli, tutti questi pezzi?”, ma si era solamente ritrovato con i denti dell’altro conficcati contro la pelle della spalla.
Saix non usava le mani per ferire o per curare, lui usava i denti; duri, perfetti, rilucenti come il bianco della luna, ma troppo freddi per piacere seriamente al biondo.
I segni di quella notte  erano rimasti per giorni interi, Roxas ne ricordava ancora l’odore del sangue e il dolore nell’indossare la tunica di pelle, ma non si era lamentato.
Con Axel c'erano stati i baci, con Xion gli abbracci, con Saix le ferite.
Si rialzava le mattine con lividi violacei sulle gambe e sulle spalle, così come Saix rimaneva minuti davanti allo specchio per nascondere i graffi dalle sue braccia e dal suo collo.
Rozas ricordava, però, come si era divertito a lasciargli giorno dopo giorni segni sempre più evidenti per mettere in risalto il suo passaggio, ma mai era riuscito a vedere il numero VII perdere il controllo o accennare anche una sola espressione.
Non c’era nulla in quelle nottate se non una reciproca voglia di sfogarsi, di cercare nell’altro quel ricordo lontano che scaldava come il fuoco.



 

«A cosa pensi?»
Due mani si posarono sopra la zazzera dorata di Roxas, mentre i polpastrelli scivolavano sopra la cute e le riservavano qualche carezza.
Il biondo arricciò il naso e sollevò lo sguardo, lasciando che i piedi ciondolassero sopra lo strapiombo della torre dell’orologio.
Sollevò il capo e riuscì ad osservare controluce il volto sorridente di Axel, nonostante i capelli rossi si perdevano con il tramonto di sfondo.
«A com’era la vita nell’Organizzazione.» disse poco dopo, reclinando il capo di lato per lasciar scivolare le dita dell’altro sopra al suo collo.
Bastò quel movimento per far sbuffare una risata nel maggiore che, conoscendo ogni singolo gesto dell’altro ragazzo, aveva già capito che cosa voleva.
Si sedette al fianco di Roxas e accavallò le gambe, per poi far tornare la mano tra i capelli dell’altro e infine sopra al suo collo.
Al biondo piaceva essere toccato, questo in tutti quegli anni non era cambiato.
«Ci pensi ancora, mh? Non ti sembrava passato un po’ troppo tempo?»
«Non eri tu quello che dice sempre che bisogna ricordarsi le cose?»
Una domanda, una risposta; facevano sempre così, iniziavano a parlare e si rispondevano talmente veloce che tutte le persone attorno a loro si perdevano a metà discorso.
Loro invece resistevano, potevano andare avanti per ora con quel “ botta e risposta”, ma non quel giorno.
«Non avevamo un cuore, perché ricordarsi di quei giorni?» continuò poco dopo il fulvo, mentre le unghie scivolavano lente sopra al collo chiaro del ragazzo al suo fianco.
Prese a grattarlo come se fosse un gatto, ma di sicuro le labbra di Roxas non era pronte a fare le fusa.
«E’ in quei giorni esatti che ti ho conosciuto.»
«E che mi hai perso.»
«E ritrovato.»
«Hai proprio voglia di continuare così oggi, eh?»
La voce di Axel parve per un istante quasi sconsolata, anche se quell’accenno di sorriso sopra le labbra fini mostrava quanto invece gli piaceva parlare di quei giorni.
Era un sentimento strano, il suo.
Adorava parlare, parlare e parlare ancora di tempi passati, anche se continuava a dire di no; gli piaceva ricordare come si sentiva un tempo e paragonarlo ad adesso, quando un cuore nel petto ce l’aveva davvero.
Roxas al contrario sentiva le stesse identiche cose di quando si era svegliato anni prima, davanti alla grande villa di Twilight Town, solo che ora riusciva a dare un nome ad ogni singola emozione.
«Non ho altro da fare, quindi perché non parlarne?»
Axel annuì, portando le mani nuovamente sopra la testa dell’altro.
«Non che la vita quassù sia molto movimentata, in effetti.»
«Non che la vita di un morto possa essere considerata propriamente vita.»
«Fai anche il puntiglioso?»
«Mi piace ricordarmi che non sono vivo, è un hobby strano.»
Per un secondo entrambi si fermarono, schioccandosi delle occhiate quasi taglienti.
Roxas sospirò e puntò lo sguardo sopra al tramonto davanti a lui, osservando il treno che passava sotto ai suoi piedi e ai rumori tranquilli di quella placida città.
Axel abbassò la mano e il sorriso si spense, ma non per questo smise di parlare.
«Come quello di farti toccare da me, anche quello ti piace.»
Roxas sbuffò, arricciando il naso com’era solito fare quando qualcosa lo divertiva e imbarazzava al tempo stesso.
Sì, si ricordava come gli era sempre piaciuto farsi toccare da Axel, come aveva bramato le sue mani su di lui e le aveva cercate in tutte le persone che gli avevano ricordato la scintilla che portava negli occhi l’ex numero VIII.
«Quello lo considererei una pecca, una debolezza.»
Disse alla fine, mordendosi l’interno guancia e spostando il capo di lato, solo per poter osservare di traverso il ragazzo al suo fianco.
«Perché? » commentò l’altro, ricambiando lo sguardo e assumendo un’espressione quasi ferita.
«Perché anche quando non avevo un cuore mi faceva impazzire.»
Ammettere certe cose ora era più semplice, adesso che sapeva di non aver nulla da perdere, ora che il suo corpo non era più consistente come quello di un tempo.
Perfino le mani di Axel sopra di lui, poco prima, non erano riuscite a fargli sentire niente, avevano semplicemente attraversato il suo collo e la sua testa.
«E ora?» incalzò però il fulvo, muovendosi sopra al cornicione e avvicinandosi ancora un po’ a Roxas. «Adesso cosa ti fa?»
«Ora mi manda all’altro mondo.»
«Ah, hai fatto la battuta.»
Risero appena, flebilmente, come se sentissero il dovere di mettersi in faccia quel sorriso fittizio pur di non mostrare quanto desiderassero tornare insieme.
Roxas però non sapeva trattenere la lingua, non l’aveva saputo fare prima e non lo sapeva fare nemmeno ora.
«Non vedo l’ora di sentirti di nuovo.» disse allora il biondo, mentre le labbra piene tornavano ad appiattirsi e gli occhi ad osservare quelli verdi dell’altro.
Axel invece non smise di sorridere, senza nemmeno premurarsi di cacciare via quell’accenno di malinconia dal suo sguardo.
«Non vedo l’ora di poterti toccare davvero.»
«Lo stai facendo adesso.»
«Ma adesso non c’è nulla di vero.»
«Ma siamo sempre noi.»
«Ma dobbiamo aspettare di tornare in vita.»
Ripresero fiato, non che due fantasmi, due ricordi, ne avessero seriamente bisogno.
Era solo un riflesso condizionato, abitudinario, che non riuscivano a mandare via.
«Sora. Lui ci riporterà indietro.»
Roxas ne era convinto, era sicuro che la sua metà sarebbe stata un grado di farlo.
Sentiva il petto dolore al pensiero, ma non era un male così atroce; era più un’aspettativa, la voglia di tornare a vivere che lo soffocava ogni giorno di più.
“Avanti Sora, muoviti, riportaci qui”, pensò guardando ancora una volta il tramonto, mentre il corpo fremeva, tirava.
Axel osservò il ragazzo davanti a sé e continuò a sorridere, anche se al centro della sua gola non c’era altro che una stretta mano di fuoco che gli toglieva il respiro.
«Forse lo ringrazierò per tutto questo, ma prima di andare da lui verrò a toccarti.»
«Dovrai toglierti i guanti però.»
Entrambi fecero scivolare le mani lungo il cornicione e rimasero lì, con le mani che si sovrapponevano a guardare il tramonto.
Lentamente, quando l’orologio scoccò le 19:00 esatte, i loro corpi si dissolsero in fumo e vorticarono verso l’alto.









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Akuroku day, vieni a me!
Sono anni che non scrivo qualcosa su di loro, non era nemmeno mia intenzione iniziare qualcosa del genere.
Non narro mai in questo modo, solitamente mi piace concentrarmi su particolare momenti e dilungarmi, ma per questa particolare " storia" mi ha ispirato questo scambio veloce di battute e questi ricordi narrati al passato, velocemente, concentrandosi su particolari quasi superflui, ma importanti per la mente di Roxas.
Quindi spero che la lettura sia piacevole ugualmente e che vogliate lasciarmi qualche commento, giusto per un mio "piccolo ritorno" nel fandom.

Mel.
   
 
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