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Autore: NevillePupp    13/08/2014    1 recensioni
Neville, come risaputo, può vedere i Thestral, poiché ha visto suo nonno morire. Con questa One Shot, racconto come Neville vede morire suo nonno e dove, con un Flashback durante la lezione di Hagrid di Cura delle Creature Magiche del quinto libro. Scusate gli errori, se ve ne sono. Buona lettura!
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Augusta Paciock, Neville Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Neville aveva solo tre anni quando suo nonno, Hale Paciock, morì di fronte ai suoi occhi. Tre anni e qualche mese, troppo pochi per un bambino per ricordare vagamente volti, suoni e dettagli di una persona o di un luogo.
Un qualsiasi ricordo, a quell’età, sarebbe risultato vago e indistinto, pieno di immagini confuse e sfocate, che più si cercava di mettere a fuoco e più queste si offuscavano, rendendo impossibile riordinare il tutto in una sequenza limpida e ordinata di immagini.
Per Neville fu diverso, però. Ricordava quel giorno come se fosse successo appena qualche ora prima. Eppure erano passati bene dodici anni da quando quella morte lo aveva privato di un altro familiare, dell’amore di un nonno, di una figura quasi paterna, pronto a sostenerlo dopo la tragedia accaduta ai suoi genitori.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso delle nere creature scheletriche, somiglianti in qualche modo a cavalli mal nutriti, con immense ali da pipistrello sul dorso, che si dispiegavano ai lati, mostrando una notevole apertura. Si chiese il perché gli altri fossero tanto sconvolti da degli animali magici che si nutrivano di ciò che Hagrid lanciava loro a terra.
Erano stati attirati dall’odore della carne cruda e sanguinolenta, apparsi lentamente in quella piccola porzione di foresta, tranquilli e quasi innocui, seppur il loro aspetto facesse presagire un qualcosa a che fare con la paura o la morte. I suoi compagni, con le espressioni confuse, continuavano a girare il capo in tutti gli angoli semibui e silenziosi della foresta, con gli unici rumori che sembravano provenire dal tocco sicuro degli animali sul tappeto di foglie secche e erbacce, che ricoprivano il terreno, i piccoli passi nervosi degli studenti sullo stesso terreno e il brusio di voci quasi ignare di ciò che stava succedendo. Solo qualcuno, notò Neville, riusciva a guardare nella giusta direzione, nella quale stava guardando anche lui.
Poi l’insegnante di Cura delle Creature Magiche spiegò il motivo e le particolarità che bisognava avere per riuscire a vedere quei bizzarri animali: Thestral, solo chi aveva visto la Morte riusciva a scorgerli.
Ora capiva, ora seppe come mai, alla domanda posta dal Guardiacaccia, fu uno dei pochi studenti ad alzare la mano. Perché anche lui, come loro, aveva visto davanti ai suoi occhi morire una persona, per di più una persona molto cara: suo nonno, Hale.

La sua mente, così, per il resto della lezione, vagò per conto suo, tornando a quel giorno di tanti anni prima, quando, insieme a sua nonna Augusta, si trovava nella sua casa, in camera da letto, dove un uomo dai bianchi e ancora folti capelli bianchi e lucenti, un tempo biondi, era disteso sul materasso, con le mani incrociate a coppa all’altezza dello stomaco e un sorriso gentile e spontaneo dipinto sul volto segnato dall’età e incorniciato ancora da due vividi e splendenti occhi azzurri, che non sembravano presentare segno di sofferenza. Quello era il sorriso di chi sa che la sua ora stava per giungere e sapeva che la sua vita stava per giungere alla sua conclusione. Di chi avrebbe lasciato questo mondo senza opporsi, con la saggezza di che sa accettare la sua sorte, per abbracciare le accoglienti braccia del sonno eterno.
Lui guardava la scena in prima persona, attraverso i suoi stessi occhi, ma sentiva bene il tatto, abbastanza da fargli ricordare quanto paffuto, piccolo e delicato ancora fosse. Qualche ciocca di capelli biondi, come quelli di suo nonno, gli cadeva sulla fronte, dandogli un aspetto quasi buffo, in contrasto con l’espressione spaventata e confusa, che il suo viso lasciava trapelare.
Si trovava di fianco a sua nonna, i piedi poggiati sul parquet di legno della stanza. Qua e là vi erano mobili in legno, perfettamente in ordine, decorati con piccoli soprammobili e foto di sua nonna e suo nonno e i suoi genitori, che nelle foto sorridevano felici, abbracciati l’uno all’altra. Un senso di angoscia ancora più grande premette sul suo piccolo cuore, cogliendo la tristezza dell’atmosfera e nel silenzio di quel momento. Sua indossava un semplice vestito nero, con piccoli ricami lungo i bordi. I suoi capelli erano come sempre raccolti e ordinati e la sua espressione indecifrabile come al solito. Probabilmente non avrebbe mai pianto in sua presenza, lo avrebbe fatto da sola, quando era sicura di poter lasciar uscire tutto il dolore della perdita e così sfogarsi. La mano che teneva quella del bambino era stretta con delicatezza, che lui interpretò come il suo modo per stargli vicino in quel momento e forse anche lei trovava in quel contatto un modo per dare forza a se stessa. Per un attimo, Neville sembrò cogliere un’ombra di tristezza farsi spazio tra i segni del viso di sua nonna.
Passarono quelli che sembravano minuti interminabile, quando finalmente Hale parlò, con una voce debole e affaticata, ma allo stesso tempo gentile e sicura. Neanche sul letto di morte, suo nonno smetteva di rassicurare le persone a cui teneva, neanche quando l’esito era chiaro e tutto stava per finire. Per lui, questo era più importante della sua sorte imminente; sapere che, anche senza di lui, loro due sarebbero comunque andati avanti a testa alta, cercando di vincere il dolore e superarlo, con il tempo.
« Neville… piccolo mio… », cominciò a dire, respirando profondamente e facendo una piccola pausa di tanto in tanto.
« Mi dispiace lasciarti… l’ultimo ricordo di me… in questo stato… », un’altra pausa, più lunga questa volta, interruppe il discorso. Il suo sorriso, più radioso che mai, si distese sulle sue labbra.
« Somigli molto ai tuoi genitori… ma sono felice che tu abbia preso anche… qualcosa da me… », continuò, indicando i suoi capelli.
« Sei un bambino in gamba… fatti valere… so che un giorno diventerai un grande mago, tra i migliori… »
Queste furono le ultime parole che Hale Paciock rivolse a lui soltanto.
Altri attimi di silenzio, interrotto dal ticchettare interminabile dell’orologio, che scandiva il passare dei secondi e dei minuti, in un modo fin troppo veloce. Neville desiderava molto che rallentasse la sua implacabile avanzata.
Un colpo di tosse e un sobbalzo scossero le lenzuola disfatte del letto, che tracciavano in profilo del corpo di suo nonno, che tornò a parlare, questa volta con sua nonna.
« So di… non essere stato il marito perfetto… avrei voluto fare di più… poterti dare di più… ma… credo che questo sia… il massimo che io abbia potuto fare… »
Neville giurò di aver visto uno strano brillio negli occhi di Augusta, cancellato in fretta da un rapido gesto della mano libera della donna, che scosse il capo, come a dire che, anche quando Hale non doveva, sapeva sminuire ciò che le aveva dato.
« Sempre il solito, non è vero? Ricordi che, se non fosse per te, io non sarei qui? », rispose sua nonna, con la sua voce autoritaria, con una leggera nota rotta nel suo tono.
Hale rise, per quanto il fisico glielo concedesse, per poi tossire di nuovo, più volte, sentendo il corpo ormai al limite della sua sopportazione.
« Sono felice… di aver amato te… in tutti questi anni… da quando ti ho conosciuta… »
La donna mormorò qualcosa in risposta, che però Neville non ricordava bene, ma che alle sue orecchie parve un “Anche io sono felice di averlo fatto”.
Qualche minuto dopo, il cuore di Hale smise di battere, il suo respiro non c’era più e il suo corpo rimase immobile sul letto, che ormai aveva preso la sua forma.
La sua ultima parola fu “Addio”.
Neville ricordò che pianse, con i suoi gonfi e pieni di lacrime, che gli bagnarono le guance rosse e il colletto della maglietta.

Probabilmente, quello fu uno dei giorni più tristi della sua vita.

Una lieve pacca lo riscosse dai suoi pensieri: era un suo compagno, che gli diceva che la lezione era finita e che dovevano tornare al castello.
Annuì con il capo e attese che gli altri avanzassero davanti a lui, prima di cominciare a seguirli, ricordando le ultime parole di suo nonno per lui.
Nessun periodo era più giusto di quell’anno, dopo che Voldemort era tornato, perché lo era. Si fidava delle parole di Harry, di Silente, Se ci credeva anche sua nonna, allora lui non aveva nessun dubbio.
Era ora di mettersi in gioco, di diventare il mago che suo nonno aveva detto che sarebbe diventato.
  
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