Fanfic su artisti musicali > SHINee
Ricorda la storia  |       
Autore: ChiaKairi    13/08/2014    10 recensioni
Ti ho incontrato lì dove la terra incontra il mare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Minho, Onew, Taemin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




In basso.
Ecco dove sono.
Non voglio scoprire cosa c’è più su,
ma il cielo mi trascina in alto con insistenza convincente.
È più luminoso, intenso ma tiepido.
Immagino che tutto sia più bello lassù, dovrei andarci.
Attraverso i suoi occhi posso vedere com’è,
e sentire il rumore dei suoi passi.
Ma sono poi così diversi dai miei,
dai miei passi quaggiù?
No, non credo,
anche se io devo ascoltare il rumore della pioggia e tu no.
Perché nei posti così alti,
le gocce si formano
e poi arrivano a schiantarsi quaggiù.
Sconsiderate. Arroganti.
Intanto continuo a camminare,
e nel vorticare leggero delle cose,
scorgo uno sprazzo di Paradiso.
Sempre sopra di me.
 
 
1. Kara No Kyoukai – Il confine del vuoto
 
|Jonghyun|
 
Dove iniziano, i confini del vuoto?
Da dove si parte, per ricominciare.
A volte me lo sono chiesto… quanto in là mi dovrò spingere?
C’è bianco ovunque, ai margini del suo sguardo. Respira piano, tranquillo, sdraiato in un letto asettico, in una camera asettica. Non sente più niente e se non sta attento, la cosa potrebbe sopraffarlo. È meglio se non si muove, ha paura di se stesso. Ancora non si fida.
È meglio se continua a respirare, perché quando è solo non si sa mai quali pensieri potrebbero afferrargli la mente e portare il suo corpo a muoversi verso i pericoli più torbidi. Ha fatto delle promesse e per la prima volta in vita sua le vuole mantenere. Deve solo stringere i denti, stringere i pugni un po’ di più e non lasciarsi sopraffare dal vuoto.
È lì, il confine. È proprio sotto il suo letto, lo sente, vibrante, invitante. Non può muoversi o il vuoto lo inghiottirà.
Ricorda benissimo le prime sensazioni. Ricorda gli odori, ricorda il buio prima di aprire le palpebre. Ricorda i rumori che ha sentito, ricorda come si erano miscelati nella sua mente rivelandogli che no, non era a casa. Non l’aveva più una casa.
Fissa il soffitto, bianco e innaturale. Ci sono quelle tre pale che girano, in alto al centro della stanza. Le guarda e conta un po’ i giri, poi si distrae perché non riesce a cancellare i ricordi.
Il sapore di sale nelle radici, che brucia. È un’aria diversa, a cui non era abituato. Le labbra secche, la smorfia che aveva fatto prima di aprire gli occhi.
Ricorda tutto così bene…
Aveva sentito un fruscio, un soffio di vento fresco alla sua sinistra.
La brezza.
Aveva imparato ad amarlo quel vento, proprio quando credeva che non sarebbe più riuscito ad amare niente e nessuno.
Ricorda anche la prima volta che l’aveva visto.
Un camicie bianco, non ci aveva fatto nemmeno caso, sembrava così anonimo. L’aveva cacciato via, infastidito.
E poi era arrivato il suo sorriso…
E occhi. Occhi ingannevoli, nelle profondità dell’oceano. Così rassicuranti, se solo riusciva a lasciarsi andare…
C’era stato il sangue, e poi il calore del sole, non solo del sole.
Oh, se lo ricorda bene.
Il momento in cui aveva aperto gli occhi e si era reso conto di essere in un altro mondo.
 
.
 
|Minho|
 
Li rincorre da qualche minuto, quei due monelli. Spera davvero di non urtare nessuno, li ha già visti scivolare un paio di volte, lungo gli infiniti corridoi. I pavimenti sono puliti e lisci, è normale che con quelle loro ciabattine morbide ci scivolino sopra come su di una pista di pattinaggio. Spera di raggiungerli presto o davvero si ficcheranno nei guai… o peggio, qualcuno si farà male.
Chiede scusa all’ennesima infermiera prima di scavalcare con un saltello una pila di cuscini appena lavati. Si stringe contro il muro, passa tra due carrellini carichi di siringhe e garze.
Eccoli lì che ridono, a pochi metri da lui. Lo aspettano perché se fuggono troppo veloci e lo lasciando indietro poi non è più divertente.
“Sembri un gabbiano!” ridono di gusto, si tengono la pancia e lo indicano. “Cra cra!”
Tsk, quello non è il verso del gabbiano. Un giorno li deve portare alla spiaggia. Un giorno come quello, in cui stanno bene, quando c’è il sole fuori e non fa freddo.
“Fermi lì!”
Il camicie aperto sventola dietro di lui come le piume del gabbiano, mentre i bambini agitano le braccia e volano via, facendo il verso del corvo però.
Un altro corridoio, impreca silenziosamente perché vede arrivare il primario.
“Bambini!”
Si fermano e lo vedono anche loro, poi si guardano attorno perché non si sono nemmeno resi conto di essere finiti in chissà quale reparto. Spalancano gli occhi che sembrano enormi, dato che non ci sono più capelli a nasconderli, e si buttano di lato, nella prima stanza che trovano.
“Di qua!”
Sono dei piccoli Indiana Jones che fuggono dalla tribù nemica, in un’isola sperduta nell’oceano. Peccato che lui si ritrovi sempre ad essere la tribù nemica, e via all’inseguimento. Forse perché si divertono a farlo scorrazzare per i corridoi, lui che è così alto e così giovane, forse lo vedono più vicino a loro, nonostante il camicie bianco e le mani guantate che gli mettono le spine paurose nelle braccia secche.
Quando li prende, rimarrà un po’ nella parte. Già pregusta il momento in cui li acciufferà per le spalle magre, gridando come un vero Capitan Uncino.
Frena la corsa perché i bambini sono spariti oltre la porta – spera davvero che non ci sia nessun paziente ricoverato lì – e il Primario si avvicina, attorniato da due infermieri. Il giovane si inchina al suo passaggio, trattenendo il fiato mozzo. Appena il dottore lo supera senza degnarlo di uno sguardo, lascia andare gli addominali e riprende a respirare pesantemente. Afferra la maniglia della porta con decisione e si butta nella stanza, già pronto a trasformarsi in Capitan Uncino.
Ha mezzo sfoderato la sua risata profonda e malefica, quando si volta e nota che non ci sono più schiamazzi né piccoli Indiana Jones che saltano sui letti.
I bambini sono fermi, le labbra appena aperte e gli occhi enormi fissi davanti a loro.
Si avvicina, posa una mano sulla spalla di entrambi, per rassicurarli.
“Avete visto cosa avete combinato? Chiedete subito scusa.”
“Ci scusi!” i bambini si inchinano e lo dicono in coro, un po’ turbati.
La stanza non è vuota, c’è qualcuno disteso nel letto. La finestra è leggermente aperta, le tende bianche si muovono in onde aggraziate, seguendo il volere del vento.
Sente un bambino rabbrividire sotto le sue dita, allora si inchina e poi oltrepassa il letto a grandi passi, chiudendo la finestra.
“Perdoni i bambini, ho tentato di acciuffarli prima che si intrufolassero in posti non adatti a loro ma quando finiscono le terapie sono un’esplosione di energia, non si riesce a fermarli.” Sorride. Torna dai piccoli pazienti e accarezza i berretti colorati che ricoprono le loro teste tonde.
“La abbiamo svegliata?”
La persona sdraiata nel letto gira il capo e per la prima volta il giovane dottore può vederla in viso. Ha gli occhi castani ancora un po’ spenti, come qualcuno che si è appena svegliato da un incubo.
I bambini lo fissano, guardano la flebo che sparisce sotto le coperte e esaminano il viso smagrito, le braccia fasciate con bende strette.
È un ragazzo dai capelli castani e sul suo viso aleggia una tristezza profonda, uno spaesamento che permea tutta l’aria nella stanza e la rende quasi irrespirabile.
Il dottore ci è abituato, respira sicuro, ma i bambini rimangono pur sempre bambini e non devono assorbire il dolore degli altri. Ne sopportano già abbastanza.
Il ragazzo intanto non ha risposto, si tira a sedere e si sistema con fatica, una smorfia sul viso.
“Mi avevano detto di essere in un ospedale… non in un asilo nido.”
Il dottore sorride senza farsi vedere.
Prende in braccio la bambina – senza sforzo perché non pesa nulla – e per mano il bambino che gli tira un lembo del camicie aperto.
“Minho-hyung… ma è un fantasma?”
Lascia che i bambini lo chiamino col suo nome, perché tanto ci ha provato all’inizio a dirgli che lo devono chiamare ‘dottore’ ma proprio non ce la fanno. Allora va bene così, ormai è uno hyung, un fratello, per quei Bambini Sperduti. È il loro Peter Pan che a volte deve mettergli gli aghi pungenti nelle braccia per aiutarli a stare bene e diventare forti come lui.
“Pabo…” sussurra il dottore al bambino, sperando che il paziente non lo abbia sentito. Invece ha sentito eccome, i suoi occhi sono guizzati.
“Yah… vivi in un ospedale, non hai mai visto un malato?” borbotta il paziente nel letto.
“Sì che l’ho visto! Ma la tua faccia…”
“Shh, Jino chiudi la bocca adesso.”
“Non volevamo svegliarti…” esordisce piano la bambina, stringendo le braccia al collo del dottore. Minho dondola un po’, ormai ha quell’istinto quando li prende in braccio. Non importa quanti anni abbiano, ai bambini fa sempre piacere.
Il paziente incrocia le braccia fasciate, seccato. Si guarda intorno, poi aguzza la vista e scruta il cartellino appeso alla tasca del camicie del dottore.
“M… H… Choi?”
Minho si inchina un po’, velocemente.
“Speravo che fossi il tizio venuto a portarmi le sigarette.”
“Non si può fumare qui, temo.” Risponde Minho, stupito.
Il paziente fa schioccare la lingua, seccato.
“Allora levati di torno.”
“Che maleducato…” gli sussurra la bambina all’orecchio. Minho non può fare a meno di reprimere un altro sorriso.
“Yah. Non glielo insegni che non si dicono le cose all’orecchio?”
“Sì che ce lo insegna!” esclama il bambino, stringendo la mano di Minho. Il dottore sorride tranquillo. È incredibile, sono totalmente indifesi ed in balìa del destino, eppure si battono sempre come leoni.
“Come ti chiami hyung?” passando per chiudere la finestra ha dato un’occhiata al foglio appeso al suo letto. Il paziente ha ventiquattro anni, due in più di lui, ma per qualche strana ragione non c’era scritto il suo nome.
Il ragazzo lo guarda per qualche minuto, sempre con le braccia incrociate sul petto. Le bende le ricoprono da metà bicipite fino ai polsi. Minho subito inizia a pensare a varie ipotesi per capire cosa potrebbe avere, è una deformazione professionale.
“Portami un pacchetto di sigarette e te lo dirò.”
“Non c’è scritto nemmeno sulla tua cartelletta hyung… è strano.”
Il paziente sospira, distoglie lo sguardo.
“Minho-hyung, forse è stanco…”
“Forse non ha voglia di parlare.” Ipotizzano i bambini. I loro occhi non si sono mai staccati dal letto, stanno ancora respirando l’aria negativa che emana quel ragazzo.
“Sì… avete ragione.” I suoi pazienti prima di tutto.
I suoi piccoli Indiana Jones, prima di tutto.
Si inchina di nuovo al ragazzo ricoverato, la bambina si sorregge al suo collo.
“Scusaci ancora per l’intrusione, hyung. Ora ti lasciamo riposare.”
“Ehi.”
Minho si è già voltato con i bambini al seguito. Si ferma.
“Sì?”
“Dove… dove siamo? Che città, intendo.”
“Siamo a Samcheok!” esclama il bambino, pronto come sempre.
“Ecco perché sento il mare.” Commenta il ragazzo nel letto, a voce bassa. “Ho sentito l’odore del sale e di notte mi sembrava di… sai, la marea… lascia stare.”
Minho esita, gli pare di capire che lui vorrebbe parlare ancora ma è confuso. Guarda la finestra chiusa.
“Hyung… fumare fa male. Ma se ti fa piacere, quando starai meglio, ti porto nel terrazzino e ti offro una sigaretta. Va bene?”
“No! Fa male ai polmoni!” la bambina si accarezza il petto. Minho sorride, le afferra la manina lasciando per un attimo il bambino.
“Sì, è vero, ma tu non devi fumare mai, arasso? Nemmeno da grande.”
“Allora non fumare neanche tu Minho-hyung… e neanche lui.” indica il letto, con decisione.
“Hai sentito? Minhye non vuole.” Sorride Minho al ragazzo.
È allora che nota il suo sguardo. Lo sta osservando da capo a piedi, e chissà cosa sta pensando… si stringe la bambina al collo perché gli dà sicurezza.
Ora se ne accorge, ora sì che quel paziente somiglia ad un fantasma. E ha solo due anni più di lui.
Il ragazzo non risponde più, lo guarda e basta.
 
.
 
La curiosità l’ha sentita arrivare non appena ha rimesso a letto i bambini.
L’hanno trovato sul ciglio della strada, una coppia di villeggianti. Hanno chiamato subito l’ambulanza, sono stati bravi. Nonostante la paura e il tempaccio si sono fermati e l’hanno assistito, non è da tutti. Il ragazzo è senza documenti, i medici del suo reparto hanno detto che non ha aperto bocca da quando si è svegliato, pochi giorni prima. Non sanno ancora il suo nome, solo che ha ventiquattro anni ed è Coreano, nient’altro. Minho ha preferito evitare di menzionare il fatto che in realtà il paziente con lui ha parlato, gli dispiace un po’, gli sembra come di tradire la sua fiducia. In fondo non è del suo reparto, non è compito suo. E che i bambini la smettessero di giocare agli indiani fuori dalla sala giochi, insomma, prima o poi si faranno male sul serio e sarà il dottor Choi a doverne pagare le conseguenze.
Ogni tanto gli hanno chiesto ancora del fantasma, così lo chiamano ormai, il ragazzo della cameretta solitaria. Minho non ha saputo dirgli molto, ha detto che andrà in missione e farà rapporto al capitano Jino il prima possibile.
I bambini sanno che quello è un ospedale, ma è giusto che facciano finta che sia una nave pirata o un’isola misteriosa. È più facile essere coraggiosi, se si è dentro una fiaba.
“Insomma hyung, tu non sei più un bambino però. È inutile che continui a nasconderti qui.”
“Non mi sto nascondendo, e tu dovresti smetterla di venirmi ad importunare. Forse sei tu che ti stai confondendo, il tuo reparto è dall’altra…”
“Lo so che non dovrei essere qui. È solo che mi fai innervosire. Insomma, siamo adulti no? Perché non vuoi dire come ti chiami?”
“Privacy. Appena mi toglierete queste stupide bende me ne andrò e fine della storia.”
“Non è così semplice hyung…”
“Vi sto pagando, no? Quindi qual è il vostro problema?”
“So che non è affar nostro, tanto meno affar mio… ma è brutto non riuscire ad avere un dialogo con i propri pazienti.”
Il ragazzo sbuffa e sorride con arroganza.
“Pazienti…”
“Che tu ci creda o no hyung, devi fartene una ragione. Sei un paziente di questo ospedale. So che ti senti grande e forte ma non lo sei. Ti hanno trovato sul ciglio della strada sotto la…”
So, dove mi hanno trovato. Adesso chiudi la bocca.”
Minho scuote il capo e sospira. Si massaggia una tempia, è stata una lunga giornata.
“Senti hyung, i miei colleghi sono preoccupati. Per quanto la cosa non mi riguardi, le voci corrono. Se continui a non spiccicare parola con loro, ti terranno qui più a lungo e chiameranno lo psicologo.”
“Come se me ne fregasse qualcosa…”
“Qui c’è solo gente che vuole aiutarti, hyung, per quanto tu sia convinto di essere circondato da stronzi.”
“Ancora nessuno mi ha portato nemmeno una sigaretta. Questo per me è essere stronzi.”
“Vorremmo solo capire cosa ti è successo. Sai, non è normale che…”
“Dio, vuoi andartene o no? Giuro che lo dirò al Primario se non la finisci.”
Minho chiude la bocca e lo guarda con stanchezza.
“Hai ragione. È solo che…” si alza dalla seggiola nell’angolo, pronto ad andarsene ma i suoi piedi non si vogliono muovere, non ancora. “Abbiamo solo due anni di differenza hyung. È la… la prima volta che mi capita di assistere ad un caso del genere. Sono abituato coi bambini invece con te… con te è diverso.” Non vorrebbe, non vorrebbe davvero farlo. Si sa controllare, ma lascia che il suo sguardo cada di proposito sulle braccia fasciate dell’altro.
Il ragazzo senza nome sospira e si morde un labbro. Non sono più secche, sta riprendendo un po’ di colorito. Ora può alzarsi dal letto, riesce a mangiare da solo, nonostante le bende.
“Voi medici e il vostro stupido tentativo di entrare in empatia con gli altri… rilassatevi, tanto non capirete mai. Non sapete un cazzo di niente.”
Ed è qui che Minho riconosce i segni del suo vacillare, nella fatica con cui manda giù la saliva e con cui il suo pomo d’Adamo si muove.
“No, è vero che non capiamo. Però tu parli con me e con nessun altro. Non c’è niente da capire in questo.”
Minho sorride senza guardarlo dritto negli occhi perché sa che lui lo sta osservando, rabbioso.
“Perché… non sembri un medico, tutto qui.”
“Sì infatti… Per i bambini sono Capitan Uncino.”
“Bwo?”
“Niente.” Minho si mette le mani nelle tasche del camicie.
Il ragazzo scosta le coperte, si alza dal letto lentamente. Minho corre ad aiutarlo, d’istinto. Gli appoggia le mani in vita perché preferisce non toccargli le braccia. Il ragazzo è più basso di lui, dannatamente magro. Dalla sua corporatura capisce che doveva avere dei bei muscoli, e forse anche la sua carnagione non era così cadaverica un tempo, ma tutto il sangue che ha perso, il trauma, lo hanno reso il mezzo fantasma che è in quei giorni.
Appena lo sfiora, il ragazzo sfodera la sua occhiata torva e Minho per la prima volta scruta dentro i suoi occhi da vicino.
Lo porta fino alla finestra socchiusa, lo lascia guardare in lontananza. Il mare è una striscia azzurra sottile sottile, oltre il giardino dell’ospedale, oltre le case.
“Hyung… la vuoi ancora quella sigaretta?” si morde un labbro. Questo non è professionale e se ne rende conto fin troppo bene. Però ha capito che non è l’aria ad essere strana nella stanza, è proprio la presenza di quel ragazzo, l’aura che emana. Gli fa pensare a qualcosa che non appartiene a quel luogo, al temporale sopra il mare e a quell’estate che proprio non vuole arrivare.
Il ragazzo lo guarda per un istante, lo valuta.
“Torna dai tuoi bambini, Choi.”
“Minho. Soltanto Minho.”
Il ragazzo non risponde, tamburella le dita sul davanzale.
“La voglio la sigaretta.” Un sospiro che si perde oltre la finestra, ma Minho è abituato ai sospiri, non se lo lascia sfuggire.
“Allora dimmi il tuo nome.”
“Non dirlo a nessuno. Non voglio che si sappia che sono qui.”
“Va bene.” È strana, è davvero strana quella richiesta, ma il paziente sta pagando la sua permanenza e niente lo obbliga a lasciare un nominativo a chi non è un suo medico curante. Minho non fa domande, rispetta la cosa.
“Kim Jonghyun.”
“Jonghyun-hyung?”
“Neh.”
Finalmente ha un nome da collegare a quel viso. Per lui non è mai stato un fantasma, ma ora dirà ai bambini che il fantasma non c’è più, è diventato una persona.
“Come… come sei finito sulla strada? Te li sei fatti tu?” gli accarezza una avambraccio avvolto nelle bende spesse con un dito, velocemente, di sicuro nemmeno lo sente attraverso la fasciatura, però abbassa lo sguardo e osserva a labbra semiaperte il movimento impercettibile. Ha delle labbra piene, tratti particolari. A Minho viene voglia di ravviargli i capelli sulla fronte, come fa coi bambini. Si trattiene.
“Minho.” Alza lo sguardo e i suoi occhi sono enormi, proprio come quelli dei suoi piccoli Indiana Jones. Però sono più  scuri, più misteriosi.
A Minho viene in mente quando un bambino gli ha rivelato che il novantacinque percento degli oceani in realtà è ancora tutto da scoprire, quindi non c’è niente al mondo che ci assicuri che le Sirene non esistono.
Segreti da piccoli Indiana Jones.
“Minho, tu riesci a sentirla la terra che si muove?”
 
.
 
Hanno trovato Kim Jonghyun sul ciglio della strada, alle due e trenta della notte del dieci luglio duemilaquattordici. È un anno strano, perché l’estate sembra essere in ritardo e piove, piove. Pioveva anche su di lui quella notte, ma il sangue che sgorgava copioso dalle sue braccia la pioggia non riusciva a lavarlo via. Sembrava che qualcuno avesse scavato con intenso fervore nei suoi avambracci tonici, quasi seguendo il corso delle vene, naturalmente visibili sotto la pelle.
Nessuno sa come il ragazzo sia finito lì, né come si sia procurato quelle ferite. Ha ripreso a parlare, poche parole, il minimo necessario. Minho continua a venirlo a trovare perché ancora non ha capito bene cosa intendesse col ‘sentire la terra muoversi’.
Il giorno prima che gli togliessero le bende spesse, si sono distesi sul terrazzino, a fumare. Guardano il cielo nuvoloso ed esaminano le scaglie di luce tra una nuvola e l’altra. Per qualche secondo, un raggio prepotentemente si fa strada e allora sembra quasi che riesca a separare il cielo e liberare finalmente il sereno, ma è solo un’illusione.
Minho tira una boccata di fumo, sente che Jonghyun invece espira e si gira la sigaretta tra le mani.
“Cosa farai domani?” chiede il dottore, sovrappensiero.
“Non hai da fare? Sei ancora in servizio?”
“Finito da… tre minuti.” Controlla l’orologio da polso. Sì, Jonghyun ancora non ha smesso di cacciarlo via. Sembra che abbia sviluppato una strana repellenza per le persone, proprio non ce la fa a stare con qualcuno per più di un tot di minuti.
Jonghyun tira dalla sigaretta, Minho attende.
“Non lo so, Minho.”
“Ti hanno affidato allo psicologo, vero?”
“Un tale Lee Jinki.”
“Sai, gli ho chiesto io di proporsi per te. È… è il mio migliore amico.”
Jonghyun si gira a guardarlo, spalancando gli occhi.
“Sarai in buone mani con lui, vedrai.”
Jonghyun sorride, i suoi soliti sorrisi amari.
“Ovviamente non ci andrò. Non so nemmeno dove andrò. Di certo fuori da qui, finalmente.”
“Tornerai a casa?”
“Non ho una casa.”
“Hyung. Che genere di vita stai facendo?” Minho si mette a sedere. Si è tolto il camice, ce l’ha appoggiato lì vicino.
Jonghyun non lo guarda.
“Non ho una vita.”
Hyung…
Jonghyun si alza di scatto. Getta via la sigaretta, giù dal terrazzino. Appoggia i gomiti sul bordo e affonda le mani nei capelli castani.
Minho si spaventa, corre al suo fianco. Gli appoggia una mano sulla schiena ampia, non sa che fare.
“Senti hyung, davvero, se c’è qualcosa che…”
“La mia testa…” si stringe i capelli con le mani, le nocche gli diventano bianche. “Non dovrei essere qui. È… tutto sbagliato.”
Minho non dice niente. Lo lascia ad occhi chiusi. Tiene la mano sulla sua schiena, con le dita bene aperte. Va su e giù lentamente, mentre finisce la sua sigaretta. L’ultima boccata però la dà a lui e Jonghyun la accetta, ha gli occhi rossi.
Non è come consolare un bambino, eppure sembra esattamente la stessa cosa, sotto le dita lunghe percepisce la stessa fragilità, la stessa sensazione di qualcosa che potrebbe crollare da un momento all’altro.
“Minho-ssi… perché sono ancora qui?” si guarda le braccia fasciate. Minho crede di aver capito e sente lo stomaco stretto in una morsa familiare. Ha imparato a riconoscere la paura della morte, anche se vista così da vicino, in occhi troppo consapevoli, è più intensa.
“Non era ancora il tuo momento, Kim Jonghyun.”
Il ragazzo scuote il capo.
“Lo scelgo io, quando è il mio momento.” e guarda oltre il parapetto, giù, per i piani dell’ospedale, fino a terra. Minho gli mette una mano sotto al mento, lo costringe ad alzare lo sguardo.
Jonghyun si volta lentamente.
“Non preoccuparti Jonghyun, Jinki ti aiuterà. Non sei più solo adesso.”
“Sono… sono questi, i confini del vuoto?”
Minho sospira. Non si abituerà tanto facilmente alle sue strane domande. Jonghyun stesso è un precipizio che Minho ancora non si sa spiegare, non ha mai incontrato nessuno così. Lo conosce da qualche giorno, eppure ogni momento è come se lo vedesse per la prima volta.
 
.
 
In basso.
Ecco dove sono.
 
____________________________________________________________________________________

Ciao ragazzi!!!! Prima che l'estate finisca del tutto (sigh), ho pensato di iniziare a postare la mini che ho scritto durante le mie vacanze al mare ^^ 
Grazie mille a Yuki395 per avermi confezionato il bellissimo banner iniziale, as always!! <3
Non voglio commentare troppo, lascio più che altro a voi il compito di esprimere le vostre prime impressioni. Per chi mi segue già da un po', conoscerete ormai le mie tipiche atmosfere legate al mare, però anche quest'anno diciamo che mi sono impegnata per creare qualcosa di nuovo. Mi sono concentrata soprattutto sullo stile, usando il presente nel modo più fluido e naturale possibile. Mi raccomando, ditemi cosa ve ne pare.
Un'ultima nota, per ora. I titoli sono tutti tratti dall'anime Kara no Kyoukai. La mini avrà cinque capitoli. Non sto a dirvi che mi ci sono già affezionata scrivendola (insomma, l'ho scritta mentre ero al mio amato mare, sigh), quindi spero che entrerà anche nei vostri cuoricini :3
Ah, come al solito chi fosse interessato a ricevere il mio messaggio quando uppo, me lo comunichi tranquillamente o qui o su FB o twitter e io provvederò ad avvertirvi ad ogni aggiornamento ^^
A presto allora ^^

Please give us a lot of love OKKE??


< - Chiara
  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: ChiaKairi