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Autore: pandamito    16/08/2014    0 recensioni
Generali pensieri dal punto di vista di Griet su tutto quello che le accade, prendendo ovviamente la sua relazione con Johannes Vermeer come punto di riferimento.
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Le nostre mani non si toccavano mai, a malapena si sfioravano, succedeva solo poche volte, ma ogni volta il mio respiro si faceva più pesante perché diventavo nervosa. Avevo paura che potesse succedere qualcosa che non mi sarei potuta aspettare, avevo anche paura che lui potesse capire il mio nervosismo, ma nel silenzio che si creava nel suo studio quando eravamo solo noi due, potevo sentire anche il suo respiro farsi più pesante mentre lavorava e mi piaceva. Il silenzio e solo il rumore dei nostri respiri che si accavallavano. Mi piaceva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tocco delle sue  m a n i


Le nostre mani non si toccavano mai, a malapena si sfioravano, succedeva solo poche volte, ma ogni volta il mio respiro si faceva più pesante perché diventavo nervosa. Avevo paura che potesse succedere qualcosa che non mi sarei potuta aspettare, avevo anche paura che lui potesse capire il mio nervosismo, ma nel silenzio che si creava nel suo studio quando eravamo solo noi due, potevo sentire anche il suo respiro farsi più pesante mentre lavorava e mi piaceva. Il silenzio e solo il rumore dei nostri respiri che si accavallavano. Mi piaceva.
A parte quando mi ordinò di prendergli il bianco di piombo dalla credenza, solo un’altra volta le sue mani strinsero le mie: quando mi insegnò ad estrarre i pigmenti di colore dalle rocce; non le ritirai così velocemente come avrei voluto, ero stata colta di sorpresa, ma in realtà mi era piaciuto il suo tocco, ero arrossita perché avrei voluto qualcuno al mio fianco che potesse stringermi le mani in quel modo ogni qual volta che mi fossi sentita insicura. Non erano ruvide, ma neanche affusolate e morbide, erano grandi ma gentili, di chi aveva la capacità di saper maneggiare un pennello con delicatezza e riuscire a stendere il colore sulla tela senza imperfezioni. Le sue mani erano il suo più grande tesoro, lo capii in quel preciso istante. Ma poi ritrassi le mie, bruscamente, veloce, quasi spaventata, e lui ovviamente capì i miei sentimenti. Era bravo a capirmi. Non aggiunse nulla, continuò il suo lavoro, insegnandomi senza più toccarmi, e io gliene fui immensamente grata.
Il segreto che mi aveva promesso di mantenere però si faceva più pesante di giorno in giorno di fronte agli sguardi della signora Vermeer, di Tanneke e anche di Cornelia. Ma non l’avrei detto a nessuno, per il mio bene e soprattutto per il suo.
Volevo continuare ad avere l’opportunità di aggirarmi nel suo studio, di osservare come la luce filtrasse attraverso le finestre e colpisse gli oggetti nella stanza, di guardare come preparava i colori – aiutarlo – e di come dipingeva le commissioni.
Una volta lo vidi guardare sua moglie, accarezzarle il collo mentre lei suonava il piano e baciarglielo. Mi sentii stupida a osservarli di sottecchi, rapita, ma poi abbassai il capo come quando lui – o chiunque altro, in realtà – prendeva a fissarmi, e mi allontanai frettolosamente sperando che non mi sentissero. Repressi l’impulso di spiarli, fu il mio senso del dovere a farlo, quello che mi ricordava a che ceto sociale appartenevo, o magari fu il non voler sapere che cosa sarebbe successo in seguito, perché una parte di me si sarebbe sentita ferita se l’avesse saputo. Lo capivo da sola, in verità, ma in quel modo mi illudevo di non poterne avere certezza e quella consapevolezza – quella menzogna a me stessa, in realtà – mi faceva stare meno male.
Per questo quando Tanneke mi disse che la signora Vermeer era di nuovo incinta non riuscivo a crederci. Aveva partorito da poco un figlio, come poteva sopportarne un altro in così poco tempo? Come poteva pensare che il signor Vermeer riuscisse a portare avanti quella famiglia con così tante bocche da sfamare? Ma, soprattutto, com’era possibile che ci era voluto così poco tempo per mettere di nuovo incinta la donna?
E questa era la domanda che mi faceva più male, oltre a tutte le chiacchiere di cui mi riempiva Tanneke – ignara dei miei pensieri – sui desideri degli uomini, che erano tutti uguali. Ma a me il signor Vermeer non era mai sembrato uguale agli altri. Bastava osservare il signor Van Ruijven e fare un confronto per capire che avevano vocazioni, atteggiamenti e pensieri totalmente diversi.
Ero attratta dal lavoro del signor Vermeer tanto quanto avevo paura che il signor Van Ruijven potesse farmi del male. Quando stava cenando assieme alla famiglia Vermeer e mi afferrò sotto lo sguardo di tutti, dicendo che voleva che io fossi nel quadro assieme a lui, mi sentii notevolmente in imbarazzo. Tenevo il capo chino e volevo piangere per una simile umiliazione, erano un gesto e una proposta totalmente inappropriati per una situazione del genere. Ero solo la loro serva, dovevo obbedire ai loro ordini e non dovevo neanche sognarmi di poter avere un privilegio così grande come quello di venir ritratta dal signor Vermeer. Lui si era alzato di scatto, contrariato, e per qualche secondo il mio sguardo si posò sui suoi occhi scuri e terribilmente duri, fissi sul signor Van Ruijven che non accennava a volermi far andare.
Quando il signor Vermeer mi prese da parte per spiegarmi che io non avrei preso parte alla composizione del quadro assieme al signor Van Ruijven volevo piangere di gioia per la gratitudine che gli dovevo, ma quando invece mi disse che dovevo posare da sola per lui, mi spaventai. Però, segretamente, quello era stato da sempre uno dei miei più profondi desideri. Avevo solo paura cosa la signora Vermeer avesse potuto farmi se lo fosse venuta a scoprire.
Dopo che il signor Van Ruijven aveva avuto davvero intenzione di farmi del male se solo non fosse stato interrotto dalla signora Vermeer, non avevo esitato nel concedermi a Pieter. Forse perché per una volta volevo provare cosa fosse l’amore, perché Pieter mi riempiva di attenzioni ed era il meglio che poteva avere una come me. Mi piaceva Pieter, sebbene non ne fossi stata attratta da subito. Ma sopra ogni cosa  volevo immaginare di essere la signora Vermeer sotto il tocco di suo marito per una volta, chiedendomi se riservava per lei la stessa gentilezza con cui trattava i suoi quadri. Mi era sempre sembrato che amasse più loro che sua moglie e continuavo a chiedermi come riuscisse a stare con una donna del genere se non facevano altro che litigare e parevano non sopportarsi a vicenda. Ma mi rispondevo da sola, non credendo che il signor Vermeer potesse essere capace di abbandonare sua moglie e i suoi figli in mezzo a una strada. Come non poteva dedicarmi più attenzioni di quante già me ne concedeva, come invece avrei voluto io nel profondo.
Non concessi neanche a Pieter di poter vedere i miei capelli, neanche quando facemmo l’amore in quel fienile, gli mentii addirittura sul loro colore. Me ne vergognavo troppo. La signora Vermeer sfoggiava i suoi capelli rossi come un tesoro prezioso, ma erano più biondi dei miei; quelli di Pieter erano lunghi, più accesi, non sembrava dar loro particolari attenzioni, ma non avevano comunque il mio stesso colore. Io invece non facevo altro che nasconderli, erano un rosso… un rosso… Tiziano, avrebbe detto mio padre o addirittura il signor Vermeer. Lui era stato l’unico a vederli e non per mio volere, sebbene sapessi che lui era l’unico di cui mi potevo fidare, ma il mio disprezzo verso me stessa aveva paura che dopo averli visti anche lui mi avrebbe disprezzata e un sentimento del genere da parte sua mi avrebbe distrutto. Ma non fu così. Fui colta di sorpresa, lui mi osservava da dietro la porta, a debita distanza e non osò avvicinarsi. Ma nei suoi occhi vidi la strana luce che lo coglieva quando dipingeva e si sentiva ispirato, lo stesso sguardo che mi rivolse la prima volta che mi colse sul fatto nel suo studio mentre pulivo i vetri delle finestre e mi ordinò di restare ferma mentre lui mi osservava. Io gli avevo obbedito ciecamente, rossa in viso, nervosa, martellandomi la mente di domande sul perché volesse che mi mettessi in posa. Poi vidi il quadro che aveva iniziato, senza nessuna commissione, e vedermi ritratta da lui mi faceva commuovere, perché non pensavo potesse accadere una cosa del genere.
Accanto a lui mi sentivo in maggior pericolo, per paura che qualcuno potesse scoprirci, ma allo stesso tempo era il posto in cui mi sentivo più al sicuro, perché il signor Vermeer sembrava sempre essere dalla mia parte, riuscivo a capirlo e lui riusciva a leggere in me, lo dimostrò quando mi ordinò di indossare gli orecchini di sua moglie e io mi rifiutai. Quando mi fece vedere il ritratto quasi ultimato, una lacrima solcò il mio viso e compresi che mancava qualcosa a quel quadro per renderlo perfetto. Ero io lì, dipinta su quella tela, avevo i miei capelli nascosti in quel turbante e mi sentivo bellissima, mi vedevo sotto un’altra luce, la mia vera luce. Johannes Vermeer era l’unico uomo che fosse mai riuscito a comprendere me – Griet, un’umile e semplice serva che lavorava per lui per aiutare la sua povera famiglia – veramente, mostrando di conoscermi meglio di chiunque altro prima di allora, meglio della mia famiglia, meglio di Pieter. Così mi decisi a bucarmi le orecchie, perché quell’orecchino di perla sul mio lato sinistro avrebbe reso veramente perfetto il quadro, come sapevo piaceva al signor Vermeer. Ma avevo paura e chiesi a lui di farlo al posto mio. Fece male quando l’ago bucò il mio lobo, ma sapevo che ne sarebbe valsa la pena. Il signor Vermeer mi strinse e premette il panno imbevuto d’acqua sul mio orecchio per alleviare il dolore. Quella fu l’unica volta in cui gli permisi di toccarmi, sentendomi protetta come quando per la prima volta prese le mie mani senza nessun consenso.
Per quella nostra complicità, per quella fiducia che mi riservava, non osai mai parlargli di cosa Van Ruijven avesse tentato di farmi. Una parte di me si convinceva che lui non poteva fare proprio nulla, il signor Van Ruijven era un ricco mecenate nonché attualmente unica fonte dei suoi guadagni, ma dall’altra parte il signor Vermeer mi aveva salvato precedentemente dalle sue grinfie e lo avevo visto personalmente andare contro alla moglie e mettere a soqquadro la sua intera casa per provare la mia innocenza quando Cornelia rubò il pettine della signora Vermeer, accusandomi. Sapevo che la signora Vermeer non avrebbe mai voluto punire la sua secondogenita, ma di fronte a quella prova schiacciante che il signor Vermeer aveva trovato nascosta tra le cose di sua figlia, la signora Thins dovette bacchettarle per forza le mani per punirla, mentre la signora Vermeer voltava lo sguardo pieno di dolore, incapace di osservare quello della propria figlia.
Mi sentii terribilmente offesa quando fraintesi Pieter, pensando che lui potesse credere che io mi sarei concessa a Van Ruijven. Ma quando capii che non era a lui che si riferiva, bensì al signor Vermeer, mi sentii messa a nudo. Forse all’inizio non volevo sposarmi, abbandonando così quella casa che mi metteva sempre sotto pressione, proprio perché non volevo lasciare il signor Vermeer, volevo che lui continuasse a guardarmi. Amavo i suoi occhi scuri puntati su di me, anche se me ne vergognavo terribilmente. Lui mi leggeva dentro.
Solo una volta – l’ultima – non poté salvarmi da sua moglie. L’aveva scoperto e io non mi sentii mai così in colpa in vita mia come quella volta, credendo di aver rovinato una famiglia già in crisi da tempo. Inveì su di me, mi accusò, cercò di rovinare il quadro ma il signor Vermeer la fermò e credetti che avrebbe cercato di uccidere anche me. Ma non lo fece, piuttosto mi cacciò. Voleva vincere ad ogni costo una gara di cui io non sapevo neanche l’esistenza e capì di aver perso quando il signor Vermeer le disse che non l’avrebbe potuta ritrarre perché non capiva il suo lavoro come invece facevo io. Quelle parole riecheggiarono all’infinito nella mia testa, riempiendomi di una strana felicità. Ma finì presto, perché quando il mio sguardo si incrociò con quello del signor Vermeer e vidi i suoi occhi scuri velati di tristezza, capii che non poteva fare nulla e io dovevo andarmene, avrei dovuto lasciarlo per sempre.
Erano sempre stati gli altri a decidere della mia vita e in quel momento lui aveva deciso per me. Me ne sarei andata e avrei sposato Pieter, iniziando a lavorare col macellaio, perché era la prospettiva migliore a cui io potessi ambire.
Avrei voluto vederlo un’ultima volta, ma alla fine ci rinunciai, temendo che mi avrebbe arrecato ancora più dolore e che forse non sarei mai riuscita ad allontanarmi da lui se l’avessi fatto. Così il mio ultimo ricordo di lui furono i suoi occhi tristi che mi guardavano, incapace di potermi salvare anche quella volta.
Quando anni dopo Tanneke venne a consegnarmi un dono firmato Johannes Vermeer, capii che era morto e che io non l’avevo veramente mai più rivisto da allora, se non aver sentito il suo nome qualche volta tra i pettegolezzi del mercato.
All’interno di quel fazzoletto bloccato con la ceralacca non vi era altro che la stoffa blu e quella gialla che avevo indossato per il suo ritratto e al suo interno il paio di orecchini di perle che un tempo erano appartenuti a sua moglie.
Li strinsi a me e piansi, finalmente consapevole che anche lui mi aveva amato tanto quanto io avevo amato lui e il suo lavoro.




 


PANDA B I T C H.
Benvenuti signore e signori a una nuova puntata di Cott- No, ok, non mi sembra il caso.
Mi scuso immensamente e metto le mani avanti ancor prima di iniziare. Sono sleale, forse sì. Ho preferito inserire la one-shot in questa sezione sebbene io l'abbia basata sul film, non avendo trovato la sezione dell'opera nella categoria film.
Quindi se i cari lettori che hanno veramente letto il libro e vogliono inveire contro di me e radunare un corteo coi forconi sotto caa mia vogliono che io sposti la one-shot, li pregherei di dirmelo gentilmente, per mp o per recensione o dove volete. Grazie per essere civili e carini con me.
Se invece chiudete un occhio e non notate particolari differenze fra questa one-shot e il libro - a parte ovviamente la fine con Tanneke - allora continueremo a vivere le nostre vite con questa muta consapevolezza.
Chiudendo la parentesi con questa premessa, vi dico che sinceramente sono fiera di ciò che ho scritto perché non avevo l'ispirazione da chissà quanto e l'ho sprecata tutta per questa one-shot ma ne sono felice. 
Ho visto il film due volte in un giorno e vorrei leggere il libro e forse fare il cosplay del quadro a Lucca Comics, non so.
Mi sto dilungando troppo? Non so.
Comunque, se vi è piaciuta questa storia e volete leggere altro di mio o volete conoscermi o comunque siete interessati ai miei stessi fandom o semplicemente avete voglia di cookies, allora potete seguire @pandamito su twitter e/o mettere mi piace alla pagina Come una bestemmia. su facebook, oppure andate direttamente sul mio profilo efp dove ci sono i link diretti ai miei social network, tra cui il mio tumblr, un posto oscuro e pieno di ship e fangirleggiamenti.
Detto questo penso.... penso niente, bao, forse ho finito. Chi lo sa.
Baci e panda, Mito.
   
 
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