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Autore: eliala    15/09/2008    2 recensioni
allora, questa nuova storia ha sempre come protagonisti rei e kei, ed anche questa è abbastanza tragica, dal mio punto di vista anche più di breath no more... però questa storia non mi piace, cioè, secondo me è il classico: l'idea è bella ma è realizzata male. per favore, ditemi che ne pensate, anche se non vi è piaciuta, perchè non so che cosa devo cambiare!!! uff... basta, solo una cosa, vi prego, commentaaaaate!!! ç____ç ----- peraltro temo che i personaggi siano un tantino ooc... -_-' lo so che la premessa fa veramente schifo, ma essere sinceri paga, no? n..no??? perfavoreperfavoreperfavore, recnsite e ditemi che ne pensate @__@
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Hiwatari, Rei Kon
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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ecen in death

Allora, la storia in realtà non mi convince, ma non riesco a capire che cosa non vada… innanzitutto va detto che l’ho scritta ascoltando cose allegre e simpatiche come like you, Even In Death, before the dawn e Away From Me, tutte degli Evanescence, quindi lascio immaginare i toni altrettanto allegri e simpatici del testo. Ditemi che vi sembra, e soprattutto, ditemi che cos’è che non funziona, perché non posso andare avanti a rileggere questa cosa, visto che, evidentemente, non lo capisco da sola.

Ecco la storia

_________Even in death_________

Impaziente, prende la cornetta del telefono. Dopo un sonoro, scocciato sospiro, digita rapidamente quel numero che conosceva a memoria. Dopo i primi due squilli, qualcuno solleva l’altro capo e, senza dargli il tempo di rispondere, dice, con calma inquietante –ti stai divertendo? Io no. Non so se ti ricordi, ma avevamo un appuntamento. Quanto tempo fa avevamo, anzi, da quanto tempo ti ho avvertito di questa cosa?- dall’altro capo, nell’istante in cui si trattiene dall’inveire, non sente neppure un suono che ricordi anche vagamente una qualche scusa. Si innervosisce ancora di più.

-lo sai, non è vero, che sei in ritardo?? – all’improvviso sente che la persona che stava ascoltando il suo discorso provava ad intervenire, ma decide che prima di sentire qualche cosa da parte sua, vuole sfogarsi un po’. Tanto lo sa che se lo avesse avuto davanti agli occhi non sarebbe stato capace di tenergli il muso. –magari a te non importa, ma lo sapevi che ci tenevo a festeggiare con te! Sei sempre il solito, sembra sempre che non ti importi nulla! Ma lo sai che mi dai sui nervi in questo modo!- il tono della sua voce si era modificato di molto da quello che aveva assunto all’inizio. Non aveva più neppure una, delle note gelide con cui aveva pronunciato le prime parole, adesso si trattava più di uno sfogo, uno sfogo fatto con voce frustrata ad un interlocutore muto.

-mi perdoni, lei conosce il proprietario di questo telefono?-

Che cos’era quella voce?? Non era Kei, questo era sicuro…

-nh…-

Non è sicuro di quello che sta accadendo. –che è successo? E chi sei? Che ci fai col cellulare di Kei?- adesso il suo tono è cambiato ancora, è arrabbiato,è nervoso…è spaventato…

- mi perdoni, ma conosce questo numero?- Insiste il misterioso interlocutore.

–sì, certo- risponde sempre più nervoso. –voglio sapere che è successo, e chi cavolo sei, oltre al motivo per cui hai un telefono che non è tuo-

C’è un attimo di silenzio, saturo di tensione, di cose troppo complesse per essere dette al telefono.

- signore, mi dispiace molto, mi creda, ma deve subito venire qui…-

lui, sempre più confuso ed angosciato da quella persona che parlava in modo così formale, chiede –dove?-

Sospiro profondo

-All’obitorio. Se non sa dove si trova, si rechi vicino a parco, e da lì può chiedere a chiunque. C’è stato un incidente. La moto ragazzo proprietario di questo telefono è stata coinvolta, e per quanto i soccorsi siano stati tempestivi, non siamo riusciti a fare nulla. Se lei lo conosce, avverta, la prego, la sua famiglia, bisogna effettuare il riconoscimento, ma visto che non ha documenti indosso… -

Sbarra gli occhi, ed il telefono gli cade di mano mentre quell’individuo continua a parlare.

Non pensa più a nulla, nella sua testa non c’era più nulla, solo uno strano ronzio, un po’ fastidioso forse, ma lo riempie in un modo talmente completo, gli blocca gli altri pensieri, e non vuole scacciarlo.

E poi, con una fitta improvvisa, ecco la consapevolezza.

Eccola, la consapevolezza schiacciante, e con lei il dolore, un dolore talmente intenso e penetrante da essere assoluto ed in trascurabile.

…………………………………

Sono trascorse due ore quando trova la forza di muoversi dalla posizione in cui è rimasto dal momento in cui ha ricevuto la notizia. Aveva iniziato a farsi strada una disperata speranza, che fosse tutto sbagliato, che fosse solo un errore, che fosse solo uno stupido malinteso, o, anzi, uno stupido scherzo del suo compagno, del suo sciocco compagno, che deve aver deciso di fargli uno scherzo di cattivo gusto per dimostrargli che è inutile festeggiare un terzo anniversario, che in realtà quello è un giorno come gli altri, che in quel giorno può accadere qualsiasi cosa…

…………………………………

Quando arriva all’obitorio, la speranza è già scemata: tutto è diventato troppo reale, e Kei non è uno che ama gli scherzi.

Trova fuori un uomo in camice che fuma una sigaretta con aria assente, e si avvicina a lui con quello che dovrebbe essere un sorriso. –s…selve- prova ad esordire. Quello gli rivolge uno sguardo perplesso. –sono qui per… per…- non riesce a dirlo, farlo significherebbe ammetterlo con se stesso. -mi hanno detto che c’è stato un incidente…- la sua voce trema. Lo sguardo dell’altro muta, si fa quasi comprensivo, getta distrattamente le sigaretta. –sei qui per il riconoscimento dei corpi?-

…………………………………

Kei è immobile

Gelido.

Coperto solo da un panno bianco.

Un’ampia ferita alla testa reclamava attenzione, nonostante al momento fosse completamente priva di sangue.

Un conato di vomito lo costringe a distogliere lo sguardo e a correre al bagno, per rigettare fuori anche l’anima.

Un incidente con la moto… andava troppo velocce… non ha fatto attenzione allo stop… una grossa macchina…

Oramai non capisce più molto, solo qualche parola che rapidamente perde il suo significato, lasciando il posto ad una serie di suoni grotteschi e privi di senso.

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È morto per colpa mia.

Kei è morto solo perché io avevo la stupida voglia di festeggiare un’inutile ricorrenza, lo avevo con me, ero felice, eppure tutto è finito, svanendo nel nulla come un sogno.

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10 ANNI DOPO

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Caro kei,

Sono passati già dieci anni da quell’incidente, ed io, nel bene e nel male, sono stato costretto a portare avanti la mia vita.

Lo sa? Mi sono costruito un nuovo futuro.

È ben diverso da quello che, silenziosamente, progettavamo insieme, ma è stato l’unico modo che ho trovato per accettare l’idea di continuare a vivere...

Sono sposato, adesso. Ho anche due bambini, che gridano e corrono, e che, quando litigano, mi fanno tanto sorridere.

Eppure oggi non sto sorridendo.

Come ogni anno, oggi, nell’anniversario della tua morte, mi sono svegliato di colpo, nel cuore della notte, uscendo all’improvviso dall’incubo che è stato quel terribile giorno, e, come ogni anno, mi sono girato nel letto per vedere se, magari, al mio fianco non ci fossi tu, e se tutto questo tempo non fosse stato altro che un sogno dal quale potersi svegliare. Per quel breve istante che separa questo pensiero dalla realtà, sono quasi felice, anzi, speranzoso, e per quell’istante l’insulsa e menzognera speranza mi pervade, dandomi l’illusione di un gioia ormai dimenticata.

Eppure è sempre difficile accettare che l’alto lato del letto sia occupato da una donna, una persona che non sei tu, ed ogni volta la consapevolezza della solitudine mi schiaccia, proprio come in quel giorno.

Così, come sempre, mi sono alzato a fatica, mi sono diretto in cucina e, seduto al tavolo, con carta e penna ti ho scritto qualcosa.

Sono dieci anni che ti scrivo lettere alle quali poi do fuoco, sono dieci anni che i mie figli mi vedono versare lacrime silenziose, quelle lacrime che non sono stato in grado di versare subito, quelle lacrime amare, che piano piano si sono trasformate da dolore bruciante ad crudele rassegnazione, ma che non vogliono affatto saperne di smettere di scendere.

Non è lecito soffrire? Non ci sono dei casi in cui un dolore è così intenso, così spontaneo, così innocente e puro da essere semplicemente incredibile?

È questo quello che provo ora, un dolore innocente, semplicemente incancellabile.

Ti amo Kei, temo che questo non cambierà, anche se non te l’ho detto così spesso quanto avrei voluto, quanto avrei dovuto.

Come ogni anno, anche oggi ti dico addio, perfettamente consapevole che la tua mancanza non verrà sopperita da nulla, e che questo non è altro che un mio infantile bisogno, il bisogno di credere che comunque, anche dopo tanto tempo, tu sia ancora qui, vicino a me, e che i battiti del mio cuore siano un po’ anche tuoi, e che nella cadenza del mio respiro ci sia anche un po’ di te

Anche quest’anno ti dico addio, anche quest’anno sognerò di te, anche quest’anno fingerò che vada tutto bene, e che nella mia vita, anche senza di te, la speranza di felicità non sia del tutto vana, anzi, quest’anno fingerò di averla raggiunta.

Ancora una volta ti dico addio, mio amore, ancora una volta tornerò a fingere.

Tuo per sempre,anche nella morte,

Rei.

…………………………………

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…………………………………

Mentre lacrime involontarie scorrevano rapide sul suo volto, l’uomo si alzò dal tavolo di legno chiaro al quale si era seduto.

Sigillò la lettera che aveva appena terminato di scrivere, proprio come se volesse spedirla.

Andò però fuori dalla casa, sulla veranda, e mentre dal cielo l’acqua scendeva inarrestabile, lasciò cadere quell’effimero pezzo di carta, dopo avergli dato fuoco.

Rimase ad osservarle, le sue parole svanire nel fuoco, fino a che le fiamme non si esaurirono del tutto.

Insieme al fuoco, ancora una volta, andavano in fumo i sogni antichi, le speranze, l’amore, mentre la vita che continuava ostinatamente a portare avanti si faceva sempre più spaventosa, senza di lui.

Piangeva il suo dolore, spontaneo ed inarrestabile, il dolore di qualcuno che ha perso l’unica cosa cara che avesse mai avuto e che è costretto a dimenticare.

  
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