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Autore: So_Simple    18/08/2014    3 recensioni
Santana viene mandata dai genitori sull'orlo del divorzio in vacanza in un paesino dimenticato dal mondo, alla bizzarra casa di un bizzarro parente.
Riuscirà ad ambientarsi in questo luogo, o impazzirà prima dello scadere dei due lunghi mesi che dovrà trascorrere lì?
Forse resisterà. E, forse, tra intrighi, intrecci e misteri, troverà dei nuovi amici e, magari, anche l'amore.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Kurt Hummel, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Appena iscritta, solo perché volevo scrivere questa storia.
Allora, diciamo che la parte misteriosa è tratta da un libro che ho letto da bambina, "Vacanze al Cimitero" ma il resto è tutto mio. E comunque anche tutto il resto ha subito delle necessarie modifiche.
Spero che piaccia almeno un po'. Fatemi sapere che ne pensate se vi va, se dovrei continuarla :)
Alla prossima :)
 

Ero seduta sul mio letto, annoiata a morte.

Mi giravo i pollici da circa mezz’ora, mentre guardavo con attenzione una crepa sul soffitto immaginando che d’improvviso diventasse una voragine e piovessero su di me detriti di cemento e travi di legno che mi seppellissero.

Era già la seconda settimana dalla fine della scuola e io non ero uscita di casa neanche una volta, se non per fare due passi da sola o per andare a fare la spesa quando i miei genitori non potevano – devo dire che questo significa che tutto sommato uscivo piuttosto spesso. Insomma, un po’ perché di mio ero asociale, un po’ perché le due persone che conoscevo erano già partite per andare chissà dove, mi ero ritrovata a trascorrere una solitaria, infelice estate.

In quel ridente momento di noia e contemplazione, improvvisamente, il silenzio che regnava nella mia grande casa deserta, che era così perché non c’erano i miei genitori ad animarla con le loro urla isteriche – venne spezzato da un grido nervoso proveniente dal piano di sotto.

“Santana! Ci sei?!”

Mezzo secondo dopo, senza attendere risposta, mia mamma spalancò la porta di camera mia e entrò.

“Ah, eccoti! Non sei fuori neanche oggi?”

Le rivolsi uno sguardo irritato. “Se sono qui non sono fuori, mi sembra chiaro. Lo sai che sono sola al mondo.”

“Ma no, mija, non proprio così sola, hai ancora la tua fantastica mamma, che è riuscita a intavolare una conversazione civile con tuo padre per la prima volta dopo mesi e l’ha convinto a farti andare in vacanza da qualche parte.”

Mi misi a sedere, sorridendo “Davvero? Posso scegliere io la destinazione?”

“Ehmm, no.” Rispose lei, sfoggiando il sorriso da persona soddisfatta di sé stessa. “Ho già deciso anche quello. Era l’unico modo per convincere tuo padre a mandartici, sai, non hai esattamente brillato quest’anno a scuola, non ci sembrava giusto premiarti.”

“Oh, almeno su questo andate d’accordissimo eh?” ribattei.

Lei cambiò espressione, passò dal sorriso allo sguardo minaccioso. Quindi decisi di cambiare argomento.

“Beh, dove mi vorreste mandare quindi? Sai che in campeggio con Tina Cohen-Cosa non ci vado” Tina era la figlia asiatica dell’amica di mia mamma, con cui non andavo d’accordo nonostante le nostre genitrici avessero fatto sforzi immensi per farci diventare amiche.

“Non è che ti ci vorremmo mandare, noi ti ci manderemo e basta, non hai possibilità di replica.” Mi disse, severa. Poi continuò “Comunque no, non ti mandiamo al campeggio asiatico con Tina. Anche perché non sei asiatica. No, ho contattato tuo zio Carlos su Facebook. Sai, il fratello di tuo padre.”

“Chi?!” io sto zio non l’avevo mai sentito.

“L’hai… l’hai conosciuto da piccola, non so se te lo ricordi… elegante, vestito sempre di nero, piacente… vive in un luogo un po’, come dire, insolito.”

Ero confusa, devo ammetterlo. “Insolito tipo? Puoi smettere con gli indovinelli e parlare chiaro?” lei mi guardò, poi sospirò.

“Tuo zio Carlos vive in un paesino di pochi abitanti in Pennsylvania e fa… il becchino. È molto… sai, attaccato al suo lavoro. Per questo vive esattamente dentro al cimitero.”

Seguì un lungo momento di silenzio. Restammo lì a fissarci. Io cercavo di elaborare quanto mi era appena stato rivelato e assimilare le informazioni mentre lei, probabilmente, aspettava una risposta.

“Tu… tu mi stai mandando in vacanza in un cimitero, da un vecchio zio pazzo che vive in un mausoleo e cala morti dentro alle fosse per vivere, in un posto ancora più sfigato e insignificante di Lima?!”

“Beh, almeno tuo zio ha il wifi…”

“Ah, eh, se ho il wifi allora sono a posto!” saltai in piedi come un grillo nevrastenico “Ce l’ho anche qui il wifi – gridai – e non sono in un cimitero! Mi sembra molto meglio!”

Lei avanzò verso di me; sembrava furiosa. “Beh, Santana, c’è poco da discutere, ormai siamo d’accordo! Sono stufa di vederti sempre in casa a far niente!”

Io sbuffai “Come fai a vedermi se non ci sei mai.”

Lei sembrò calmarsi, e mi rispose “Altro motivo per mandartici. Se non altro tuo zio ti farà compagnia. E poi ci sarà silenzio, potrai fare i compiti
concentrandoti!”

Ormai avevo capito che dovevo rassegnarmi. Le rivolsi un sorriso tirato e finto.

“Ora devo tornare a lavoro. Tu comincia a pensare alla valigia, parti tra tre giorni!” disse in fretta, mentre tentava di uscire di casa ed evitava il mio
sguardo come la peste.

“Ma come..?!” cercai di fermarla, ma lei mi interruppe.

“Santana.” Il tono autoritario della sua voce, come al solito, mi dissuase dal dire altro. Così, annuii e la guardai uscire dalla stanza, poi aprii l’armadio e cominciai a scegliere i vestiti.
 


Alla fine, non era così male. Cioè, il posto sì, era la cosa più infelice del mondo. Quattro case, sterminata campagna, poche persone dall’aria stravagante in giro, il vecchio pazzo del villaggio che si aggirava strillando parole insensate lungo la strada. Il cimitero si trovava relativamente lontano dal centro cittadino, vicino a una simpatica villetta bianca e, sostanzialmente, era una lunga – ma neanche tanto – distesa di lapidi bianche e grigie e mausolei antichi e dall’aria misteriosa.

Lo zio Carlos, neanche lui era così male.

Elegante, di bell’aspetto, così come aveva detto mia madre, aveva anche un discreto – anche se macabro – senso dell’umorismo. Ogni sua battuta aveva a che vedere con tombe e morti, ma va beh, almeno ci scherzava su.

A quanto pare era convinto che io fossi qualche strano tipo di delinquente, o, più probabilmente, i miei genitori l’avevano convinto che lo fossi. Appena mi vide, dopo aver salutato i miei genitori, che mi avevano semplicemente salutato dalla macchina, senza prendersi il disturbo di scendere, mi disse
“Allora, non combinare disastri qui, eh? Siamo pochi, è facile riconoscerti!”

Rimasi perplessa, e fu così che, tra una domanda e l’altra, scoprii che i miei gli avevano detto di tenermi sempre d’occhio, di stare con me il più possibile, di portarmi fuori con lui a ogni occasione o di presentarmi qualche bravo ragazzo del paese – ammesso che ne esistessero – e di fare in modo che mi tenessi impegnata. Lui aveva immaginato che a casa frequentassi compagnie poco raccomandabili e dessi fuoco ai cassonetti nel tempo libero.

Feci in modo di abbattere subito quella strana idea che si era fatto di me.

Così, per sembrare una simpatica ragazza disponibile e affabile, quando lui mi propose di fare un giro del camposanto, tanto per conoscerlo meglio e famigliarizzare con esso, accettai di buon grado. Beh, almeno, accettai fingendomi entusiasta.

“Allora, come puoi vedere, qui ci sono i mausolei. Non ce ne sono molti, il più importante è quello dei Fabray. Pensa, la giovane Quinn ha già il suo posto prenotato nella bella tomba di famiglia.”

Guardai la grossa e maestosa costruzione con espressione sconvolta e perplessa mentre cercavo di immaginare la faccia di questa Quinn.
Probabilmente aveva l’aria della ragazza – o della bambina – con la puzza sotto al naso e qualche problema psicologico. D’altronde, al pensiero di avere già un posto prenotato al cimitero, io diventerei pazza. “Quanti anni ha questa Quinn?”

“Tu? So solo che fai il liceo, ma i tuoi non sono stati molto chiari.”

“17.” Gli risposi, continuando a camminare sui lucidi sassolini bianchi del vialetto e proseguendo la mia silenziosa meditazione sulla famiglia proprietaria del mausoleo. Chissà in che casa vivevano. Sicuramente mi sarebbe bastata un occhiata per capire quale fosse la loro, probabilmente assomigliava al mausoleo. Cercai di immaginarmi una casa con un grosso angelo sul tetto, come un inquietante Babbo Natale, e tre gradini di granito che portassero a una maestosa porta spessa e scura, con inciso il nome dei Fabray in un’elegante scrittura corsiva.

Era proprio mentre ammiravo il mausoleo e il suo angelo ad ali spiegate sopra, che notai, vicino ad esso, una strana figura, insolitamente umana, che sorrideva diabolica. Sembrava un ragazzo magro e alto, con brillanti occhi azzurri e un sorriso arrogante.
Lo fissai sorpresa; stavo per cercare di attirare l’attenzione dello zio Carlos, ma lui, continuando a sorridere, si portò un dito alla bocca, facendomi segno di stare in silenzio. Lo guardai a bocca spalancata e poi lo vidi sparire dietro alla statua.
Anche se io l’avevo visto a velocità ridotta, il fatto si era svolto in pochi secondi, mentre il sole caldo sfavillava sulla struttura impedendomi di distinguere tratti precisi o di individuare una direzione da cui il ragazzo fosse arrivato, o il punto da cui fosse andato via.

Poco dopo, Carlos richiamò di nuovo la mia attenzione.

“Ah, anche Quinn credo, più o meno. Magari te la faccio conoscere, io conosco tutti qui!” rise lui.

Io gli sorrisi e annuii. “Mi farebbe piacere”.

“Eh, storia difficile quella Quinn”

“Perché?”

“L’anno scorso ha partorito un figlio. Tutto il paese ovviamente lo sapeva. Non gode di una buona reputazione da allora, anche se lei è una brava ragazza. È rimasta molto segnata dal parto, anche se ora ha dato il bambino in adozione ed è felice di nuovo.”

Nel frattempo continuò a camminare, distrattamente e avanzando nel silenzio.

Lo seguii lungo il vialetto per diversi metri, finché non mi trovai davanti una serie di lapidi bianche, tutte piene di fiori e lumini, su cui spiccavano date di nascita e di morte troppo ravvicinate e fotografie di persone troppo giovani per essere lì.

Una di quelle in particolare attirò la mia attenzione. Sopra c’era scritto:
 
Sebastian Smythe 1990 – 2008
Giovane innocente, come ha potuto il destino strapparti all’amore della tua famiglia!

Osservai meglio la foto. Il sorriso arrogante, il bagliore degli occhi azzurro ghiaccio era già visibile in quella foto.

Non sembrava per niente innocente.

Ma somigliava in modo piuttosto netto al ragazzo che avevo visto in cima al mausoleo cinque minuti prima.
   
 
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