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Autore: Efthalia    18/08/2014    11 recensioni
{ Raccolta di One-Shot sulla Pernico | Accenni alla Percabeth | What if? | Fluff; Commedia; Angst }
E se Annabeth fosse morta durante lo scontro al Monte Tamalpais e Bianca fosse sopravvissuta da Cacciatrice?
Questa è una raccolta di one-shot ambientate nella prima e nella seconda serie in cui ho modificato due importanti eventi accaduti durante il terzo lbro che a loro volta hanno cambiato completamente diversi punti della trama reale.
Scriverò sui momenti più importanti - e non - e cercherò di evolvere al meglio il rapporto di Percy e Nico capitolo dopo capitolo.
#1. Lifeline ~ Percy non potè che paragonare lo stesso giorno dell’anno prima a quello che stava vivendo: sembrava che le forze oscure volessero rimediare all’enorme perdita che aveva subito.
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Colgo l'occasione per fare gli auguri al nostro caro Testa d'Alghe. Per quanto idiota possa essere, resterà sempre il migliore! 
Faccio anticipatamente gli auguri anche alla mia cara amica 8Sherlin8, a cui dedico la prima OS! Spero che torni presto; io purtroppo ho dovuto pubblicare oggi.
 

Lifeline

Era il ventuno dicembre.
Nel manto scuro che era il cielo serale, la luna e le stelle sfoggiavano tutta la loro eterna bellezza, ed erano così splendenti che pareva fossero esigenti di farsi notare. Esse rischiaravano quel paesaggio invernale del Campo Mezzosangue che sembrava un antico affresco natalizio: i tetti dei vari edifici erano ricoperti di uno spesso strato di candida neve, le torce si impegnavano a mantenere illuminato e minimamente caldo l’ambiente insieme alle piccole luci che adornavano le dodici cabine e le stradine erano scivolose e bagnate.
Era tutto così diverso, rispetto all’estate.
Nei periodi più caldi il campo cadeva nella quiete totale soltanto a sera inoltrata, mentre adesso appariva abbandonato persino durante il pomeriggio.
Percy, però, sapeva perché quel giorno ci fosse un silenzio tanto inconsueto: era il ventuno dicembre.
Quello era l’anniversario di qualcosa che avrebbe voluto semplicemente dimenticare, ma che, per ovvi motivi, non poteva farlo.
Certe scene di quell’atroce giornata lo tormentavano non solo quando il buio totale gli teneva compagnia nelle notti colme di incubi, ma anche quando l’accogliente luce del sole allietava il tutto.
Il figlio di Poseidone si morse dolorosamente il labbro inferiore e scalciò un cumulo di cenere, un insensato gesto per scacciare via anche i suoi pensieri. Il vento pungente che trasportava l’odore dolciastro delle fragole mature, però, trascinò altra cenere prodotta dal falò organizzato poco prima proprio nella sua direzione, come se volesse fargli un dispetto, come se volesse procurargli ulteriore afflizione.
Si limitò quindi a puntare il suo sguardo vacuo su essa mentre i momenti di qualche ora prima si facevano strada nella sua mente.
Il drappo grigio con il simbolo di un gufo era andato a fuoco per la seconda volta, segno che la morte di Annabeth, la figlia di Atena più intelligente che il Campo Mezzosangue avesse mai ospitato, era avvenuta un esatto anno prima.
Mentre la stoffa bruciava, Percy aveva sentito gli sguardi di tutti i semidei venuti al campo di proposito puntati su di lui: c’era chi lo fissava con rancore, chi con tenerezza, chi con pena e, per l’ennesima volta, si chiese se fosse stata tutta colpa sua.
In cuor suo, sapeva di essere il principale responsabile.
Aveva agito con troppa impulsività, senza pensare alle conseguenze quando, al Monte Tamalpais, aveva attaccato Atlante piuttosto che avventarsi su Annabeth e liberarla dalla corda con cui era legata.
In quei fatali istanti i suoi amici si erano totalmente dimenticati di lei: Talia era occupata in un duro scontro con Luke, Zoe tentava di colpire invano il padre e Percy lo attaccava, conscio che non avrebbe mai potuto ucciderlo.
Annabeth, così, era rimasta al centro del combattimento, impotente, senza nessuno che la aiutasse. Riesaminando la situazione, il ragazzo si disse che non si sarebbe dovuto stupire troppo se, alla fine, era stata vittima della furia del Generale causata proprio da lui e dalla luogotenente di Artemide.
Era certo di averla delusa irreparabilmente, perché lei non sarebbe mai voluta morire in quel modo stupido; perché era stupido, non si poteva non ammettere: era incredibile che una discendente della dea della saggezza e della battaglia morisse senza nemmeno aver lottato e aver utilizzato straordinarie strategie, e probabilmente non glielo avrebbe mai perdonato.
Nemmeno Percy se lo sarebbe mai perdonato.
Quella ragazza saccente, superba e senza peli sulla lingua sarebbe rimasta sempre il suo grande se.
Cosa sarebbe successo se fosse sopravvissuta?                   
Quella era la domanda che lo tormentava e che lo avrebbe fatto persino nell’Ade.
Aveva bisogno di risposte, perché lui e Annabeth avevano lasciato qualcosa in sospeso. Di certo non era normale il fatto che lui provasse delle fitte di gelosia ogni volta che la ragazza pronunciava il nome di Luke con un tono ostinatamente speranzoso, convinta che lui sarebbe tornato al Campo Mezzosangue, convinta che sarebbe tornato il suo Luke, quello che aveva conosciuto all’età di sette anni.
Anche la figlia di Atena, dal suo canto, lasciava poco spazio all’immaginazione quando posava i suoi sapienti occhi grigi su quelli verdi e allegri, e lui sapeva riconoscere le occhiate tra amici e le occhiate tra i più che amici.
Il rumore dei passi riuscì  a distrarlo momentaneamente dalle sue riflessioni, e si chiese chi fosse mai la folle persona uscita allo scoperto durante il coprifuoco.
Indirizzò lo sguardo verso gli scricchiolii tutt’altro che silenziosi, poi abbassò la guardia quando la luce argentea delle stelle rivelò il suo amico Nico Di Angelo che gli sorrideva.
Percy lo fissò brevemente, accigliato, perché non sapeva spiegarsi per quale motivo fosse lì a prendere freddo, tuttavia ricambiò il sorriso con uno forzato.
Successivamente si accorse che il figlio di Ade teneva in mano due grandi tazze fumanti che diffondevano l’odore della cioccolata calda, di cui andava matto.
«Ehi, Percy! Ti va se sto un po’ qui?» chiese Nico con una nota di esitazione. 
Il più grande ci mise qualche secondo in più del necessario per rispondergli.
Una parte di lui desiderava stare solo e continuare a rimuginare su ciò che sarebbe potuto succedere tra lui e Annabeth se solo adesso fosse lì con lui e immaginare i mille modi con cui avrebbe potuto salvarla senza che nessuno restasse ucciso, ma la sua parte gentile ed espansiva non riuscì a declinare l’offerta dell’amico posta con tanta premurosità.
«Certo, siediti.»
Nico, il cui sorriso si era stranamente esteso, si sedette accanto a lui sui gradini dell’anfiteatro e gli porse una delle bollenti tazze.
«Ho messo così tanto zucchero che potrebbe essere illegale» fece il minore sperando di scorgere un guizzo divertito negli occhi dell’altro, cosa che, purtroppo, non accadde.
«Grazie» disse semplicemente. Capì in seguito che non avrebbe dovuto essere così laconico con lui, che voleva solo rallegrarlo. «Tu che bevi?»
Il figlio di Ade tracannò velocemente il sorso pur di rispondergli immediatamente. «Tè al melograno*. È buonissimo, lo vuoi assaggiare?»
Per poco Percy non si strozzò con la sua bevanda preferita.
Molto spesso si chiedeva tra sé e sé se il suo amico avesse un inquietante senso dell’umorismo ereditato dal tenebroso padre o se fosse semplicemente ingenuo.
Adesso, alla lista delle discutibili abitudini di Nico, si era aggiunta anche quella del tè al melograno, il frutto che Ade donava ai figli quando essi erano sul punto di morte. Tale vezzo, però, non avrebbe mai superato quello di evocare scheletri dal terreno solo per fargli da cameriere, e nemmeno quella volta in cui organizzò la festa di Halloween solo per far notare quanto fossero originali il suo costume da zombie e i suoi collaboratori morti travestiti in modo orridamente veritiero da vivi.
Insomma, Nico lo portava a credere che ce la mettesse tutta per risultare macabro agli occhi altrui, ma conoscendolo bene, quasi non riusciva a sopportare quei dubbi: dal modo sinceramente curioso a cui rispondeva alle occhiate sprezzanti quando si metteva in mostra, Percy era sicuro che non si rendeva conto di quanto potessero apparire spaventose le sue maniere a tutti gli altri semidei, e ciò non faceva che aumentare un sottile senso di protezione nei suoi confronti e una fugace tenerezza ogni volta che scorgeva un’espressione spaesata sul suo piccolo viso.
Quando finalmente Percy riuscì a salvarsi dalla letale bevanda, con voce strozzata disse che gli bastava già la sua cioccolata calda, quindi piombarono in un silenzio un po’ imbarazzato.
Nico sentiva la necessità di romperlo, quel silenzio, ma non sapeva più come fare: aveva preparato dettagliatamente tanti interessanti argomenti prima di andare all’anfiteatro, ma con il maggiore al suo fianco gli parvero improvvisamente inutili.
Dentro di sé stava andando nel panico, certo che avrebbero trascorso la serata avvolti in quel velo d’imbarazzo, e quasi si pentì di esserci andato.
Il suo unico scopo era quello di risollevare l’umore di Percy, giacché non era capace di osservarlo mentre i ricordi lo perseguitavano. Sapeva di quanto fosse tuttora legato ad Annabeth e, nonostante non fossero mai stati insieme, Nico aveva capito sin dal loro primo incontro che condividevano un rapporto importante.
Il figlio di Ade odiava quella situazione complicata, perché essa rendeva il suo eroe così infelice che a volte non si sapeva spiegare come potesse essere lo stesso ragazzo pieno di grinta che aveva salvato lui e Bianca dalle grinfie del dottor Thorn. Ricordava il ventuno dicembre scorso, quando i ragazzi erano tornati dalla missione, che subito dopo aver dato un lungo abbraccio alla sorella era letteralmente saltato addosso a Percy e lo aveva ringraziato fino allo sfinimento, ancora ignaro che il ragazzo fosse tutt’altro che felice di essere lì.
A essere onesto, all’inizio Nico quasi non si era accorto dell’assenza di Annabeth, tanto era gioioso di vedere le due persone più importanti tornare illese, e gli si spezzò il cuore quando successivamente notò l’angoscia che il figlio di Poseidone si trascinava addosso ripetendosi che era solo colpa sua se la ragazza non ce l’aveva fatta.
Nico ascoltò il lontano ruggito di un mostro proveniente dal bosco, poi prestò attenzione a Percy, il quale beveva silenziosamente la cioccolata. Si disse che avrebbe potuto osservare i piccoli movimenti che faceva la sua mano per portare la tazza alle labbra, il modo in cui le sue guance arrossivano col calore della bevanda o altri minuscoli dettagli  per l’infinità, senza mai stancarsi e senza saperne il vero motivo, o, forse, ce n’erano così tanti che non sapeva quale fosse quello reale.
Il minore decise di rompere la strana tranquillità creatasi tra loro. «Ti va di parlarne?» chiese riferendosi chiaramente a come si sentiva in quel momento.
Non era mai stato bravo a mantenere i rapporti con gli altri semidei, ma il figlio di Poseidone era sempre stato un caso speciale.
Durante quel burrascoso anno lo aveva aiutato così tante volte, e nonostante Percy lo negasse pur di non farlo impensierire, aveva deciso di restare al Campo Mezzosangue soltanto per prendersi cura di lui, dato che Bianca era ormai impegnata con le Cacciatrici.
Provava per Nico un indefinibile affetto nemmeno lontanamente simile al bene che provava per Grover o per qualsiasi suo altro amico. Sentiva tra di loro un inspiegabile legame, forse perché, dopotutto, si rispecchiava un po’ in quello strano ragazzino: erano entrambi figli dei Tre Pezzi Grossi, entrambi erano quasi esclusi dagli altri semidei, entrambi avevano avuto delle perdite importanti nelle loro giovani vite.
Ricordava quando Bianca se n’era andata dal campo dopo solo tre giorni dalla fine della missione, ricordava quanto l’avesse presa male Nico, illuso che sarebbe rimasta con lui ancora un po’ per ricompensare il tempo in cui era mancata.
Il figlio di Ade, furente, si era chiuso nella Cabina di Ermes per l’intera giornata scatenando l’ira di tutti gli altri abitanti, e soltanto Percy era riuscito a farlo uscire.
Aveva rivelato solo al maggiore le insicurezze, le mancanze e i rancori che si celavano sotto il suo carattere vivace e invadente. Dopo tali confessioni, si era aspettato che l’altro gli ridesse in faccia e che gli dicesse che esistevano problemi ben più gravi dei suoi, ma non successe niente del genere, perché lui lo capì, e accettò e si affezionò ai suoi difetti.
Nico comprese che era arrivato il momento di ascoltare le difficoltà di Percy e di amarlo anche con esse. Aveva un vero bisogno di sfogarsi da tutte le domande che si faceva, necessitava di liberarsi dalle catene con cui lui stesso si era imprigionato.
Percy ponderò quella domanda così semplice, eppure così dannatamente difficile a cui rispondere.
Non voleva che qualcuno, soprattutto Nico, si preoccupasse per lui. Bastava soltanto che gli altri non lo considerassero, in modo tale da non trasmettere ciò che aveva dentro.
Gli venne in mente la volta in cui portò sulle spalle il peso del cielo, in cui l’unica cosa di razionale che riuscì a pensare in quel momento fu di non augurare a nessuno quel dolore disumano. Ecco, adesso Percy si sentiva come se qualcuno gli avesse proposto di sollevare insieme quel peso immane, ma lui non voleva farlo: non aveva intenzione di espandere la sofferenza.
«Non c’è niente da dire, Nico. Passerà» si limitò a dire.
Il figlio di Ade lo guardò quasi con ostilità, ma mantenne un tono calmo e misurò attentamente le parole. «Percy, so che vorresti essere ignorato e soffrire in pace, e mentirei se non ti dicessi che ti appoggio, ma è stato grazie a te se io adesso sono qui al campo, perché tu... tu mi hai aiutato. Non so cos’avrei fatto e dove sarei in questo momento...» avrebbe tanto voluto concludere la frase con un bel “senza di te”, ma decise di aver già rivelato abbastanza, e poi sembrava che quelle parole galleggiassero nell’aria, come se volessero informare Percy dei suoi veri sentimenti.
Una volta gli aveva rivelato che spesso Annabeth lo soprannominava “Testa d’Alghe”, e Nico ebbe l’irrefrenabile voglia di stringerle la mano, perché non avrebbe potuto trovare un appellativo più adatto. Si chiedeva spesso come facesse a essere così ignorante quando in ballo c’era il suo amore per lui, ma non aveva ancora trovato una risposta plausibile.
Lo sbuffo rassegnato di Percy lo riportò alla realtà, e gli mancò un battito quando posò fermamente gli occhi tristi e assonnati sui suoi, più attenti e colmi di comprensione. Mise poi la tazza mezza piena sul gradino accanto a sé e si passò una mano tra i capelli spettinati. «È passato un anno da quell’inferno; Chirone mi ha detto che col passare del tempo sarei stato meglio, che avrei dimenticato, ma no... è tutto il contrario. Non c’è giorno che non la pensi. Immagino a che bella ragazza sarebbe diventata, alle altre imprese che insieme avremmo potuto compiere, a... a noi. Ci sono troppe cose che sono rimaste in sospeso, capisci? E credo che non mi darò pace finchè...» Percy si bloccò un attimo, pensoso, le labbra gonfie a furia di mordersele. «No, non ci sarà mai una fine.»
Nico cercò di mantenere la sua espressione condiscendente, ma gli venne difficile dopo aver ascoltato le parole di Percy. 
Non era geloso di Annabeth e non lo sarebbe mai stato, era solo arrabbiato per tutto ciò che era accaduto e per cosa aveva comportato. Sapeva che la figlia di Atena avrebbe occupato per sempre una parte fondamentale del cuore di Percy, tuttavia si domandò se ci fosse un modo per contrastare la sua presenza per il bene del ragazzo.
Ascoltare le sue parole e l’impegno di non far trasudare il dolore che esse nascondevano, osservare i suoi tentativi di mostrare sempre il suo lato allegro e positivo in modo da non far trasparire la triste verità faceva stare davvero male Nico.
Gli sembrò giusto rivelargli ciò che aveva fatto poco tempo prima. Percy non glielo aveva mai chiesto, ma aveva sentito il dovere di compiere quell’azione, che lui volesse o meno. Aveva aspettato il momento giusto per dirglielo, e quello sembrava il migliore.
«Devi sapere una cosa» annunciò Nico attirando completamente l’attenzione dell’altro. «Circa un mese fa ho cercato di contattare Annabeth e invocarla in modo che le potessi parlare, ma... ecco, non l’ho trovata. Ho provato ancora, e un giorno mi ha risposto un’altra figlia di Atena. Lei... lei mi ha detto che ha preferito rinascere.»
Nico avvertì una nota di paura quando il viso di Percy rimase impassibile.
Si era aspettato che reagisse, anche se non sapeva bene come, e il fatto che fosse restato tranquillo non gli piacque per nulla.
Percy non si preoccupò dello sguardo interrogativo che lo studiava quasi con timore; in quel momento non gli importava.
Stava pensando ad altro, stava pensando ai motivi di Annabeth.
Lei lo capiva meglio di chiunque altro, lo conosceva davvero bene, e lui, dal suo canto, era abbastanza sveglio da comprendere le sue ragioni.
La ragazza aveva seguito una logica ben strutturata scegliendo la rinascita. Con essa probabilmente si era un po’ rivendicata, ma lo aveva fatto fondamentalmente per il suo bene e, soprattutto, per metterlo alla prova.
Sembrava che fossero nuovamente insieme ad affrontare una delle loro imprese. Ricordava le tattiche di Annabeth, ricordava i suoi ragionamenti contorti e come sapeva metterlo in difficoltà quando dovevano affrontare prove d’intelligenza. Non era mai stato bravo in quell’ambito, ma il messaggio gli arrivava forte e chiaro.
Il suo era un modo per far esplodere la forza di Percy nei momenti in cui avrebbe semplicemente voluto cedere. Era sicura che l’avrebbe dimostrata, e se mai non lo avesse fatto, avrebbe manifestato la sua debolezza, e nessuno doveva sopportarla.
Da buon greco, avrebbe dovuto continuare a lottare e a vivere nonostante dietro di lui ci fosse un passato tormentoso.
Quello era il volere di Annabeth, e Percy giurò a lei e a se stesso che ci avrebbe provato e che sarebbe riuscito a superare quel periodo.
«Adesso sei arrabbiato con me?» chiese Nico in un sussurro affranto.
Percy alzò confusamente un sopracciglio.                          
Capiva che Nico credeva che fosse adirato con lui perché non aveva richiesto il suo consenso, ma era una supposizione alquanto stupida. Piuttosto, gli era davvero grato per essersi preso la briga di fare il possibile per aiutarlo.
Poteva rimproverargli solo il fatto di non averlo avvisato prima, ma gli parve superfluo: la preoccupazione che campeggiava sul volto di Nico gli suggeriva che non era il caso di rinfacciarglielo.
«Certo che no! Anzi, hai fatto bene» replicò affabile, le dita che tamburellavano nervosamente sulla tazza ora nuovamente ripresa.
La sua espressione impenetrabile era stata sostituita da una più pacata, o meglio, rassegnata.
Nico sarebbe dovuto essere rasserenato per il suo cambio d’umore, tuttavia era  ancora molto triste per Percy.
Sorseggiò altro tè così da pensare velocemente a cosa avrebbe potuto dire. Si trasformava sempre in un ebete quando era in compagnia del più grande, come se fosse una ragazzina infantile invaghita della sua prima cotta.
Detestava sentirsi in quel modo, ma non sapeva come reagire: Percy era l’unica persona che gli provocava calore nonostante fosse circondato dal gelo, che faceva comparire sulle sue gote olivastre del rossore, che lo faceva sentire vivo, vivo come non lo era mai stato, e il fatto che il ragazzo che gli faceva provare quelle strane sensazioni si stesse distruggendo gli attivò l’istinto di agire, sebbene ciò potesse compromettere la sua persona.
Percy sembrava quasi indifeso mentre affondava lo sguardo vuoto sul fondo della tazza, le spalle strette per un motivo che non riguardava il freddo e la mano che non teneva la bevanda, quella proprio accanto a Nico, aperta e abbandonata sulla coscia, come se stesse aspettando inconsapevolmente qualcuno che gliela stringesse e che gli restituisse la gioia che aveva deciso di lasciarlo proprio un anno prima.
Il figlio di Ade guardò la mano di Percy come se fosse qualcosa di così prezioso da non poter nemmeno essere toccata, come se non fosse all’altezza di afferrarla. Fissò la sua, piccola confrontandola con l’altra, ma era calda.
Si martoriò l’interno della guancia e immaginò come avrebbe potuto reagire Percy a quel gesto, ma fu l’attimo in cui la sua testa si svuotò improvvisamente che lo tradì.
Posò il suo tè al melograno accanto a sé, poi allungò lentamente la mano verso quella dell’altro ragazzo. Quel percorso fu stranamente infinito, e quando furono così vicine da percepirne il tepore, Nico la ritrasse di qualche centimetro per poi convincersi ad appoggiarla delicatamente sull’altra.
Fu un istante, ma Nico notò comunque la schiena di Percy irrigidirsi e il piccolo sussulto che scosse il suo corpo. Tenne lo sguardo abbassato sulle loro mani: seppure avesse capito che al più grande quel contatto non piaceva, a lui parve giusto. Le loro pelli ambrate erano in sintonia, e avrebbe giurato che se solo avessero intrecciato le dita esse si sarebbero incastrate perfettamente.
La tensione durò un battito di ciglia, e dal modo in cui Percy aveva allontanato l’agitazione, Nico dedusse che forse era rilassato più di poco prima. Cercò di non illudersi, ma fu difficile quando gli venne regalato un piccolo sorriso sincero, fu difficile quando il tocco delle loro mani si approfondì in una stretta.
Senza nemmeno accorgersene, Nico si ritrovò con la bocca lievemente socchiusa a causa dello stupore, incapace di affrontare lo sguardo di Percy.
Si diede dell’egoista, perché era consapevole che le loro mani unite per il più grande fossero solo simbolo d’amicizia, di conforto. Lui, invece, oltre a trasmettergli sostegno, oltre a cercare di salvarlo, gli donava tutti i suoi sentimenti repressi.
Nonostante i tentennamenti di Nico e il suo palese imbarazzo, Percy percepì cosa stesse comunicando realmente.
Quel gesto era stato del tutto inaspettato e, dovette ammetterlo, non avrebbe mai pensato di condividere un momento così delicato con lui.
Tentò più volte di capire cosa stesse provando davvero, ma non se lo seppe spiegare.
Sapeva solo che adesso respirare non era più così doloroso, sapeva che il suo corpo si era sciolto come se lo avesse sottratto da una caduta nello strapiombo.
Nico, quel singolare miscuglio di esuberanza e introversione, era arrivato al momento giusto lanciandogli un’ancora di salvezza.
Studiò quasi con divertimento il suo viso diventare scarlatto e i suoi vani tentativi di nascondere gli occhi sotto il suo ciuffo ribelle di capelli.
Ripensandoci, comprese che Nico non gli aveva teso l’ancora di salvezza: Nico era l’ancora di salvezza.
Era decisamente insolita, pensò tra sé e sé, tuttavia incatenò sempre di più le loro dita.
Forse, si disse, la sua mano pronta ad afferrarlo corrispondeva al cartello che indicava la via della spensieratezza o, almeno, del ritorno alla serenità. Magari il peso di Annabeth sulla sua coscienza sarebbe diminuito insieme a quello dell’inesprimibile attaccamento che nutriva ancora per lei.
Solo grazie a Nico si era accorto di aver bisogno, o meglio, di volere qualcuno che lo allontanasse completamente da ciò che lui stesso aveva creato.
Nonostante fosse smarrito nei suoi pensieri, non distolse mai lo sguardo dal figlio di Ade, il quale sembrava trovare interessante fissare la cenere e la neve accumulategli ai piedi.
Si avvicinò di più a lui e, con la mano libera, gli scostò la ciocca dal viso, ritrovandosi così i suoi occhi color onice che esprimevano una serie di emozioni che fecero chiedere a Percy come potessero comunicare così tanto.
«Grazie, Nico...» disse piano manifestando ancora il suo vero sorriso, solo che stavolta era più largo.
«Non serve. Hai fatto lo stesso per me» ribatté l’altro scrollando nervosamente le spalle.
Percy scosse il capo e sbuffò. Nico proprio non capiva quanto lo stesse aiutando in quel momento, ma decise di non ribattere: non aveva molta voglia di passare la serata a rimbeccarsi, così si limitò a sfiorargli con fare quasi casuale le dita, osservando lo scioglimento del suo volto ancora teso e considerando quanto gli venisse naturale tenerlo per mano. 
Alzò il capo per ammirare il cielo così buio da apparire inquietante contrastato dalle luci lunari e stellari, mentre non potè che paragonare lo stesso giorno dell’anno prima a quello che stava vivendo: sembrava che le forze oscure volessero rimediare all’enorme perdita che aveva subito.
Il solstizio d’inverno, la notte più lunga e temuta dell’anno, quella che risvegliava le creature più malvagie, per la prima volta non impaurì Percy: era convinto che ciò che stava succedendo tra lui e Nico fosse frutto della magia, ma avrebbe giurato sullo Stige che essa non avesse nulla a che vedere con la malignità e la perfidia.
 
Hands


*Tè al melograno: Nel libro La Casa di Ade, quando sono tutti riuniti, Percy osserva Nico che mangia il melograno e ne resta abbastanza stranito. Ecco, mi è piaciuto riportare questa piccola parte che nel libro mi ha divertito :3


Angolo dell'autrice.
Ci tenevo molto a inserire quella gif perché è stata proprio lei a ispirarmi e a farmi scrivere questa storia. 
All'inizio non avevo nemmeno considerato l'idea della raccolta, poi però ci ho pensato su e anche sotto suggerimenti mi sono convinta. 
Le OS successive non saranno necessariamente in ordine cronologico, perché questa qui è ambientata dopo la battaglia del Labirinto e ci tenevo a scrivere una ff in particolare :3
Vi avviso che non sarò veloce con gli aggiornamenti. Sono piuttosto lenta a scrivere e sto anche progettando una nuova long Pernico, quindi ho poco tempo, e poi sta per iniziare la scuola. ç_ç
Mi auguro che questa mia idea vi piaccia! Una recensione in cui scrivete il vostro parere non mi farà di certo male! :3
A presto!
  
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