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Autore: Makie Kojima    15/09/2008    4 recensioni
"Arrivammo fino alla fine del corridoio, quando all'improvviso i due davanti a me si voltarono verso una stanza. La sua stanza.
Restammo in silenzio per qualche attimo, tutti e tre a fissare la porta, poi Nao si voltò verso di me e si spostò, per farmi entrare." PoV di Tora [ToraSaga/NaoHiroto]
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardai fuori dalla finestra. Le nuvole erano grigio scuro e pioveva.
Mi accesi distrattamente una sigaretta, cercando di calmarmi.
Non credevo fosse capace di una cosa simile, non me lo sarei mai aspettato. Non da lui!
Sentii qualcuno bussare alla porta della mia stanza. Stetti fermo dov'ero; volevo stare da solo per un po', ragionare e riflettere. Dopo poco qualcuno mi pregò di uscire, era Shou. Notai la voce triste ed incrinata, come se stesse piangendo.
Mi preoccupai ed andai ad aprire: occhi rossi e lucidi, le guance bagnate dalle lacrime che ancora scorrevano, il telefono stretto nelle sue mani tremanti.
Un brutto presentimento mi pervase, ma non volli dargli retta e con grande fatica gli chiesi cosa fosse successo. Lo vidi prendere fiato, ma non riusciva a parlare. Lo guardai stupito. Cos'era successo di tanto grave?! << Ehi, ehi Shou... Calmati, ok? Dimmi cos'è successo... >>
<< Saga... Saga ha... Lui è... >> mormorò a fatica e il mio cuore perse uno, due battiti. Si lasciò andare a piangere e m’immaginai il peggio.
Lo scossi per le spalle, cercando il suo sguardo. << Dimmi cos'è successo, Shou! >> gridai spaventato. Non poteva davvero essere come credevo!
Shou riuscì solamente a mormorare la parola ospedale e qualcosa come incidente d'auto. M’irrigidii, fissando il vuoto. Le parole mi rimbombavano nella testa, mentre il loro significato si faceva ogni secondo più forte, più vero.
Non ci pensai, m’infilai le scarpe e corsi fuori, senza nemmeno pensare alla pioggia che cadeva. Corsi più veloce che potevo verso l'ospedale, anche se quelle due parole mi facevano male, anche se era troppo distante. Non poteva andare male, Saga era un asso in macchina, era sempre attento, non poteva aver fatto un incidente! Non uno grave!
Continuavo a ripetermi parole rassicuranti; che sicuramente Shou piangeva per ben altri motivi, non stava piangendo per forza per Saga! Saga stava bene, doveva stare bene!
Dopo quella che mi sembrò un'eternità, arrivai davanti all'ospedale e mi fermai a fissare l'entrata, il cuore che mi martellava dolorosamente nel petto e non solo per lo sforzo cui era stato sottoposto. Non avevo il coraggio di entrare e di accertarmi delle sue condizioni, di vederlo grave come poteva essere.
Stavo lì, sotto la pioggia, a faccia in su, a fissare le tante finestre della facciata, pensando se una di quelle era occupata da lui o se fosse da qualche altra parte, con o senza medici, nudo o vestito, vivo o morto.
Morto.
Rabbrividii a pensare quella parola e mi sforzai di non pensarci più.
No, Saga non era morto, non poteva morire così, non glielo avrei permesso!
Dovevo entrare, ma non riuscivo a muovermi, ero come paralizzato dalla paura, dalla preoccupazione. Vidi qualcuno uscire e solo quando me lo ritrovai di fronte capii chi era. Sobbalzai quando vidi che anche lui piangeva e lo guardai confusamente e agitato. Allora Shou piangeva proprio per Saga?!
Nao mi afferrò per mano, conducendomi dentro a testa bassa; lo seguii docilmente, mentre non capivo più nulla. Perché ancora non mi avevano spiegato cos'era successo?!
Provai a parlare ma mi uscii un debole suono roco. Non avevo la forza per nulla, seguivo solo Nao che mi portava da qualche parte.
Arrivammo davanti all'entrata di un lungo corridoio di camere; vidi Hiroto seduto su un seggiolino poco distante da noi nell'atrio. Piangeva senza remore, sentivo i singhiozzi anche da quella distanza, gli occhi appoggiati sulle mani aperte, sostenute dalle gambe, piegato leggermente in avanti.
Il batterista si voltò finalmente verso di me. Aveva smesso di piangere e quando parlò, sembrò che non lo avesse mai fatto. Mi chiese se sapevo che cos'era successo e fui in grado solamente di scuotere leggermente il capo in segno di dissenso.
Iniziò a raccontarmi di quello che era accaduto dopo che me ne ero andato, della litigata tra Hiroto e Saga, della fuga di quest'ultimo in auto. La chiamata dell'ospedale, la notizia dell'incidente d'auto, l'aggravarsi repentino ed inaspettato delle sue condizioni. Infine il coma.
Lo fissai allibito da quella marea d’informazioni, mentre il mio cuore si fermava, per poi riprendere a battere spasmodicamente. Guardavo il viso di Nao, che mi fece sedere senza che me ne accorgessi; vedevo ma non vedevo, perso nei miei pensieri.
Ancora non ero riuscito ad assimilare la notizia, non potevo, non volevo davvero crederci. Dovevo vederlo, subito, per sapere che sì, era in coma, stava male, ma si sarebbe ripreso, che era come se dormisse, si sarebbe risvegliato il mattino dopo.
Mi alzai lentamente, ancora in silenzio e mi avvicina a Hiroto. Quello alzò gli occhi imploranti su di me; ancora non aveva smesso di piangere e, notai poco dopo, stava tremando. Mi chinai di fronte a lui e negai. << Non é colpa tua >> intuii i suoi pensieri, anche dal veloce racconto di Nao. Il biondo mi guardò quasi con gratitudine per quelle parole, poi mi abbracciò, facendomi cadere a terra, con lui allacciato al mio collo. Continuava a chiedermi scusa e presi ad accarezzarlo sui capelli per farlo tranquillizzare. Dopo qualche attimo lo feci alzare e lo rimisi seduto; era visibilmente più tranquillo, anche se tremava ancora.
Mi rivolsi quindi a Nao, ero ancora in uno stato come di trance. Nulla, ora, aveva importanza se non vederlo. << Dov'è? >> domandai a bassa voce.
<< Credo che per il tuo bene sia meglio che tu non lo veda, ora... >> mi rispose, invece. La rabbia montò dentro di me come un'onda. Come poteva dirmi cos'era bene per me in quell'attimo?!
Lo afferrai malamente per il bavero. << Dimmi dove cazzo si trova! >> forse lo urlai troppo forte, perché lo vidi spaventarsi e tentare di liberarsi. Saldai la presa, alzandolo di peso in piedi, ma subito mi calmai e lo lascia andare.
<< Dimmi dov'è >> ripetei con una strana intonazione. Lo vidi abbassare il capo, pensieroso e gli misi una mano sulla spalla, implorante. Era così sconvolgente, la sua vista? Non sapevo più cosa pensare, ero in balia degli eventi e non riuscivo a reagire. Gli alzai il viso dal mento, rassicurandolo che non doveva per forza accompagnarmi, mi sarebbero bastate le indicazioni.
Scosse piano il capo, afferrandomi per mano, nuovamente, dopo di che si avvicinò a Hiroto e gli chiese se voleva venire anche lui; acconsentì.
Lasciai la mano di Nao, in modo che potesse abbracciare il suo fidanzato e lo seguii in quel lungo corridoio di camere. Avevano tutte delle vetrate che davano sul corridoio, ma non ce n'era nemmeno una con le tende alzate. Coprivano e davano privacy ai loro occupanti, in quel modo.
Arrivammo fino alla fine del corridoio, quando all'improvviso i due davanti a me si voltarono verso una stanza. La sua stanza.
Restammo in silenzio per qualche attimo, tutti e tre a fissare la porta, poi Nao si voltò verso di me e si spostò, per farmi entrare.
Ero paralizzato, non pensavo che sarebbe stato così difficile aprire una porta. Mi feci forza, appoggiai la mano sulla maniglia e spinsi per aprire. Feci pochi passi nella stanza, chiudendo, o meglio lasciando chiudere, la porta dietro di me.
Saga era disteso sul letto coperto da leggere lenzuola candide. Candido era anche il cuscino dove poggiava il capo, con i capelli rosso-castani sparpagliati, creando un dolce e netto contrasto, ma i capelli che non erano sparpagliati erano stretti nella morsa della fasciatura che gli circondava la testa all'altezza della fronte. Anche le braccia, posate al lato del corpo sopra le coperte, erano completamente avvolte nelle stringhe bianche.
Mi avvicinai lentamente. Era attaccato a un respiratore, probabilmente era con quello che stava in vita. Aveva altri tubi, ma non mi soffermai troppo sul chiedermi a cosa servissero.
Gli accarezzai lentamente il viso, fissandolo come se lo vedessi solo in quel momento e potesse essere l'ultima volta che potevo osservarlo.
Era colpa mia, lo sapevo, se fossi rimasto a sentire, probabilmente, non avrebbe avuto fretta di raggiungermi, non avrebbe avuto motivo di mettersi alla guida.
Guardai distrattamente il monitor dei battiti cardiaci. Batteva, lento, e quel suono mi rassicurava ma allo stesso tempo m’infastidiva.
Scesi con la mano sul suo collo dalla pelle candida intervallata da qualche piccolo graffio cremisi. Percorsi con i polpastrelli l'incavo del collo per scendere sempre più giù seguendo il profilo. Spalla, braccio, gomito, avambraccio, mano.
Quando raggiunsi la mano presi le tre dita centrali, fasciate singolarmente, e le strinsi delicatamente, senza fargli male. Perché non si svegliava? Lui aveva sempre avuto il sonno leggero... Non potevo pensare che non si sarebbe mai più risvegliato...
Lo chiamai, piano, ma non successe nulla. Sentivo la tristezza attanagliare il mio cuore; volevo piangere, ma non osavo neppure farlo.
Attesi ancora un po', ma alla fine sospirai. Presi una sedia e l'accostai al letto, sedendomi e riprendendolo per mano.
Si sarebbe svegliato. Semplice.
Da lì a poco avrebbe riaperto i suoi magnifici occhi castani e mi avrebbe fissato, un po' incredulo e un po' aspettandosi di vedermi. Avrebbe sorriso e mi avrebbe spiegato tutto... Io gli avrei risposto che non importava, non aveva più importanza ormai...
Perché, però, non si svegliava?! Perché non mi sorrideva, non mi chiedeva scusa?!
All'improvviso, un rumore attrasse la mia attenzione. Era quella dannata scatola grigia che controllava i suoi battiti. Lentamente, il numero di quest'ultimi si abbassava, troppo basso!
Implorai il suo nome, stringendogli la mano. Dove diavolo erano i medici?! Perché non accorrevano?!
80.
75.
65.
Sempre di meno; troppo, troppo basso!
In un gesto impulsivo, presi a fargli il massaggio cardiaco. Le lacrime mi sgorgavano dagli occhi e non tentavo nemmeno di fermarle. Sussurravo il suo nome, o forse lo gridavo. Mi rendevo conto solo del suono penetrante e glaciale di quella macchinetta.
40.
35.
20.
Perché mi voleva abbandonare?! Perché aveva deciso di lasciarmi solo?! Come potevo andare avanti senza di lui?
Ansimavo, per lo sforzo del massaggio cardiaco. Mi bloccai, alzando il viso umido verso il monitor.
0.
0 battiti.
Una lunga linea retta, senza imprecisioni, segnava la sua fine.
Mi allungai e la spensi, singhiozzando piano. Perché, Saga, perchè?! Era solo un fottuto bacio, perché mi hai abbandonato?!
Non aveva più senso continuare a vivere... Come potevo fargli questo torto?
Lo chiamai ripetutamente, come se potesse servire a richiamarlo indietro. Nulla, era completamente immobile. Perfettamente posato tra quelle lenzuola bianche.
Mi accasciai sulla sedia, il viso nascosto tra le coperte, mentre tenevo salda la sua mano, ancora calda sotto le fasciature.
Passò qualche minuto, poi mi tirai su. Non gli avrei permesso di abbandonarmi.
Con gesti decisi, lo liberai dalle macchine che avevano tentato di tenerlo in vita. Ora sembrava davvero che stesse dormendo. lo accarezzai sul viso, poi mi voltai e aprii un cassetto. Eccola, immacolata nella sua confezione. Una siringa.
La presi e la scartai, poi afferrai la piccola boccetta di vetro che c'era lì accanto e riempii la siringa.
Mi stesi accanto a lui. Passai di nuovo la mano sul suo viso, mentre continuavo a piangere. Mi sporsi un po' di più e posai le mie labbra sulle sue.

***FLASHBACK***

<< Mi ami, Tora? >> un leggero sussurro in una sera di primavera.
<< Si, SagaSama... Ti amo tanto.. >> una risposta altrettanto flebile, mentre i petali dei ciliegi volteggiavano attorno a loro.
<< Promettimi che non mi abbandonerai mai >> sguardo fiducioso, un poco triste. Seduto contro di lui, mentre guardavano il cielo stellato.
<< Mai. Non ti abbandonerò mai, SagaSama >> risposta decisa e sicura, prima di un dolce bacio.


***FINE FLASHBACK***

Lo baciai per quella che mi sembrò un'eternità, soffocando i singulti. Mi ritrassi piano, gli occhi socchiusi.
Avvicinai l'ago al mio braccio e mi bucai. Non sentivo dolore, non dopo aver perso la cosa più importante che avevo!
Buttai l'oggetto da qualche parte alle mie spalle, poi appoggiai la fronte nell'incavo del suo collo, mentre lo prendevo per mano.
Sorrisi.
Niente ci avrebbe più divisi.
Mai più.

Sedici anni dopo...

Un ragazzo è seduto su un'altalena, in un parco deserto. Occhi scuri, capelli corti e ribelli.
Sbuffa, pensando che potrebbe passare un'estate migliore, assieme ai suoi amici. A quindici anni non si può certo restare a casa da soli!
Si dondola un poco,poi salta in avanti, intenzionato a gironzolare in qualche centro commerciale per sfuggire all'afa. Non fa in tempo a raggiungere terra che un ragazzo gli si para davanti, capitombolandogli addosso e facendolo cadere a terra sotto di sé.
<< Ah! Guarda quello che fai! >> il nuovo arrivato si lamenta, mentre si massaggia la testa dolorante, ancora steso a terra.
<< Scusa, non ti avevo visto... >> si alza sui gomiti fissandolo. Capelli chiari e lunghi, occhi piccoli. Lo fissa come incantanto; ha qualcosa di strano...
L'altro lo guarda ironico per qualche attimo, prima di riprendere a parlare << Bhe? Ti piace così tanto stare sopra ai ragazzi? >> lo stuzzica con un sorriso strano.
<< Ah... N-no, é che... >> subito si tira a sedere, continuando a guardarlo.
Si mette in ginocchio << Ah, dannazione! Il mio panino é tutto da buttare! >> alza gli occhi sul ragazzo 'volante' << Ora con che diavolo pranzo?! >> si rialza, spolverandosi i vestiti.
<< Scusa, non l'ho fatto apposta... >> si tira in piedi << Te lo ripago... Comunque, come ti chiami? >> domanda con un piccolo sorriso.
<< Da come stavi sopra di me pensavo di si! >> ridacchia divertito << Takashi, tu? >>
<< Shinji... A me non piace stare sopra i ragazzi! >> Shinji mette un piccolo broncetto, dirigendosi verso l'uscita assieme a Takashi.
<< Mi hai appena offerto un appuntamento! >> Takashi ride apertamente alla vista dell'altro.
Shinji arrossisce, senza sapere cosa controbattere e si ferma a guardarlo camminare. Qualcosa in lui lo affascina...
<< Ehi! Ti sbrighi? Muoio di fame! >> lo richiama il nuovo amico.
Shinji annuisce, sorridendo. Sente di potersi fidare di quello strano tipo. Non lo sa nemmeno lui, ma lo sente: non lo tradirà mai.

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