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Autore: Feanoriel    18/08/2014    7 recensioni
la prima fan fiction che pubblico, spero sia gradita.
nessuno dei personaggi, delle ambientazioni, dei luoghi o delle situazioni è stato inventato da me, viene tutto dalla geniale penna di J.R.R. Tolkien. la mia fan fiction prende spunto da alcuni avvenimenti del Silmarillion, con particolare attenzione a questa frase "Maglor infatti si impietosì di Elros ed Elrond, e si affezionò loro, e anche in quelli nacque amore per lui, per quanto incredibile possa sembrare, ma il cuore di Maglor era esulcerato e stanco dal peso del terribile giuramento".
le informazioni usate per questa fan fiction vengono perlopiù dal Silmarillion, ma alcune provengono invece dalla HoME (History of Middle Earth), Volume XII, The Peoples of Middle Earth, con particolare attenzione al capitolo "The Shibboleth of Feanor".
[Gen fic per di più, ma con qualche accenno di Maglor/moglie e di Maedhros/Fingon]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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BETWEEN HEAVEN AND HELL

PARTE PRIMA: THE MIND IS ITS OWN PLACE, AND IN ITSELF CAN MAKE A HEAVEN OF HELL, AND A HELL OF HEAVEN

CAPITOLO 1: THE CURSE OF FEANOR

Taken the long way
Dark realms I went through
I arrived
My vision' s so clear
In anger and pain
I left deep wounds behind
But I arrived
Truth might be changed by victory
(Blind Guardian- The Curse of Feanor)

Maglor sollevò la spada nella luce sanguinea del tramonto,mentre osservava il caos e le fiamme attorno a sé. Per quanto fosse il più cauto e il più circospetto dei figli di Feanor, quello meno propenso ad atti di temerarietà e di avventatezza, non aveva mai avuto alcun indugio a lanciarsi nel pieno della mischia di una battaglia, falciando i propri nemici, sterminando a sangue freddo tutti coloro avessero mai osato tentare di arrecare danno ai membri della sua Casa… eppure, in quel momento Maglor era esitante a lanciarsi nella mischia, a sfogare l’intensa adrenalina che lo rapiva sempre prima di una battaglia, a soffocare il rumore dei battiti del suo cuore martellante sotto il clangore delle spade e delle armature. Il secondogenito di Feanor emise un sospiro intenso, riempiendosi i polmoni del vento che spirava, vento che portava l’odore del mare lì accanto, ma anche del fumo dei roghi, del sangue, del dolore e della morte. Non avrebbe potuto continuare a mentirsi per tutto quel tempo. Ogni tentativo di riconquistare i Silmaril non era valso altro che dolore e pene a lui e ai suoi fratelli, malgrado loro stessi lo negassero.

Solo, avrebbe voluto sapere come fossero arrivati a quel punto…

 

Durante le  guerre del Beleriand, le violente e terribili lotte contro Morgoth che duravano da quasi più di cinquecento anni ormai, molti valorosi tra gli Elfi e gli Uomini erano spirati, e tanto danno avevano fatto che ormai la maggior parte dei principi dei Noldor si trovava ad attendere nell’ombra di Mandos. Erano trascorse lunghe generazioni di Uomini dalla dipartita del Re Fingolfin, caduto per mano di Morgoth in persona, meno tempo dalla morte di suo figlio Fingon, che aveva versato il proprio sangue sul campo della funesta Battaglia delle Innumerevoli Lacrime. La splendida Gondolin, perla delle città elfiche, era divenuta la pira funebre del suo re Turgon. Il primo figlio di Finarfin, Finrod Felagund, forse il più saggio e lungimirante dei siri elfici, era andato incontro a un tremendo destino nelle segrete di Sauron, e il figlio di suo fratello Angrod, Orodreth, lo aveva ben presto seguito in Mandos. Essendo lo stesso Angrod e il loro fratello più giovane, Aegnor, periti nel tremendo rogo della Battaglia della Fiamma Improvvisa, l’unica che ancora esisteva della dorata casa di Finarfin era Galadriel.

Eppure, il destino di morte che aveva colpito i loro cugini non aveva toccato fino a quel momento i figli di Feanor. Avevano perso le proprie terre, i propri feudi e la maggior parte dei loro eserciti, certo, ma erano ancora in sette fratelli, esattamente come quando avevano lasciato le Terre Immortali molto tempo prima. Quanto potesse essere dura la Sorte di Mandos lo avevano capito solo tempo più tardi, quando Celegorm il Cacciatore, il terzogenito di Feanor, li aveva esortati a lungo, onde recuperare uno dei Silmaril di loro padre, di assaltare il Doriath, il boscoso e lieto reame dove un tempo avevano vissuto Re Thingol, la Regina Melian e loro figlia Luthìen, forse la più bella di tutti i figli di Ilùvatar, fossero essi nati sotto il radioso sole o sotto le fredde stelle. Ma ora tutti loro erano morti, e sul trono del Doriath sedeva Dior Eluchil, figlio di Luthien la Bella e di Beren il Monco, metà elfo e metà uomo, che teneva incastonato nella sua corona il Silmaril che i suoi genitori tempo addietro avevano strappato all’Oscuro Signore.

-Potremmo tollerare noi, o miei fratelli- aveva esordito Celegorm, un giorno che i Feanoriani, accampati da qualche parte nelle ventose lande dello Hithlum, avevano tenuto consiglio di guerra.- che Dior il Mezzelfo tenga per sé la gemma che fu di nostro padre? Quale mai diritto egli avrebbe? Il diritto di due ladri, tali furono i suoi genitori, e folli, a sfidare la tenebra di Morgoth pur sapendo che non potevano accampare pretese sui Silmaril, attirando su di sé la nostra collera! Io e Curufin tentammo di fermarli, ma suo padre Beren ci irrise. E ora il figlio non vuole dare a noi l’eredità del sire nostro padre. È della genia di Elu Thingol, mai e poi mai cambierà il suo pensiero. No, fratelli, non illudetevi di ottenere il Silmaril da Dior Eluchìl con le sole parole. L’unica speranza che è a noi di stringere nuovamente in mano i gioielli di Feanor verrà dal freddo filo delle nostre lame, e dal rosso bagliore delle fiamme che bruceranno le sue sale.

-Sei forse folle, fratello? – aveva risposto, non senza svelare un certo disprezzo, Amrod, l’ultimogenito.- Non sai forse che il Doriath è sorvegliato da un’invalicabile Cintura di incantesimi? Come pensi dunque di valicare tale limite? O forse la rabbia per l’affronto che ti fece la fanciulla del Doriath è tale che ti ha oscurato il cervello, e sono ora le ombre della follia ad invadere la tua mente?

Alla menzione di Luthien, che lo aveva respinto ed era riuscita a sfuggirgli, ponendo fine alle mire che aveva su di lei, gli occhi di Celegorm lampeggiarono e il suo viso divenne pallido dall’ira. – Maledetto- sibilò.- Mai, mai prenderti gioco di me. Ringrazia il nome di Eru che tu sia mio fratello, Ambarto , o la tua vita sarebbe già corsa sul filo della mia lama.

-Amrod, le tue informazioni sono quanto mai antiquate- Curufin l’abile, il quintogenito, prese la parola. Quando vide l’espressione che ristagnava sul viso del fratello, Maglor non seppe trattenere un lieve brivido. Curufin era sempre stato tra i suoi figli quello che somigliava più a Feanor, ma ora pareva che loro padre in persona fosse tornato dalle Aule di Mandos, poiché  aveva sul viso l’identica espressione che aveva avuto Feanor nell’incendiare a Losgar i più bei vascelli che i Teleri avessero mai costruito, dopo averli rubati col ferro e col fuoco, osservando rapito le fiamme danzanti, in preda all’estasi della sua stessa follia. Sorrise lievemente, e Maglor si sentì gelare.- Dalla morte di Elu Thingol, la regina Melian è scomparsa, e  il potere che teneva la sua Cintura se n’è andato con lei. Il Doriath non è più difeso di quanto non lo sia un qualsiasi accampamento, fratelli miei. Pare che ella non avesse potuto sopportare il dolore della morte dello sposo, ed essendo una Maia di stirpe divina, si dice che sia tornata a Valinor, nei sognanti giardini di Lorién.

-Proprio non riesco a capire come faccia qualcuno, sia esso Dio, Elfo o Uomo, a patire per la mancanza di Thingol- commentò sprezzantemente Caranthir lo scuro, quarto in ordine di nascita e, dei figli di Feanor, il più collerico e il più avventato.- Ad ogni modo, se la Cintura è caduta, cosa mai si oppone a noi? I Sindar sono grandi guerrieri, ma non possono competere col nostro valore, e inoltre molti di essi sono ancora traumatizzati dalla perdita del loro sovrano. Mai e poi mai si aspetterebbero un assalto da parte nostra. Io appoggio la proposta di Tyelkormo. Avremmo da parte nostra il fattore sorpresa, fratelli miei, ed è qualcosa da non sottovalutare.

Curufin annuì lentamente, l’inquietante sorriso non aveva ancora lasciato le sue labbra, e i suoi occhi grigi brillavano ancora della luce folle che aveva illuminato quelli del loro padre.

-Un momento, fratelli miei- Maglor alzò la mano, e parlò tentando di celare nella voce il disprezzo che provava per Curufin. Si diceva che non avesse avuto alcun rimorso a scagliare una freccia contro dama Lùthien, freccia che l’avrebbe sicuramente colpita e uccisa, se il suo amato, Beren, non si fosse messo sulla sua traettoria. – Stiamo parlando di assaltare e passare a fil di spada non Orchi, badate bene, ma Elfi, i nostri consanguinei. L’ora è forse la più buia che abbiamo mai passato. Quali regni si oppongono ancora alla malignità di Morgoth? Le nostre terre non sono più, lo stesso per i feudi di Fingolfin e Fingon, il Nargothrond è caduto, e nessuno ha più notizie di Gondolin e del Re Nascosto, per ciò che ne sappiamo Turgon e la sua gente potrebbero essere a Mandos, oppure a lavorare a guisa di schiavi nelle fornaci  dell’Inferno di Ferro. E ora dunque dovremmo assalire, come Orchi nel buio, coloro che dovrebbero essere i nostri alleati contro il Nemico? 
Sulle labbra di Celegorm si accese un sorriso colmo di perfidia.- Parla per te, fratello. Io e Curufinwe giurammo pubblicamente di uccidere Elu Thingol e di sterminarne il popolo. Rimpiango solo che i Nani di Nogrod siano arrivati prima di me, e che io non abbia potuto stringere le mani attorno al collo di Re Mantogrigio.

-E tu saresti il secondo figlio di nostro padre?- negli occhi di Curufin brillava la luce della derisione.- Dunque, ho timore per la nostra nobile Casa, se mai il nostro valoroso fratello Maedhros dovesse soccombere, e il suo ruolo passare a te. Davvero, fratello mio, puoi ora anche miagolare tali ipocriti pietismi quanto vuoi, e poi tornare a cacciare i tuoi lai in qualche terra desolata, ma ricorda che sei legato al Giuramento esattamente come noi lo siamo, e il Buio Eterno ti attende, se non vi terrai fede.

Per quanto le loro parole lo avessero ferito, Maglor si era aspettato una simile crudeltà gratuita da parte di Curufin, e non disse nulla, sprofondando nello scranno e incrociando le braccia.

Fu il turno di Amras, gemello di Amrod a parlare:- Tacete tutti un attimo, miei consanguinei. Avrete anche detto la vostra, forse, ma non abbiamo ancora sentito parlare il sire Maedhros. Dovrebbe essere lui a rivelarci la sua volontà, essendo il primogenito di nostro padre.

Come se fossero uno solo, tutti i figli di Feanor si voltarono verso il fratello maggiore. Maedhros fino a quel momento non aveva detto nemmeno una parola, affondato nel suo scranno, le dita della mano sinistra, l’unica che gli rimaneva, che sfioravano distrattamente l’elsa della spada. Sui capelli splendenti come rame lucidato nelle fucine dei Noldor era posato un sottile cerchietto d’oro, gli occhi verdi sembravano lontani, persi nel vuoto, totalmente indifferenti alla schermaglia dei fratelli.

-Ebbene, mio sire?- Curufin incalzò Maedhros. Sulle sue labbra ogni titolo, ogni onorificenza, anche quella più alta, aveva un retrogusto di scherno.- Qual è la tua opinione? Nessuno di noi si muoverebbe mai senza il tuo consenso.

Fu allora che Maedhros parlò. La sua voce risuonò alta e profonda, squillante come i corni prima della Battaglia delle Innumerevoli Lacrime: - Voi mi chiedete la mia decisione. Ebbene, fratelli miei, vi comunicherò il mio volere. Credete a ciò che dico: se questo piano fosse solo dovuto alla vostra volontà di vendetta contro la fanciulla del Doriath, che tempo fa ti respinse, o Tyelkormo, oppure contro Beren figlio di Barahir, o Atarinke, che  ti ha causato una dura umiliazione, non avrei mai e poi mai mosso il mio esercito per riscattare il vostro orgoglio. Ma c’è effettivamente verità in ciò che dite. Non possiamo sottrarci al Giuramento di nostro padre,o il Buio Eterno piomberà su di noi, e non esisterà speranza di alcuna salvezza. Perciò dobbiamo dimostrarci implacabili nel nostro obiettivo, e non cedere né a pietà né a tenerezza di cuore, poiché se risparmieremo le loro vite, sacrificheremo le nostre, e saremo perduti, e per sempre. No, non esiste altra scelta, non per noi.

E così era stato. Avevano passato lunghi mesi a prepararsi per l’assalto che avrebbero sferrato ai loro consanguinei, forgiando spade e saldando armature. E poi, in una notte d’inverno, buia come le aule di Morgoth in Angband, dove su di loro non brillava nemmeno la luce di una stella, avevano preso d’assedio il Doriath, non più protetto dalla Cintura di Melian. Come Caranthir aveva predetto, i Sindar non si erano aspettati una simile mossa da parte loro, e, presi alla sprovvista, erano riusciti a trucidare in fretta le guardie del palazzo. Per quanto rapida e spietata fosse stata la loro azione, e il palazzo sotterraneo di Menegroth velocemente conquistato, alto e duro era stato il prezzo. Celegorm era stato il primo a cadere, dopo aver cercato a lungo Dior, con l’intento di piantare la propria spada nel cuore del figlio della donna che l’aveva respinto tempo prima, ma dopo un lungo ed estenuante duello, era stato il Mezzelfo ad avere la meglio, e il Feanoriano, era crollato a terra immerso nel proprio sangue, salvo spirare poco dopo nel mezzo della sala del trono che era stata di Elu Thingol. Curufin, folle di rabbia e dolore, era accorso giusto in tempo per pugnalare alle spalle Dior, decretando così la sua fine. Ma aveva avuto vita breve dopo quell’assassinio: era crollato dopo poco, trafitto da una cinquantina di frecce lanciate dagli arcieri dei Sindar. Caranthir era morto mentre combatteva contro le guardie di Menegroth al fianco di Maedhros, il quale, una volta preso possesso di Menegroth, aveva scavalcato il cadavere di Dior e si era seduto sul trono che era appartenuto a Thingol, contemplando dall’alto scranno il sangue che imbrattava la sala, le sue alte colonne scolpite a guisa di faggi, i suoi affreschi di piante e animali, i suoi mosaici multicolori, e che intorbava le fontane di marmo.

Era stata in quell’ora che i suoi soldati avevano portato al suo cospetto, come prigioniera, Nimloth sposa di Dior, e i loro bimbi, Eluréd ed Elurìn. La dama elfica, benché sconvolta dall’aver visto la spoglia sanguinante del marito, tra i singhiozzi aveva supplicato Maedhros di risparmiare i suoi figli, di aver pietà di quelle creaturine che si aggrappavano tremando a lei, guardando con occhi colmi di terrore la devastazione attorno a loro, troppo deboli per difendersi, troppo piccoli per capire l’enormità di ciò che stesse accadendo, o di aver coscienza del fato in cui loro padre era incappato. Ma quando Nimloth si era rifiutata di rivelargli dove  lo sposo avesse nascosto il Silmaril, lui l’aveva trapassata con la spada, lasciandola a giacere accanto a Dior, il loro sangue che si mescolava sul pavimento di pietruzze colorate. Il fato di Eluréd ed Elurìn era stato altrettanto tristo, poiché i vassalli di Celegorm, per prendersi la loro vendetta per la morte del loro sire, avevano esortato Maedhros ad abbandonare i piccoli nei boschi, senza cibo né acqua. Maedhros, che in quell’ora cupa aveva la mente sconvolta dal dolore e dalla rabbia, in un impeto di follia aveva acconsentito all’atroce richiesta.

Si era ben presto pentito da quell’atto di crudeltà.

Ma era tardi, troppo tardi. Per quanto a lungo e con quanta abilità facesse setacciare le selve, i due bambini parevano spariti dalla superficie di Arda. Maglor non ricordava di aver visto sul viso del fratello un’espressione di tale orrore, nemmeno quando era tornato mutilato dalle torture subite in Angband. Ma in quel caso era anche peggio, poiché Maedhros provava orrore per sé stesso.

E tanto dolore, tanta pena, tanta atrocità era stata vana, a nulla erano serviti i loro sforzi. Maglor, che aveva avuto il compito di ritrovare il Silmaril, per quanto bene avesse setacciato le aule di Menegroth, non facendosi scrupolo a distruggere ogni cosa di fronte a sè, non lo aveva trovato da nessuna parte. I suoi iniziali, futili indugi erano ben presto svaniti come rugiada ai raggi del sole, al pensiero che non avrebbe mai avuto pace, o requie, se non avesse portato a termine la Cerca dei Silmaril, e le parole di Celegorm e Curufin bruciavano ancora, dolorose come sale sulle ferite, in fondo al suo cuore, e ogni volta che ci ripensava lo assalivano improvvisamente sentimenti di funesta collera e tremenda rivalsa, al punto tale da annientare ogni obiezione che avesse inizialmente avuto. Nell’assaltare il Doriath, non aveva dimostrato meno ferocia e meno crudeltà di quelle dei suoi fratelli, e aveva ucciso chiunque avesse osato pararsi davanti a lui, e distrutto tutto ciò che poteva distruggere, come se in quel modo potesse porre fine, o almeno solo sfogare, la rabbia impotente che lo aveva invaso, e cancellare il senso di opprimenza che gli incideva il cuore.

E così, per quanto avessero trucidato fino all’ultimo le guardie scelte di Dior, esse non costituivano che un’infinitesima parte del popolo dei Sindar, la maggior parte dei quali era sfuggita di fronte a loro, cercando rifugio chi presso gli Elfi Verdi dell’Ossiriand, chi aveva attraversato le vette degli Ered Luin ed era entrato nell’orientale contrada dell’Eriador, chi ancora fuggendo verso il mare dove ancora sulle sponde dimoravano pochi e temerari elfi. Infatti, Dior e Nimloth avevano avuto anche una figlia, Elwing, che a differenza dei suoi fratelli non era una bimba, ma una fanciulla appena sbocciata, che non era però stata rinvenuta da nessuna parte, esattamente come il Silmaril. Quindi, avevano intuito a posteriori i figli di Feanor, Dior doveva aver consegnato alla figlia maggiore il gioiello, ed ella era riuscita a sfuggire alla rovina e alla sventura che aveva colpito la sua famiglia. Ma dove Elwing fosse, nessuno di loro lo sapeva.

Erano passati molti anni prima che giungessero a loro notizie della giovane figlia di Dior, anni che i quattro superstiti figli di Feanor avevano passato per lo più lontani gli uni dagli altri, troppo consapevoli delle loro colpe, troppo vergognosi per parlare con coloro che li avevano fiancheggiati in quell’azione scellerata. Maglor si era tenuto lontano dal Nord, dove ormai l’Oscuro Sire aveva conquistato tutto ciò che c’era da conquistare, e i suoi laidi Orchi e i tetri Esterling, traditori tra gli Uomini, la facevano da padrone in quelle che un tempo era stato il reame dei principi dei Noldor. A lungo Maglor si era aggirato nelle terre in cui il Narog affluiva nel Sirion, forse il più bello dei regni del Beleriand, tra dolci prati ricoperti di verdissima erba, dove i gigli formavano intere foreste sulle sponde dei fiumi, e dove crescevano innumerevoli fiori che punteggiavano il prato come una distesa di stelle multicolori in un firmamento verde. Là aveva sentito la morsa che stringeva il suo cuore allentarsi un poco, e sotto le verdi e argentee fronde dei salici della Nan-tathren, Maglor il Menestrello aveva composto lunghe canzoni, e le melodie scaturite dalla sua arpa erano andate a confondersi con lo stormire delle foglie, e ricordava di aver pensato che non desiderava al mondo altro che il tempo si fermasse, che potesse rimanere per sempre cristallizzato in quel momento di pace, e dimenticare tutto il proprio dolore, il proprio tormento, la propria sofferenza.

A quanto pareva, Elwing e molti dei superstiti del Doriath erano giunti infine alle bocche del fiume Sirion, dove avevano incontrato coloro che erano scampati alla caduta di Gondolin, ed era accaduto che i due popoli si fossero mescolati gli uni con gli altri. Data la morte di Turgon, Re della città segreta di Gondolin, il titolo e lo scettro del Re Supremo dei Noldor erano passati all’unico discendente maschio della casa di Finarfin rimasto in vita, Ereinion figlio di Orodreth, il quale viveva allora presso Cirdan il Timoniere sull’isola di Balar, e per i canoni degli Elfi era giovanissimo, poco più che un adolescente. Non molto tempo dopo, era avvenuto il matrimonio tra Elwing la Bella ed Earendil il Marinaio, che era anch’egli un Mezzelfo, nato dalla seconda unione tra Elfi ed Uomini, unico figlio di Idril Celebrindal, principessa di Gondolin, e di Tuor figlio di Huor.

Si diceva che, nonostante l’ombra cupa di Morgoth si allungasse sempre di più sulla Terra di Mezzo, i due sposi vivessero lietamente davanti al mare, e che fossero nati loro due figli gemelli. Ma la loro felicità era ben presto destinata a finire, in quanto Earendil avrebbe ben presto dovuto imbarcarsi in quella che era forse la più difficoltosa e difficile delle sue imprese, quasi impossibile perfino per lui, il più abile e provetto di tutti i marinai che avessero mai solcato le acque di Ea. Avrebbe dovuto infatti recarsi a Valinor e supplicare i Valar di scendere in campo contro il potere di Morgoth, implorando la grazia per gli Uomini e gli Elfi della Terra di Mezzo, destinati altrimenti a soccombere all’ombra del potere dell’Oscuro Sire. E così era stato: Earendil aveva dovuto salpare per il più lungo e arduo dei suoi viaggi per mare, dove avrebbe dovuto valicare gli innumerevoli ostacoli, le isole stregate e tutti gli incantesimi che i Valar avevano posto attorno al Paese Beato, onde renderne impossibile l’accesso non solo ai servi del Nemico, ma anche  a coloro che si erano ribellati, seguendo Feanor nei suoi folli propositi. Aveva lasciato la sposa a governare il loro popolo alle bocche del Sirion, e con lei i loro due bambini, che all’epoca avevano solamente due anni di età, e benché ciò lo addolorasse profondamente, non poteva sottrarsi alla propria missione, poiché da essa, stando alla Profezia di Mandos, sarebbe venuta la salvezza della Terra di Mezzo, e di tutti coloro che dimoravano su di essa.

Erano però passati già quattro anni dalla partenza di Earendil, e ancora nulla si sapeva della sorte del Marinaio. Molti lo dicevano morto, annegato forse durante le violente tempeste che Osse scatenava per impedire l’accesso agli incauti che avessero tentato di approdare a Valinor, altri invece deponevano in lui ogni speranza, e incessantemente scrutavano mare,cielo e terra nell’attesa di un segno che annunciasse la salvezza tanto agognata, dopo tutti i dolori e le sventure che avevano segnato la Terra di Mezzo in quei lunghi anni. In sua vece Elwing governava sugli esuli di Gondolin e dei superstiti del Doriath, nel frattempo occupandosi dei suoi figli, che crescevano senza conoscere il padre, sapendo di lui solo attraverso i racconti della madre. Maedhros, che non credeva e non aveva mai in alcun modo creduto alle profezie, dopo aver saputo di come ella portasse ancora al collo il Silmaril che aveva causato la rovina della sua famiglia, si era per lungo tempo ristagnato senza sapere che fare, essendo ancora troppo cocente in lui la consapevolezza delle proprie colpe, e troppo profondo il suo pentimento, e dall’altra parte il malefico Giuramento che tanti dolori aveva casuato, il cui ricordo soffocava in lui ogni pensiero di gioia, di libertà, di una vita al di fuori della Cerca dei Silmaril come un infestante che soffochi i fiori radiosi di un prato. Così, in un primo tempo, aveva mandato ad Elwing messaggi di amicizia, ma anche però di dura richiesta. Elwing, così come i suoi sudditi, però non voleva cedere la gemma che i suoi nonni avevano conquistato tempo prima, per il quale la sua famiglia intera era morta. Nessuno dei figli superstiti di Feanor avrebbe mai desiderato replicare l’eccidio che ancora insanguinava le loro anime, ma la consapevolezza del giuramento li torturava costantemente, non lasciando loro requie né felicità, e allo stesso modo agiva su di loro il pensiero di loro padre, che certo avrebbe riso della loro riluttanza, bollandola come debolezza. Potevano forse lasciare che il compimento della loro Cerca, la gemma tanto agognata, fosse così vicina a loro per non poterla avere? Che, in quello che avrebbe potuto essere il loro definitivo successo, si facessero fermare da scrupoli che molto tempo addietro avevano deciso di rinnegare? Ed era così che, in forse quella che era stata la più cupa e la più buia ora per le loro anime, avevano deciso che avrebbero preso nuovamente con la forza ciò che consideravano loro di diritto.

Avevano sacrificato tutto sull’altare della loro Cerca: le loro vite, la loro felicità, le loro anime, certi che un giorno avrebbero dimostrato che Eru dava a loro ragione.

Si erano lasciati indietro la pietà nel momento stesso in cui avevano scelto di pronunciare il Giuramento che li obbligava a perseguitare chiunque avesse osato possedere i Silmaril di loro padre.

Guarda, padre, pensò Maglor mentre sollevava lo scudo, slanciandosi nella mischia. Guarda ciò che i tuoi figli fanno in tuo nome, per adempiere al Giuramento che pronunciammo tanto tempo addietro. Quali sono mai i tuoi pensieri laggiù nell’ombra di Mandos? Gioisci dei nostri tentativi di recuperare la nostra eredità, oppure disprezzi i nostri continui fallimenti? Ma forse oggi sarà la volta definitiva. Forse oggi stringeremo in mano il Silmaril. Per te, padre! Per noi!

 

 

   
 
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