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Autore: King_Peter    19/08/2014    1 recensioni
Sta per tornare.
La sua storia sta per essere riscritta: paure misteriose rinasceranno, oscure forze.
Dolori dimenticati.
Qualcosa che gli Dei dell'Olimpo avevano persino dimenticato, qualcosa che ha covato rancore tra le fiamme del Tartaro e che adesso risorge per cercare vendetta, quella stessa vendetta che le è stata impedita anni prima e che ora brucia nelle sue vene del mondo come un fuoco.
Quel fuoco che brucerà il mondo.
Quel fuoco che dieci semidei dovranno spegnere.
Quel fuoco da cui deriverà la cenere della vita, il sapore di ruggine della vittoria.
♣♣♣
Sul volto di lei si dipinge un'espressione di terrore, mentre la sua mano corre al pugnale che porta al fianco, legato ad una cintura di pelle.
Cerca di trattenerlo, gli strappa persino la camicia di dosso pur di fermarlo, ma lui continua a camminare verso il mare aperto, non riuscendo più a sentire la sua voce, come se fosse atona, senza suono."

♣♣♣
""Potete solo rispondere alla chiamata."
Fissò ognuno con i suoi occhi millenari, come se stesse cercando di capire il legame che li univa, inutilmente.
"Potete solo giurarlo sul fiume Stige."
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14. All systems go, sun hasn't die
 
 
Daphne,
"Everything I touch isn't Dark enough"
 
 
Daphne aveva assistito a tutto ciò a cui una figlia di Afrodite non avrebbe mai dovuto assistere: sentì un colpo sul petto, anche se non l'aveva attaccata nessuna, riconoscendo, come figlia della dea dell'amore, il suono del suo cuore spezzato.
Luke era morto.
Le lacrima salirono copiose ai suoi occhi, le sue mani abbandonarono la presa sulla sua arma, mentre l'arco di legno cadeva a terra, nel silenzio più totale: per un attimo, Daphne provò l'impulso di saltare al collo di Ulisse e staccarglielo a mani nude, ma, quando si voltò a guardare i suoi compagni d'impresa, Hope scosse la testa, facendole segno di rimanere dov'era.
La sua faccia era corrugata in un'espressione addolorata, la sua fronte trasudava fatica e le sue mani erano avvolto da una strana foschia verde che Daphne era sicura di non aver mai visto.
Era come se qualcuno le avesse sfilato il terreno da sotto i piedi.
Si sentì mancare, ma due mani possenti l'afferrarono e lei si ritrovò stretta tra le braccia di Bashir, il viso sporco di polvere e sudore, la bocca fredda plasmata in un'espressione preoccupata: Daphne si sentì al sicuro, per la prima volta dopo anni, si sentì al sicuro, stretta nel suo abbraccio.
"Va tutto bene." continuava a ripeterle, anche se lei scuoteva la testa, i capelli in disordine, le unghia spezzate, il volto così bello spezzato dal dolore e dalla rabbia.
"No che non va tutto bene!" protestò lei, affogando la sua voce tra le lacrime, la concreta consapevolezza che Luke era morto per colpa sua.
Bashir la guardò negli occhi, in quegli occhi maledettamente attraenti in cui Daphne riuscì a specchiarsi e ad affogare, in quegli occhi in cui dominava l'amore che il figlio di Tanato provava verso di lei: ora che Luke non c'era più, il triangolo si era rotto e lei era libera di stare con Bashir.
Cosa le aveva detto Luke, poco prima di marciare verso morte certa?
"Bashir ti renderà felice."
Il figlio di Atena l'aveva spinta verso il figlio di Tanato, l'intelligenza che si era quindi arresa alla forza della morte, la spiga di grano che si era piegata alla lama della falce: Daphne si sentì un'egoista.
Anche stretta fra le braccia di Bashir, la figlia di Afrodite percepì il freddo che l'incantesimo di Hope aveva scatenato, poteva vedere il volto confuso di Ulisse che si soffermava su quello altrettanto confuso di ogni semidio della loro impresa, quell'impresa che, sin dall'inizio, era destinata a fallire.
Daphne alzò gli occhi al cielo, maledicendo sua madre, maledicendo gli dei dell'Olimpo e maledicendo con tutto ciò che le era rimasto Partenope: già, dov'era quella lurida mentecatta?
Nell'aria aleggiava un senso di mistero e di pericolo, qualcosa che solo i sensi più sviluppati dei semidei potevano percepire e che Daphne era sicura di non voler più possedere: se lei non fosse stata una semidea, se Luke non fosse stato un semidio, se tutti loro non fossero stati dei semidei avrebbero potuto avere una vita normale.
Niente dei, niente mostri, nessuna minaccia.
Ma loro erano mezzosangue, erano destinati a perire dato che il destino di ogni eroe era segnato da ancora prima che questo venisse al mondo: morte e vita si affrontano in un prodigioso duello ogni volta che un semidio affronta un nemico e qualche volta vince l'uno, qualche volta, purtroppo, l'altro.
Non avevano già sacrificato abbastanza?
"Ulisse." chiamò Hope, la voce tirata dal dolore, "Dove si trova il Palladio?" chiese, avvolta nella nebbia più totale, segno evidente che Partenope stava risorgendo.
"Palladio?" si chiese Daphne, "Non abbiamo mai parlato di un Palladio!" esclamò a sé stessa, avvinghiata al petto di Bashir, il suo cuore che si metteva a fare tutti gli esercizi ginnici possibili per un muscolo fatto di carne e sangue.
Ulisse balbettò qualcosa, poco prima che si sentisse un botto e una lancia comparisse al centro del suo petto, una lancia fatta d'oro, stretta nelle mani di una statua di una donna alta più di dodici metri: Atena aveva ucciso il suo eroe preferito, esattamente come Ulisse aveva ucciso il figlio preferito di Atena.
L'equilibrio deve essere ristabilito.
Daphne non sapeva se fosse stata lei a parlare oppure mettere la mano sul fuoco perché quella voce era sicura appartenere a Nemesi, fatto sta che Ulisse cadde a terra, mentre la statua si dissolveva e la lancia di Atena cadeva a terra, unica arma possibile per uccidere Partenope.
Hope si avvicinò al corpo dell'eroe greco quando questo si dissolse in una leggera polvere gialla, raccogliendo la lancia con timore referenziale, proprio mentre la terra veniva scossa da un fremito inconcepibile e Daphne si tappasse le orecchie per non ascoltare il canto di rinascita della sirena: Partenope era lì, capelli splendidi, occhi ammaliatori da far invidia a sua madre.
Ed era lì in carne ed ossa.
E anche Hope cadde a terra, esangue.

 
[...]
 
Lia,
"It's dark Inside, it where my Demons hide"
 
 
Lia aveva voglia di urlare.
Partenope era risorta, Luke era morto, Warren era morto e adesso anche sua sorella Hope cadeva a terra, la lancia del Palladio di Atena stretta in pugno, il volto pallido, i capelli ingrigiti per chissà quale motivo: anche se tra le due non correva buon sangue, Lia si precipitò da lei, staccando teste e falciando corpi con la sua magia.
Nulla poteva fermarla.
Inciampò accanto ad Hope, poggiando il suo volto sulle sue gambe e chiudendo sua sorella ed Archie in una bolla difensiva che sperava avrebbe retto contro l'onda di demoni che si apprestavano a combattere, rinnovati dalla comparsa di Partenope.
E, stavolta, la sirena avrebbe preso parte ai giochi.
"Prendi la lancia." gracchiò Hope, porgendole l'asta lunga circa due metri, in legno finissimo, culminante con una punta d'argento, macchiata del sangue rosso di Ulisse, "È l'unica arma in grado di ucciderla."
Lia aveva voglia di piangere, ma le lacrime non salivano ai suoi occhi, non riusciva a lacrimare come una persona normale.
Poi ci pensò: lei non era normale, lei era una semidea.
"Vorrei ci fosse più tempo." mugugnò Hope, la voce tirata di fatica, "Ma la fine è vicina Lia. Scusami se non sono stata una buona sorella, per te."
La figlia di Ecate aveva voglia di prenderla a pugni.
"Perchè hai usato l'incantesimo di nostra madre?!" urlò, nel silenzio della bolla, sotto lo sguardo attonito di Archie, "Sapevi che poteva ucciderti!" protestò, mentre lei gli stringeva la mano con le sue ultime forze residue e sbarrava i suoi occhi in maniera decisa.
"Dovevo farlo." disse, ferma, "E poi, sorgi con un uomo ... " esclamò, poi più niente, i suoi occhi sbarrati su una distesa di stelle che non avrebbero mai potuto rivedere.
Il cielo tuonò.
"Muori con un eroe." terminò Lia che, per la prima volta, si lasciava avvicinare da Archie, le sue mani calde, i suoi ricci castani sudati e attaccati alla fronte, ma bello come sempre, vittorioso come sua madre, forte da riuscire a sollevare anche Lia, in quel  momento.
E fu allora che arrivarono, le lacrime.
"Lia." chiamò Archie, la voce preoccupata e dolce allo stesso momento: lei alzò lo sguardo bagnato sugli occhi caleidoscopici del figlio di Nike, riuscendo a frenare il flusso di lacrime.
"Dobbiamo vendicarla." disse. Lia annuì.
"Forza, allora!" la esortò lui, alzandosi e porgendole la mano, "Rispediamo il culo di quella stronza tra le fiamme del Tartaro!"
 
 
Quello che successe dopo, Lia non lo ricordò mai: era una furia, nel vero senso della parola.
Mattoni e pezzi di asfalto volavano da ogni parte, sciabole, coltelli e lance si infilzavano nei corpi cavernosi dei mostri, mentre i suoi amici le davano man bassa.
Oh si, lei avrebbe ucciso quella stronza di Partenope, fosse stata anche l'ultima cosa che avrebbe fatto: la lancia del Palladio brillava nelle sue mani, pronte per trafiggere il corpo di Partenope appena se ne fosse presentata l'occasione.
Schivò l'attacco di una dracena, pugnalandola alle spalle, mentre il suo avatar di fiamme a forma di leone sbranava e mordeva tutto ciò che trovava davanti a sé e, come in una sorta di danza pericolosa, si stava avvicinando sempre più alla sirena, passo dopo passo.
Partenope non faceva altro che ridere e Lia non capiva come non facesse a staccarsi la mandibola dalla faccia a furia di tutte quelle risate, ma immaginò che, seppur molto antica, Partenope fosse passata da un chirurgo plastico prima di tornare a fare botte sulla terra: anche se era la nemica in questione, Lia non poteva non dire che la sirena era bellissima.
Ok, era abbigliata in maniera molto osé e da battaglia, ma la figlia di Ecate avrebbe fatto carte false per quei capelli, quel viso e quelle gambe: si muoveva con grazia perfetta, ogni suo movimento era coordinato al respiro del vento, mentre le sue lame falciavano qualunque cose trovasse sul suo cammino.
Bene, Lia stava uscendo di testa se cominciava a pensare come una figlia di Afrodite in quel momento.
Quando fu a pochi metri da lei, cacciò quello che gli altri chiamarono urlo e lei, invece, riconobbe con l'ululato profondo di un lupo arrabbiato, molto arrabbiato: Archie era accanto a lei e, per la prima volta dopo settimane, giorni, Lia capì quanto tenesse a quel ragazzo, a quel suo sorriso da folletto, al suo temperamento folle e alla cotta che provava per lei.
Rise.
"In quanti siete rimasti?" chiese Partenope, schernendola e sorridendo nel suo solito modo perfetto, facendo finta di contare, "Ops, sette semidei contro di me? Solo sette?" chiese, trattenendo una risata sguaiata.
Lia fece tremare il terreno con la sua lancia.
"Dimentichi che io ho questa." disse, fredda, mentre il suo avatar a forma di leone si slanciava verso la sirena e veniva disintegrato.
Rise.
"Quella non è niente, se non sei in grado di usarla, figlia di Ecate." la derise, avvicinandosi di qualche passo, "Chi preferisci che muoia per primo, mia cara?" le chiese, "Visto che sei così combattiva posso farti l'onore di morire per ultima oppure ... renderti mia schiava, si, sarebbe perfetto, non credi?" domandò, buttandosi alle spalle la sua chioma bionda.
Lia strinse i denti.
"No, grazie. Non sono interessata alla tua richiesta, se vuoi saperlo." commentò, acida, la cosa che le riusciva meglio, "Ma mi faresti un grande favore se riportassi le tue chiappe nel Tartaro o ti spedirò io stessa e, credimi, farà male."
Partenope fece un suono di disapprovazione con la lingua.
"Ho capito, preferisci morire per prima." decretò, perdendo tutta la sua grazia, "Ti accontento."
Fu su Lia prima che lei potesse pronunciare un qualsiasi incantesimo di difesa, atterrandola e cadendole sopra, la spada a pochi centrimetri dal suo collo, poco prima che Lia non la facesse sobbalzare e schiantare contro una delle colonne portanti del ponte su cui avevano combattuto.
La sirena partì di nuovo all'attacco, mentre Lia proibiva ad Archie di aiutarla in alcun modo.
"Me la caverò." promise, cospargendo il ponte di piante velenose che non fecero nemmeno il solletico, alla sua nemica.
"Vuoi il gioco duro?" le chiese lei.
"Accomodati." rispose Lia.
Le loro lame cozzarono l'una contro l'altra: Lia, seppur non era molto esperta nel combattimento con la lancia, riuscì a tenerle testa, arrivando quasi al suo cuore, venendo sbalzata, poi, oltre la visuale della sirena.
Sputò saliva mista a sangue e caricò di nuovo, quando Archie la superò di corsa e si fiondò contro la sirena, strizzandole l'occhio: Lia avrebbe voluto ucciderlo, ma si proibì di pensare alla sua morte dato che aveva già perso troppo amici e non poteva perdere anche lui.
Archie era un degno figlio di Nike: in poco tempo riuscì a destabilizzare la sirena, anche se lei era molto veloce, e fece sfuttare a Lia un'istante, un unico istante, per lanciare la lancia.
La figlia di Ecate seguì la traettoria con lo sguardo, pregando gli dei che funzionasse, quando tutto andò storto: Archie venne sbalzato via, Partenope afferrò la lancia e la strinse in pugno, spezzandone l'asta e gettandola a terra.
"Ve l'avevo detto che non c'era speranza."
Speranza.
Quando il mondo sembrò farsi tutto buio, Lia intravide un barlume di speranza, un unico barlume di speranza, riposto in Selene: la figlia di Morfeo sfrecciò sull'asfalto, afferrrando la punta della lancia e conficcandola nelle spalle di Partenope.
Il terrore fu l'unica emozione che si dipinse sul volto della sirena, poco prima che cadesse a terra e svanisse, lasciando solo la sua carcassa come spoglia di guerra.
Un grido di vittoria accompagnò la sua dipartita: era finita, era davvero finita.
 
 

 
Epilogo
 
 
Gli addi furono tanti, troppi, forse: bruciarono i drappi di Warren, rosso con il chinghiale nero, quello grigio di Luke e uno viola per Hope. Le fiamme del falò erano nere, così come l'umore del campo.
Anche Chirone non aveva voglia di scherzare, com'era il suo solito.
Daphne e Bashir poterono finalmente stare insieme e il figlio di Tanato convinse la figlia di Afrodite a trasferirsi al Cairo, la sua terra natale, lasciando il campo per sempre.
Lia ed Archie si buttarono in una relazione nuova, per loro, lasciando che il tempo decidesse se questa potesse durare o meno, anche se Lia era convinta che fosse davvero così visto che non era mai stata al settimo cielo come allora.
Jake e Liz si trasferirono a New York, sufficientemente vicini al campo, ma in modo che avessero la possibilità di vivere una vita tutta loro: ebbero due bambini, uno albino come il padre, l'altra mora come la madre.
Vissero assieme per lungo tempo.
E Selene?
Lei è sempre rimasta al campo, a ricordare ai novellini quella storica battaglia in cui perì il suo amato Warren e in cui lei perse per sempre la sua unica occasione di scoprire l'amore.
 
 
The End.
 
- - - 
 
*panda's corner*
Oddio, scusate se vi ho fatto aspettare così tanto, ma ... eccomi qui çwç
Questo è davvero l'ultimo capitolo.
Non so quanta gente si fili ancora questa storia, ma io ci ho messo tutto me stesso per scriverla e per concluderla ed è la prima, gente, la prima che termino!
Quindi non posso non essere felicissimo :D Ok, ho fatto morire 3 personaggi su 10, ma amatemi xD Ne dovevo far morire 4, quindi u.u
Non so che altro dire: non mi sono mai piaciuti gli addi, ma, effettivamente, anche se virtuale, questo è un addio çwç
Sono trascorsi 4 mesi da quando ho cominciato questa storia e non posso non ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito, preferito, ricordato o semplicemente letto silenziosamente .____.
Mi mancherete tantissimo :( E poi non sto piangendo, mi è solo entrata Nagini in un occhio ç_____ç
Grazie di tutto e ... goodbye :3

 
  
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