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Autore: Ariadne Oliver    19/08/2014    1 recensioni
"I ritratti non sopravvivono a lungo quanto la gloria dell'uomo che raffigurano o la grandezza della città che ha edificato. A meno che non siano incisi su un supporto prezioso che non possa essere riutilizzato. Per questo scelgo le gemme. Chi potrebbe mai fondere un'ametista?"
Conversazione immaginaria tra Cesare Augusto e Gaio Cilnio Mecenate.
Genere: Generale, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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-Ho sempre apprezzato il tuo rimanere nell'ombra, ma un ritratto così piccolo...
-Ritratto su gemma, mio Imperatore. Piccoli segni incisi su superfici preziose. 
-Ti ritenevo un amante del bello.
-Lo sono. E di ciò che è eterno. Per questo rifuggo il marmo.
-Il marmo non è eterno? Attento a quel che dici, mio caro Mecenate: se non ti conoscessi da così tanto direi che stai offendendo il lavoro che abbiamo fatto assieme per la nostra amata Roma.

È raro osservare i tratti del viso del princeps rilassati: Mecenate è uno dei pochi che ha potuto goderne in più occasioni, senza farne un vanto inopportuno. Cesare Augusto si è adattato fin da adolescente alla maschera che voleva venisse tramandata di lui, curve spigolose su bianco marmo di Luni.
Luce assoluta e tracce di colore che non ammettono sfumature.
Eppure eccolo lì a imitare il sorriso dell'adolescente timido e malaticcio che conobbe ad Apollonia, una smorfia così goffa e spontanea da risultare, per contrasto, aggraziata, come tutto era aggraziato in quella creatura così fuori del comune, a cui Mecenate sentì di dovere lealtà assoluta fin dal primo istante.

-La tua Roma sopravviverà a ogni epoca. Chi potrebbe saperlo meglio di noi? Ma un umile blocco di marmo, invece... la sua fine è, spesso, la caldara. La cottura e la trasformazione in calce viva. I ritratti non sopravvivono a lungo quanto la gloria dell'uomo che raffigurano o la grandezza della città che ha edificato. A meno che non siano incisi su un supporto prezioso che non possa essere riutilizzato. Per questo scelgo le gemme. Chi potrebbe mai fondere un'ametista?
-Già. Chi mai potrebbe?

Cesare Augusto sposta lo sguardo verso il mare, facendosi più assorto man mano che, assieme alla linea dell'orizzonte, la mente insegue vecchi ricordi.
Una volta, scherzando, Agrippa gli ha detto che Mecenate è apparso nelle loro vite come uno spirito: nessuno ricorda bene quando e perché; a lungo si è dubitato del suo fine.
Eppure la sua lealtà è sempre stata limpida, e l'affetto sincero.
Se dèi sono quelli che lo hanno mandato, Cesare Augusto si dice che sono dèi benevoli.
Dopotutto non è stato Mecenate il primo a chiamarlo Apollo incarnato, durante i loro scherzi?

-Un ritratto piccolo ed essenziale: potessi riassumere anch'io in così poco l'eredità che vorrei lasciare ai posteri! Ci sei tu, in questi tratti, eppure mi pare che non riescano a contenerti.
-Contenere non è ciò che si chiede a un artigiano.

Mecenate ha sempre usato un certo riguardo nel correggere l'amico, non solo per rispetto nei confronti del ruolo e del rango, ma perché ha sempre ritenuto di dovergli restituire, in parte, quella dolcezza che la vita gli ha negato.

-Suggerire, piuttosto: un ritratto ben riuscito permette a chi lo osserva di immaginare il soggetto come se fosse proprio davanti ai suoi occhi. Non è solo una questione di realismo o di precisione dei dettagli, ma di essenza. Che la mia risieda nel lusso è una cosa che vi siete sempre divertiti a rinfacciarmi tu e Agrippa, se la memoria non mi inganna.

Cesare Augusto è grato a Mecenate per le libertà che ama prendersi durante le loro conversazioni private, come quella di punzecchiarlo. O di punzecchiare Agrippa, costringendolo a dare sfogo ai tormenti che, con stoicismo, era solito tenersi dentro.
Il suo sole e la sua luna, così li ha sempre considerati.

E per loro io cosa sono? Il cielo? Eppure volevo essere nuvola. Una nuvola leggera che danza loro attorno.

-Tu sei sempre stato fin troppo bravo a simulare, Mecenate. O a dissimulare a seconda della convenienza. I segni incisi sulla gemma sono ciò che vuoi crediamo di te, esattamente come i poemi che commissioni ai tuoi protetti, e di cui non ti sarò mai abbastanza grato.
-Quindi dici che siamo più simili di quanto pensi?
-Per quale altro motivo la nostra amicizia avrebbe retto così a lungo, altrimenti?

Mecenate vorrebbe ribattere ricordando le gelosie di Agrippa, ma evita pensando che si tratterebbe di una cattiveria gratuita da parte sua.
Il generale è il più vulnerabile tra loro, il più fragile e sincero, a dispetto di quel che potrebbe suggerire l'aspetto imponente.
E il bene che vuole a Cesare Augusto è viscerale, tanto che le sue paure lo hanno confermato, più che metterlo in discussione.

-Se Agrippa fosse qui con noi ci avrebbe rimproverato di smettere.

Non può fare a meno di notare Mecenate.

-Ma solo perché si starebbe chiedendo cosa significhi il fatto che lui non sia come noi.

Aggiunge il princeps, curvando le labbra nel suo sorriso più malinconico.
Il suo sole è lontano, a muovere guerra ai Parti.

E quindi sì, io sono nuvola. La nuvola che ha offuscato il sole e non voleva

Mecenate comprende che il discorso sta deviando verso un terreno accidentato per entrambi, e tenta di riportarlo altrove.
Ma Cesare Augusto non lo sente.
In verità non lo ha mai fatto realmente: come Apollo, egli è un mistero impenetrabile.
Solo il pallido candore del marmo lunense si avvicina alla sua essenza, più dei tratti che vi sono scolpiti.

   
 
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