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Autore: Ari_92    20/08/2014    12 recensioni
Blaine e Kurt; un aspirante scrittore che ha perso l’ispirazione e un futuro studente della NYADA con un sorriso abbastanza convincente da mascherare i brutti ricordi. Le loro strade si incrociano per caso e finiscono per intrecciarsi a mezz’aria in un equilibrio precario. È una caduta a farli incontrare; sono le pagine di un quaderno a raccontarli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Santana Lopez, Wesley Montgomery | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo mesi e mesi di silenzio stampa poter tornare a pubblicare è un gran sospiro di sollievo. Mi è mancato tanto il mondo di EFP e soprattutto mi è mancato condividere storie con voi, compresa la piccola grande ansia di quando mi avventuro in una nuova long come sto facendo ora *il terrore cresce*.
Prima di tutto qualche nota di regia: la storia avrà una ventina di capitoli o poco più (attualmente sto scrivendo il diciottesimo) e gli aggiornamenti per ora saranno settimanali, ma è facile che a breve diventino più frequenti.
Per quanto riguarda invece la fanfiction in sé, si tratta di una AU quindi come potrete immaginare i personaggi non sono particolarmente IC. Forse Kurt lo è di più; in Blaine invece ho enfatizzato quel lato insicuro e vulnerabile che è venuto alla luce nelle ultime stagioni, ma ripeto: essendo le circostanze molto diverse sono per forza dovuti risultare un po’ OOC, almeno inizialmente. Spero non lo troverete eccessivo e di non aver stravolto completamente i personaggi originali *parte il girone di pare mentali*.
Fatte queste piccole precisazioni sparisco nella nebbia e vi lascio alla lettura, come sempre in preda alla veneranda e terribile ansia-da-nuova-long. Spero davvero che vi piaccia ;-;
Per qualunque cosa, qui c’è la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl e qui il mio ask: http://ask.fm/Nonzy9
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere, e alla prossima. <3
 
 
 
 

 
 
 
 
Capitolo I
 

Era una calda notte di luglio quando accadde per la prima volta. Mona non aveva mai visto niente del genere prima di quel momento: un’immensa sagoma trasparente fluttuava ai piedi del suo letto
 
Schifo.
 
Accadde per la prima volta in una calda notte di luglio. Mona non aveva mai visto niente del genere prima di allora: una gigantesca sagoma trasparente fluttuava in fondo al suo letto
 
Schifo schifissimo. Perde la pazienza.
 
Era luglio, faceva caldo e la cacchio di Mona – che comunque è un personaggio interessante quanto una piastrella del pavimento del mio bagno – ha visto un cacchio di fantasma. Viva l’originalità.
 
La cosa triste è che aveva anche impiegato parecchio a pensare alla similitudine della piastrella del pavimento del bagno. Si odia per questo. Naturalmente chiude con rassegnazione la schermata senza salvare un accidente: più o meno quello che fa da tre mesi a quella parte. Abbassa il monitor del portatile perché a) ormai ci vede doppio, b) se sta accesa per troppo tempo la batteria si surriscalda e il computer muore e c) sta seriamente detestando Mona. Mettere via il computer però si rivela un grande errore perché si ritrova costretto ad intercettare la sua immagine riflessa nello specchio che ha di fronte al letto: in confronto a lui il fantasma di Mona è il ritratto della salute. Si passa una mano tra i capelli ingarbugliati, constatando che neanche la montatura spessa degli occhiali riesce a nascondere le sue occhiaie. È bianco e viola e fa anche più schifo delle cose che scrive.
 
Blaine non è mai stato un sognatore. Beh, lo è, ma non il genere wow, realizzerò il mio sogno domani e dopodomani sarò famoso e comprerò un’isola delle Hawaii. È più il tipo con i piedi per terra – molto per terra – e la testa sulle spalle – molto sulle spalle – che sa di avere talento e sa che dovrà faticare come un cane per ottenere qualche minimo risultato, ma alla fine sfonderà e se proprio non un’isola delle Hawaii almeno potrà comprarsi un appartamento tutto per lui e magari un computer che funziona. E sarebbe andato tutto bene se il suo talento non avesse deciso di abbandonarlo. Non sa come sia successo: ha appena finito il liceo tra le lodi del suo professore di Inglese che lo ritiene una specie di mago della scrittura, e ora che ha finalmente tempo per mettersi a fare il mago viene fuori che non è neanche un prestigiatore. Non è neanche uno di quei tizi tristissimi che fanno il trucco della monetina dietro all’orecchio, in realtà.
 
Tutto questo lo fa sentire male. Gli viene automatico associare ogni cosa a “male” o a “bene”, perché è più o meno quello che aveva fatto il suo psicologo per tutto il periodo in cui i suoi genitori lo avevano forzato ad andarci – Blaine ha letto abbastanza libri sull’argomento da poter dire che quel tale era un completo incapace con i suoi male, bene, felice, triste e gli immancabili “perché non ti fai nuovi amici, Blaine?” o “come ti fa sentire pranzare sempre per conto tuo, Blaine?”.
Ad ogni modo un pomeriggio come forma di protesta aveva chiuso a chiave tutti gli armadi della casa, nascosto le chiavi in un cassetto e si era fatto trovare in mutande sul suo letto, dichiarando che non aveva intenzione di andare da quel tizio mai più e che non potevano farlo uscire di casa in mutande. Incredibilmente funzionò. Non che Blaine si sia sentito più felice una volta finita la sua terapia o presunta tale. Ma in fondo non era felice neanche prima né tantomeno durante, quindi il problema non si pone.
 
Sta giusto meditando se sia il caso o meno di andare a farsi un caffè prima di tornare alla sua stupidissima Mona quando il cellulare inizia a squillare. Per un lungo momento ne è sorpreso, poi va per esclusione: ha quattro persone in rubrica, due delle quali non gli hanno mai telefonato – suo padre e suo fratello – e la terza sta lavorando – sua madre. Quindi a meno che non abbiano sbagliato numero...
«Pronto?»
«Blaaaine! Che fai di bello?»
«St- »
«Ah beh, certo. Stai scrivendo. Come va con il tuo giallo?» Blaine sospira.
«Non è più un giallo. È una specie di horror adesso. Ma comunque non cambia perché i personaggi continuano a fare schifo.» Lo informa, pensando inevitabilmente a Mona. Mona fa davvero schifo e non è neanche uno stereotipo: è un personaggio che ha pensato e costruito, solo che lo ha pensato e costruito da schifo. Segue una piccola pausa.
«Io continuo a dire che pretendi troppo da te stesso.»
«Wes, non è che pretendo troppo. Scrivo una cosa e la rileggo sperando che non sia troppo banale o stupida o non interessante, ma ogni singola volta lo è.»
«Hai provato con un bel C’era una volta?» Blaine scuote la testa, mentre si butta di schiena sul letto mancando il suo portatile di pochi centimetri.
«Quale cavolo di libro inizia in quel modo?»
«Tutti i migliori.»
«Wes...»
«Senti: quello che ti ci vuole è un po’ di svago. È ovvio che non riesci a scrivere nulla di decente se ti autoconfini in casa per settimane. Devi distrarti un po’.» Blaine sa perfettamente dove vuole andare a parare. Hanno una conversazione di quel tipo più o meno ogni weekend.
«Non ci vengo. Di qualunque festa si tratti.» A volte si stupisce di come riesce ad esasperarlo ogni singola volta.
«E dai Blaine! Devi divertirti un po’, devi conoscere gente nuova- »
«Mi diverto benissimo da solo e no, non devo.» Sa già come si concluderà quella conversazione.
«Beh, vaffanculo.» Appunto.
«Grazie. Ciao.» Ma Wes ha già riattaccato senza nemmeno stare a sentire i suoi sentiti ringraziamenti, né tantomeno i saluti.
 
Non lo fa per cattiveria: non vuole litigare, semplicemente è stanco del fatto che ogni singola persona che conosce – e ne conosce davvero pochissime – non trovi niente di meglio da dire delle solite quattro banalità sul fatto che deve uscire, comportarsi da adolescente normale e blablabla. Si è evitato quattro anni di stupidissime feste liceali e non ha intenzione di infrangere il suo record proprio ora che si è diplomato. Perché è così difficile per loro accettare che a lui va bene così? Perché non può preferire stare in casa piuttosto che andare fuori senza dover andare da uno strizzacervelli che gli intima di uscire con degli amici che non ha? Blaine si impone di smettere di pensarci, perché quello è il genere di cose che riesce a deprimerlo ancora di più della caratterizzazione di Mona. Riaccende il computer.
Un giorno il suo stupido ex psicologo andrà in libreria e leggerà il suo nome stampato sulla copertina di un bestseller e allora non avrà più importanza come lo faceva sentire pranzare sempre per conto suo perché sarebbe stato lui a vincere, alla fine.
 
 
*
 
 
«Questa festa fa schifo.» Alla quarta volta che Santana glielo ripete Kurt inizia seriamente a perdere gli ultimi sprazzi della sua pazienza, già provata dal fatto che effettivamente quella festa fa davvero schifo. Non sa neanche perché ha deciso di andarci; perché decideva sempre di andarci. Butta giù un sorso del drink che gli ha portato Santana.
«Stasera sei proprio di compagnia.» Kurt non risponde. Altro drink.
«Va bene, come vuoi. Io vado a cercare qualcuno da rimorchiare mentre tu fai il depresso.» Non sta facendo il depresso, semplicemente al momento non gli va di fare conversazione. Santana rientra nella casa del tizio che ha dato la festa – Kurt non ha idea di chi sia – e lui rimane nel cortile sul retro. Aggira la piscina vuota – è ottobre dopotutto – e si appoggia al tronco di un albero per finire il suo stupido drink.
 
Gli piace stare lì. Gli piace ascoltare il suono ovattato della musica che rimbomba dentro la casa e gli piacciono tutti i coglioni seduti con la faccia in mezzo alle ginocchia in attesa del prossimo conato di vomito: lui può rimanere lì a sentire l’aria fresca appoggiato al suo albero ed è libero di fare qualunque cosa. Può andarsene, può restare, può o meno raggiungere Santana e può fare ciò che sta facendo: crogiolarsi nelle sue possibilità e finire il suo drink sperando di non vedere nessuno che conosce.
 
 
*
 
 
Non sarebbe dovuto venire. Lo sapeva. Odia Wes per quello che gli ha fatto e odia se stesso per essere una persona così schifosamente suscettibile alle parole in generale – una pecca degli aspiranti scrittori, immagina.
Lo ha colto alla sprovvista, con quel suo stupido sms. Gli aveva appena detto vaffanculo, e due minuti dopo se ne era uscito con “Credo di sapere qual è il tuo problema. Le tue storie fanno schifo perché la TUA storia fa schifo. Come pretendi di raccontare qualcosa di decente se non hai mai fatto niente? Non hai mai litigato con nessuno, non hai mai avuto una ragazza, non hai praticamente mai messo il naso fuori di casa! Devi vivere Cristo santo, per forza che scrivi cose schifose. Non sai come sono le cose.”
E lui è stato tanto deficiente da pensare che fosse una buona idea. Lo sa che non è portato per quella roba. Lui sa scrivere, è questo che sa fare. Ridere con gli altri, fare il simpatico e andare alle feste sono cose che non sa fare. E infatti adesso sta barcollando come un idiota perché Wes gli ha detto che per trovare una trama doveva bere una birra ed evidentemente tra le cose che non sa fare c’è anche reggere l’alcol. Nel suo tentativo di andare il più lontano possibile da quella musica infernale approda in una specie di cortile. Guarda alla sua destra e si mette a ridere.
 
«Anche io tra poco vomiterò come questa gente.» Alcuni lo guardano. Ha il terribile sospetto di averlo detto ad alta voce.
«La mia vita fa schifo.» Questo è sicuro di averlo detto ad alta voce. Nessuno lo sta più considerando.
«Mona fa schifo.» Aggiunge. Poi lo ripete più forte. Ha tutti i muscoli mollicci. Non saprebbe dirlo diversamente: sono mollicci. Avanza di qualche passo con i suoi muscoli mollicci e scopre che la sua testa è leggera come non lo è mai stata. Non sente neanche la montatura degli occhiali sul naso, o i capelli in testa. A un certo punto c’è un rettangolo enorme e vuoto. Una piscina vuota, non coperta. Immagina che in un possibile thriller l’assassino potrebbe mettere i cadaveri in una piscina, e poi coprirla.
È una trama così brutta che si arrabbia ancora di più con Wes. Vivere non aiuta a tirare fuori trame migliori, è lui che non sa scrivere. E neanche vivere. E dove diavolo è Wes? Arranca di qualche altro passo: può anche essere molliccio e leggero ma la verità è che sta malissimo e che quello non è lui. Se ha mai fatto qualcosa di giusto nella sua vita – inutile, triste, sprecata – è non tradire mai se stesso. Mai. E adesso che lo sta facendo si sente meno felice del solito e di solito non è affatto felice. Arriva di fronte alla piscina vuota e guarda giù, sorridendo alle mattonelle azzurrine del fondale; poi alza la testa – testa leggera, senza occhiali e senza capelli – e tutto d’un tratto non è più molliccio, né leggero.
 
C’era una volta una festa schifosa, dei tizi che vomitavano e una piscina vuota che non andava bene per raccogliere i cadaveri di un serial killer. E poi c’era un ragazzo che
 
No. Non ordine cronologico. Ordine di importanza.
 
C’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con un bicchiere vuoto in una mano e lo sguardo rivolto verso le stelle. Guardava il cielo come si guarda la faccia di un vecchio amico. Non era la sua figura incantevole o il suo atteggiamento a renderlo bellissimo. Era più il suo essere fuori e dentro quella realtà. Il fatto che non guardava il cielo, ma lo sfidava.
 
Le parole erano affiorate una ad una nella sua testa come se non avessero potuto farne a meno. Come le reazioni chimiche, o quegli stormi di uccelli dove quando uno si alza in volo subito anche tutti gli altri lo seguono. Sa solo di volerlo vedere più da vicino. È una sagoma dai contorni poco definiti che gli fluttua davanti agli occhi e lui vuole-
Male. Molto male. Ginocchio, mano e sedere. Davanti a lui adesso c’è una sconfinata galassia di piastrelle azzurre e sotto di lui ci sono dei bicchieri accartocciati, pezzetti di cibo e altre schifezze puzzolenti. È caduto nella piscina scoperta. È per evitare che la gente ci cada dentro che chiudono le piscine, Cristo santo. Può essere che un pezzo di qualcosa di tagliente di almeno cinque centimetri gli si sia piantato nel ginocchio per quanto ne sa, perché gli fa veramente male male male.
 
«La mia vita fa schifo.» Ripete alla piscina. «La mia vita fa schifo e non ho più una gamba.»
«Ehi! Sei tutto intero?» Blaine guarda in su. Capisce che è il ragazzo che stava fissando prima di cadere nella cavolo di piscina solo perché ha ancora il suo bicchiere in mano. Ha rovinato il quadro più bello e meraviglioso di tutta quella serata schifosa, con la sua stupida caduta. Lo ha distolto dalla sua sfida al cielo e si odia per questo. Si odia per tante cose. Fissa il ragazzo. O almeno la patina offuscata che deve pur essere un ragazzo, dato che può parlare.
«No. Non sono intero.» Il tizio rimane fermo un secondo, poi si sta muovendo. Blaine è troppo stanco per seguirlo con lo sguardo.
«Riesci a muoverti?» Non ci prova neanche.
«Non voglio provarci.» Sente un rumore metallico.
«Beh, devi.»
«No, non devo.» Tutto a un tratto sente qualcosa sulla sua gamba. Scalcia in aria.
«Stai fermo! Stai sanguinando. Ma mi vedi?»
«Ah.» Blaine smette di agitarsi e quel tizio che inspiegabilmente ora si trova a sua volta sul fondo della piscina riprende ad armeggiare con i suoi pantaloni in modo da arrotolarli fino al ginocchio. Apre meglio gli occhi. «No. Non vedo.»
Sente il ragazzo che sbuffa.
«Non potevi semplicemente vomitare sul prato come tutti gli altri, vero? Questi sono tuoi?»
«Questi cosa?» Altro sbuffo. Un attimo dopo sente qualcosa di plasticoso e freddo provare a incastrarsi dietro alle sue orecchie. Pensa al fatto che è difficile mettere gli occhiali a qualcun altro, così lo aiuta. Ora ci vede. “Plasticoso” non è neanche una parola.
«Mi devono essere caduti mentre, sai, cadevo.»
«Il ginocchio te lo sei sbucciato, ricordati solo di disinfettartelo quando arrivi a casa. Hai male da qualche altra parte?»
«Alla mano.»
«Fammi vedere.» Una mano gli viene presa in fretta. Poi mollata, perché è quella sbagliata. Allora gli viene presa l’altra, girata e ispezionata per qualche secondo e mollata di nuovo.
«Hai un taglietto. Sanguina ma non è niente di che. Stringi la mano intorno a, uhm...» lo sente muoversi, poi gli mette in mano qualcosa di morbido «Questo.»
Blaine obbedisce e tiene per mano un fazzoletto probabilmente sporco sul fondo di una piscina vuota perché glielo ha detto uno sconosciuto.
 
Forse è il momento di aprire gli occhi. Lo fa e guarda dritto davanti a sé, dove un ragazzo se ne sta seduto a gambe incrociate e cerca di non ridergli in faccia. Blaine lo guarda. Uno, due secondi.
«Wow.»
«Cosa?» Blaine gli sorride.
«Sei il genere di persona che guarda il cielo, salva la gente che cade nelle piscine scoperte e che ha la pelle chiara senza sembrare malaticcio.» Il ragazzo inarca le sopracciglia. Sembra sinceramente divertito.
«Quanto hai bevuto, esattamente?»
«E poi sei molto molto molto bello. Ma proprio molto.» Adesso sta proprio ridendo. Blaine ride a sua volta anche se non capisce bene che cosa ci sia di tanto divertente.
«E comunque ho bevuto solo una birra.»
«Sei proprio sicuro che fosse birra?» Blaine ci pensa. No. Non ne è sicuro per niente.
«Non sono sicuro per niente.» Il ragazzo gli prende una caviglia e gli fa tenere la gamba infortunata leggermente piegata. Il ragazzo-
«Com’è che ti chiami?» Lui gli rivolge un mezzo sorriso che Blaine riesce a trovare sexy. Non sa come sia possibile trovare sexy qualsiasi qualcosa in mezzo a cibo schifoso e bibite mezze vuote e appiccicaticce, ma ci riesce.
«Una cosa alla volta. Te lo dirò se te lo sarai meritato.»
«Okay, ma fino ad allora posso darti un soprannome? Altrimenti non so come pensarti nella mia testa. Credo che ti chiamerò Colin.» Non-Colin adesso sta ridendo ancora di più.
«E Colin sia. Allora, che ci fai sul fondo di una piscina vuota, Aaron?»
«Chi è Aaron?»
«Sei tu. Ti stavo dando un soprannome.»
«Oh! Okay. Non faccio niente. Ero venuto a questa festa perché il mio stupido amico mi ha detto che era l’unico modo per ritrovare la mia ispirazione- »
«Ispirazione per cosa?»
«Scrivere.» Non-Colin sembra interessato. Non-Colin sembra bellissimo.
 
«Che cosa scrivi?» Blaine alza le spalle, come se non gli importasse. In realtà gli importa, è solo che vuole fare colpo su Non-Colin e pensa che l’atteggiamento menefreghista potrebbe aiutarlo.
«Quel che capita. Ma ultimamente faccio schifo. La mia vita fa schifo.»
«Shh, stavi andando così bene fino ad ora. L’autocommiserazione non è sexy.» Gli dice Non-Colin. Blaine pensa che ha ragione.
«Okay. C’è questo personaggio schifoso, Mona. Ci ho messo secoli a costruirla e adesso provo a piazzarla nelle cose che scrivo ma purtroppo Mona è la noia personificata.» Non-Colin annuisce e sembra divertito.
«Non le fai spesso queste cose, eh Aaron?»
«Quali cose?»
«Ubriacarti, andare alle feste... Non sembra il tuo genere di cose.»
«Non sarò mai abbastanza interessante e non mi dirai mai come ti chiami. Che schifo. Voglio scrivere.» Non-Colin gli sorride.
«Vuoi che ti aiuti a cercare il tuo amico così puoi andare a casa?» Blaine scuote la testa.
«No. Intendo- scrivere. Qui, adesso. Sul fondo marcio di una piscina. Mi aiuti? È nella tasca dei miei pantaloni.» Si riferisce al blocchetto e alla penna. Non esce mai di casa senza il blocchetto e la penna, perché ha letto da qualche parte che è così che fanno i veri scrittori: l’ispirazione può colpire da un momento all’altro e non ci si può far trovare impreparati. La sua ispirazione ultimamente è semplicemente inesistente, ma comunque. Spiega tutto questo a Non-Colin, che inarca di nuovo le sopracciglia.
«Non sei così ubriaco né così ferito da non poterlo prendere da solo. Comunque okay, lo prendo io.» E così ha la mano di Non-Colin in tasca e un attimo dopo ha il suo libretto in mano. Blaine sorride stupidamente nel vederlo.
«Allora dicevi sul serio, sei davvero uno scrittore.»
«Aspirante scrittore. E comunque potrei essere solo uno che è caduto in una piscina e che casualmente aveva un blocchetto in tasca. Ma comunque, scrivi se ti detto?»
«Devo scrivere io?» Blaine sventola la sua mano ferita a mo’ di giustificazione. Non-Colin alza gli occhi al cielo, ma è ancora interessato. Blaine se la cava a capire queste cose perché okay: non ha molta esperienza diretta con le persone, ma le ha studiate per poterci scrivere sopra qualcosa di verosimile. Non che funzioni molto. Ma comunque è abbastanza fiducioso che Non-Colin finirà per dirgli il suo vero nome.
«Vai.»
«Okay, uhm- scrivi: c’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con lo sguardo rivolto verso le stelle.»
«Quale cavolo di libro inizia con C’era una volta
«Tutti i migliori.» Risponde in automatico. La frase di Wes gli era rimasta impressa e non sa neanche perché. Fatto sta che Non-Colin gli sta sorridendo in un modo diverso da come gli ha sorriso tutte le volte precedenti. Forse adesso nel suo livello di considerazione è un gradino più su che “l’idiota che è caduto in una piscina vuota”.
 
«Sei strano, Aaron.»
«Vorrei che tornassi a guardare in su come stavi facendo prima. Prima che cadessi in piscina intendo.» Gli dice. E poi si rende conto di essere nel bel mezzo di uno di quei momenti in cui dopo non aver vissuto per tanto tempo vivi vivi e vivi tutto in una volta. E lui si sente vivissimo sul fondo lercio di una piscina con il corpo dolorante e in compagnia di Non-Colin. Glielo dice ma non riesce a decifrare la sua reazione. Dopotutto fa abbastanza schifo nelle interazioni sociali.
«Però adesso ho tanto sonno e vorrei dormire.» Più che altro il suo è un avviso, perché un secondo dopo ha già gli occhi chiusi e la testa appoggiata contro la parete di piastrelle e sente che ne basteranno pochi altri prima che sia completamente andato.
 
 
*
 
 
Blaine non sa dov’è, che giorno è e nemmeno chi è. Prova a pensarci: letto fin troppo morbido, cuscino fin troppo duro, luce solare che proviene da destra; deve essere la sua stanza. A giudicare dal mal di testa dovrebbe essere il giorno successivo a quello in cui si è ubriacato per la prima volta senza neanche farlo apposta, perché Wes gli ha rifilato quella birra che probabilmente non era birra neanche un po’. E lui è un totale imbecille. Le cose vanno già meglio.
Strizza le palpebre e aggrotta le sopracciglia; nel farlo sente uno strano rumore di carta stropicciata. Ed è più o meno in quel momento che si accorge di avere un post-it sulla fronte: “Chiamami appena ti svegli, razza di idiota. Wes”
 
Blaine si rende conto di un po’ di cose alla volta. Prima di tutto che è ancora totalmente vestito e totalmente sporco, che il suo ginocchio gli fa ancora male e anche la mano perché- oh, la piscina. Era caduto in piscina perché- Non-Colin. Non sapeva il nome di Non-Colin e con lui si era sentito vivo, vivissimo e la sua vita non aveva fatto schifo e wow probabilmente era tutta una sua elucubrazione della sera prima dovuta all’influsso dell’alcol. Eppure... Eppure a Blaine è piaciuto Non-Colin, per quel poco che ricorda. Ad esempio aveva provato a risultargli simpatico, cosa che non si sforza mai di fare con nessuno, quindi doveva aver pensato che ne valesse la pena. Si sforza di mettersi a sedere e mentre lo fa si accorge delle orribili condizioni in cui verte il suo ginocchio – i pantaloni sono ancora arrotolati – e una biro gli scivola fuori dalla tasca finendo sul pavimento. Questo fa tornare in mente a Blaine una manciata di altre cose. Si infila la mano in tasca e trova il blocchetto degli appunti. Lo apre e trova scritto quanto segue:
 
C’era una volta un ragazzo che se ne stava appoggiato a un albero, con lo sguardo rivolto verso le stelle... E ti sei addormentato.
 
Le rose sono rosse,
Le viole sono blu,
Nessuno tira culate in piscina
Come sai fare tu.
 
(Lo so: è bellissima, ma è mia. Non rubarmela.) Kurt.

 
E poi c’è una serie di numeri uno dopo l’altro. Non che Blaine sia un asso in queste cose, ma sembra proprio che Kurt – Kurt Kurt Kurt, ecco come si chiama – gli abbia lasciato il suo numero.
  
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