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Autore: Velvetoscar    21/08/2014    6 recensioni
Louis, con suo sommo orrore, frequenta un'università d'élite in cui Zayn Malik è un nome che conta, Niall Horan non sta zitto un momento, ci sono pianoforti dappertutto, e Harry Styles, l'unico figlio maschio di un ex cantante rock strafatto e pazzo clinico, ha un sorriso perfetto e due occhi spenti. [Larry/minor-Ziam]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NdT. Devo ammettere che non credevo sarei arrivata fino in fondo a pubblicare questa traduzione (se pensavate di sapere cos'era la procrastinazione, vi sbagliavate: piacere di conoscervi, l'unica cosa che ho mai portato a termine nella mia vita sono gli studi fino alla maturità e la mia collezione di figurine delle Bratz in quarta/quinta elementare. Manco un diario segreto intero – tutti a pagina tre, si fermano), eppure eccomi qui! 

Questa fanfiction l'avranno a questo punto letta tutti i nostri alberi genealogici visto che è finita a inizio 2014 e ne hanno parlato ovunque; ma che vi devo dire, avevo chiesto di tradurla nel lontano dicembre '13 (invece di studiare linguistica) perché mi ci ero affezionata tanto e da brava studentessa di lingue avevo voglia di cimentarmi nella mia prima traduzione. Scegliere una cosina piccina da 1000 parole sarebbe stato da codardi, eh, 200000 massì mica c'ho gli esami a settembre, io. 

COMUNQUE. 

Dalle note dell'autrice (il genio, l'insuperabile, ci-sposeremo-a-un-concerto-degli-1D, si-vede-che-la-stalkero-su-tumblr? mizzwilde/Velvetoscar/Claire): la storia è liberamente ispirata a Ritorno a Brideshead (Brideshead Revisited), ma proprio giusto la parte iniziale, e alcuni nomi di genitori e parenti sono stati cambiati, principalmente - dice lei - perché non le andava di mischiare questi personaggi con le persone realmente esistenti. In altre parole: è una storia di finzione, tutto ciò non è mai accaduto, questi personaggi queste cose non le hanno mai fatte (e io piango). 

Cercherò di pubblicare il più velocemente possibile, visto che in realtà ho tradotto fino al capitolo 17 (sono 34, signore/i mie/ei) ma la mia beta reader (mia sorella, che non vuole essere pubblicamente connessa agli one direction, anche se è innamorata di Louis Tomlinson nonostante i suoi categorici tentativi di farmi credere altrimenti) è arrivata solo al capitolo 9, quindi vedremo. In più: non so come esplicitare in una maniera più comprensibile del capslock IO LE CRITICHE LE ADORO, quindi se avete qualsiasi cosa da dire, fatevi avanti! Buona lettura! 

Permesso dell'autrice.



Prologo. 

La stanza è arredata in maniera fin troppo raffinata, puzza di lucidante, e cazzo, a momenti quasi risplende sotto la luce del pomeriggio. Praticamente è uno spot della Home&GardeningTV. È magnifica, questo sì, con quei pavimenti di legno color miele e i muri color panna, finestre suggestive che ravvivano ogni camera, mobili tra i più vellutati e ricercati (in stile barocco, perdio) raggruppati in uno schema tra i più originali.

È lussuoso e chic. E Louis lo detesta fin nei minimi stracazzo di dettagli.

Non perché sia brutto – non è un idiota – ma per via di quello che è. Di quello che rappresenta. Eccolo qui, dopo aver condotto una vita perfettamente e tediosamente normale, oltre che economicamente responsabile, senza i soldi di suo padre (e-grazie-tante), e ora, come da accordo stretto tra madre e padre carissimi in quel feroce divorzietto di qualche anno prima, quest'ultimo aveva preso a insistere che Louis frequentasse l'università più goffamente prestigiosa che l'Inghilterra abbia da offrire. 

Ma niente ansia da prestazione, eh.

Come se non bastasse, padre carissimo non aveva nemmeno sborsato per una singola; si era impuntato perché andasse in una di quelle suite deluxe fatte apposta per compensare qualcosa. Quelle che richiedono un compagno di stanza. 

Quindi. 

Non solo Louis è stato costretto a iscriversi a una scuola completamente al di fuori del settore di sua competenza (nel senso: nel mondo normale era una persona più che socievole, il suo talento era farsi troppi amici, al massimo), è ora vincolato per contratto a condividere il SUO spazio con qualche fighetto presuntuoso che caga denaro e si atteggia con aria di superiorità sottilmente velata. (No, non ha ancora incontrato il succitato coinquilino, e no, non ne ha bisogno per formarsi un'opinione.) Non gli hanno mai insegnato a gestire situazioni del genere con molta grazia. Sua madre ha sempre detto che la sua lingua biforcuta sarebbe stata la sua fine, se non fosse stato capace di tenerla a bada. E "tenerla bada" è una cosa che lui semplicemente non fa. 

Con un rumore metallico che sembra contrastare con questa fine sistemazione, Louis lascia cadere una bracciata di borse e cose, sospirando teatralmente mentre passa in rassegna lo spazio circostante. Sentendosi un po' un poeta (questa è, dopotutto, la scena d'apertura della sua tragedia) scivola con disinvoltura fino alla finestra, scrutando i palazzi antichi aggrovigliati nell'edera e l'erba di un verde vivace davanti a lui. La sua stanza è al piano terra, nota, ancora una volta, con sdegno. Le finestre sono incredibilmente basse, assicurando facile accesso a qualunque privilegiato sbronzo da far schifo che voglia farsi un salto da lui senza la benché minima difficoltà. Basterebbe, letteralmente, lanciare una gamba oltre la finestra per entrare.

Una meraviglia, davvero. 

Non che Louis possieda qualcosa che questi piccoli Mida potrebbero volere. (Escludendo lo stile impeccabile, l'eleganza e una personalità compiuta. Per non parlare dei valori e di una solida etica del lavoro.) (Beh. Per lo più solida.)

"Oh mio dio," è la voce sbalordita che viene dalla porta, e Louis si volta per vedere sua madre che guarda a bocca aperta attorno a sé, gli occhi che scattano in ogni direzione per non perdersi niente. 

"Lo so. È un po' tanto, no?" osserva in tono sbrigativo, con le mani in tasca. 

"Non… non è da poco," mormora lei in un tono basso, e a Louis non sfugge l'amarezza appena dietro la superficie. "Di certo tuo padre ha talento nel fare le scelte più vistose possibili." Una pausa. "Quando si tratta dell'opinione pubblica."

Lui solleva un sopracciglio. "Sì, è proprio da Charles, vero?" risponde delicatamente, mettendo speciale enfasi sul nome. 

Non è mai stato particolarmente a suo agio con il termine 'padre'. 

Con un'ultima occhiata fredda fuori dalla finestra, sospira e procede in avanti. "Forza, allora. Portiamo tutto dentro."

Sua madre annuisce, ancora a bocca aperta e occhi stretti, prima di seguirlo fuori dalla porta.

**

Sua madre se n'è andata dopo aver trascinato insieme a lui scatola dopo scatola nella sua nuova dimora, il cartone sporco che contrasta con le cornici dorate e l'ebano laccato che non ha alcuna ragion d'essere in una suite scolastica del ventunesimo secolo. 

Seriamente – perché ogni cazzo di cosa dev'essere d'oro? È un'università, non Versailles.

"Ci vediamo presto?" gli aveva chiesto sua madre prima di uscire, con la voce che vacillava sull'orlo della fragilità.

Dal canto suo aveva annuito, facendo del suo meglio per non portare gli occhi al cielo in un'esagerazione afflitta. Louis era una brava persona, lo era davvero – apriva le porte alle vecchiette eccetera – ma sua madre aveva una tendenza per la debolezza e le distrazioni autocommiseranti, un qualcosa che né lui né le sue sorelle si erano mai potuti permettere. 

"Certo, mamma. Sarò di ritorno prima che te ne accorga. Una mattina ti sveglierai e sarò lì, seduto a tavola a reclamare la pappa."

"O potrei venirti a trovare io?" aveva proferito lei, con speranza infantile. 

"Mamma," aveva sospirato Louis, orlando le sue parole di finta pazienza, "ti farò sapere. Il semestre non è nemmeno iniziato. Va bene?"

Lei aveva annuito, gli occhi tristi che fissavano i suoi con insistenza, imploranti. 

Okay. Meglio sbrigarsi. 

Senza transizioni, Louis aveva avvolto braccia impazienti attorno a sua madre. "Grazie ancora di tutto. Ciao. Ti voglio bene." Le aveva stampato un bacio rigido sulla guancia. "Di' alle ragazze che mi mancheranno, ma solo ogni tanto. Proibiscigli di entrare in camera mia. E tieni gli occhi bene aperti, va bene? Non dimenticarti di loro."

Lei aveva nuovamente annuito, gli occhi ancora tristi. "Non lo farò. Ciao, Boo. Mi mancherai, tesoro."

"Meglio andare! Il tempo è denaro!" era stata la sua risposta, canticchiata in un tono eccessivamente allegro. 

L'aveva guardata andarsene solo per un attimo prima di rivolgersi al compito che aveva sottomano, la mente ancora concentrata sulle valigie disseminate sul pavimento luccicante. 

E adesso Louis è solo, faccia a faccia con scatole attaccate con lo scotch, pareti vistose che lo prendono in giro e le scarpe non firmate, nessun coinquilino (per ora), e la molto concreta sensazione di affogare. 

"Beh, allora," mugugna, tirando su col naso mentre esamina l'appartamento lussuoso senza speranza, "tutto comincia da qui."

 

   
 
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