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Autore: futacookies    22/08/2014    3 recensioni
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I primi problemi arrivarono quando Penny piombò nel suo ufficio, furiosa come una Banshee, sbraitando che erano mesi – davvero era passato tanto tempo? – che non le scriveva, che erano settimane – doveva esserci un errore, per forza – che ignorava i gufi che gli spediva, che erano giorni – quel particolare gli era certamente sfuggito – che cercava di parlargli quando terminava il suo turno – lui terminava il proprio turno? – che ormai era stanca, stanca di un uomo – aveva avuto anche il tempo per diventare uomo? Davvero era passato tanto tempo? Era davvero passato? [...] Avrebbe voluto – davvero, davvero tanto – mettere in discussione quello che stava facendo, supporre, disfare, ricostruire, annullare, ricomporre pezzo dopo pezzo, ma la sua bolla, nella sua bolla andava tutto bene, andava sempre tutto bene. [...] Forse una tomba. Forse un epitaffio scritto da George per far sorridere tutti, per farli piangere ancora di più. Forse un mondo in cui nessuno aveva la forza di gioire – come puoi gioire quando tuo fratello non respira?
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Storia partecipante al contest:
Il nuovo esame
di _Aras_


Nick dell’autrice: Liberty_Fede
Fandom: Harry Potter
Titolo: La bolla
Personaggio: Percy Weasley
Traccia: n. 6/L’amore del protagonista per il proprio lavoro lo porta ad allontanarsi progressivamente dal mondo che lo circonda.
 Conteggio parole: 3.017 parole
Generi: Introspettivo, Triste.
Rating:Verde/Giallo.
Avvertimenti/Note: /-/
NdA: piccola introspezione su Percy. Dal terzo al settimo libro, credo. La traccia è trattata nella parte centrale. L’inizio era per dare un po’ di senso a questa cosa. L’ultima parte è stata aggiunta per non rendere una solfa la cosa e perché… Non ve lo posso dire che sennò vi spoilero la fine.
Possibile OOC – ma io vedo OOC da tutte le parti. Preparate i fazzoletti per il finale.
Per il resto, alla fine.



La bolla


 
Restò a osservare inebetito il gufo che gli aveva portato il messaggio – uno dei tanti allocchi di Hogwarts – e strinse forte al petto – il cuore non aveva mai battuto così forte – la lettera che annunciava che sarebbe diventato Caposcuola. Certo, se l’era immaginato: l’altro Prefetto non era neanche lontanamente al suo livello, e aveva ottenuto paracchi G.U.F.O. in meno dei suoi. La bestiolina alla finestra se ne andò gracchiando, lasciandolo solo nella sua stanza.
Tenne la notizia per qualche minuto solo per sé. Gli era sempre piaciuto avere un po’ di spazio da dedicare a se stesso – con cinque fratelli inopportuni e rumorosi e una sorella curiosa era sempre stato difficile. Aveva una specie di bolla tutta sua, dove poteva vivere separato dagli altri, in un mondo che gli altri non conoscevano, dove nessuno poteva entrare, in cui c’erano – e, finalmente, si rispettavano – le sue regole. Quelle regole che la sua famiglia non si dava mai troppo disturbo a seguire – suo padre e la sua passione per i Babbani, Fred e George, Ron che ogni anno si metteva nei guai con Harry e Hermione.
Nella sua bolla tutti erano contenti, tutti gli facevano i complimenti, tutti non facevano altri che parlare di lui, tra loro, con altri, vantandosi di averlo in famiglia. Poi arrivavano Fred e George, lo chiamavano ‘Capozucca’ e la sua bolla scoppiava in mille pezzi, lasciandogli l’amara consapevolezza che certe cose sarebbero accadute solo nella sua immaginazione, come sogni appena fatti che sbiadivano troppo in fretta.

*
 
Assunto all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale! Questo no, che non se lo aspettava. Un posto davvero importante, un’occasione unica da non poter assolutamente sprecare! L’opportunità di poter lavorare al fianco di Bartemius Crouch, di poter apprendere da lui, assorbire parte della sua responsabilità, della sua precisione, rettitudine, conoscenza. Un uomo che aveva sempre ammirato e che meritava la sua ammirazione molto più di chiunque altro. Nella sua bolla tutto era in festa, tutto sembrava migliore. Perfino i suoi fratelli, perfino quelle che sarebbero state sfiancanti ore di lavoro, perfino i bronci che metteva su Penelope per il poco tempo che trascorrevano insieme diventavano adorabili.
Non importava che il signor Crouch non ricordasse il suo nome – nella sua bolla ‘Weatherby’ era davvero molto simile a ‘Weasley’ – né che, tra i suoi colleghi, quelli che sapevano che esisteva anche lui si contavano sulle dita di una mano.
Com’era orgogliosa sua madre sapendo che avrebbe seguito la carriera di suo marito – non come Bill, che non era mai a casa, o Charlie, che era partito per inseguire i suoi sogni –, che sarebbe stato davvero un figlio perfetto, l’unico che non li avrebbe mai delusi. Era splendido potersi crogiolare nell’approvazione dei suoi genitori – la bolla, ah! La sua bolla restava dov’era, non ne aveva bisogno – ignorando gli sguardi annoiati dei più piccoli mentre raccontava le sue giornate lavorative, mentre descriveva il signor Crouch, oppure qualche nuova relazione o verbale che gli avevano chiesto di stendere.
Alcuni dei suoi colleghi dicevano che avrebbe avuto una rapida ascesa, con la sua rapidità e accuratezza. Altri lo schernivano, accusandolo di essere un arrampicatore, di non avere scrupoli a prendere dei vantaggi sulle disgrazie altrui. Al signor Crouch però era simpatico, gli aveva lasciato incarichi progressivamente più importanti, addirittura il comando, quando non poteva andare a lavoro. E dalla sua bolla – aveva davvero bisogno di una bolla? – il mondo appariva roseo e pieno di speranze, il futuro luminoso e i suoi desideri sempre più vicini al realizzarsi.
Così le ore passate dietro la scrivania si erano moltiplicate, tant’è che a tratti non ricordava nemmeno che forma aveva il suo letto – cos’era un letto? –, c’erano unicamente i suoi impegni, il fruscio rapido delle pergamene, l’inchiostro che gli sporcava i polpastrelli, gli occhiali che scivolavano sempre di lato, il naso che prudeva e non aveva neanche il tempo di grattarlo. I suoi capivano – non avrebbero potuto fare altrimenti, ognuno di loro aveva le proprie ambizioni.
I primi problemi arrivarono quando Penny piombò nel suo ufficio, furiosa come una Banshee, sbraitando che erano mesi – davvero era passato tanto tempo? – che non le scriveva, che erano settimane – doveva esserci un errore, per forza – che ignorava i gufi che gli spediva, che erano giorni – quel particolare gli era certamente sfuggito – che cercava di parlargli quando terminava il suo turno – lui terminava il proprio turno? – che ormai era stanca, stanca di un uomo – aveva avuto anche il tempo per diventare uomo? Lui ricordava il tepore della Sala Comune Grifondoro, della sicurezza data dagli ottimi voti, dal frastuono delle partite di Quidditch. Davvero era passato tanto tempo? Era davvero passato? – che non trovava il tempo per dedicarle quel briciolo d’attenzione che meritava, stanca di un uomo che forse non la meritava. Un uomo con cui non avrebbe voluto più nulla in comune. Finiva lì.
Aveva assistito impotente, senza neanche ribattere – cosa avrebbe potuto dirle? – chiedendosi, mentre il vento provocato da una porta che sbatteva faceva volare le pergamene intonse, quanto tempo sarebbe passato prima che anche sua madre cominciasse ad accusarlo di essere troppo assente, di non meritare le sue attenzioni, di non essere più il figlio perfetto che aveva desiderato.
Avrebbe voluto – davvero, davvero tanto – mettere in discussione quello che stava facendo, supporre, disfare, ricostruire, annullare, ricomporre pezzo dopo pezzo, ma la sua bolla, nella sua bolla andava tutto bene, andava sempre tutto benecosa poteva andare storto? Aveva il suo lavoro, il lavoro dei suoi sogni, cosa importava se aveva perso la ragazza, magari, nel frattempo, anche lei aveva avuto il tempo di diventare donna, che aveva amato? – in quel momento, c’era il suo lavoro da amare, onorare e portare a termine finché ne avesse avuto le forze.
La scomparsa di Crouch era stata un colpo durissimo. Per un attimo – un solo, terribile istante – la bolla si era incrinata, lasciando che la realtà penetrasse e lo avvolgesse, facendogli dimenticare tutto – l’occupazione perfetta, i suoi sogni, i desideri che presto sarebbero diventati realtà – ma aveva posto resistenza, rintanandosi ancora di più nel suo ufficio, tra le sue pergamene, con quei polpastrelli sporchi d’inchiostro – a tratti, anche i suoi occhiali di corno lo diventavano, quando li aggiustava sovrappensiero.
Poi la bolla era scoppiata. Harry – aveva sempre dato segni di squilibrio, quel ragazzo, ma forse era troppo impegnato per accorgersene – andava gridando a gran voce che Tu-Sai-Chi era tornato. Harry non sapeva – non poteva sapere, perché era troppo piccolo per ricordare qualsiasi cosa non fosse un lampo verde e l’ultimo grido di sua madre – cosa significava vivere ai tempi di Tu-Sai-Chi. Cosa poteva dire per un bambino vedere la madre piangere tutti i giorni per un motivo che non conosceva, osservarla mentre contava giorno dopo giorno lui e i suoi fratelli, col puro terrore che mancasse qualcuno, spiarla a notte fonda con Charlie e notare gli occhi rossi e gonfi, la trepidazione mentre attendeva con suo padre tornasse a casa, possibilmente illeso, guardarla mentre li accarezzava continuamente, mormorando più a sé stessa che a loro che sarebbe andato tutto bene, che tutto sarebbe finito presto.
Non sarebbe riuscito a sopportare l’angoscia sul volto della madre, le lacrime che più volte, quand’era piccolo, minacciavano di scavare la sua pelle e restare là, come testimonianza che c’era stato qualcosa, qualcosa di terribile  e distruttivo, qualcosa che avrebbe potuto annientare tutto e tutti.
Era più facile aggiustare la bolla credendo al Ministro – Tu-Sai-Chi non era tornato, non sarebbe mai tornato. Era morto, sarebbe rimasto morto. Nella bolla però era ancora più al sicuro, protetto anche dal piccolissimo dubbio, protetto dagli sguardi di disapprovazione dei genitori quando affermava con fare sicuro che credeva al Ministro. Voleva credere al Ministro, doveva credere al Ministro. Anche la sua famiglia doveva farlo, non poteva realmente credere che i tempi bui fossero tornati, che avrebbero rivissuto lo strazio di quei momenti.

*
 
Non aveva avuto altra scelta. Doveva andarsene da lì, da quel luogo in cui tutti proclamavano il ritorno e la rapida ascesa di Tu-Sai-Chi, dove la sua bolla – in quei giorni calda, protettiva e accogliente – non sarebbe mai stata al sicuro, minacciata dalla verità – dalle bugie, perché quella non poteva essere la verità.
Si era trovato un posticino a Londra, vicino al Ministero – era assistente del Ministro, diamine! Un'ascesa così rapida si sarebbe ricordata per anni, altro che Tu-Sai-Chi! – e la sua unica occupazione, l’unica cosa che dava un senso alla sua vita, l’unica cosa che gli aveva dato la possibilità di sbattere la porta in faccia a sua madre quando era venuta a Londra per cercarlo, per portarlo indietro, per essere di nuovo parte della famiglia. Una famiglia che sosteneva Silente, che sosteneva Harry, che sosteneva il ritorno di Tu-Sai-Chi. Non era un’ipotesi accettabile.
Così tirava avanti – lavoro, lavoro, lavoro, non era mai solo nella sua bolla, nella sua bolla c’erano i suoi sogni – vivendo quasi esclusivamente al Ministero, protetto da quelle mura che gli confermavano che nulla era vero. La barba era stranamente pungente, i capelli, lunghi e poco curati – quando avrebbe dovuto prendersi cura di se stesso? In quelle sere interminabili in cui l’inchiostro non bastava mai? O in quelle in cui si spennavano tutte le piume che usava? – il lavoro era la sua salvezza, l’unico modo per non pensare – la sua famiglia era lì, magari vicinissima, e non poteva nemmeno pensare di avvicinarsi o la bolla sarebbe scoppiata.
E intanto il Ministero continuava la sua battaglia contro Harry, la Umbridge diventava Inquisitore Supremo – dov’era lui mentre permettevano a una vecchia strega di distruggere la sua scuola? – i capelli sembravano quasi quelli di Bill e la sua casa – aveva una casa? Non ricordava di passarci molto tempo – era nel disordine più totale. Caramell e le sue bombette diventavano ogni giorno sempre più familiari, tant’è che non pensava di aver fatto altro nella vita – cos’era, in fondo, la sua vita? Lavoro, lavoro, lavoro e di non poter aspirare a nient’altro nella vita. Non sarebbe mai riuscito a trovare una moglie, ad avere dei figli – tanti bambini che… no, non poteva. Il chiasso e il rumore disturbavano il lento intercedere della sua vita all’interno della bolla –. A volte si addormentava nella scrivania del suo ufficio, il volto nascosto da qualche fascicolo che non aveva terminato di visionare, o correggere, o compilare.
L’anno si era concluso così, con l’agrodolce consapevolezza di aver votato la sua vita al lavoro – Tu-Sai-Chi era tornato –, di aver tradito la sua famiglia – Tu-Sai-Chi era tornato – di non aver protetto la bolla – Tu-Sai-Chi era tornato – di aver dato la propria fiducia alle persone sbagliate – Tu-Sai-Chi era tornato.

*
 
Tante volte, durante l’anno che seguì, aveva accarezzato l’ipotesi di tornare dalla sua famiglia. Non avrebbe però sopportato l’umiliazione del rifiuto, l’indifferenza dei fratelli, le lacrime della madre, quel perdono che forse non sarebbe mai arrivato – che non avrebbe meritato.
Si era chiesto come sarebbe stato nascondersi nella bolla – lì Tu-Sai-Chi non l’avrebbe trovato, lì la sua famiglia l’avrebbe accolto a braccia aperte, lì sarebbe riuscito a realizzare i suoi sogni.
Forse lì non ci sarebbe stata Audrey. I suoi capelli erano tornati corti e la casa aveva acquistato quel tocco di colore che l’aveva resa per un anno così diversa dalla Tana. Audrey capiva le sue scelte – anche lei lavorava al Ministero – capiva perché non potesse mai trascorrere troppo tempo con lei, capiva perché Scrimgeour dovesse impegnarsi così tanto e districarsi tra persone che volevano arrendersi senza neanche combattere – combattere? Chi aveva il tempo di combattere? – chi voleva fare resistenza, chi voleva semplicemente fuggire. Lui era sempre indeciso su cosa fare – come quando aveva iniziato, aveva voglia di disfare, ricucire, distruggere, ricomporre, restare, andare, partire – la mattina sceglieva una cosa e la sera ne sceglieva un’altra.
Nella bolla la pace regnava sovrana, mentre fuori crollava tutto, mentre lui sentiva che presto sarebbe crollato – avrebbe avuto il tempo di crollare? Ultimamente non sentiva più nemmeno i suoi pensieri, preso com’era da tutto l’inchiostro e le pergamene e i viaggi lavorativi – amava chiudersi nella sua bolla ovattata, edulcorata, sicura, e lasciarsi il mondo, la vita – avrebbe mai avuto indietro la sua vecchia vita? Avrebbe avuto la forza di cercarne una nuova?
La bolla era sempre la scelta più sicura.

*
 
Quell’ultimo anno al Ministero l’aveva logorato. Riusciva quasi a credere a suo padre, mentre gli diceva che non sempre la cosa giusta era la più facile, e che per una volta il Ministro da lui idolatrato non era altro che un burattino nelle mani del nemico. Così come lui. Aveva scelto di fare ciò che voleva della sua vita, di tradire gli ideali di una vita, le convinzioni con cui i suoi genitori lo avevano cresciuto. Aveva tradito se stesso e non riusciva a sopportare gli sguardi delusi e scoraggiati che lanciava suo padre ogni volta che lo vedeva. Era stato così ottuso, borioso, pieno di sé, da non accorgersi di quello che gli stava realmente accadendo attorno, mentre con aria pomposa accompagnava a destra e manca il Primo Ministro. Era passato sopra la vita di centinaia di Nati Babbani, per proteggere la sua carriera. Ora non gli restava altro da fare che ritornare sui propri passi. In effetti, non c’era alternativa se non quella di raggiungere la sua famiglia con la coda tra le gambe. Non sarebbe vissuto come un codardo tutta la vita, avrebbe avuto anche lui il suo riscatto. Poteva ancora farcela.
Non era pronto. Quando da un ingresso della ‘Testa di Porco’ si ritrovò nella Stanza delle Necessità, con sua madre, suo padre e i suoi fratelli, sentì tutti gli anni di lontananza colpirlo come un pugno allo stomaco. Ripensò a sua madre il giorno dopo la finale della Coppa del Mondi di Quidditch, a come sarebbe stato per lei sapere che era accaduto qualcosa ai suoi figli e avere sulla coscienza la consapevolezza che l’ultima cosa che gli aveva detto era stata una sgridata. Si chiese cosa sarebbe potuto succedere a lui, se qualcuno dei suoi si fosse ferito – o… morto? – durante la battaglia, sapendo che non si erano parlati per più di tre anni, se non per un misero addio.
In quel momento però c’era poco tempo per tutto: abbracci, parole non dette, scuse sussurrate a mezza voce e poi gridate con quanto fiato aveva in gola. C’era una guerra da combattere, a soli pochi metri da quella stanza, eppure sembrava lontana chilometri, mentre era circondato dal calore della sua famiglia. Avrebbe lottato anche per loro – solo per loro – per rendere migliore il mondo in cui avrebbero rimesso insieme i cocci, per vivere senza la costante angoscia di svegliarsi la mattina e sapere che non si sarebbero riaddormentati la sera – non vivi, almeno.
Nel fragore della battaglia non riusciva a seguire le sorti dei suoi fratelli – magra consolazione sapere che almeno Ginny era al sicuro – e forse era meglio così: non sarebbe riuscito a difendere se stesso, pur di proteggere loro. Per la prima volta dopo tanto gli sembrava di essere tornato a vivere, una vita vera, con l’adrenalina che schizzava alle stelle a ogni passo – a ogni respiro – finalmente dall’altro lato della scrivania, per fare una cosa giusta – La cosa giusta.
Non riusciva però a fare a meno di accompagnare con lo sguardo ciascuno dei lampi rossi, o – nel peggiore dei casi – verdi che partivano dalle bacchette degli avversari. Fu per questo che si ritrovò spalla a spalla con Fred, fronteggiando Thickness e Rockwood. C’era l’euforia del duello, che lo manteneva a migliaia di chilometri dal mondo che lo circondava, in una bolla ovattata che comprendeva lui e quello che era stato il suo superiore fino a poche ore prima. Gli era sempre piaciuta, quella bolla d’aria che sapeva costruirsi intorno quando non voleva essere disturbato – quella bolla da cui i fratelli lo tiravano fuori tutte volte. Rumorosi, devastanti, disordinati fratelli.
Poi, come al solito la bolla scoppiava. In quell’istante si rese conto che non era l’unica cosa a saltare in aria. C’era un intero angolo di scuola ridotto a pezzi, e lui era stato scaraventato contro un muro particolarmente solido – per sua fortuna. Anche Fred, Ron, Hermione e Harry erano stati colpiti, e tirò un sospiro di sollievo quando vide che nessuno di loro si era fatto niente. Non si sarebbe mai perdonato di non essersi ferito al posto loro. Pensò a come sarebbe stato raccontare ai propri figli quello scontro – Fred e George avrebbe fatto i pavoni e si sarebbero presi il merito di tutto, Harry si sarebbe schermito, Hermione sarebbe diventata tutta rossa e le orecchie di Ron avrebbe preso letteralmente fuoco.
«Ehi, Fred, credo che dovremmo rialzarci.» mormorò, e la sua voce parve anche un po’ instabile – non parlava quando era nella sua bolla. Mentre la bolla scoppiava di nuovo – non l’aveva già fatto? Non era andata già in frantumi? Lui non era andato già a pezzi? – si accorse che Fred non rispondeva, non si muoveva, non respirava. E probabilmente non l’avrebbe più fatto. Non ci sarebbero stati nipoti con cui pavoneggiarsi, scherzi da fare al vecchio Perce una volta tornato a casa, battutine per mettere in imbarazzo Audrey – lei era lì da qualche parte e lui non ci aveva nemmeno pensato – non ci sarebbe stato più niente.
Forse una tomba. Forse un epitaffio scritto da George per far sorridere tutti, per farli piangere ancora di più dopo aver esaurito le risate. Forse un mondo in cui nessuno aveva la forza di gioire – come puoi gioire quando tuo fratello non respira? –  forse una possibilità per scappare da tutto, per fuggire da quella verità – dicono che la verità faccia sempre più male di una bugia –, forse in modo per tornare a ripararsi nella sua bolla, al sicuro da tutti quei giorni che avrebbe visto e che Fred non avrebbe nemmeno più potuto immaginare.
Mentre aiutava Ron a portare via il cadavere del fratello – la bolla! La bolla! Dov’era la sua bolla? – capì che non ci sarebbe stato più nessuna bolla, nessun luogo sicuro nella sua mente dove nascondersi, perché la consapevolezza dello sguardo vuoto di Freddie l’avrebbe seguito dovunque, per sempre, senza possibilità di scampo. La bolla era scoppiata e adesso gli toccava vivere per davvero, non soltanto con la sensazione di farlo, non soltanto per provare qualcosa di diverso. La bolla era scoppiata e adesso doveva vivere, combattere, respirare per due. Anche per Fred. La bolla era esclusivamente un ricordo felice, che faceva parte di un passato troppo presente per essere anche solo toccata. La bolla di sapone in cui era sempre vissuto, semplicemente, era scoppiata.
«Rockwood!»




Note dell’autrice
Elencare tutti i peccati commessi mentre scrivevo questa OS sarebbe inutile e del tutto superfluo. Ho scritto dapprima il finale, poi ho cambiato la trama, poi il titolo, poi ho battuto di getto qualcosa come duemila parole e non ho riletto quello che ti ho spedito! Mi sento terribilmente in colpa, anche credo che sia davvero una delle cose più belle che abbia prodotto.
Non so sono riuscita a centrare la traccia – inizialmente era un po’ diversa, ma niente di clamoroso – e credo di essermi un po’ persa per la strada. La ‘parte centrale’ a cui faccio riferimento dovrebbe comprendere il secondo, terzo e quarto paragrafo – in effetti, credo che il secondo l’abbia centrato più degli altri, ma comunque quella è la parte centrale. La prima parte è un po’ per introdurre la ‘bolla’, mentre l’ultima è più che altro per distruggerla. Inoltre, sarebbe stato assurdo concludere al quarto paragrafo, quindi ho voluto proseguire e aggiungere un tocco un po’ melodrammatico.
Per la caratterizzazione di Percy: non sappiamo moltissime cose su di lui, ma non mi andava di dipingerlo come il P.P.P (Perfect Prefect Percy) dipinto dagli altri fratelli. Il fatto che abbia sofferto la separazione dalla famiglia mi è sembrato abbastanza ovvio, così come tutta la storia di Voldemort. Secondo i miei calcoli Percy è nato nel lontano 1976, quindi aveva quattro/cinque anni all’apice del potere di Voi-Sapete-Chi e potrebbe ricordare abbastanza. In questi casi, mi affido sempre ad alcune esperienze personali. Io ho ricordi di quando ero così piccola, specie quelli più spiacevoli…
Rockwood dovrebbe essere il Mangiamorte che ha causato l’esplosione che ha ucciso Fred e che Percy ha inseguito subito dopo aver messo a riparo il corpo del fratello.
Per il resto non credere di aver altro da aggiungere – ho amato scrivere questa OS, nonostante mi abbia dissanguato – tanto quanto amo il personaggio di Percy – ossia taaaaaaaanto.
Incrociamo le dita per i risultati!


 
  
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