Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: musa07    23/08/2014    4 recensioni
" Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti ..." (dal cap.1)
Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life soooooo romantic, oh yes!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciaossu^^ Dopo l'angst, dopo la 3Some PWP, approdo nuovamente al mio habitat naturale: lo slice of life romantic, condito da “fase mongolismo acuto” data l’alta concentrazione di personaggi vaneggiati di questo anime/manga. Volevo la 0027? E me la sono scritta ^////^ Inutile che vi dica che saranno presenti anche la 8059 e la D18, più … ah, avete già indovinato? Bravi! Saranno presenti anche i ragazzuoli di First Generation (quanto li amo, nonché li adoro!)
Ah, cosa importantissima: ovvio che il rating si alzerà lungo il cammino.
Bon, è tutto. Ci sentiamo dopo.
Bc bc
 

 
“Il Passato è la torcia che ci illumina la Via”
 
 

CAPITOLO 1
 
 
I ricordi di Cozzato continuavano a non dargli tregua durante il sonno.
Da quando il sangue di Cozzato Primo, che era rimasto sopito fino alla Cerimonia di Successione, si era risvegliato prepotentemente in lui e aveva ripreso ad ardere, si erano scatenati anche tutti i ricordi di quello che era stato il Primo Boss della Famiglia Simon. Ed Enma li riviveva. Ogni notte. Nitidi. Netti. Vivi …
Se finalmente, grazie a Tsuna, non si risveglia più in un bagno di sudore a rivivere in sogno la carneficina della sua famiglia, ora era Cozzato a non dargli tregua. Era tutto così vivido …
E lui non conosceva altra maniera per farli tacere se non correndo.
Da quando Tsuna aveva scoperto che nella sua vecchia scuola faceva parte del Club di Atletica, con la sua solita gentilezza ferma, l’aveva alla fine convinto ad entrarvi anche lì alla Namimori.
Quando, a suo tempo, era entrato nel Club era stato semplicemente perché era attraverso la corsa che riusciva a scacciare i demoni presenti nella sua testa. Era stata una forma di difesa.
Nello sforzo della corsa c’era spazio solo per i metri che venivano macinati. Per il sangue che pompava con maggior potenza nelle vene e nel cuore. Per il fiato che si doveva mantener regolare.
E quella mattina non fece eccezione …
Svegliatosi poco dopo l’alba, si alzò rabbrividendo al contatto del pavimento ghiacciato sui suoi piedi nudi. Uscì dal suo piccolo appartamento nel quale ora viveva da solo, rabbrividendo nuovamente e fissando la nuvoletta ghiacciata che gli usciva dalla bocca. Era sempre il momento iniziale il peggiore di tutti, ma nell’istante in cui la prima falcata partiva, ecco che Enma si sentiva vivo. Sentiva la linfa vitale scorrergli per tutto il corpo.
Anche quella notte, come quelle precedenti, aveva rivissuto parte della vita di Cozzato attraverso i suoi ricordi. C’erano tanti episodi divertenti e, al ricordo, gli veniva ancora da ridere, perché Enma riviveva perfettamente con Cozzato Primo, non solo il ricordo, ma anche le emozioni provate. Qualunque fossero. Belle. Brutte. Di gioia. Di felicità. D’affetto. Di angoscia. Di disperazione. Di paura. Tutte …
Da quelle reminiscenze il Decimo Boss Simon aveva imparato tanto del suo predecessore. Aveva avuto conferma di quello che già aveva intuito dai ricordi che i Vindice avevano fatto vedere loro attraverso le chiavi lasciate da Giotto e Cozzato stesso.
Aveva rivissuto tante cose belle, ma anche cose angoscianti. Cose che sentiva particolarmente come sue. Riconosceva quel timore viscerale di perdere persone alle quali si tiene particolarmente.
A quel pensiero andò aumentando la sua falcata, sentendo come i primi raggi di quel sole invernale lo stessero scaldando. Alzò gli occhi verso il cielo, scorgendolo attraverso le fronde degli alberi. Quei raggi che lo scaldavano erano proprio come Cozzato. Come Tsuna …
Si sentiva protetto, avvolto da loro due. Era come se il suo predecessore ora vegliasse sempre su di lui. Ne poteva sempre sentire il sorriso buono e rassicurante, allegro e sincero posarsi su di lui.
Un ultimo scatto, per poi andare rallentando via-via la corsa …
Quel momento non aveva prezzo! Erano pure endorfine scaricate in corpo.
 
Controllando l’ora una volta rientrato in casa, si accorse della colazione pronta in microonde per essere scaldata.
- Adelaide … - sorrise teneramente, al pensiero dell’amica. Di come si fosse silenziosamente introdotta nel piccolo appartamento per lasciargli la colazione. Di come lei si fosse sempre preoccupata di tutti loro e ancora, discretamente, continuasse a farlo.
Anche se le era costato una sofferenza indicibile, aveva accettato immediatamente la sua scelta di andar a vivere da solo. L’aveva guardato negli occhi come avrebbe fatto una mamma, nonostante fosse più grande di lui di solo un anno. Quei ragazzi erano davvero la sua Famiglia. Erano cresciuti insieme, e insieme si erano dati coraggio e sostegno. A volte pensava che non sarebbe bastata una vita intera per ringraziarli a dovere. Ed ora, insieme a loro, Enma poteva contare anche su altri amici. Amici veri. Certo, i Vongola erano un concentrato di elementi … hum … strani? Andava bene quest’ aggettivo per descriverli? Forse bizzari. Sì, bizzarri era indubbiamente il termine migliore.
E pensato da uno che di amici bizzarri ne aveva, era tutto dire.
Scoppiò in una piccola risata, a pensare ai suoi amici, mentre si immergeva nella vasca piena di acqua bollente. E si lasciò cullare da quel calore rinfrancante fino ad addormentarsi.
 
 
...
- Non so cosa fare … -
- Sì, che lo sai. –
- Ho paura! –
- E’ normale. È fin quando manterrai la paura che riuscirai a mantenere la tua umanità. Finché avrai paura, non permetterai mai a nessuno di far del male alle persone a cui tieni, e non farai mai nulla di cui potrai pentirti perché metterai sempre gli altri al primo posto. –
...
                                                                              
           
 
Enma spalancò gli occhi, ritrovandosi boccheggiante. Era tutto così reale …
Si portò una mano alla bocca, accorgendosi dopo un po’ che a risvegliarlo era stato il bussare alla porta d’entrata.
- Tsuna … - bisbigliò.
“ Cozzato, cosa stai cercando di dirmi?” si interrogò perplesso nel momento in cui, infilato l’accappatoio, si indirizzò verso l’ingresso.
- Ah, meno male. Cominciavo a preoccuparmi. – furono le prime parole di sollievo di Tsuna quando gli aprì, leggendo anche negli occhi lo stesso sollievo.
- Scusami. – si trovò a biasciacare, massaggiandosi i capelli rossi imbarazzato. Non gli piaceva farlo preoccupare. Il suo unico pensiero, il suo desiderio, era di farlo stare bene. Ma l’altro scosse la testa, in segno di lasciar correre, che era tutto a posto. Gli sorrise socchiudendo gli occhi e piegando la testa di lato, come faceva sempre e, a quella visione, il cuore di Enma si riempì di calore.
Si ritrovò Natsu trotterellargli felice tra le gambe mentre si dirigeva verso l’armadio a recuperar la divisa di scuola.
Sorrise a veder come l’animaletto reclamasse le sue attenzioni. Il sorriso gli si impreziosì ancora di più sapendo che Tsuna lo faceva uscire dal Vongola Sky Ring proprio perché sapeva che a lui Natsu piaceva un sacco. Erano le piccole carinerie silenziose di Tsuna.
Velocemente si rivestì e condivise con l’altro la colazione che gli aveva preparato Adelaide, notando come la ragazza avesse preparato per due. Si trovò a reprime una risata. Quella ragazza era un demonio! Aveva già capito tutto. Ok, ovvio che aveva condiviso con lei, prima di tutti e tra tutti, i sentimenti che lui – giorno per giorno – sentiva crescere per Tsuna. Adelaide l’aveva ascoltato pazientemente, supportato, sognato con lui, incoraggiato e spronato. Ecco, questa era stata la parte più difficile, nonché la più terrificante, pensò con un autentico brivido di terrore. L’amica era stata irremovibile su quel punto.
 
- Enma! – aveva tuonato nel momento in cui lei gli aveva chiesto quando avrebbe pensato di rivelare all’altro i suoi sentimenti e lui l’aveva guardata con gli occhi fuori dalle orbite, escludendo nella maniera più categorica possibile il fatto che avrebbe mai rivelato a Tsuna il fatto di esser innamorato di lui. – Non vorrai non dirglielo spero?! –
Adelaide era peggio di un despota quando si metteva in testa di fare quello che era il bene per loro.
E, ovviamente, non c’era stato verso.
Ancora non sapeva dirsi se la cosa che l’aveva terrorizzato di più era stata l’idea di rivelare all’amico i suoi sentimenti o il timore di incorrere nelle ire della ragazza.
- Adel … - ci aveva provato lui.
- Adel un corno! Tu adesso vai e glielo dici! – l’aveva minacciato, issandosi in tutta la sua poderosa statura, tirandolo su per un braccio con ancora il bento del pranzo in mano, mentre si trovavano sul terrazzo di scuola.
- Altrimenti, Enma Kozato, ti assicurò che sarò io a dirglielo. –
Opzione altrettanto terrificante!
E così si era ritrovato scaraventato a forza giù dalle scale, andando a ruzzolare proprio contro Tsuna, con ancora nella testa le parole dell’amica: “ Enma ti prego: vivi questa storia d’amore anche per me”, gli aveva detto sognante. Dopotutto, era pur sempre una ragazza …
La sua dichiarazione fu meno disastrosa di quello che i suoi peggiori incubi gli aveva prospettato.
Diventando in viso un tutt’uno con i suoi capelli, senza spostarsi di un solo millimetro da dove si trovava (anche perché Tsuna, nella caduta, gli era finito a cavalcioni e da lì non si decideva a schiodarsi) aveva sollevato gli occhi verso quelli castani dell’altro. Un grosso inspiro prima di iniziare a parlare. O meglio: a balbettare.
“Merda!” aveva imprecato dentro di sé. Non si era neanche preparato un minimo di discorso! Ovviamente perché mai si era preoccupato del fatto che gliel’avrebbe detto.
- Tsuna, io … ecco … -
Il vociare che aveva sentito avvicinarsi lungo il corridoio, l’aveva costretto a deglutire pesantemente e a fargli capire che si doveva dare una mossa.
Miseria! Lui non era mai stato bravo con le parole.
La loro attenzione era stata distratta dal ringhiare di Natsu attraverso il Vongola Ring di Tsuna. Natsu reagiva sempre alla voce di Enma. Il Juudaime sorrise.
- A Natsu tu piaci tanto. – gli aveva rivelato felice.
- Anche tu a me. – aveva spiattellato alla fine tutto di un fiato, mordendosi il labbro inferiore per il nervosismo e spiando di sottecchi la reazione dell’altro. Aveva sperato solo di non essersi mangiato le parole e che il messaggio fosse arrivato forte e chiaro. Anche perché non l’avrebbe di certo ripetuto. Già avrebbe voluto scavarsi una fossa così!
Tsuna l’aveva fissato silenzioso, scrutandolo negli occhi dubbioso. E se non fosse stato per il fatto che gli si trovava ancora ostinatamente a cavalcioni, se la sarebbe data a gambe. Infine, gli aveva sorriso.
- Anche tu. – aveva detto ed Enma si era mosso a disagio, sotto di lui.
- Sì, ma tu non come amico. Sì, anche quello … ma … e-ecco … non solo … – aveva preferito chiarire e aveva visto l’altro annuire con la testa e allargare ulteriormente il sorriso.
- Hum-hum … - aveva annuito nuovamente vigorosamente. – Anche tu mi piaci non come amico. –
- Eh?! – aveva esclamato lui scioccato, facendo render conto a Tsuna - con quella sua esclamazione di sorpresa – di quanto appena detto. Anche il Vongola Juudaime aveva allora sfiorato ogni gamma possibile di rosso in volto.
Che coppia di imbranati! Aveva proprio ragione Reborn, non c’era che dire. La loro dichiarazione d’amore era stata proprio tipica loro. Neanche se si fossero messi a studiarla a tavolino, sarebbe venuta così.
Il pensiero di sicuro doveva esser passato anche nella mente di Tsuna, perché si erano guardati negli occhi ed erano scoppiati a ridere, alzandosi poi a malincuore, perché i passi che si stavano avvicinando erano pericolosamente quelli di Hibari Kyoya.
Quello che i due non seppero mai nel momento in cui si diedero saggiamente alla fuga, fu che Adelaide, che aveva sperato ardentemente di veder la degna conclusione di quella dichiarazione con un bacio, aveva giurato e meditato vendetta contro il terribile Presidente che li aveva interrotti.
 
E da quel giorno era passata una settimana. E l’indomani sarebbero partiti per la gita scolastica. Inutile dire che ne erano letteralmente elettrizzati. Avrebbero passato ogni singolo minuto insieme. Non che in quei sette giorni – ma anche prima! – non fossero sempre insieme, perché ancora tante volte capitava che Enma si fermasse a dormire a casa di Tsuna, ma sarebbe stato comunque diverso.
Era a dir poco felice al pensiero. Anche perché avrebbe condiviso quell’esperienza con gli altri suoi nuovi amici. Capì, e non ci fu bisogno dei suoi ricordi, come dovesse essersi sentito Cozzato quando aveva conosciuto Giotto e G.
Già, Cozzato! Enma voltò per un attimo la testa verso Tsuna mentre si allacciava le scarpe da ginnastica. Era stato tentato più e più volte di chiedergli se anche a lui, durante il sonno, si presentassero ricordi di Giotto in maniera così incalzante, ma aveva sempre lasciato perdere.
Anche perché, nelle ultime notti, i ricordi che si presentavano con più insistenza riguardavano G. Ne avrebbe potuto parlare con Gokudera … Sì, solo se il suo sguardo avesse invogliato un po’ di più alla conversazione, si trovò a pensare nel momento in cui, raggiunta la strada, trovarono i due migliori amici di Tsuna di sempre. Forse ce l’aveva con lui per tutto il casino che i Simon, loro malgrado, avevano combinato dopo la Cerimonia di Successione … Anche se non gli pareva che Gokudera fosse uno che portava rancore. Era uno diretto e lapidario – anche troppo a volte! – e se c’era qualcosa che non gli andava bene, te lo diceva punto e fine.
“Mah, chissà …” sospirò dentro di sé, mentre sorrideva dolcemente a sua volta al saluto amichevole di Takeshi, chiedendosi – per l’ennesima volta – come uno solare come lui potesse stare con uno come Hayato. Ma forse perché, molto semplicemente, si incastravano alla perfezione. Ed era troppo divertente assistere ai loro siparietti, nei quali il moro veniva ripetutamente insultato dall’altro senza mai scomporsi, cosa che irritava Gokudera ancora di più. Come se non si vedesse poi, pensò Enma mentre si incamminavano verso scuola, che stravedeva per lui. Che per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Forse era proprio per questo che allo spadaccino non davano fastidio gli insulti del suo innamorato. Perché comunque traspariva anche in questi tutto il suo infinito amore.
Varcarono la soglia dell’Istituto giusto in tempo e allora Tsuna dovette richiamare Natsu nel Vongola Ring, non prima che quest’ultimo si fece fare l’ultima coccola da Enma, che non gliela negò di certo, prendendolo in braccio e accarezzandolo.
A quella visione, Tsuna e Takeshi sorrise teneramente. Addirittura lo sguardo del Juudaime era estasiato. Enma era la dolcezza e la gentilezza fatta a persona, che al tempo stesso ti infondeva un profondo senso di pace e tranquillità. Incarnava in se stesso, in tutto quello che faceva senza rendersene nemmeno conto, il fatto che fosse dai piccoli gesti, dalle piccole attenzioni che si scaturiva la vera felicità della gente. Proprio com’era stato il suo antenato diretto.
- Ci muoviamo? – fu il richiamo brusco di Hayato a svegliare i tre. Il Guardiano aveva continuato a proseguire nel suo cammino.
Takeshi guardò la sua figura di schiena. Sospirò mesto. In quegli ultimi giorni Hayato era diventato più irascibile del solito. E lui era certo di sapere il motivo … E a questo pensiero, si rabbuiò a sua volta.
 
 
Non c’era che dire: era proprio da sadici mettere come due prime ore del mattino Matematica.
Già a metà della prima l’attenzione della classe si era pericolosamente dimezzata.
Enma dovette reprimere non sapeva nemmeno lui più quale sbadiglio. Poggiò la guancia su una mano per impedire che cadesse pericolosamente a terra dal sonno. Per sua fortuna sedeva dietro ad un ragazzo alto almeno un metro e novanta e largo altrettanto, così che lui – smilzo com’era – poteva bellamente nascondersi. Inevitabilmente il suo sguardo si spostò verso Hayato che sedeva nella prima riga. Ovviamente se ne stava seduto con le mani cacciate in tasca, sguardo annoiato. Per uno intelligente come lui, stare in classe ad ascoltare quelle ovvietà era una vera seccatura. Lo vide sbuffare più e più volte. Ne studiò attentamente il profilo e all’immagine dell’amico si sovrappose inevitabilmente quella del Primo Guardiano della Tempesta.
 

- G. –
Cozzato l’aveva fermato per un braccio, facendolo voltare verso di sé. L’arciere l’aveva guardato interdetto. Si vedeva perfettamente l’espressione interrogativa in quel volto perfetto.
- Non dobbiamo dire niente a Giotto. –
Il tono di Cozzato era gentile, come sempre, ma fermo e sicuro.
A quell’affermazione G. dovette dar fondo a tutto il suo autocontrollo. Con gli anni, e con la vicinanza calma e serafica di Giotto sempre al suo fianco che lo placava, come l’acqua doma il fuoco, aveva imparato a stemperare la sua irruenza. Ma lui era e restava un indomito e a volte non era sempre semplice domare il fuoco che gli montava dentro.
Guardò il suo migliore amico dritto negli occhi. A leggervi dentro. A leggervi nell’animo. Nel cuore … in quel cuore che non vacillava mai.
- Ok. – acconsentì alla fine con un sospiro, annuendo con il capo e vedendo chiaramente come nel volto di Cozzato apparve il sollievo.
- G. so di chiederti tanto … E mi dispiace coinvolgerti in questa maniera, ma tu – oltre a Giotto – sei l’unico del quale io mi fidi ciecamente, e non voglio dar ulteriori pensieri a Giotto … - aveva ripreso a parlare afflitto, ma l’arciere l’aveva interrotto con un gesto della mano, ad indicargli che era tutto a posto.
- Tu faresti lo stesso per me. –
- Puoi starne certo! – gli aveva risposto il Boss Simon fiero, sorridendogli e strappando uno dei rari sorrisi anche nell’altro.
- Ma Cozzato, se non risolviamo la questione questa notte, riferirò tutto a Giotto. – aveva poi detto asciutto e anche lo sguardo dell’altro si era fatto serio a sua volta.
- Non ti preoccupare. Sarò io a metterlo al corrente di tutto in quel caso. – gli aveva assicurato.

 
Era questo il ricordo che si presentava con maggior insistenza in quelle notti. Appariva tra un ricordo e l’altro. L’immagine andava sfuocando, così come i contorni e quello che vedeva prima che la nebbia andasse dissolvendosi, erano le immagini di quella che doveva esser stata Residenza Vongola. Il battere sui vetri di una finestra … il Guardiano della Tempesta che si voltava e sgranava gli occhi meravigliato … lo stesso che usciva dalla porta sul retro e lo seguiva tra gli alberi …
Enma si chiese se anche Hayato rivivesse mai quello stesso ricordo dal punto di vista di G.
Cos’è che i due avevano fatto tenendolo nascosto a Giotto? Si sentì in colpa al solo pensiero. Lanciò un’occhiata a Tsuna, che si trovava alla sua sinistra, seduto vicino alla finestra mentre si disperava a cercare di capir qualcosa di quelle intricate formule, per poi riportare laconicamente lo sguardo verso Hayato. Il quale si sentì osservato e lentamente girò il volto fino ad incontrare il suo sguardo. Quando i loro occhi si incrociarono quelli di Gokudera si assottigliarono, mentre i suoi si sgranarono per la sorpresa di essersi fatto sgammare così miseramente e non gli riuscì proprio di mantenere il contatto visivo. Deglutendo a vuoto, abbassò lo sguardo e lo spostò nuovamente verso Tsuna, il quale stavolta incrociò i suoi occhi e gli lanciò un piccolo sorriso timido, al quale lui rispose. E come iniziò a galoppargli il cuore in petto! E dire che non si erano ancora mai nemmeno baciati. Sarebbe stata una dura lotta a vedere chi dei due avrebbe vinto anche la timidezza dell’altro.
Takeshi, seduto dietro tutti loro, seguiva la lezione sonnacchiosamente ma il suo sguardo si fece invece incredibilmente attento di fronte a quegli intrecci di sguardi. Di come Hayato, dopo aver lanciato un’occhiata enigmatica ad Enma, seguì lo sguardo e il sorriso che lui e Tsuna si scambiarono, assottigliando ulteriormente gli occhi turchesi.
Takeshi sospirò mestamente.
“ Ci risiamo.” pensò afflitto. Era certo che Hayato fosse geloso di Enma. A maggior ragione nel momento in cui avevano saputo che i due si erano dichiarati. Il che, secondo i suoi ragionamenti, implicava ciò di cui aveva sempre avuto timore: che il suo innamorato qualcosina, dentro di lui, per Tsuna dovesse ben provarlo, altrimenti non si sarebbe capito il perché di tanta freddezza nei confronti di Enma.
E come si sentì insicuro Takeshi in quel momento. Primo perché non poteva di certo manifestare con Hayato quel tarlo che lo attanagliava dentro – pena, molto probabilmente la morte per bombardamento. Non avrebbe mai potuto dirgli una cosa del genere. Sarebbe stato come mettere in dubbio quando Hayato gli diceva di amarlo. Secondo perché era così follemente innamorato di Gokudera, che impazziva anche solo all’idea di non essere l’unico verso cui posava il suo sguardo, le sue attenzioni. Che magari quando facevano l’amore insieme, pensava a qualcun altro … Che magari lui era semplicemente un ripiego … Sospirò gravemente.
“ Che casino!” pensò dentro di sé, rendendosi conto che quei pensieri erano come una spirale che si attorcigliava sempre di più. Senza via d’uscita.
 
 
Incredibilmente, sopravvissero a quella giornata a dir poco infernale. Molto probabilmente aiutati dall’idea che il giorno dopo sarebbero partiti.
Uscirono dall’edificio scolastico che pesanti nuvole plumbee minacciavano pesantemente il cielo.
Takeshi fu il primo a staccarsi dal quartetto, visto che anche per quel giorno aveva gli allenamenti di baseball.
- Ohi! – lo richiamò indietro Hayato.
- Hum? – si girò dubbioso lo spadaccino e sorrise teneramente a vedere come le guance dell’altro si imporporarono, mentre lanciava occhiate in giro. Stava aspettando una cosa. Ma, ovviamente, non gliel’avrebbe chiesta mai.
Takeshi coprì in un lampo la breve distanza che li separava. Lanciò a sua volta uno sguardo furtivo intono a loro, a controllare fosse deserto, prima di prendere il volto dell’altro tra le mani per sollevarlo verso il suo e schioccargli un bacio. Bacio che Hayato pretese più profondo, ancorandosi alla sua schiena.
Lo spadaccino si separò a malincuore, mentre l’altro gli cacciava in mano le chiavi del suo appartamento.
- Vado con il Juudaime e Kozato a comprar le cose che ci servono per domani. Arriverai di sicuro prima tu. – gli spiegò di fronte al suo sguardo interrogativo, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Takeshi, quando comprese il perché di quel gesto, si aprì in uno dei suoi sorrisi luminosi.
- Ok! Ti aspetto allora. – esclamò felice, tentando di abbracciarlo ma beccandosi una minaccia di morte con insulto annesso, che lo fece scoppiare a ridere di gusto.
 
In effetti, come aveva giustamente calcolato Hayato, a far compere ci misero praticamente tutto il pomeriggio. In più, una pioggia gelata aveva preso a scendere. Leggera ma inesorabile.
I tre se ne stavano sotto la pensilina fuori dalla stazione della metropolitana, ad attendere che scemasse almeno un po’.
Gokudera emise un sospiro che sembrava un grugnito, decidendo che quell’occasione meritava lo sfogo di una sigaretta. Da quando stava insieme a Takeshi, cioè esattamente da quattro mesi, gli aveva promesso che avrebbe cercato di smettere. Ma quella era una situazione frustrante che meritava il palliativo della nicotina.
Situazione che sarebbe divenuta ancora più frustrante nel momento in cui il cellulare cominciò a vibrargli nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Yamamoto? – mormorò inarcando un sopraciglio perplesso. Quando non erano loro due da soli, istintivamente si rivolgeva a lui chiamando ancora per cognome.
°° Hayato? °°
- Hum? – replicò lui dubbioso. C’era qualcosa che già lo inquietava nel tono allegro dell’altro.
°° Non funziona più la lavatrice.°° esordì l’altro ridendo.
Hayato si trovò costretto ad alzare gli occhi al cielo, a chiamar a raccolta tutta la sua già labile pazienza.
- Cioè vuol dire che mi hai allagato la casa? –
°° Ahahah! No, no tranquillo. Non si apre più l’oblò però. °°
- Non trovo la cosa così particolarmente divertente. – si permise di obiettare il dinamitardo, parlando con tono di voce mesto.
°° Tranquillo: ho chiamato Dino a darmi una mano.°° disse lo spadaccino, convinto di rassicurarlo, ma a quel nome, al quale Hayato associava il sostantivo di “calamità naturale”, andò nel panico.
- Non fargli toccare niente! – sbraitò.
°° Hayato, non ti preoccupare.°°
- Mi preoccupo eccome! E tanto anche. –
°° Adesso abbiamo chiamato anche Hibari … °° disse Takeshi, ma ora nel tono della voce non c’era più l’allegria, molto probabilmente perché si rendeva conto di non aver agito saggiamente.
“ Mi chiedo dove possa arrivare la stupidità di questo ragazzo …”pensò sconsolato il Guardiano della Tempesta dentro di sé.
-  Noo! Non voglio che quello schizzato vaghi per casa mia quando io non ci sono! – e poco ci mancò che non si mettesse a pestare i piedi per terra, suscitando una risata cristallina nel suo innamorato.
°° E di cosa hai paura? Che ci metta le telecamere nascoste? °° obiettò l’altro.
- Stupido fissato del baseball, non mettermi nuove paranoie in testa! – sbraitò nuovamente, spostando il cellulare dall’orecchio e dedicandosi solo al microfono, in maniera tale che il messaggio arrivasse forte e chiaro. – Ma soprattutto: mi spieghi perché hai accesso la lavatrice? – lo interrogò sempre più furioso.
°° Volevo metterti la casa un po’ in ordine. Dopo aver preparato la cena, mi annoiavo ad aspettarti e così … °°
Ma Hayato non gli permise di continuare a parlare.
- Scusami … - sussurrò appena, socchiudendo gli occhi e immaginandosi – dal tono della voce dell’altro – l’espressione da cucciolo smarrito che doveva sicuramente aver assunto in quel momento.
- Arrivo. E dì a quell’altro invornito di non toccare niente! – sbraitò chiudendo la conversazione ma sentendo perfettamente il suo innamorato dire, rivolto al biondo che si trovava con lui: °° Dino, Hayato dice di non toccare niente” e udire, altrettanto chiaramente, il giovane boss italiano scoppiare a ridere ed uscirsene con un innocente: °° Mi sarei meravigliato del contrario!” che gli fece pulsare violentemente la tempia sinistra.
- Juudaime, devo andare. – proferì cercando di mantenersi calmo e tranquillo. – Ci vediamo domani. Ciao Kozato. – li salutò.
- Ciao. – mormorarono i due all’unisono.
 
Fu così che Tsuna ed Enma, rimasti soli, con la notte ormai avanzata, fissavano l’incessante e costante pioggerellina che, con l’avanzare dell’oscurità, si era mescolata al ghiaccio.
In silenzio fissavano le loro ombre allungarsi grazie alla luce fioca di un lampione alle loro spalle. Nonostante il rumore di sottofondo del traffico cittadino, i due ragazzi potevano sentire il proprio cuore battere e martellare perfino nelle orecchie, mentre continuavano a deglutire per dar sollievo alla gola che si ostinava a mantenersi arsa. Ispirando ed espirando, lanciavano occhiate di sottecchi all’altro, sperando che – in qualche maniera – facesse la prima mossa. Non importava cosa, l’importante è che facesse qualsiasi cosa.
Fu quando Enma sollevò il naso verso l’insù che Tsuna, con un lieve sospiro, portando lo sguardo a terra, mosse la mano verso quella dell’altro. Chiuse gli occhi per calmarsi e darsi coraggio. Gli sembrò un tragitto lunghissimo, quello che stavano compiendo le sue dita alla ricerca di quelle di Enma e quando i dorsi vennero finalmente in contatto, Tsuna fu certo di aver perso un battito. Come Enma d’altronde. Questi si irrigidì per un secondo, ma fu solo questione di un attimo. Quando sentì il palmo caldo di Tsuna ricercare il suo, così caldo, così avvolgente, la sua mano si mosse da sola. Le dita si intrecciarono e loro due sorrisero. Non si guardarono. Non ce n’era bisogno!
Tsuna appoggiò la testa sulla spalla di Enma, e questi fece altrettanto, poggiando la testa sulla sua, godendosi quel contatto, sentendo come continue scariche elettriche gli attraversassero il corpo. Inspirò profondamente, rendendosi conto solo in quel momento di come il profumo della pelle di Enma fosse diventato parte del suo vissuto ormai.
Rimasero così fino a quando finalmente la pioggia non cessò e, sempre mano nella mano, s’incamminarono. Quando Enma sentì che la mano di Tsuna, senza i guanti, si stava pericolosamente ghiacciando, se le mise entrambe nella tasca del giubotto, girandosi a guardarlo come a chiedergli se a lui andava bene. Il sorriso del Juudaime e le sue guance colorate di rosso furono la risposta.
Prima di quanto avrebbero voluto, arrivarono a casa Sawada.
- Ti fermi a mangiare? –
- No, grazie. Vado a casa. Ho promesso ad Adel che avrei cenato con loro stasera. – gli rispose, sempre tenendo le loro mani intrecciate in tasca. Era difficile staccarsi. Era impossibile. Soprattutto nel momento in cui, all’unisono – e risero insieme di questo – il pollice di entrambi si era mosso ad accarezzare il dorso della mano dell’altro.
Alla fine, con un grosso espiro che valeva più di mille parole, a malincuore si staccarono.
- A domani allora … - sussurrò Tsuna, continuando a fissarlo negli occhi.
Enma sorrise dolcemente.
- Sì, a domani … -
Ma rimasero fermi lì, pensando che la punta delle loro scarpe fosse la cosa più interessante da fissare.
- Tsuna! – lo richiamò indietro Enma con urgenza nel momento in cui l’altro si stava richiudendo il cancelletto d’entrata alle sue spalle.
- Sì? – si voltò speranzoso e si ritrovò il rosso ad un soffio da sé. Lo vide prendere un grosso, ulteriore ispiro, socchiudere gli occhi, socchiudere le labbra ed infine posarle sulle sue. Delicatamente. Dolcemente …
Fu un contatto lieve, ma fu comunque in grado di far aumentare pericolosamente il battito cardiaco di entrambi. Le labbra si staccarono le une dalle altre, mentre riaprivano lentamente gli occhi e si sorrisero.
- A domani. – si accomiatò Enma mentre Tsuna alzava una mano in segno di saluto, per poi poggiare le dita sulle labbra e sentire ancora conservato il calore dell’altro.
Quella sera, mentre si trovava disteso a letto, stringendo a sé il cuscino, Tsuna rivisse momento per momento quello sfiorarsi leggero tra le loro labbra. Di quanto morbide fossero quelle di Enma. Di quanto calde fossero. Di come avrebbe voluto che quei secondi non finissero più. E di come era stato tutto così semplice e naturale. Nessun imbarazzo. Nessun turbamento …
Sospirò felice, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi serenamente.
 
Chi invece non stava affatto dormendo serenamente era Hayato.
Di nuovo quel sogno. Di nuovo quella sensazione di panico. L’inevitabile paura per la propria vita.
Quelle immagini irrompevano con prepotenza nel sonno e lo sapeva, lo sapeva che non era un sogno.
Oscurità intorno e la sensazione del metallo gelido di una pistola che si puntava sulle carni.
Spalancò i suoi due fanali turchesi, trovandosi in un bagno di sudore. Si portò una mano alla bocca, mordicchiandosi le nocche per essere certo – attraverso il dolore che si stava procurando – che quella era la realtà. Che era al sicuro sul suo letto, con Takeshi addormentato al suo fianco che si era fermato a dormir da lui quella notte, come spesso accadeva ultimamente. Passandosi una mano tra i capelli e sentendo come le dita tremassero leggermente, lanciò un’occhiata scandagliatrice intorno a sé. Nessun pericolo. Si trovava ancora in quella fase in cui parte del sogno si protrae anche nella realtà. L’ultima cosa della quale si volle assicurare fu la spalla destra. Se la toccò, ad assicurarsi che nessun colpo era partito. Che nessuno l’aveva colpito.
Ispirò ed espirò un paio di volte, sapendo già che solo Takeshi sarebbe stato in grado di calmarlo.
- G. … - mormorò pensieroso perché sapeva che quelle immagini appartenevano ai ricordi del suo predecessore, mentre attorcigliò le dita sulla maglia del compagno, affondando la testa sul suo petto. A quel contatto, Takeshi reagì immediatamente, circondandogli la schiena con le braccia.
- Stai bene? – gli chiese sussurrando lo spadaccino, iniziando ad accarezzargli i capelli.
- Sì … - bisbigliò lui, sentendosi immediatamente al sicuro e più tranquillo.
- Dormi adesso amore, che domani mattina ci dobbiamo alzare presto. – gli ricordò, mentre scivolava già nel sonno. E poco dopo anche Hayato lo seguì. Trovando finalmente il meritato riposo tra le braccia del suo adorato amore.
 
 
 
IL GIORNO DOPO
 
Dino ci aveva proprio preso gusto ad insegnare. Ecco perché aveva accettato l’incarico fino a fine anno scolastico. E questo voleva dire che sarebbe partito in gita con la classe della quale era responsabile. Alias quella di Tsuna e company. Non stava più nella pelle!
- Che bello. In gita! – stava proferendo felice per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina ed era stato malamente scaricato da Kyoya a casa Sawada, dato che il Disciplinare non era più in grado di reggere i suoi farneticamenti.
Ed ora, per strada, il biondo li incitava a camminare più velocemente per non arrivare in ritardo a scuola, beccandosi una serie di improperi infinti di parte di Hayato.
- Cosa ci sarà di così divertente nell’andare in gita, mai. Poi tu, invornito, che sei anche un insegnante e dovrai star dietro a un marasma di spocchiosi adolescenti. Tch! –
Tutti, vedendo che il cipiglio di Gokudera era più accigliato del solito, soprassederono sul fatto che anche lui faceva parte di quel “marasma di spocchiosi adolescenti”.
- Ma scherzi Gokudera-kun? Io non vedo l’ora! – lo contraddise Dino – La gita dell’ultimo anno del Liceo io me la son persa. Reborn mi ha impedito di andarci … - pensò con un brivido di terrore.
“ Poveraccio!” pensarono all’unisono Takeshi, Tsuna ed Enma “ E’ ancora traumatizzato al ricordo.”
 
- Prof, ma ha capito? – richiese per l’ennesima volta dubbioso il Preside, rivolgendosi verso Dino, dopo che il Dirigente Scolastico l’aveva chiamato nel suo ufficio per dare agli insegnanti le ultime indicazioni in merito prima che le classi partissero.
- Hum-hum – assentì con il capo il diretto interessato - Sì: rendere questa gita indimenticabile per i ragazzi. – concluse trionfante.
- Noo! – replicò scioccato l’altro, lanciando un’occhiata disperata verso Hibari che si trovava a sua volta in quell’ufficio. – Controllare che i ragazzi non facciano nulla di sconveniente e imparino qualcosa. –
- Appunto, è quello che ho detto io: rendere questa gita indimenticabile. – terminò con uno dei suoi sorrisi, mentre la sua zazzera dorata brillava più del solito quel giorno. Kyoya alzò gli occhi al cielo, con sospiro silenzioso annesso, prima di uscire dall’ufficio e raggiungere gli altri sull’autobus.
- Kyoya, viene anche tu via con noi perché non puoi neanche immaginare di restare senza di me per cinque lunghi giorni e quattro lunghissime notti? – lo provocò divertito il biondo, sapendo di irritarlo fuori dalle maniere, soprattutto nel momento in cui lo obbligò a fermarsi afferrandolo per un braccio e facendolo voltare verso di sé. Prendendogli il mento tra due dita, lo costrinse a sollevare il volto verso il suo.
- No, ovviamente. – fu l’ovvia risposta atona, mentre si liberava da quella presa – Vengo per controllare che tu non faccia casini. –
Dette queste parole, Hibari proseguì per il suo cammino imperterrito, neanche accorgendosi che Dino – dopo una rapida corsetta – l’aveva raggiunto.
- Ah Kyoya, quasi dimenticavo … – proferì sornione nel momento in cui l’ebbe superato e si era voltato verso di lui. – … sarò io a decidere la disposizione delle camere. -
Un brivido di angoscia lo gelò sul posto.
Così come un brivido di angoscia e agonia, nonché di mesta disperazione e rassegnazione, si dipinse sul suo volto quando – una volta che l’autobus fu partito – vide una figura non meglio distinta correre verso il mezzo, urlando di fermarsi e aspettarlo.
- Ehm … - biascicò l’autista, notando che la losca figura non accennava a frenare la sua corsa verso di loro.
- Non si preoccupi – proferì Hibari, guardando dritto davanti a sé – acceleri pure. –
Tanto era sicuro che, in caso di impatto, non sarebbe stato di certo Sasagawa Ryohei a subir danni, ma l’autobus.
 
 
Continua …
 

 
Clau: Ciaossu^^ e ben ritrovati. Ah, non serve che ve lo dica, ma sapete che quando nelle mie fic appaiono G&Giotto – a meno che non sia espressamente indicato il contrario – loro due stanno insieme, no? Hum … com’è che non c’è nessuno in queste note finali oggi?
Hibari: Hn!
Clau: Oh, Mr.Sociopatico. Vabbè, sempre meglio di niente.
Hibari: Hn!
Clau: Dove son tutti gli altri?
Hibari: Son rimasti tutti fuori fase dopo aver letto la tua 3some.
Clau: Hum, tu sei rimasto indenne invece …
Hibari: Hn!
Dino: Clauuuuuuuuuu!! Anch’io anch’io. Ti prego ti prego! Anch’io voglio una 3Some.
Yama: Anch’io!
Clau: Ohhh! *ç*
G. : Tch! Io invece non voglio più niente da te! Mi hai fatto addirittura finire sotto.
Clau: Ohhh *ç*
Alaude: Pft …
G. : Cosa ridi ?!
Clau: Ehm^^’ Vabbè … Che ne dite se ripristiniamo la rubrica “ I misteri di KHR” anche in questa fic^^?
Goku: Che ne dici se invece, a proposito di misteri, cercassimo di capire cosa c’è nella tua testa oltre al vuoto e al silenzio?
Clau: Non sei per niente divertente.
Goku: Tzk, e quando mai ho sostenuto il contrario?
Clau: -_____-
Cozzato: Posso chiudere io queste note finali^^?
Clau: Ohh, Cozzato *ç*
Lambo: Ciao! Sei venuto a farti castigare dalla Clau?
Cozzato: Eh?
Goku: Lascia perdere, e abituati a questa gabbia di matti!
Mukuro: Kufufufu … Qualcuno mi ha chiamato?
Clau: Oh, ciao amichetto del cuore. Dove andiamo di bello oggi?
Goku: A farvi visitare, ma da uno bravo però!
Yama: Chiudo io, và. Ciao a tutti e alla prossima^^
Clau: Fermi tutti! Ho avuto un’idea geniale! Giochiamo a Hibarin?
Dino: Pft…
Hibari: Hn!
Goku: Mamma mia, che idea geniale … rabbrividisco di fronte a tanta genialità -____-
   
 
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