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Autore: Letterenascoste    23/08/2014    2 recensioni
«Dove andiamo?» chiese Faith, seduta sul sedile centrale posteriore, avvicinandosi ai posti anteriori.
«A casa mia» le rispose Hannibal, guardandola dallo specchietto retrovisore.
Faith deglutì e un piccolo brivido di orrore la percosse, mentre le mani cominciarono a sudarle.
Non ci pensare, andrà tutto bene.
La casa era imponente, proprio come il dottore.
Per lo meno non è isolata, pensò lei varcandone la soglia.
«Va tutto bene?» le chiese Hannibal chiedendole, con un gesto della mano destra, il giubbotto.
Faith, lentamente e scrutando le intenzioni dell'uomo, si tolse il giubbotto «Tutto bene» rispose lei.
«Mi sembrava un po'... terrorizzata, a dire il vero» asserì lui sorridendole.
Lo sono.
Attenzione: riprende esplicitamente alcune scene degli episodi.
Genere: Commedia, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hannibal Lecter, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faith.

Capitolo quinto (pt I).



Faith provò un brivido di agitazione e qualcosa di strano, una sensazione mai provata prima: che fosse questa la famosa ‘adrenalina’? Il suo pensiero zampillava tra mille possibilità in cui la situazione si sarebbe potuta evolvere... e tutte terminavano con la sua morte.
Chissà che sapore avrò!
Con passi pesanti e rumore di piedi che strisciano stanchi e svogliati sul pavimento, Faith arrivò nella sua stanza, chiuse la porta alle sue spalle e l’aria silenziosa trasportò il rumore metallico e sordo della serratura che veniva chiusa da Faith, con due mandate… non si sa mai!
Si abbandonò sul letto, mentre ancora la vestaglia la cingeva in vita, avvolgendola di un calore inumano.

Furono dei rumori a interrompere il suo sonno pesante: voci, passi e qualcosa che le sembrò lo stridere di un bollitore. Si stropicciò gli occhi mentre si sentiva ancora un po’ pesante per l’effetto del calmante. Quando voltò lo sguardo alla sua destra, notò che, poggiato sul comodino scheggiato e macchiato, vi era una tazza rosa, quella che vinse suo padre a una fiera di un paesino vicino perché tanto le piaceva. Riconobbe subito l’odore del caffè che aveva inondato la stanza. Per un attimo si sentì coccolata e prese quel ricordo doloroso e lieto tra le mani, cullandosi in quell’odore che tanto le piaceva, avvicinò la bocca alla ceramica colorata e stava quasi per berne il contenuto quando, fulminea, si accorse della porta spalancata. Di nuovo quello strano brivido la percorse. D’istinto, dopo aver lasciato in modo brusco e rumoroso la tazza sul comodino, si buttò a terra per sbirciare sotto il letto: era sparito. Il suo segreto, il suo conforto, la sua adolescenza e la sua malattia era stata trafugata. Balzò di nuovo in piedi e il movimento brusco le provocò una vertigine e un forte giramento di testa, lo stomaco vuoto da giorni si faceva sentire. Si appoggiò, come succedeva spesso, alla parete in attesa che la vista fosse di nuovo limpida e appena ne fu capace analizzò la serratura della porta che, ne era sicura, aveva chiuso la sera precedente: un segno di un qualcosa di lungo, forse un piede di porco, era stato impresso a forza nel legno dell’imposta. Come aveva fatto a non sentire nulla? Ci pensò per qualche minuto, mentre un labbro veniva torturato dai denti nervosi: doveva essere stato quel ‘blando’ calmante datole la notte prima dal dottore. Si diede della sciocca per essersi fidata, poi prese la tazza colma di caffè e la svuotò nel lavandino del bagno della camera. Fece scorrere abbondantemente l’acqua per evitare che l’odore della bevanda rimanesse nel piccolo bagno senza finestre. Si avvolse ancora nella sua vestaglia e la strinse più forte, poi con passi sicuri si decise a scendere al piano inferiore.

«Buongiorno» le disse Abigail, riservandole un sorriso timido al quale Faith non seppe rispondere.
«Dormito bene?» le chiese Hannibal con un tono di malizia che non era difficile da cogliere.
«Profondamente» rispose lei cercando di nascondere la sua stizza e al tempo stesso la sua umiliazione per essere stata ‘scoperta’.
Hannibal Lecter prese due uova, le ruppe e le riversò in una padella troppo nuova per appartenere a Faith.
«Sono uscito presto per comprare qualcosa per la colazione» spiegò lui «Mi sono permesso di acquistare anche una padella che non avesse ruggine»
Faith si sentì rimproverata e si strinse, quasi in segno di autodifesa, tra le sue stesse braccia. «Non avrebbe dovuto» sussurrò poi, in parole che fuoriuscirono da una bocca serrata e astiosa.
Lo guardò frantumare quelle uova con l’ausilio di una forchetta, mentre diventavano sode e dorate, dopo un paio di minuti le adagiò su un piatto aiutandosi solo con un movimento rapido di un polso abituato a destreggiarsi nella cucina.
«Sale?» le chiese soffermandosi un secondo a guardarla, ma prima che lei potesse rispondere lo aggiunse comunque alle uova.
«Ma certo, grazie» aggiunse ironica Faith, scambiandosi uno sguardo perplesso con Abigail.
Afferrò la forchetta, che le era stata messa di fianco al piatto, e mangiò ciò che le era stato servito, come in un gesto di sfida. Si sbaglia se crede che non lo mangerò!
«Purtroppo non c’era nulla in dispensa o in frigo» aggiunse Abigail sorseggiando un bicchiere di latte «Anzi, credo che il frigo non sia neanche attaccato alla corrente»
«E’ rotto da un po’ di tempo» mugugnò Faith mentre combatteva contro la forte e ormai naturale sensazione di disgusto nei confronti del cibo. Aiutò ogni boccone a scendere giù con un sorso di quel latte, sicuramente non scremato, che le era stato versato nel frattempo dal dottore. Ogni sorso era una sfida con lui e con se stessa. Mangia e bevi, mastica e inghiotti… rimetti!
«In effetti pensavo che avrei trovato qualcosa, tanto meno per Abigail» aggiunse Hannibal appoggiando le sue grandi mani sul bancone da cucina «Biscotti, cioccolato, patatine… Queste cose che piacciono ai ragazzi»
Faith ebbe l’impulso di tirargli contro quelle uova stomachevoli quando vide un piccolo sorriso dipingersi sul volto dello psichiatra; al tempo stesso era percorsa dalla voglia di urlargli contro e chiedergli che fine avesse fatto il suo prezioso scatolone. Tuttavia si limitò a chiudere gli occhi e respirare profondamente per pacare la rabbia e la frustrazione che crescevano sapendo che quello era un gesto d’umiliazione, che solo loro comprendevano, e al tempo stesso di imposizione. Faith sapeva bene che non vi erano dubbi sul fatto che Hannibal Lecter avesse carpito la sua malattia in un nanosecondo una volta trovata ‘quella’ scatola, e la stava sfruttando per dimostrare, chi tra i due, dettasse le regole del gioco: il leone più grosso vince sempre su quello più debole.
D’un tratto squillò un cellulare e Hannibal, con un gesto fluido, estrasse l’apparecchio telefonico dalla tasca della sua giacca, guardò il nome del chiamante e aggrottò lievemente la fronte.
«Abigail, è ora di andare: la dottoressa Bloom ha scoperto la tua assenza dal centro di recupero»
In pochi minuti raccolsero le loro poche cose e lasciarono quell’abitazione.
«Mi dispiace doverle lasciare delle stoviglie da lavare» le disse Hannibal congedandosi. Lei non rispose e si limitò a guardarli andar via: oltre la porta, fuori dal vialetto, lontano dalla sua casa.
Fu solo quando la macchina dello psichiatra non rientrava più nella sua visuale che Faith, correndo, si precipitò in bagno, testa china sul wc.

Aveva da poco finito la sua pratica di ‘pulizia’ quando suonò ripetutamente il campanello della porta d’ingresso.
«Posta prioritaria» disse l’uomo dall’altra parte della porta.
Lei aprì, controvoglia. Socchiuse un occhio quando la luce le colpì il viso. Aveva i capelli arruffati tenuti in una coda ormai disfatta, le occhiaie livide, gli occhi lucidi e i polpastrelli rugosi. Il ragazzo addetto alla consegna la guardò un attimo prima di parlare.
«Faith Williams?»
«Si» biascicò lei accendendosi una sigaretta e appoggiandosi allo stipite della porta, per risparmiare energie.
«Una firma qui» le disse rivolgendole un sorriso.
Firmò distrattamente, mentre con la coda dell’occhio poteva vedere il sorriso rivoltole: umanità.
«Ho avuto la febbre per qualche giorno» sentì il bisogno di mentire per ricambiare quel sorriso distratto ed estraneo «Di solito non sono in queste condizioni» continuò poi accennando una risata, nascondendo i polpastrelli della mano destra nella tasca della felpa grigia, mentre con l’altra mano afferrava il pacco.
«Si rimetta presto allora» le augurò il giovane postino dandole poi le spalle.
Richiusasi in casa, Faith consumò la sua sigaretta con il pacco ancora tra le mani e poi con un gesto noncurante aprì il biglietto allegato, in cui serpeggiava sempre la solita scritta: “Con affetto, Mamma”. Stava quasi per buttare il pacchetto grosso circa una ventina di centimetri, quando un rumore familiare richiamò la sua attenzione. Scostò la tenda e riconobbe la sua bella Crosstourer. Provò un moto di gioia nel rivedere la sua moto e senza accorgersene si precipitò fuori.
«Grazie» disse, quasi urlando, a quell’uomo un po’ più alto di lei «Grazie, grazie, grazie» e per un momento ebbe l’istinto d’abbracciarlo.
«Non deve ringraziare me, io sono solo il fattorino» disse l’uomo con un accento marcatamente italiano «Il signor Verger ne ha ordinato la riparazione»
Faith sorrise e quasi rise per la contentezza. «Sembra che ormai io abbia molti debiti col signor Verger!»
«Sembra che lei abbia dei debiti con le persone sbagliate» disse lui quasi in cantilena, quasi in un rimprovero. Ma Faith non ascoltò: era solo felice di riavere la sua moto. Si guardò le mani e ancora aveva dietro quel pacchetto tanto indesiderato: lo allungò verso Carlo. «Lo dia al signor Verger, da parte mia. E’ solo un pensiero, dei cupcake, ma gli dica che lo ringrazio vivamente»
Carlo fece una smorfia, afferrò il pacchetto e andò via pensando a quanto fosse sciocca quella ragazza intenta ancora a rimirarsi sulla superficie lucida della sua moto.


Note: mi scuso per gli eventuali problemi di grafica, purtroppo la scheda video del pc ha deciso di far le bizze, quindi non riesco a capire se vada bene. Rimedierò appena ne avrò l'occasione. Vi ringrazio per la lettura.
   
 
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