Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: deepblueyes    24/08/2014    0 recensioni
Cosa faresti se un Demone, per scommessa, ti offrisse in un Contratto l'amore della tua vita, chiedendo in cambio soltanto la tua anima?
Accetteresti?
E se poi ti trovassi invischiato in un mondo di cui non immaginavi neppure l'esistenza, rischiando la vita, e scoprissi che la tua esistenza era sempre stata soltanto un'apparenza di normalità?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 19


Non avevo nessuna idea di dove Gabriel mi stesse portando, inoltrandosi nei boschi che circondavano la proprietà del nonno a lunghe falcate, tanto che io dovevo quasi correre per stargli dietro. La sua mano stringeva saldamente la mia e io non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue dita lunghe se non per sbirciare il terreno, preoccupata all'idea di inciampare su una radice o un qualche sasso particolarmente grande. 
Da quando eravamo usciti dalla mia stanza non aveva aperto bocca, e di questo gli ero grata: le parole di Cassandra erano impresse a fuoco nella mia mente e mi rendevano diffidente e impaurita nei confronti di Gabriel.
Ma dopo il pomeriggio appena trascorso non potevo certo troncare tutto così, da un minuto all'altro. Per quanto fossi vagamente spaventata e confusa, non potevo onestamente credere di non significare niente per Gabriel, e non ci avrei creduto fino a quando non avessi sentito uscire dalla sua bocca la frase: "Non conti niente per me, sei solo un gioco".
Non sapevo dove mi stesse portando o cosa volesse fare, ma al dubbio e al rimorso preferivo di gran lunga avere risposte, per quanto rischioso potesse essere ottenerle, per quanto dolorose potessero essere; non gli avrei mai consegnato una seconda volta la mia anima, per nessuna ragione al mondo, e se questo era il suo obiettivo di stanotte allora... avrebbe dovuto uccidermi. O catturarmi e tormentarmi. Mi andava bene, purché riuscissi ad ottenere le risposte che volevo e a risolvere le mie incertezze, che ora come ora erano più laceranti di qualsiasi tortura. 
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi accorsi che Gabriel si era fermato, e gli finii addosso, rimanendo senza fiato all'impatto: il suo corpo era talmente solido che mi sembrò di schiantarmi contro una parete di cemento. 
"Tutto ok?" chiese, sbirciando nella mia direzione con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso.
Avvampai, come al solito, e annuii, mantenendo lo sguardo ostinatamente puntato sulle nostre mani.
Sapevo che se avessi incontrato i suoi occhi i miei neuroni se ne sarebbero andati a farsi friggere, e così tutti i miei buoni propositi, perciò evitai accuratamente di guardarlo in viso.
"Se sei sicura..." disse, prima di puntare il braccio libero di fronte a sè, sussurando qualcosa in una lingua a me assolutamente incomprensibile. Tesa come una corda di violino, fissai ad occhi spalancati gli alberi e l'erba davanti a noi, cercando di capire cosa dovesse succedere: ma l'aria rimase immobile e un gufo tubò indisturbato tra i rami.
Che Gabriel abbia fatto cilecca con l'incantesimo? O anatema o quello che è?
"Tsk... io non faccio mai cilecca, miss!" 
Mi voltai di scatto verso di lui, intenzionata a dirgliene quattro per la sua insopportabile mania di mancare di rispetto alla mia privacy, quando uno schiocco mi distrasse. Tornai a guardare avanti e rimasi senza fiato: a pochi passi da noi si era aperto una sorta di varco. 
Sembrava uno squarcio, dai contorni frastagliati e irregolari, come se Gabriel avesse preso un coltello e strappato la tela di un pittore dove era rappresentato il giardino del nonno. Oltre i lembi fluttuanti non riuscivo a distinguere nient'altro che oscurità, sibilante di un vento bollente che doveva soffiare dall'altro lato.
"Che... che cos'è?" chiesi, accennando un passo indietro.
"Questo è il mio Limbo, Alice. Prima le signore" sogghignò, facendo un ampio gesto di invito con la mano libera.
"E che diavolo sarebbe un Limbo? Non ci finiscono i non battezzati?"
Gabriel ridacchiò: "Quella è la versione di Dante Alighieri, miss. Non propriamente azzeccata, direi. Un Limbo è un luogo che si trova a metà tra l'al di qua e l'aldilà. A metà tra il mondo degli umani, l'Inferno e il Paradiso."
Lo fissai, sconvolta, per poi voltarmi nuovamente verso il varco.
"E che ci andiamo a fare nel Limbo?"
"Presta attenzione, il mio Limbo. Ogni demone può crearsene uno suo, così da avere un posto sicuro in cui andare quando il resto del mondo diventa troppo... soffocante. O se deve sparire dall circolazione per un po'. Personalmente, mi ci rifugio quando non ho voglia di far niente, nemmeno di pensare. Nessuno oltre me vi ha mai messo piede, fino ad ora."
Appena sentii quelle parole strinsi le labbra, tenendo lo sguardo basso per qualche minuto. 
"Non sei costretta a venire, se non vuoi..." sussurrò, lasciando la mia mano. 
Scossi la testa: "Lo so. Vengo. Ma c'è un pavimento qua dentro? No perché sai, non sembra proprio, e io non so volare!" 
"Tu no, ma io si."
"Cos..?" 
Non riuscii a finire la frase perché un corpo solido e scuro mi avvolse, trascinandomi all'interno di quella fessura dimensionale, lasciandomi poi andare dopo qualche istante, con delicatezza, e sparendo nel buio. 
Mi ritrovai immersa nell'oscurità, ma coi piedi saldamente piantati su qualcosa di solido, per fortuna. 
Il nero che mi circondava era così denso da impedirmi di distinguere qualunque qualcosa oltre il mio respiro, che si condensava stranamente in piccole nuvolette nonostante la temperatura fosse tutt'altro che bassa.
"Gabriel? Gabriel, dove sei? Non è divertente, vieni fuori! Non si vede niente qui!" urlai, con una voce talmente stridula da non sembrare nemmeno la mia. 
Di colpo delle luci si accesero, rischiarando l'ambiente in maniera tanto improvvisa e intensa che dovetti coprirmi gli occhi dal fastidio. 
Mi guardai intorno, spaesata. Mi trovavo in una camera molto spaziosa, dalle pareti color crema; il soffitto era interamente ricoperto da eleganti pannelli di legno lucido, il pavimento in parquet. In un caminetto in stile moderno scoppiettava allegro un fuoco, consumando la legna in tutta fretta. Appena di fronte al camino, poco lontano da me, c'era un divano molto invitante, rosso, affiancato da una poltroncina blu orientata a formare con esso un angolo retto. Sotto i miei piedi c'era un soffice tappeto riccamente decorato, dall'aria vagamente preziosa, tanto che mi preoccupai di rovinarlo con le mie scarpe. Appena oltre il divanetto, a qualche metro di distanza, un enorme letto matrimoniale faceva bella mostra di sé su una pedana rialzata, con le lenzuola chiare in netto contrasto con la base in legno nero. Delle lunghe tende porpora e crema coprivano la parete di fondo della stanza, lasciandomi intuire che dovesse esserci qualche altra camera più avanti, probabilmente il bagno e la cucina, o chissà che altro.
Era un luogo accogliente e rilassante, dove sarei venuta volentieri per staccare un po' la spina: ed era esattamente questa la ragione per cui Gabriel ci andava, a quanto aveva detto. 
Non appena il suo nome si formò nella mia mente, Gabriel comparve nella stanza, appoggiato al camino con le braccia incrociate sul petto. I suoi occhi arsero nei miei, e incontrarli mi provocò un piacevole brivido lungo la spina dorsale. Come al solito, arrossii fino alla punta dei capelli.
"Ehm... è carino, sai. Molto." cincischiai, non riuscendo a trovare niente di più intelligente da dire.
"Mmh." 
"Come... come mai non... ci fai venire nessuno?"
Sollevò un sopracciglio alla mia domanda, senza abbandonare la sua solita espressione arrogante. "Faccia da schiaffi", avrebbe detto mia madre.
"Perché non ho mai voluto nessuno qui dentro, prima d'ora." 
"Ah." 
Cosa? E' tutto quello che riesci a dire, accidenti?! Dio, sei proprio una  stupida!
"Cosa c'è che non va, Alice?"
Sussultai quando interruppe il filo dei miei pensieri: "Cosa? Non... non c'è nulla che non vada, è tutto ok. Niente, davvero!"
Sospirò: "Bugiarda."
"Ehi! Non sono una bugiarda! E smettila di leggermi nei pensieri!"
"Non sono nella tua mente, credimi. Non è necessario, si vede benissimo che menti. Alice... sei sulla difensiva, fredda e distante. Cosa c'è che non va? E' successo qualcosa? Ho fatto qualcosa?" chiese, staccandosi dal camino e avvicinandosi di qualche passo.
Io non sapevo da che parte cominciare, come dire quello che volevo dire. Insomma, mi aveva appena detto che ero la prima persona che avesse mai voluto portare nel suo Limbo, anche se lo aveva fatto in maniera implicita, e io ero venuta per sapere se gliene importasse davvero qualcosa di me. Mi sentivo così dannatamente stupida.
"Alice..."
"Ho parlato con Cassandra. O meglio, lei è venuta da me perché... perché Cameron ci aveva visti nella radura. E mi ha detto delle cose..." 
"Cosa?"
"Io..." non riuscivo a guardarlo negli occhi, tenevo lo sguardo ostinatamente puntato sui ricami del tappeto.
In un secondo, Gabriel mi fu davanti, vicinissimo, e mi sollevò il viso con la mano: "Cosa ti ha detto Cassandra, Alice?" ripetè, lentamente.
"Che mi stai ingannando. Che probabilmente vuoi la mia anima e nient'altro, e che lo sa con certezza dato che ti conosce bene. O almeno, meglio di quanto non ti conosca io, forse."
Nonostante mi avesse alzato il mento, continuavo a non guardarlo negli occhi, non ne avevo il coraggio.
Codarda! 
"...E tu le hai creduto?"
"No. Si. Cioè, non lo so. Mi hai promesso che non avresti mai più cercato di prenderti la mia anima, e io ci credo. Ma... alcune delle cose che ha detto... ecco, un po' le penso anche io."
Allontanò la mano dal mio viso e sospirò, di nuovo: "Ok, sediamoci e parliamone. In cosa concordi con lei?"
Sfiorandomi il gomito mi spinse verso il divano, dove mi sedetti con lui vicino. In qualche modo, trovai il coraggio di guardarlo in faccia: non sembrava arrabbiato nè offeso o infastidito. Aveva un'espressione assorta, concentrata, che non riuscii a interpretare.
"Ecco... tu sei un demone e... non conosco la tua storia, ma di certo non ti sarai comportato... 'bene', molto spesso."
"Diciamo pure che non mi sono 'comportato bene' mai, Alice. Si, è vero." 
"Già. Io pensavo che... non so, pensavo che forse adesso non ti importasse poi più di tanto cacciare anime o rubare cose o... insomma, che potessi cambiare un po' in questo senso, smettere di fare del male a persone innocenti. Ma Cassandra... ecco lei ritiene che i demoni non cambiano, che non possono."
Gabriel annuì impercettibilmente, con lo sguardo perso nel vuoto: "C'è altro?"
Esitai un momento prima di rispondere: "Si. Lei ha detto che i demoni non amano. Nel senso, non provano emozioni intense in generale, ma solo cose passeggere, passioni brevi. E che per questa ragione, probabilmente ti stai prendendo gioco di me. E io... ecco io mi chiedevo se fosse vero..."
"Che puttana." 
Sussultai: "Cosa?!"
Gabriel rise, scuotendo la testa, per poi voltarsi verso di me: "Pardòn, miss, mi è sfuggita. E poi, dicono che gli angeli sono buoni, innocenti e altruisti. Ah, senza parole, davvero!"
"Che vuoi dire?" chiesi, corrugando la fronte.
"Voglio dire che ha sparato un sacco di stronzate, Alice. Si, come ho già detto non sono stato esattamente un 'bravo ragazzo' in passato, ragionevolmente non lo sono nemmeno adesso, nè lo sarò mai. Per quel che vale, ci sto provando, sto provando a essere un po' meno scorretto ed egoista... per te. Avrei potuto portarti via non appena compreso il pericolo che stavi correndo, rinchiuderti qui con me fino a quando non fosse stato risolto e forse anche dopo, senza tenere conto dei tuoi sentimenti... credimi, ci ho pensato parecchio. Ma ho capito che non lo avresti voluto, che sarebbe stato sbagliato, assolutamente scorretto da parte mia; perciò non ho preso a calci nel culo quei quattro pennuti e sono rimasto per aiutare, perciò collaboro con gli angeli, con Gabriel. Perché era la 'cosa giusta' da fare, quello che tu avresti fatto al posto mio."
A ogni parola che pronunciava, mi sentivo sempre più in colpa, una completa idiota. Accidenti.
"E comunque, Cassandra ha mentito. Non sul mio passato, mi guardo bene dal dire una cosa del genere, ma sul fatto di cambiare. Un demone, Alice, è un Angelo Perduto: e una strada persa si può... ritrovare, se è ciò che si desidera. Non è raro che un demone torni a essere un angelo o viceversa, che un angelo si trasformi in un demone. Inutile dire che tuo nonno e i suoi compari sono sulla strada." 
Quasi mi cadde la mascella a quella rivelazione. Non potevo crederci: "Quindi tu potresti tornare a essere un angelo?" chiesi. Eppure, nell'esatto istante in cui pronunciai quelle parole, una parte di me si spaventò all'idea, mentre l'immagine di Iblis si sovrapponeva a quella terrificante di Cameron. Per assurdo che fosse, non volevo che questo accadesse.
"Teoricamente, si. Praticamente... Alice, sono sincero, non voglio. Gli angeli... beh è complesso da spiegare, ma ci provo. In Paradiso è diverso, molto diverso. Lì è tutto perfetto, lontano anni luce dal mondo umano e dalle sue incoerenze e sofferenze e lì gli angeli sono felici. Almeno a quanto so, lì sono veramente buoni e sereni, cullati in quel luogo da sogno, pieno di amore e gioia. Ma appena scendono nel mondo umano, il loro animo si corrompe e si macchia e gli angeli soffrono e perdono il senno perché sono lontani dalla bellezza che conoscevano; sai, una volta scesi fra gli umani non possono più tornare indietro, perciò sono così pochi gli Angeli Caduti. E' una condizione dura, perché spesso sono forzati a compiere azioni che li rendono peccatori, crudeli, oscuri, pur di proteggere le anime degli umani, e questo li consuma. Probabilmente Cassandra ha provato disgusto per se stessa quando ti ha mentito in quel modo; probabilmente, un giorno verrà a implorare il tuo perdono per ciò che ha fatto. Io sono figlio di demoni, non sono mai stato un angelo prima: per questa ragione, se ora cambiassi e mi trasformassi, non potrei mai varcare le Porte del Paradiso. Sarei costretto a vivere nella sofferenza, spezzato in due tra la mia natura e il mio dovere, con impresso nella mente il ricordo della libertà che ho avuto come demone, quando vivevo senza alcun rimorso, senza alcun disgusto verso me stesso, ma incapace di tollerare l'idea di vivere ancora nel peccato. Sarebbe orribile, credimi."
Rimasi in religioso silenzio per tutto il tempo, ascoltando con attenzione ogni sua parola, e continuai a non parlare anche dopo che aveva finito di spiegarsi, metabolizzando le informazioni che mi aveva dato. Nella mia fantasia, gli angeli erano creature delizione, perfette e delicate, che non conoscevano la sofferenza; i demoni, mostri senza cuore, costretti a odiare tutto e tutti e vivere in una condizione penosa e crudele. Ora mi rendevo conto che la realtà era profondamente diversa dall'immaginazione, ora capivo ogni singolo sguardo infinitamente triste del nonno. Mi scoprii a provare pena per lui.
"Per quanto riguarda i miei sentimenti, Cassandra non è stata onesta, di nuovo. Vedi Alice, ho letto spesso nella mente degli umani e siete molto... confusi, soprattutto sui sentimenti. Provate un milione di cose insieme, talvolta anche emozioni contrastanti tra loro nello stesso momento, e per questa ragione siete molto, molto incoerenti e spesso non riuscite a distinguere esattamente cosa provate per qualcosa o qualcuno. Per noi demoni è diverso. Noi sappiamo capire meglio cosa proviamo perché ne abbiamo una percezione incredibilmente più intensa, quasi stordente. Non so se si può definire amore o affetto quello che provo per te, non lo so perché non l'ho mai provato prima. So solo che è talmente forte che quando sono con te, non riesco a fare altro che concentrarmi su di te: calamiti la mia attenzione, i miei pensieri, i miei desideri e non riesco a essere lucido con te intorno."
Non mi guardò mentre parlava, e per qualche strana ragione pensai che fosse per timidezza, come se ammettere quello che provava per me lo imbarazzasse un po'. Il mio cuore batteva forte come un tamburo, cercando di balzare fuori dalla cassa toracica: andando avanti di questo passo, sarei svenuta con tutte queste rivelazioni.
Cercai di non andare in iperventilazione e intrecciai le dita alle sue, non trovando niente da dire che sembrasse quantomeno sensato, dato che la mia intelligenza era andata a farsi benedire.
"Beh, non hai niente da dire? Non mi credi?" mi incalzò, cercando di incontrare il mio sguardo sfuggente.
"No, no, io... ti credo. Davvero. E' che sono sorpresa, non mi aspettavo... "
"Non ti aspettavi tutta questa sincerità? Devo ammettere che ne sono sorpreso anche io, in effetti. Sono talmente incredibile che mi sbalordisco da solo, accidenti!" ridacchiò, palesemente soddisfatto di sè. 
Alzai gli occhi al cielo: "Non montarti la testa, hai solo fatto il tuo dovere!"
Mi guardò e ritrovai la sua solita espressione giocosa e provocatoria, di nuovo priva di tensione. Sospettai però che avesse in mente qualcosa, e mi venne la pelle d'oca al pensiero.
"Ah si? Avrei fatto il mio dovere eh... e senti un po', quando avresti intenzione di fare il tuo, miss?" sussurrò, avvicinandosi tanto che il mio naso adesso sfiorava il suo. L'ennesimo brivido mi percorse la schiena e il mio respiro accelerò, mentre il mio corpo si tendeva nel desiderio di un contatto con il suo. Non mi ero mai sentita così in tutta la mia vita, a parte forse poche ore prima, nella radura. 
"Che... che intendi dire?" borbottai, incapace di staccare gli occhi dalle sue labbra, che si tesero nel suo solito sorriso da Stregatto, scoprendo i denti bianchissimi.
"Che non sarebbe male se.." cominciò, baciandomi sulla guancia, pianissimo: "...riprendessimo..." proseguì, baciandomi l'angolo della bocca: "...da dove siamo stati interrotti, qualche ora fa." concluse, a un soffio dalle mie labbra.
A dire il vero, non so cosa mi prese in quel momento: non ero mai stata il tipo che prende l'iniziativa, men che meno con qualcuno che aveva molta più esperienza di me e che perciò era perfettamente padrone di sè in situazioni simili. Probabilmente, mi limitai a spegnere il cervello e basta. Gli infilai le dita fra i capelli, tirandoglieli un po', e lo strinsi a me, baciandolo con un'intensità di cui non mi credevo nemmeno capace. Evidentemente, nemmeno Gabriel se l'aspettava, perché perse l'equilibrio sbilanciando me indietro: affondai con le spalle nel divano, e il suo corpo premette contro il mio, regalandomi il contatto che tanto aspettavo e un sollievo istantaneo. La sua lingua scivolò tra le mie labbra, stuzzicando la mia, mentre le sue mani percorrevano il mio corpo dalla spalla, alla vita ai fianchi, giù fino alle ginocchia. Non riuscivo a pensare a niente, a malapena respiravo, troppo presa da tutte quelle sensazioni. Il suo corpo non mi pesava addosso, ma lo sentivo bollente contro il mio, e più il bacio andava avanti più si faceva profondo, e più volevo Gabriel vicino. Piegai le gambe e le avvolsi attorno ai suoi fianchi, accarezzandogli la schiena, percependo con chiarezza estrema ogni singolo muscolo guizzare sotto le mie dita.
Dio mio santissimo!
"Ah, maledizione!" sbottò, staccandosi di colpo.
Ero senza fiato e leggermente disorientata, ma in qualche modo riuscii a ricordarmi come si parla: "Cos.. cosa?"
"Dovresti smetterla di pronunciare quel nome, cazzo! Mi fa accapponare la pelle!"
"Ma di che cosa stai..." ma prima di concludere la frase, capii a cosa si riferiva  e scoppiai a ridere: "Così impari a leggermi nei pensieri!"
Sbuffò: "Ma a me piace farlo. Soprattutto quando sei così su di giri..." mi stuzzicò, lasciandomi una scia di baci umidi lungo la mascella e sul collo. Avvampai al pensiero di cosa potesse aver scovato nella mia testa pochi istanti prima. 
"Alice?"
"Si?"
"Che diavolo hai fatto al polso?" chiese, sollevandomi il braccio destro, dove la fasciatura copriva l'ustione che mi ero fatta oggi.
"Ah già... mi sono fatta male con quel ciondolo, oggi. Sarei dovuta filare nella cappella, ma sono rimasta con te..."
Mi guardò un istante, corrucciato, poi fece una smorfia: "Aggeggio inutile. Non metterlo più!" 
"E come faccio a sapere se devo scappare?" 
"Così." rispose, baciandomi la mano. Non appena lo fece, lingue nere la avvolsero, in sottili arabeschi complessi, un tatuaggio indelebile sulla mia pelle chiarissima.
"Che diavolo..."
"E' un incantesimo. Ti lega a questo posto, al mio Limbo. Ogni volta che ti sentirai in pericolo, o anche solo leggermente insicura, pensa a questo posto e ti troverai qui, al sicuro. Ok?"
Sorrisi: "Ok."
Ogni paura, ogni incertezza, era svanita. Ero in pericolo perché qualcuno voleva impossessarsi della mia anima, ero nei guai perché ero sparita con un demone senza curarmi delle regole del nonno, ero confusa perché non avevo mai provato emozioni così intense. Ma lì, su quel divano, tra le braccia del mio Iblis, io ero al sicuro. 

  
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