Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: hiromi_chan    24/08/2014    8 recensioni
Arthur Pendragon, demotivato e con la tendenza a ignorare i suoi problemi, viene spedito per conto della Pendragon Immobiliare a Castel Camelot in Scozia. Gli abitanti della città di Ealdor sono convinti che il castello sia in balia di strane presenze, ma Arthur non è dello stesso avviso. L'occasione lo porterà a unire le forze con la sorellastra Morgana, una veggente che gestisce un'agenzia di investigatori psichici, e con Merlin, l'eccentrico socio sensitivo di Morgana.
Inaspettatamente, Arthur si ritroverà a dover farei i conti con i suoi fantasmi personali... e anche con un altro tipo di fantasmi.
(Storia conclusa in tre capitoli)
[Questa fanfiction partecipa al contest “Il romanticismo del 666” indetto da _Stardust e _LoveStory_ sul forum di EFP.]
[Revisionata]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'King and Lionheart'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

~Seconda stesa delle carte~

 

 

 

Malone! Malone, dai – cazzo!” imprecò Arthur, quando uno stridio particolarmente forte si sovrappose a tutti gli altri, facendogli fischiare le orecchie.

Era proprio come aveva detto Merlin: quel concerto di urla disumane era scattato appena dopo la mezzanotte, e non ci voleva molto a capire perché il castello fosse stato abbandonato dai curatori. Una sensazione agghiacciante si stava facendo largo in lui, la pelle d'oca scendeva giù sfrigolando lungo la sua spina dorsale.

Per quanto si sforzasse di mantenere un approccio razionale, quelle grida non sembravano affatto suoni prodotti da un impianto stereo, e durante il giro di ricognizione di prima non avevano visto microfoni o altri apparecchi. Una spiegazione, però, doveva esserci per forza – anche se la testa di Arthur scattava da una parte all'altra, dalla nebbia che si era alzata fuori dal portone alla spettrale compostezza del salone.

Morgana, dopo avergli ordinato di restare dov'era, era tornata a sedersi al centro del pavimento, gli occhi chiusi e il mazzo dei tarocchi davanti a lei.

“Malon- ah, cazzo,” sbottò Arthur, un braccio teso contro lo stipite del portone. “Mi fai il favore di spiegarmi perché non possiamo uscire di qui e basta?” sferzò verso la sorellastra.

Lei alzò una palpebra. “Sento che non è il caso. Sento che saremmo più al sicuro qui che fuori.”

Una fitta improvvisa attraversò lo stomaco di Arthur; i suoi pensieri corsero a Merlin, fuori da solo, immerso nella nebbia e nell'ignoto. Le sue dita presero a tamburellare nervosamente sul legno del portone.

“Devi fidarti di quello che dico,” fece Morgana, richiamandolo con l'inflessione dura delle sue parole. “Almeno per una volta nella vita, credimi.” La sua voce raggiunse una soglia quasi dolorosa, quasi carica di rimpianto – e anche di questo Arthur non aveva proprio bisogno, al momento.

“Mi fido. Non è che io non creda a te...” cercò di spiegarsi, affannandosi nelle parole. Dio, non era mai stato bravo con tutta la faccenda dei sentimenti. “Ascolta, abbiamo incontrato una donna, prima. Helen Burn. Era strana – sarà opera sua, avrà architettato qualcosa per far sembrare, non so...”

“Ancora pensi che non sia vero?” si alterò lei. “Non lo senti, questo gelo nelle ossa che arriva fino al cuore?”

Un respiro rimase bloccato nella gola di Arthur che, lentamente, si voltò verso Morgana. Ma poi qualcosa gli si scontrò addosso al torace, veloce e brusco, una grossa massa umida che gli lasciò per un attimo il suo fiato caldo sul collo, e già Arthur stava balzando all'indietro, i denti stretti e gli occhi fuori dalle orbite, quando...

“Unf-Arthur?!” disse Merlin, passandogli un braccio intorno alla vita per stabilizzare l'equilibrio di entrambi.

La vista di Arthur, per il sollievo, si appannò di bianco (per il sollievo che si trattasse di Merlin e non di qualche creatura ancora più strana – non per il sollievo che Merlin fosse lì tra le sue braccia, ovviamente. Lo conosceva appena, del resto).

“Tu, Merlin Malone, mi fai impazzire,” disse con esasperazione, barcollando un mezzo passo indietro.

Un sorrisetto sornione passò a illuminare brevemente il volto dell'altro. “E tu, Arthur Pendragon, mi...”

“C'è un campo di forza intorno alla proprietà, non è così?” li interruppe Morgana, con l'aria di chi ne ha avuto abbastanza.

Arthur stava per dirle che non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando, ma Merlin lo precedette, spingendolo dentro senza lasciarlo. “Mh. Ho provato più volte ad allontanarmi, ma superato il ponte ritornavo sempre nello stesso posto.”

L'orologio a pendolo ogni tanto ancora batteva, mandando fuori tempo i suoi rintocchi su per le scale, e le grida non si erano fermate; l'atmosfera si stava facendo veramente gelata. Gli abiti umidi si erano appiccicati alla pelle di Arthur e l'aria era tanto pesante che gli rendeva difficile respirare.

La sua gola era serrata in una morsa secca, un pizzicore sordo nelle corde vocali gli faceva sentire il bisogno di tossire. Arthur ci provò, ma scoprì di non poterlo fare. Era come se la sua gola si stesse chiudendo sempre più, secondo dopo secondo.

Si portò una mano sul collo, allora, l'agitazione che prese a montargli dentro insieme a una nausea vertiginosa, e tutti i suoi sensi si concentrarono sul respiro che si stava facendo più strozzato, mentre le voci di Merlin e Morgana erano ovattate intorno a lui, distanti...

“Il fermacravatta, Merlin!” strillò Morgana, bucando la bolla soffocata che stava chiudendo la coscienza di Arthur.

Qualcosa lo toccò, delle mani amiche lasciarono impronte calde sul suo torace, intorno al suo collo, sul colletto della camicia... ma Arthur stava scivolando via, gli occhi roteavano già nelle orbite...

Che modo stupido di morire, senza poter dire addio a nessuno di quelli a cui nemmeno si era immaginato, prima d'ora, di voler dire addio... senza essersi riconciliato davvero con Gwen e Lance, e Morgana, poi...

“Fatto!” esultò Merlin.

Arthur seguì la sua voce e prese un respiro con così tanta forza da sentire un dolore lancinante.

Si ritrovò steso sul pavimento, a tossire spasmodicamente. I due investigatori psichici, ai suoi lati, lo guardavano con apprensione.

Merlin si chinò, prendendogli la faccia tra le mani, piano. “Stai bene? Ehi...”

Una delicata sicurezza avvolse Arthur, dandogli la sensazione di aver trovato un appiglio nella tempesta. Merlin lo aiutò a mettersi seduto, e il mondo girò come quando si era preso quella sbronza colossale alla sua festa di laurea, solo che stavolta era tutto molto meno divertente.

A qualche metro da lui il drago d'oro Pendragon giaceva abbandonato a terra, l'occhio rosso che baluginava in modo inquietante sotto la luce del lampadario di cristallo.

Arthur si passò una mano intorno al collo, devastato. Un nuovo stridio acutissimo fece sobbalzare i tre, che si affrettarono a rimettersi in piedi.

“Insomma, che diavolo sta succedendo?” disse Arthur, mentre Merlin lo tirava per il gomito verso le scale, costringendolo a correre.

“Tranquillo, non avere paura,” disse Morgana, schizzando in testa al gruppo.

“Non ho paura!” protestò lui, anche se era molto difficile suonare convincente quando ancora ci vedeva doppio e stava salendo le scale di corsa.

Morgana era veloce, i suoi capelli neri fluttuavano sopra il parka. “Oh, ne sono sicura, che non hai paura. Solo chi è senza cervello non ha paura, e tu sei senza cervello – Merlin, scappare è del tutto inutile, che accidenti stiamo facendo?”

Perfetto, nemmeno quelli che avrebbero dovuto essere gli esperti della situazione avevano la più pallida idea di cosa fare.

Merlin allungò il braccio per indicare a Morgana di prendere il passaggio con le scale a chiocciola alla fine del corridoio. “Ehm, andiamo verso i punti in cui le grida sembrano meno intense per... guadagnare un po' di tempo?”

“Bravi, voi giocate agli indovinelli mentre io qui sono quasi morto soffocato,” sbottò Arthur, spingendo la schiena di Merlin su per i gradini.

“Ti avevo detto di togliere quello stupido fermacravatta!” strillò la sua sorellastra.

Alla fine, quando tutti e tre erano rimasti senza fiato, si ritrovarono in cima a una delle torri minori, dove Arthur ricordava di aver visto un paio di stanze da notte. “E ora?” disse a fil di voce.

Il corridoio in cui si trovavano era stretto e circolare. Dei quadri dalle cornici impolverate e ingombranti erano immersi nelle ombre; l'unica fonte di luce proveniva dalla vetrata di una finestra in fondo.

“Penso che siano Dorocha, quindi nemmeno noi possiamo fare proprio nulla oltre a tentare di metterci in salvo,” disse Merlin, il viso stretto in un'espressione grave. Evidentemente credeva di aver così spiegato ad Arthur tutto ciò che c'era da sapere, mentre invece l'aveva lasciato più confuso di prima.

“Questi Dorocha sono, tipo, mostri?” fece Arthur, agitando in aria una mano. Non poteva credere di star dicendo sul serio quelle cose. Sembrava passata una vita da che aveva preso mentalmente in giro suo padre per aver parlato di un castello infestato, e invece...

Non voleva ammetterlo, ma non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto continuare a ignorare ciò che stava accadendo.

“Niente mostri,” disse Merlin, lo sguardo che non aveva lasciato il suo nemmeno per un attimo. “I Dorocha sono spettri vendicatori. Non possono essere esorcizzati come gli altri spiriti perché non sono trattenuti in questo mondo da rimpianti passatati... li vincola solo la volontà di una strega.”

C'era in mezzo anche una strega, adesso. Arthur si passò le dita tra i capelli tre, quattro volte, sparandoli da tutte le parti. Davvero non sapeva cosa pensare – non sapeva cosa fare di se stesso. Si voltò verso la sua sorellastra, allora, ma le parole gli morirono in bocca quando la vide: Morgana aveva aperto la finestra e si stava sporgendo pericolosamente di sotto, il busto piegato in due, in bilico.

Come un fulmine, Arthur volò ad afferrarla per la vita, la sollevò di peso e la depositò qualche metro più in là, il cuore che batteva all'impazzata. “Che cazzo pensavi di fare?” tuonò, scuotendola per le spalle – dio, se fosse caduta...

Ma gli occhi della sua sorellastra erano distanti, ottenebrati, e Arthur gelò sul posto, un malessere dentro che non era neanche paragonabile a quello finora trasmessogli dai Dorocha.

Merlin chiamò dolcemente la sua partner, schioccando le dita davanti alla sua faccia. Arthur rilasciò il fiato solo quando le palpebre di lei sbatterono più volte, e la sua sorellastra tornò in sé. Subito lo guardò, artigliandogli una manica.

“Mi hai salvato,” sussurrò, la bocca contratta in una linea violacea.

Arthur, non trovando le parole, annuì.

“Ok,” disse Merlin in un grosso sospiro. “Ok, facciamo che restiamo tutti lontani dalle finestre che danno su Loch Avalon. Dalle acque del lago proviene un richiamo... ipnotico, direi. Prima stavo quasi per farci un bagno dentro con la jeep.”

Il collo di Arthur scattò dalla sua parte.

“Non è successo, però,” disse in fretta Merlin, stringendosi nelle spalle. “Che in questo lago ci siano affogate molte persone è vero... ma nessuno l'ha mai fatto volontariamente.”

“Fanculo!” ruggì Arthur, sopraffatto dal senso di impotenza e dalla paura – perché sì, cazzo, era paura. Degli spettri stavano tentando di sterminarli, loro si trovavano nel bel mezzo di un fottuto lago, e Arthur aveva una paura folle dell'acqua. “Cazzo, Merlin, hai rischiato di affogare,” disse, atterrito.

“Be', come vedi sono sano e salvo. Perché, ti sei preoccupato per me?” disse lui, ghignando in una delle sue uscite naturalmente flirtose.

Arthur non ebbe tempo di ribattere, né Morgana di zittirli entrambi; gli stridii dei Dorocha si fecero prepotentemente più vicini, tanto da far tremare la finestra ancora aperta. La vetrata vibrò con così tanta violenza che raggiunse il punto limite ed esplose, le scaglie di vetro come frecce tese per il corridoio.

“Qui dentro!” disse Morgana, coprendosi la testa e buttandosi sulla stanza più vicina.

Arthur la seguì a ruota, ma quando lei aprì la porta e ci si fiondò dentro, lui venne strattonato all'indietro da Merlin, che aveva avvolto le braccia intorno a una delle sue. “No, attenti!” si sgolò.

Morgana li fissò, il volto sconvolto dalla realizzazione. In meno di un istante la porta della stanza si chiuse con un tonfo, imprigionandoci lei dentro.

Lanciandosi sul pomello, Arthur lo tirò con tutta la forza che aveva, le vene che pulsavano sul collo. “Andiamo, andiamo, andiamo, Morgana,” borbottò insensatamente.

Non sentiva più niente, non sapeva più niente se non che la sua sorellastra era caduta in una trappola proprio sotto al suo naso, che non gli stava rispondendo e che andava tirata fuori di lì, immediatamente. Continuò a chiamarla con disperazione, ripetendo il suo nome ancora e ancora, ma dalla stanza non proveniva il minimo suono, come se Morgana ne fosse stata inghiottita.

“Arthur,” disse forte Merlin nel suo orecchio – le sue dita sopra quelle di Arthur, però, erano gentili, e la loro ruvidezza rassicurante. “Ascoltami, torniamo di sotto.”

“Devo – mia sorella!”

“Adesso!” Non attese altro, lo prese solo per mano per poi caracollare di nuovo giù per il corridoio.

Ogni cosa sfrecciò davanti agli occhi di Arthur dilatata, come al di fuori dei naturali confini. Era tutto vero – era una suggestione? Non faceva alcuna differenza, perché adesso lui aveva paura, e la paura era autentica, gli strizzava le vene, gli appesantiva il sangue e i pensieri.

Nello stato in cui si trovava, quasi che metà di se stesso fosse rimasta indietro in un sogno, Arthur accolse con un tonfo nello sterno ciò che vide dopo: lì, dalla bocca della scalinata, il salone d'ingresso si presentò loro come ibernato dal tempo; ragnatele di giacchio pendevano sopra ogni superficie, coprendo i vasi di rose, nascondendo l'orologio a pendolo. Qualcosa colava giù dagli angoli più in alto delle pareti, una sostanza viscida, oscura, che permeava l'aria di un odore di ferro.

“Oddio,” disse Arthur, strozzato.

Merlin gli strizzò di più le dita tra le sue, saltando tre scalini alla volta. Arthur si accorse che puntava in direzione della borsa di Morgana, rimasta sul pavimento insieme ai tarocchi sparsi intorno. Invece che lasciarsi tirare, pensò che tanto valesse stare al passo, quindi rimase al fianco dell'altro, adeguando il ritmo. Poi, in un unico scatto Merlin gli lasciò la mano e si buttò in ginocchio verso le cose di Morgana, scivolando sulle mattonelle coperte di brina.

Quando lo vide iniziare a trafficare con i tarocchi, Arthur disse, isterico: “Ti pare il momento di perdere tempo con quella roba? Mia sorella-”

“È la mia partner psichica,” disse Merlin, serio. “In teoria posso stabilire una connessione forte con lei attraverso i veicoli di vibrazioni, come le carte, ma solo se stai buono e mi lasci fare.” Poi gli dedicò un sorriso storto, per alleviare la tensione. “Se qualcosa tenta di venirmi a prendere, proteggimi.”

Arthur borbottò qualche insulto indistinto, mettendo le mani sui fianchi perché non sapeva cos'altro farne. Dubitava di essere in grado di poter fare molto contro degli spettri ma, al diavolo, ci avrebbe provato comunque, in caso di necessità. Come se avessero capito le loro intenzioni, i Dorocha aumentarono ancora i loro stridii d'intensità e i suoni si concentrarono intorno a loro. Arthur, d'istinto, si parò davanti a Merlin, allargando le braccia. “Malone, dai, forza!” lo spronò, facendo schizzare la testa a destra e a sinistra.

Merlin si morse il labbro inferiore, gli occhi serrati nello sforzo e, dopo un lunghissimo minuto, voltò la prima carta del mazzo. Subito scattò in piedi come una molla, prendendo a saltare sul posto. “L'Imperatrice, Arthur, l'Imperatrice!” esclamò, scuotendolo per il braccio.

Quando un grido terrificante sembrò acquisire consistenza tangibile e passare sopra le loro teste, Merlin sobbalzò buttandosi quasi addosso ad Arthur. “Via, via, qui è pericoloso, andiamo da un'altra parte,” gli disse, schiaffandosi i tarocchi nelle tasche della giacca.

“Dove? E che vuol dire l'Imperatrice?” disse Arthur.

“Disotto, la biblioteca vicino allo scantinato!”

Corsero, allora, e Arthur corse come non aveva mai fatto, il fiato che non sembrava bastare mai ai polmoni brucianti, la mano di Merlin tornata nella sua. Corsero, e i quadri e i mobili sfilarono via in scie di colori quasi indistinti. Le ragnatele ghiacciate diminuivano a mano a mano che loro scendevano, ma il pavimento sembrava ancora viscido, immerso nel processo di cristallizzazione. Finalmente raggiunsero la biblioteca e Arthur quasi non riuscì a frenarsi, finendo coi palmi aperti contro una mensola. Merlin chiuse la porta con il peso della schiena, ansimando forte. Le fronti di entrambi erano madide di sudore.

“L'Imperatrice indica una figura esterna positiva su cui poter fare affidamento,” disse poi Merlin, ingoiando. “È ovvio che rappresenti Morgana – Morgana mi ha mandato un segnale per farci capire che sta bene. Ovunque si trovi in questo momento, sta bene, Arthur.”

Arthur si sentì mancare le gambe, e non fece proprio niente per impedire al proprio corpo di accasciarsi a terra. Merlin fu svelto a raggiungerlo, togliendosi la sciarpa rossa e usandola per tamponare le fronte di Arthur. Pur trovando la cosa ridicola e prettamente inutile, lui lo lasciò fare. Non aveva forza di allontanarlo... “Se è vero che sta bene, non puoi aprire la stanza disopra con i tuoi poteri da sensitivo o qualcos'altro?” disse, buttando fuori l'aria dalle narici.

Merlin parve rimanere colto alla sprovvista dalla cosa e ci pensò su un attimo. Dopodiché iniziò a manovrare Arthur per aiutarlo a togliersi giacca e cravatta. Visto che il diretto interessato era niente affatto collaborativo, lo fece al posto suo. “Apprezzo che tu abbia cominciato ad accettare l'esistenza di cose che hai negato per tutta la vita,” disse, “ma non sono in grado di aprire le porte con un Alohomora.”

Arthur sorrise amaramente. Tutti questi anni passati a prendersi gioco delle convinzioni della sua sorellastra, e ora si trovava chiuso in una trappola mortale, cacciato dai fantasmi.

Merlin si sedette accanto a lui, appoggiandosi al suo fianco. Il suo corpo lungo era diventato molle per gli sforzi e i pollici avevano preso di nuovo a vorticare, inseguendosi. “Morgana temeva che tu avessi una maledizione addosso,” disse, sospirando. “E non appena ti ho visto, ho capito che era vero. L'ho sentita... mi ha fatto drizzare tutti i peli delle braccia.”

Le sopracciglia di Arthur schizzarono in alto; una maledizione. Per un folle attimo si chiese cos'avrebbe avuto da dire Uther in proposito, e pensò che entrambi avrebbero dovuto delle sentite scuse a Morgana per aver riso delle sue credenze.

In lontananza i Dorocha continuavano con i loro lamenti velenosi. Nel buio in cui era immersa la biblioteca, gli occhi blu di Merlin sembravano umidi.

“Mi disse che il dubbio la tormentava da molto tempo,” continuò l'investigatore psichico. “Disse che ti vide straziarti nel dolore in uno dei primi sogni profetici di forte intensità che fece. Non mi ha mai fornito molti dettagli a riguardo, però. Penso che per lei fosse difficile parlarne. So solo che eravate entrambi giovani e che ci fu una discussione piuttosto drastica... tu non le credesti.”

Non conosciamo abbastanza la vita e il mondo che ci circonda... come possiamo conoscere il mondo che non vediamo?

Il cuore di Arthur si strinse in una morsa, i ricordi volarono indietro negli anni e lui si sentì talmente... piccolo...

Aveva sbagliato. Con Morgana, sua sorella, lui aveva sbagliato tutto, e forse non solo con lei. Non si trattava soltanto del fatto che non l'avesse mai presa sul serio – forse accecato dalla sua ricerca dell'approvazione di Uther, perché suo padre era una delle poche cose che gli restavano...

Non l'aveva mai appoggiata in niente, quando avrebbe comunque potuto farle capire che, nonostante si muovessero su due piani diversi, sarebbero stati sempre fratelli e lui le sarebbe stato accanto. Ma nemmeno quello, aveva fatto. Non l'aveva protetta, e adesso lei era sparita per colpa sua. Tutto ciò andava molto al di là delle scuse, e rientrava esattamente nell'ambito dell'incapacità di Arthur di prendersi cura delle persone che riuscivano a sopportarlo.

“Che possiamo fare per Morgana?” disse, prendendosi la testa tra le mani.

“Rimanere vivi abbastanza a lungo da trovare il modo per aiutarla, tanto per cominciare,” disse piano Merlin.

Arthur non era un tipo molto loquace; parlava, sì, ma in gran parte di cose futili, mentre tendeva a tenersi il resto per sé, custodendo gelosamente i suoi pensieri. Evitando di scoprire un fianco, per proteggersi. In quel momento, però, tutta la sua essenza strepitava per far venire fuori la verità, per far sì che Merlin sapesse, forse perché era conscio di non avere più a disposizione un tempo illimitato. “Mi dispiace tanto, non le sono stato vicino quando aveva più bisogno. Anche con Gwen ho fatto lo stesso, e alla fine ho allontanato tutti, io-” dovette fermarsi, prendendo un grosso respiro. Faceva molto più freddo, adesso. Cristalli di giacchio iniziavano a formarsi negli angoli della stanza. I Dorocha si stavano di nuovo avvicinando, e lui, dopo aver lasciato andare ogni cosa, non aveva più nulla da perdere. “Io non so stare accanto alle persone,” disse per la prima volta ad alta voce.

La mano di Merlin trovò posto sul suo ginocchio con una naturalezza disarmante. “Per quanto possa servirti saperlo, sei accanto a me, adesso,” disse lui.

Arthur sorrise, scuotendo la testa. Iniziava a sentire di nuovo la pelle d'oca sotto la camicia... il freddo stava aumentando. “Nemmeno mi conosci, Malone,” sospirò.

“Ti conosco, invece. Io ti vedo,” disse Merlin. Sembrava così sicuro di sé, nonostante il mondo si stesse lentamente accartocciando addosso a loro. “Sono un sensitivo, quindi so quello che dico, no?”

Arthur ghignò, sopprimendo il primo di una nuova serie di brividi.

Merlin se ne accorse e si affrettò a continuare a parlare, probabilmente per distrarlo. “Anche Morgana ti conosce e sa bene come sei davvero. Altrimenti non mi avrebbe fatto giurare solennemente di aiutarla a proteggere a tutti i costi il suo fratellino. È per questo che abbiamo iniziato a indagare su Castel Camelot – le sue visioni ricollegavano questi eventi a te.”

E invece Arthur l'aveva accusata di essere venuta fin lì dietro compenso di Uther... un'ondata di vergogna gli annodò stretta la gola. Dio, che imbecille era stato.

“La tua sorellastra ha insistito così tanto perché ti incontrassi che alla fine ho proprio dovuto dirle di sì,” fece Merlin, disegnando col palmo aperto piccoli cerchi sul suo ginocchio. “Sa essere molto persuasiva.”

“Malone, se stai per raccontarmi le abitudini che avete voi due al di fuori dell'orario di lavoro...”

Merlin grugnì una risata, quasi strozzandosi da solo. “No, dio, non intendevo questo.”

“Meglio,” disse Arthur.

A quel punto, la mano di Merlin si bloccò, e lui sentì immediatamente la mancanza di quel contatto calmante. Quasi stava per chiedergli di rimettersi all'opera, quando notò che nell'angolo più lontano da loro stava iniziando a formarsi un grumo oscuro. Il liquido maleodorante che aveva visto nella sala principale si stava addensando anche qui, e ribolliva lento. Il naso dell'investigatore psichico aveva ripreso a muoversi, segno, intuì Arthur, che qualcosa di brutto stava per accadere.

“Perché hai detto che è meglio, per caso ti interesso?” disse Merlin, la voce appena sopra il mormorio. Aveva gli occhi sgranati, puntati contro la porta della biblioteca. Le sue dita si strinsero intorno ad Arthur con troppa forza.

La tensione era una cappa irrespirabile intorno a loro, e il fiato corto iniziava a uscire dalle loro labbra sotto forma di nuvolette bianche. Eppure Arthur rispose all'altro, il desiderio sciocco e ingenuo di non interrompere il loro battibecco – di aggrapparcisi fino in fondo, con tutte le sue forze, finché avrebbe potuto. “Ti piacerebbe se fossi interessato a te?”

Aye, perché io sono interessato a te,” disse Merlin. “Se cambi idea, fammelo – Arthur,” gemette alla fine, e il sangue gelò nelle vene di Arthur. “Io non riesco quasi più a muovermi. Tu?”

Lui tentò allora di alzarsi, ma fu del tutto inutile. Le sue gambe erano incollate al pavimento, gli arti pesanti come macigni non si spostavano che di pochi millimetri. Riusciva solo a muovere un po' la testa quanto bastava per gettare lo sguardo verso Merlin che, impercettibilmente, si stava dimenando come lui.

E poi, qualcosa di freddo colpì la mano che aveva poggiato a terra, ed era lì il vero problema, perché era acqua – acqua spuntata dal nulla che aveva iniziato a filtrare nella biblioteca, inzuppando i loro abiti, allungandosi verso gli scaffali. “Oh, cristo,” andò nel panico Arthur, tentando di liberarsi, combattendo un'inutile battaglia contro le forze invisibili che li ancoravano nell'immobilità.

L'acqua conquistava la stanza con sempre maggiore velocità, entrando da sotto la porta, facendosi largo da dietro i mobili; dopo pochi secondi già era arrivata a coprire la gamba stesa di Arthur.

Sarebbero finiti così... affogati. Il suo peggior incubo stava diventando realtà. Dio, in quel momento si sarebbe volentieri lasciato andare alla pazzia, avrebbe urlato, si sarebbe strappato i muscoli a forza di tirare, ma... c'era Merlin, accanto a lui, e in qualche assurdo modo, questo faceva la differenza.

Tremando svergognatamente, Arthur allungò il collo più che poté verso di lui, cercando un qualunque tipo di contato per far sì che nessuno dei due rimanesse solo nei suoi ultimi momenti. Merlin gli lanciò uno sguardo che, per la prima volta da che l'aveva conosciuto, era implorante e disperato. Ah, le cose dovevano essere proprio gravi se gli faceva quello sguardo lì.

Come se non si fosse trovato in quel corpo e in quella situazione, Arthur disse, l'acqua che saliva sempre più: “Malone – parlami ancora di questa maledizione,” prima che ci venga impedito anche di muovere le labbra. “Se devo lasciarci la pelle, voglio almeno capire bene che sta succedendo.”

“Be' – be', innanzitutto, a maledirti può essere stata solo una strega, che ti ha scagliato addosso i Dorocha ai suoi ordini. Morgana escludeva che il vero bersaglio, però, possa essere stato tu,” disse in fretta Merlin, sobbalzando quando un'onda lo colpì all'altezza dell'ombelico. “Disse di aver visto nel sogno che l'età era un dato importante. L'attacco dei Dorocha è iniziato non appena hai compiuto ventotto anni, e, oh,” s'interruppe, l'acqua gelida che saliva verso i loro stomaci.

Arthur trattenne il fiato, contraendo gli addominali.

“Mi disse – mi disse di aver percepito col tempo, nei suoi sogni, che ti portavi addosso questa maledizione da sempre, da quando eri venuto al mondo. Se eri appena nato quando ti è stata scagliata, è ovvio che le cause vadano ricercate da... mh... qualche altra parte.”

“È ovvio,” ripetè Arthur, trovando chissà dove la forza di suonare sardonico anche con i denti che battevano. Se solo avesse potuto muovere le dita per afferrare la mano di Merlin...

“Le maledizioni non vengono lanciate a caso – le streghe non sono senza cuore,” disse Merlin, con tanto slancio che quasi lo urlò. “Va bene, ammetto che siano un pochino vendicative, ma fanno del male solo per rispondere a un torto subito – oh, per l'amor del cielo, la causa si deve per forza ricercare nella tua famiglia, Arthur! Ah, oddio, è arrivata alle spalle...”

Merlin, Merlin,” chiamò insensatamente Arthur, senza poterne fare a meno. Allungò il collo verso l'alto più che poté, cercando l'aria, dimenandosi ancora. Stava succedendo, stava succedendo davvero, le sue orecchie fischiavano alle grida dei Dorocha e per la paura sorda che lo strizzava in una morsa. “È finita, Merlin, stiamo per morire, è finita.”

“Spero di no, voglio uscire con te almeno una volta, prima di morire – anzi, in realtà voglio portarti a letto almeno una volta, prima di morire. È così ingiusto, aye,” strepitò Merlin, l'acqua che ormai gli scorreva intorno al collo.

Arthur si ferì la gola in un colpo di risata isterica. “Non ti arrendi fino all'ultimo – ah...”

“Sta funzionando, sto facendo colpo? Oh, Arthur...” E poi anche le loro orecchie iniziarono a bagnarsi, il suono delle onde che rimbombava nei timpani. “Arthur, oddio, avrei dovuto proteggerti, mi dispiace tanto – Morgana mi ucciderà, cioè, be', la sua anima tormenterà la mia per l'eternità!”

Il cuore di Arthur mancò un battito. I capelli intorno alle orecchie erano fradici e anche la bocca stava venendo ingoiata dai flutti, ma ormai tutto ciò non importava più. Mai si sarebbe immaginato che affogare l'avrebbe fatto sentire, tra tutti i modi possibili, infuriato con se stesso.

Se quelli erano gli ultimi battiti che aveva a disposizione, allora si doveva giocare il tutto per tutto; Merlin non sarebbe morto insieme a lui. Non se lo meritava, e Arthur non l'avrebbe permesso, o almeno si sarebbe battuto per questo finché ce ne fosse stato il tempo. “Ehi, mi sentite, Dorocha del cazzo?” urlò allora, il mento semi sommerso. “La maledizione riguarda solo me, quindi prendetevi pure il mio respiro, prendetevi la mia vita – ma Merlin Malone non c'entra niente! Risparmiatelo, vi prego!”

“Al diavolo!” sentì inveire Merlin accanto a lui. “Provo a fare una cosa, Arthur, e se mi riesce... avrai paura di me,” disse, la voce spezzata.

Quella fu l'ultima cosa che Arthur sentì, un addio carico di terrore malcelato, ma fiero e testardo, proprio come la persona che aveva appena parlato. Gli occhi si serrarono mentre l'acqua gli entrava nelle narici, facendosi largo nel suo corpo, e in un momento lui era sommerso.

Ci aveva provato, vero? Non era stato sufficiente – quello che faceva lui non bastava mai, ma finalmente aveva capito...

Gli sforzi di Uther per farlo riavvicinare a Morgana e quelli di Gwen e Lance, che ancora avevano avuto la pazienza di avere a che fare con lui...

E Merlin, cazzo, così strano e attraente, anche ad Arthur sarebbe piaciuto farselo, eccome, e se lo sarebbe fatto per bene, con lentezza, imparando piano a conoscere il suo corpo, permettendogli di conoscerlo allo stesso modo, e...

L'acqua calò di colpo, lasciandolo come schiaffeggiato per il forte impatto con l'aria. Arthur tossì, faticando a riaprire gli occhi. Intorno a lui, il caos: la porta della biblioteca era stata sfondata e ora giaceva a terra, fuori dai cardini. Gran parte dei libri aveva abbandonato il suo posto sulle mensole ed era finita nell'acqua, che ora scivolava via nel corridoio. Pagine fradice sparse ovunque perdevano inchiostro scuro come sangue.

Merlin stava in piedi accanto a lui, pallidissimo e gocciolante. I capelli erano appiccicati alla fronte e, così tremante e bagnato, con gli abiti che lo fasciavano stretto, sembrava improvvisamente un ragazzino. Ansimava tenendosi un fianco con entrambe le braccia, e i suoi occhi... i suoi occhi erano dorati. Guardò Arthur, allora, con le sopracciglia corrucciate, quasi come se avesse voluto chiedergli silenziosamente scusa.

Un tomo dalla copertina verde colpì il piede di Arthur con un piccolo tump, l'unico rumore oltre lo scroscio dei flutti che si disperdevano fuori dalla biblioteca. Anche i Dorocha si erano ammutoliti, forse sorpresi dall'azione di Merlin. Perché era stata opera di Merlin, vero?

Arthur, riuscendo finalmente a rialzarsi, prese atto che perfino le enormi credenze che arrivavano fino al soffitto erano state spostate da una volontà misteriosa.

Merlin gli si avvicinò e, per un attimo, si allungò e parve volerlo toccare. Poi fermò il gesto a mezz'aria, stringendosi invece i polsi sul petto. Arthur fu colto dalla voglia urgente di prenderli nelle sue mani e non lasciarli andare.

“Telecinesi... è questo il mio vero ambito,” gli spiegò piano Merlin. “Muovo gli oggetti con la forza del pensiero.” Dopo procedette a mordersi il labbro. Il suo viso era ancora talmente pallido, uno spettacolare contrasto con le iridi che risplendevano d'oro nel buio. “Ehm, non so come farlo smettere, di solito dura pochi secondi,” disse, indicandosi goffamente gli occhi. “Allora, hai paura?”

In quel momento era così autentico, così insicuro e fragile che Arthur, seppure scosso dagli eventi, non poté che liquidare le sue ansie con un gesto seccato. L'innocente Merlin dalla lingua lunga aveva buttato giù una porta solo pensandolo, sì; aveva praticamente distrutto una stanza intera, e Arthur quasi se l'era fatta addosso, tra la paura di morire e il resto. Ma non era certo la cosa più strana accaduta nelle ultime ore, dopotutto. E poi, grazie a lui adesso erano vivi.

“Perché diavolo non l'hai fatto prima?” decise di sgridarlo, sferrandogli un pugno sul braccio. In qualche modo si doveva pur scaricare.

“Ahi!” si lamentò Merlin, oscillando mollemente (e dato che sembrava molto instabile, Arthur gli passò un braccio intorno alle spalle). “Non credevo di saperlo fare, davvero,” continuò. “Non mi sono mai spinto fino a questo punto. Prima di adesso, al massimo sono riuscito a spostare una tazza di caffè.” Lo guardò con disarmante onestà. “Mi è venuto in mente quello che avevi detto prima sull'aprire le porte con i miei poteri e ho voluto tentare. Ho provato a superare i miei limiti perché non potevo sopportare l'idea che... tu...”

Li sorprese un grido fortissimo, il più forte che avessero finora sentito. Merlin si lamentò come se fosse stato colpito da un dardo e le sue ginocchia cedettero. Arthur chiuse la breve distanza che li separava e, stringendolo forte, gli coprì la testa con le braccia.

“Sono arrabbiati, molto arrabbiati,” disse Merlin, flebile contro la sua camicia.

Arthur lo lasciò quanto bastava per poterlo afferrare per il braccio e ricominciare la loro folle fuga. Fece appena due passi con Merlin che gli arrancava dietro, poi si fermò, prendendogli la faccia tra le mani.

“Cos'è?” gridò quasi, accorgendosi dei rivoli di sangue che colavano dai timpani di Merlin.

“È per lo sforzo, credo. Non è niente – torniamo di sopra, dai,” disse lui, frastornato.

Arthur ringhiò le sue imprecazioni tra i denti, consapevole di non poter fare altro che dargli ascolto. Per l'ennesima volta ribatterono lo stesso percorso, anche se era inutile, anche se sarebbero stati ugualmente in pericolo pure nelle zone del castello in cui non erano tornati dalla prima ricognizione. Tuttavia Arthur voleva vivere fino all'ultimo e, finché avrebbe avuto fiato, avrebbe corso insieme a Merlin.

La sala d'ingresso era quasi completamente congelata, ora; dovettero rallentare di botto per non scivolare sulla lastra di giacchio che era diventata la scalinata principale. Ragnatele di brina pendevano perfino dal grosso lampadario di cristallo. Arthur tornò a tremare di freddo, il sudore che gli si asciugava addosso e il cuore martellante nelle orecchie. “Dicevi – dicevi che la mia famiglia c'entra qualcosa con la maledizione,” annaspò, la mano sulla spalla di Merlin. Forse era inutile continuare a tormentarsi con quelle cose, ma lui voleva sapere. “Mia madre è morta dandomi alla luce. Se era lei che la strega voleva punire,” disse a denti stretti, “se davvero aveva una colpa da scontare, l'ha già fatto mettendomi al mondo.”

Merlin lo guardò gravemente. I suoi occhi ancora vibravano di luce sovrannaturale, come se volessero dirgli tante cose; le guance, arrossate per la corsa, ridavano un po' di vita al suo colorito spettrale. “Tuo padre, allora. Pensaci. Cosa potrebbe aver fatto, per guadagnarsi lo sfavore di una strega?” disse, chiudendo con attenzione le dita intorno al polso di Arthur.

Lui roteò gli occhi. Col carattere che Uther si ritrovava, non era difficile immaginarsi che fosse riuscito a farsi dei nemici anche nel mondo occulto.

“Non è un caso se il destino ti ha portato proprio qui nel momento in cui avresti compiuto il ventottesimo anno d'età,” continuò Merlin, mangiandosi le parole. Un nuovo scoppio cacofonico di grida lo fece quasi saltare sul posto. “Sei – sei stato reso riconoscibile apposta con il fermacravatta. Penso che fosse un segnale per tutti i Dorocha, una grossa “X” per indicare il bersaglio.”

Ecco perché Morgana aveva insistito tanto per farglielo togliere. Doveva averlo intuito, come il suo partner.

“Sì, quando me l'hai visto addosso per la prima volta hai arricciato il naso,” ragionò Arthur. Poi un collegamento di idee lo colpì. “Helen Burn. Anche con lei hai arricciato il naso, quindi devi aver sentito qualcosa di strano in quella donna,” disse in fretta, angolando inutilmente Merlin in un luogo più riparato, di lato alla scalinata. “La strega è Helen Burn, non è vero?”

Lui annuì. “Ne sono sicurissimo, non sai che brutte sensazioni mi ha trasmesso quando l'abbiamo incontrata. Deve aver lanciato un incantesimo a distanza affinché tu indossassi il fermacravatta. Inoltre, quando ti ha passato le chiavi del castello, ho creduto che volesse ipnotizzarti.”

Arthur si morse forte la lingua. Quale torto poteva aver mai commesso suo padre nei confronti di Helen Burn, tanto da spingerla a tutto questo?

In quella, il pavimento gelato sotto di loro iniziò a crepare, piano ma inesorabilmente. I due si spostarono all'indietro, le linee di rottura del ghiaccio che li seguivano passo dopo passo.

“Pensa, pensa, Arthur. Cosa può essere successo ventotto anni fa, prima che tu nascesti?” disse Merlin.

Arthur arretrò, spingendo Merlin dietro la sua schiena, e ogni passo era una fitta alla milza, uno sforzo impossibile in più nel tentare di ragionare a mente lucida.

Ventotto anni fa, nel millenovecentoottantasei...

Si parla dell'ottantasei...

Il castello che bruciò durante le riprese di quel fantasy hollywoodiano...

E per evitare l'interruzione delle riprese, la Pendragon Immobiliare si assicurò di fare in modo che tutte le ristrutturazioni del caso fossero portate a termine nel più breve tempo possibile, senza bloccare mai i lavori della troupe di Hollywood.

“L'incendio di Castel Camelot,” boccheggiò Arthur.

“Molte persone che lavoravano lì morirono affogate a Loch Avalon,” completò Merlin, aggrottando le sopracciglia.

Suo padre... suo padre era stato sicuramente coinvolto nei lavori, a quei tempi. Arthur non si sarebbe stupito, se fosse stato lui a ordinare che si continuasse a filmare nonostante tutto, e forse...

Arthur,” gracchiò in quel momento una voce di donna.

Lui si voltò di scatto verso il portone; l'orrore lo sconvolse nel trovare una Gwen tremante, i riccioli neri coperti di un sottile strato di brina. Teneva le braccia strette al petto e il vestito giallo che la fasciava era lacerato in più punti, scoprendo lembi di pelle sanguinante.

Arthur si sentì morire. “Guinevere,” la chiamò, correndole incontro senza capire più niente, “che ci fai qui, che ti è successo?”

Lei mise avanti le mani, i palmi aperti contro di lui per fermarlo, e Arthur si bloccò a pochi centimetri dalla ragazza, atterrito.

“Non... non ti avvicinare di più...” gli disse.

“Gwen,” ripetè lui, come in automatico, la nausea che faceva di nuovo capolino alla bocca dello stomaco. “Gwen, va tutto bene. Qualunque cosa sia successa, ora sei al sicuro.”

“Arthur,” lo chiamò Merlin, che era rimasto vicino alle scale. Sembrava spaventato, ma forse era solo comprensibilmente confuso e ancora esausto per lo sforzo di prima.

“Malone, va tutto bene, lei è Gwen,” disse sorridendo, e perché Guinevere ancora arretrava, guardandolo come se fosse stato una specie di lupo famelico? “Ehi... sono io, è tutto ok.”

“Arthur, fermo,” disse forte Merlin, con più decisione. I suoi passi incerti risuonarono sul pavimento ghiacciato, provocando altre crepe sulla superficie. “Prima di fare qualsiasi cosa, stammi a sentire, ti prego, e rispondi a una mia domanda.”

Arthur fu colto da un impeto d'irritazione. Perché diavolo Merlin gli stava parlando come se fosse un ritardato, e come mai Gwen si ostinava ad allontanarsi da lui? Però qualcosa gli disse di frenare, qualcosa spinse affinché ascoltasse Merlin – Merlin, l'uomo che l'aveva salvato già più di una volta nell'arco di una singola notte, che per lui aveva rischiato tanto.

“Va bene,” disse, drizzando la schiena. Guinevere intanto lo fissava a occhi spalancati, ferendolo inesorabilmente. “Va bene, Malone. Spara.”

Merlin, ora a poca distanza dalla sua schiena, prese un grosso respiro. “Cosa significa per te quel fermacravatta?”

Arthur rimase preso in contropiede; spostò lo sguardo di lato, ma non dovette attendere molto prima che una risposta gli salisse alle labbra. Il drago d'oro Pendragon... “Mi ricorda la mia famiglia, mio padre, il mio lavoro...”

“Sono cose piacevoli, per te?”

Tutti gli anni di incomprensioni con la sua sorellastra e di mute delusioni inflitte a vicenda tra lui e suo padre, i problemi soffocati nel silenzio, poi il lavoro che non lo interessava in quello studio desolante... “Non... non direi che siano piacevoli, no,” mormorò Arthur.

“È questo, lo capisci?” si affannò Merlin, aggrappandosi da dietro alla sua camicia. “Stanno usando te stesso contro di te, non lasciarglielo fa-”

“Arthuuuuuur,” si lamentò Gwen, piegandosi in due e accasciandosi in preda a forti dolori.

I sensi di Arthur si appannarono e prima di accorgersene era volato verso di lei, scivolando sul ghiaccio. Le si inginocchiò accanto, allungò la mano, Guinevere gli scoccò uno sguardo implorante, come se ciò che aveva davanti fosse mostruoso – e ciò che aveva davanti era Arthur. Non appena lui, senza fiato, le toccò il braccio con la punta delle dita, le labbra di Gwen si strapparono in un grido lancinante – un grido di Dorocha. Tutta la pelle delle sue braccia iniziò a sollevarsi scoprendo tendini e vene e, dio, Arthur non poté che restare a fissare in preda all'orrore mentre Gwen si liquefaceva dopo essere stata toccata da lui. Gli occhi le uscirono dalle orbite con un suono raccapricciante, attraverso il viso iniziava a intravedersi lo scheletro della testa...

“Arthur, uuugh,” lo chiamò Merlin e, un secondo dopo, Arthur si sentì sollevato di peso e seppe che l'altro l'aveva afferrato da sotto le braccia per trascinarlo via di qualche passo.

Ma Merlin era ancora debole, troppo debole, e dopo poco crollò per il loro peso congiunto, facendo rovinare a terra entrambi. Allora Arthur, vedendolo con gli occhi chiusi per lo sforzo, si sentì trascinare fuori dalla trance in cui era caduto.

“Malo-Mal-Merlin,” annaspò in preda ai tremori, scuotendolo per le spalle, immergendo le dita tra i suoi capelli.

Una forza oscura dentro di lui spingeva perché si girasse verso la porta, verso quello spettacolo terrificante che sapeva non poter essere reale; lo sapeva, ma se...?

“Ngh,” gemette Merlin, richiamando come una calamita tutte le sue attenzioni. “Sono... sono le tue ansie... e le tue paure,” riuscì a mormorare prima che gli occhi gli si rovesciassero nelle orbite.

Arthur lo vide svenire senza poter fare altro che passargli i pollici sugli zigomi, sulle tempie...

Era solo, adesso. Solo in un castello infestato dalle sue paure.

Alzò la testa verso il portone, quasi fuori di sé, le pupille dilatate che gli restituivano l'immagine di un mucchio di cenere dove prima c'era stata Gwen – no, la finta Gwen. Quella vera non avrebbe avuto alcun motivo per trovarsi lì, suggerì ad Arthur la voce lontana della sua ragione. Eppure, da quando aveva messo piede a Castel Camelot avevano preso vita davanti a lui le cose più impossibili, le cose che lui si era sempre impegnato tanto a deridere e ignorare, quindi...

Ma no, Merlin aveva detto...

“Siamo giunti alla fine, figlio di Uther Pendragon.”

Era la voce di una vecchia; le sue parole si mischiarono nella stessa frequenza degli stridii dei Dorocha, fino a fondersi con quelli. Arthur mandò giù un grosso groppo che gli occludeva la gola, alzandosi lentamente. Dall'ombra che l'orologio a pendolo proiettava sul muro stava emergendo una figura: i suoi arti rachitici si prolungavano in filamenti oscuri e gocciolanti, prendendo la forma solida di un corpo. Una donna si materializzò così davanti ad Arthur; aveva la morte negli occhi, il suo viso era una maschera rugosa di dolore e rabbia. I capelli sulla testa erano pochi e grigi, gli stracci che indossava gialli e viola.

“Figlio per figlio,” disse, macabra, e allora Arthur intravide la fessura tra i denti davanti, e capì.

“Helen Burn,” disse, stringendo le mani a pungo.

Si trovava di nuovo faccia a faccia con la strega, finalmente. Era lei quella che l'aveva maledetto e gli aveva fatto passare tutto questo, lei che aveva fatto del male anche a Morgana e Merlin...

“Perché la maledizione?” si ritrovò a urlare a pieni polmoni. “Che cosa ti ha fatto mio padre per renderti così assetata di sangue?”

Helen Burn puntò un dito ossuto e storto contro Arthur e una folata d'aria ardente lo colpì, costringendolo a tentare di ripararsi con le braccia. Le finestre si spalancarono, il lampadario sopra di loro tentennò pericolosamente. “Hai la stessa boria, la stessa cecità di Uther Pendragon,” disse la strega.

Arthur strinse le labbra, imponendosi di non distogliere mai lo sguardo dal suo. Stava per morire – sarebbe morto facendo tutto il possibile. “Perché questo?” disse di nuovo, la voce rotta. “È per l'incendio? Mio padre-”

“Mio figlio morì, trascinato in fondo alle acque di Loch Avalon, per trovare scampo alle fiamme!” gridò la strega, rilasciando un impeto di energia che ruppe ancora di più la lastra gelata sotto ai loro piedi. “Uther Pendragon insistette perché lavorassero al castello senza sosta... senza accertarsi che prendessero le dovute precauzioni... senza che qualcuno controllasse la sicurezza,” disse, la rabbia che animava ogni parola. “Mio figlio,” pianse poi, un lamento disperato, “mio figlio fu vittima dell'orgoglio di Uther Pendragon, che si comportò come se nulla fosse successo, come se nessuno fosse morto, e fece riprendere il lavoro di chi era rimasto, seppellendo la tragedia come un segreto nel cuore di Castel Camelot...” Era scossa da singhiozzi privi di lacrime, adesso – le lacrime erano le sue accuse.

Arthur si sentì perduto in mezzo a quel mare di dolore. Poteva capire... ma, allo stesso tempo, non sarebbe mai riuscito a capire fino in fondo... Si sentiva lacerato, impotente, furioso.

“La memoria di mio figlio è stata bistrattata,” disse Helen Burn, trascinandosi sconfitta verso Arthur. Poi alzò la testa di scatto, orribilmente bianca nel buio, gli occhi dorati. “A ventotto anni mi è stato portato via, e io giurai che avrei fatto patire il mio stesso dolore a Uther Pendragon!”

Con un gesto richiamò a sé i Dorocha, e ora Arthur li vedeva, vedeva gli spiriti informi, i loro volti sconvolti nel gelo, le scie luminose che disperdevano al loro passaggio, fluttuando in cerchio intorno a Helen Burn. Si costrinse a non arretrare nemmeno di un millimetro, puntando i piedi con tutte le sue energie, mordendosi a sangue le labbra.

“Ora toglierò quello che è stato tolto a me,” disse la strega, funerea.

Appena Arthur si accorse che abbassava il braccio per dare un segnale ai suoi spiriti, urlò: “Fa' di me quello che vuoi, porta avanti la tua vendetta – ma lascia andare sane e salve le altre due persone che sono venute qui, non c'entrano niente!”

Il cuore non aveva mai pompato tanto sangue in tutte le direzioni del suo corpo, ogni nervo era teso, ogni senso in allerta, il cervello si preparava ad accogliere la fine, i respiri erano mozzati, scoordinati.

La strega bloccò la mano a mezz'aria, come esaminando ciò che Arthur aveva appena detto. Poi, senza preavviso, le sue dita ricominciarono a calare con velocità, fendendo lo spazio – ed era veramente, veramente la fine.

Uno spirito si levò, schizzò in direzione di Arthur, ululando, e Arthur sbatté le palpebre, ancora, ancora, ancora, tentennò indietro, no, tornò avanti, addio, e il fantasma era di fronte al suo volto, “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!”

Oscurità.

Mi dispiace per suo figlio. È stato ingiusto. Non sarebbe dovuto succedere. Mi dispiace così tanto per l'egoismo di mio padre. Se l'avesse saputo... no, non so se si sarebbe comportato diversamente, ma io sono davvero rammaricato comunque. È stato ingiusto. Molte cose sono spesso ingiuste. Non lo meritava, non lo meritavate. Nemmeno Morgana e Merlin lo meritano, però. Per favore, risparmiateli. Io sconterò la pena. Loro, invece, salvateli.

 

Arthur riaprì gli occhi, esalando a lungo, tremando.

La strega e i suoi fantasmi erano spariti e, con loro, anche il ghiaccio e le ragnatele; dalle finestre chiuse filtravano dei tiepidi raggi di sole che avvolgevano l'ambiente. L'orologio era di nuovo muto, le pareti libere e pulite. Ogni cosa sembrava tornata al suo stadio originale. Era, per assurdo, la vista più surreale che Arthur avesse avuto davanti dall'inizio di tutta quella storia.

Era morto?

Fece un passo, tentennando, non fidandosi del suo corpo. Ma non cadde, né si librò in aria, né si sentì particolarmente diverso. Poi vide Merlin accasciato al suolo, si diede dell'idiota e corse da lui, inginocchiandoglisi accanto. “Merlin, Merlin,” lo chiamò, scrollandolo piano.

L'altro mugugnò qualche suono incomprensibile muovendo appena le labbra, e Arthur, che non ci stava capendo niente e sentiva mutare la confusione vuota nella sua consueta (e cara) irritazione, lo scrollò con più forza.

“Mmh, mi togli il fiato,” disse Merlin, come se stesse sognando, aprendo e chiudendo gli occhi.

“Oh,” fece Arthur, spostandosi di riflesso per dargli più spazio.

Merlin ridacchiò sommessamente, svegliandosi un po' di più. “Non in quel senso, testa di fagiolo. Era quello che volevo dirti davanti al portone, quando sono tornato perché mi chiamavate.” Le sue palpebre erano sollevate del tutto, ora, scoprendo gli occhi che si erano riappropriati del loro originario punto di blu intenso, e che erano piegati in qualcosa di... tenero. “Volevo dirtelo prima di morire... o in caso fossimo morti. Tu, Arthur Pendragon, mi togli il fiato. Siamo morti?”

Le labbra di Arthur si curvarono in alto, salirono, salirono, salirono fino a che lui non si ritrovò a ridere. Una risata a pieni polmoni, liberatoria.

“Non ho intenzione di morire tanto presto, Merlin,” disse qualcuno da in cima alla scalinata.

Arthur si voltò, un tonfo nel petto, e Morgana gli sorrise, correndo verso di loro. Lui allargò le braccia, accogliendola quando lei ci si buttò. Nell'impeto la sollevò, facendole pure staccare i piedi da terra.

“Il mio fratellino coraggioso,” disse la sua sorellastra contro la camicia di Arthur.

Lui, che si sentiva scoppiare, non parlò. Cosa avrebbe mai potuto dire? Erano vivi, erano vivi.

“Ma che è successo?” disse Merlin, toccandosi la testa confusamente.

Morgana volò ad abbracciare anche lui, tirandolo su da terra con una forza sorprendente. “Non avevano mai ricevuto delle scuse sincere,” disse, sorridendo tristemente. “Ho sentito tutto, i loro cuori, le loro voci... era questo, che volevano davvero. Delle autentiche, sincere scuse.”

 

 

 

ʘ

 

 

 

Non ho ancora finito di fare le mie scuse,” disse Arthur, piano.

I finestrini della jeep di Morgana erano imperlati di gocce di pioggia e ogni rilievo che scorreva restava per un attimo intrappolato in quelle piccole celle rotonde. D'accordo, le Highlands erano davvero qualcosa di meraviglioso. Qualcosa che ti toglie il fiato, pensò Arthur sorridendo.

“Hai una lunga lista di persone a cui devi delle scuse, fratellino,” disse Morgana, ingranando la quarta. “Ma hai fatto così tanto in una sola notte. Prenditi il tuo tempo. I creditori non scappano, sai?”

Arthur rise. “Ma davvero è stata solo una notte?”

Lei annuì.

Dio. Arthur appoggiò la fronte sul palmo della mano. “Innanzitutto c'è Gwen, e ovviamente anche Lance. Prestami il telefono, devo chiamarli per chiedergli di vederci non appena ritorno. Una sbronza è più che necessaria, direi.”

Morgana gli lanciò uno sguardo sottile, il sorrisetto da saputella bene in vista. Aveva capito benissimo che Arthur non li avrebbe rivisti solo per bere. “Devi anche dire a Uther di venire qui quanto prima,” gli suggerì. “Useremo la scusa che sento la sua mancanza – poi mi assicurerò di portarlo al cimitero, a rendere omaggio al figlio di Helen Burn e a tutti gli altri.”

Arthur lasciò passare dei lunghi attimi di silenzio. Il motore della jeep quasi lo cullò nel meritato riposo che il suo corpo reclamava – ma, al diavolo, era quasi morto tre volte, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per dormire. “Quella donna... suppongo che non la ritroveremo nei registri della Pendragon Immobiliare, vero?” chiese.

Morgana tamburellò le unghie sul volante. “Già. E penso proprio che nemmeno troveremo testimoni che l'abbiano vista anche una sola volta.”

Arthur sospirò, stiracchiandosi. “Castel Camelot, però, adesso sarà un posto sicuro?”

“Oh, sì,” disse Morgana. “Be', io dal lago mi terrei lontana in ogni caso.”

Rimasero ancora un altro po' immersi in un silenzio amichevole; Arthur non aveva mai apprezzato quella possibilità, ma ritrovarsi senza delle urla agghiaccianti in sottofondo d'improvviso era diventato un vero miracolo meraviglioso. A un certo punto, però, prese di nuovo fiato per parlare, ed entrambi sapevano cosa ci fosse ancora da dire. “Morgana, anche a te io devo delle-”

Lei frenò di colpo, facendo sobbalzare entrambi (Arthur avrebbe perso diversi denti, se non avesse avuto la cintura di sicurezza allacciata). “Non dire niente,” gli intimò Morgana. “Non adesso.”

Cosa, non credeva che fosse sincero? Pensava che fosse l'adrenalina rimasta ancora in circolo nel suo corpo a farlo parlare, o la paura provata? No, Arthur diceva onestamente, e...

“Non voglio adesso le tue scuse perché voglio estorcerle piano da te negli anni a venire. Voglio tenerti sulla graticola il più a lungo possibile per il mio divertimento personale,” decretò, alzando le sopracciglia.

Oh, be'.

Poi Arthur sgranò gli occhi. “Aspetta,” disse, allungandosi per guardare fuori dal finestrino accanto a Morgana. “Eccola lì!

“Ovvio,” rispose lei. “È per questo che mi sono fermata... sensitiva,” disse, indicandosi col pollice.

Arthur fece un verso esasperato, ma sorrideva quando scese dalla jeep per andare a recuperare, dall'altro lato della strada, la sua tanto agognata valigia.

“In questo momento potrei piangere,” disse, sedendocisi sopra senza alcuna grazia. Chiuse gli occhi, inspirando ed espirando. L'aria della Scozia era fresca e pulita dopo un temporale, all'alba di un nuovo giorno.

Anche Morgana scese, appoggiandosi contro lo sportello della jeep. Incrociò le braccia al petto e scosse la testa alla sua volta. Poi s'illuminò. “Oh, una cosa!” disse, correndo da lui con le mani già infilate in borsa. Ne strasse i tarocchi.

“No, basta, pietà,” si lamentò Arthur.

Lei lo fulminò con un'occhiataccia. “L'ultima volta, prima che Merlin ci raggiunga.”

Arthur ci pensò un po' su; dopo essersi sentito letteralmente soffocare dai suoi obblighi di Pendragon, dopo aver visto sparire Morgana nel vero senso della parola per colpa sua, dopo essere quasi affogato e aver creduto di aver perso Gwen perché le si era avvicinato troppo... i tarocchi erano il male minore.

Morgana non aspettò comunque la sua risposta, mettendosi a mescolare in fretta le carte. Subito voltò la prima del mazzo. “L'Imperatore,” trillò. “Arthur, stai tornando in auge!” Ma invece che fermarsi mescolò ancora, smazzò e mescolò di nuovo, e poi... “Uuuuh,” disse, la voce piena di sottintesi. “Il Mago.”

Arthur associò velocemente quella figura a un certo qualcuno, cosa che di sicuro anche Morgana aveva fatto, a giudicare dal sorriso beffardo che stava mostrando con soddisfazione. “Non azzardarti a commentare,” le intimò, alzando l'indice.

La sorellastra non lo degnò di una risposta, ma ammiccò ed estrasse... “Oh, oh, oh, gli Amantiiiiiiii!” gridò, sventolandogli la carta sotto al naso.

Arthur si sentì prendere fuoco e si passò una mano lungo tutta la faccia. Quando iniziò a potersi udire in lontananza l'ormai familiare rombo del trabiccolo di Merlin, si appiattì i capelli di lato.

Morgana si morse il labbro con l'aria di chi aveva vinto alla lotteria. Merlin li raggiunse presto, le ginocchia che sporgevano in fuori e il motorino azzurro splendente sotto il nuovo sole del giorno. Quando fu abbastanza vicino, piantò gli stivali a terra per frenare. “Non sapete che vi perdete, aye. Girare all'aria aperta, poter godere alla giusta velocità di questo bellissimo paesaggio...” disse sognante, indicando le montagne all'orizzonte.

“Già,” disse Arthur, schiarendosi la gola. “A proposito, tu va' avanti con la valigia, Morgana. A me è venuta improvvisamente voglia di un giro in motorino.”

Sul viso di Merlin passarono una sfilza di emozioni una dietro l'altra e intorno agli zigomi si diffusero varie sfumature di colore. Alla fine gli sorrise, raggiante e stupidamente speranzoso.

Morgana rise forte, tenendosi la pancia mentre caricava la valigia di Arthur e lanciava un “ci vediamo a Inverness” volante.

Arthur si avvicinò a Merlin, leccandosi in fretta le labbra. Cazzo, non era bravo in queste cose. “Niente battute idiote,” chiarificò, tanto per stare sicuro. “Anzi, non voglio sentire neanche una parola.”

Merlin scese dal motorino, scosse in fretta la testa, si ricordò al volo di togliere il casco e poi lo raggiunse. Si mise a mezzo metro da lui, in attesa.

Arthur alzò gli occhi al cielo, un cielo limpido senza più neanche una nuvola. Poi passò un braccio attorno alle spalle di Merlin per attirarlo a sé – e Merlin non si fece desiderare, no, gli allacciò subito le braccia lunghe intorno alla vita. E quando Arthur morse le sue labbra, Merlin inseguì il bacio voltando meglio il viso e passò la lingua sulla sua bocca, piano. Poi, come se fosse finalmente tornato a casa dopo un lungo viaggio, si abbandonò contro di lui, sospirando.

Ah, l'aria della Scozia. Faceva proprio andare tutti un po' fuori di testa.

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: hiromi_chan