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Autore: Shinkocchi_    24/08/2014    2 recensioni
Si tratta del dividersi fra il dovere del giocatore e l’attaccamento del compagno di squadra. Nel suo caso, Sugawara sa perfettamente che questa distinzione non esiste.
[ambientata fra i flashback del capitolo 20 e il capitolo 16]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koushi Sugawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come prima fic da pubblicare su Haikyuu non mi aspettavo certo nulla di così contorto e angst, considerando l'imbarazzante numero di ship e l'allettante possibilità di scrivere fluff una volta nella vita, ma è andata così. E vab, nella speranza che i personaggi siano IC. E questa cosa abbia un senso. Fic ambientata fra i flashback del capitolo 20 e il capitolo 16. Storia di Suga e di un manico di scopa rotto.
Buona lettura~

 


Il confine tra coraggio e codardia è labile 
sta impresso in un numero sul retro di una maglia.

 
Pur riconoscendo in quell’incidente il valore di semplice metafora di un avvenimento più o meno importante fra quelli trascorsi al liceo, Koushi è costretto a riconoscere a se stesso con altrettanta pacata rassegnazione che le ripercussioni di tale incidente sono tutto fuorché allegoriche, lui che vi si è trovato in mezzo senza volerlo davvero.
A ben pensarci avrebbe preferito prevenire tutto quel putiferio, avrebbe voluto come al suo solito trovare una soluzione che contentasse tutti cosicché nessuno ne rimanesse ferito. Perché è troppo generoso, Sugawara, si preoccupa eccessivamente per gli altri e questo, gli hanno fatto notare più e più volte, è il suo miglior pregio. E peggior difetto. Così quando durante quella partita contro la Dateko la situazione è sfuggita loro di mano non ha potuto far altro che osservare impotente tutto quanto implodere su se stesso e travolgerli, come fossero nulla più che ostacoli capitati per caso su il percorso di una partita a domino.
È quindi solo quando stringe al petto i resti materiali di quella lite che una parte di sé si chiede se sia coraggio o codardia quel suo impegno che pur con le migliori intenzioni sfocia in una smodata testardaggine senza esito alcuno. Non risponde mai a quella domanda, ma non è questo a impedirgli di mantenere quella cieca fiducia nei confronti dei suoi compagni. Non può permettersi il contrario — né oserebbe mai.
“Si può rimettere insieme”, Sugawara ci crede, ne è davvero convinto mentre preme i lembi di legno l’uno contro l’altro con la gentilezza che gli appartiene. Forse, se fa attenzione, se lo maneggia con cura funzionerà. Non tornerà come nuovo, probabilmente, Koushi sa anche questo, ma l’idea di trovarsi qualche scheggia di legno conficcata nelle dita gli pare una preoccupazione irrilevante se paragonata al resto.
Forse invece a ben rifletterci ha ragione Yamaguchi: dovrebbe buttarlo e sostituirlo, perché è pericoloso. “Potrebbe farsi male qualcuno”, si ripete, eppure egli stesso sa perfettamente da sé che non lo farà nella speranza di escogitare una soluzione. Di certo non si aspetta di alzarsi una mattina e trovarlo riparato, non vanno così le cose: sa che la frattura rimarrà sempre — forse con un nastro? Se la nascondesse con un fiocco magari non si vedrebbe — , ma sa anche che non andrebbe bene se la cicatrice sparisse come non fosse mai esistita. Non sarebbe giusto.
Il confine tra il coraggio di non mollare e la codardia nel non lasciare andare è labile, inconsistente, e Koushi si chiede se ormai non abbia confuso i due concetti da tempo, mentre stringe forte le due estremità spezzate fra le mani; vi si aggrappa con tanta veemenza che le nocche, già pallide per carnagione, sbiancano nella luce sbiadita proveniente dalla palestra. Si tratta del dividersi fra il dovere del giocatore e l’attaccamento del compagno di squadra. Nel suo caso, Sugawara sa perfettamente che questa distinzione non esiste: il nesso è impresso sulla sua schiena, lo sfoggia ogni volta che indossa la maglia da titolare, lo stringe e lo respira quando vi affonda il viso, ma questo non vuol dire che mantenere un equilibrio fra le cose sia meno difficile.
Il “2” non è un numero facile, è il numero che generalmente nessuno vorrebbe — perché, sul serio, chi vuole mai essere il numero due? — , forse perché è troppo vicino all’”uno”, ma al tempo stesso separatovi da un divario insanabile — ah, ma Koushi non è mai stato fatto per stare al centro dell’attenzione, quindi gli va bene così.
Tutto sommato, ciò che Suga si rende conto di desiderare non è altro che rivedere la squadra unita, e il suo problema di fondo è quell'inutilità che non sa come riuscire a fronteggiare, quel suo non sapere come comportarsi, perché nemmeno addossarsi la colpa può essergli d'aiuto ora, né a lui, né a Noya, né ad Asahi. E allora forse dovrebbe semplicemente mettersi d'impegno e fare quello che tutte le persone fanno quando qualcosa si rompe: aggiustarlo.
Potrebbe essere una convinzione un po’ stupida, eccessivamente infantile, ma è tutto ciò che può tentare, ora, cercare di aggiustare quanto è rotto; perciò lo poggia a lato del cestone delle palle, quel manico di scopa spezzato, e lo osserva svanire nel buio del ripostiglio mentre chiude con cura la porta. Perché gli manca quell'armonia di suoni che la palla compiva ogni volta che passava dalle sue mani a quelle forti dell'asso, il sorriso sicuro di Noya, la squadra unita — la fiducia che lui riponeva in se stesso, anche quella gli manca.
Il confine fra coraggio e codardia è labile, Sugawara ne è perfettamente consapevole.
Quel due che è ricamato sulla sua schiena non è che la prova.





 
  
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