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Autore: EmmaStarr    24/08/2014    7 recensioni
– Ho un'idea! – saltò su Rufy nel mezzo della baraonda. – Il cielo è sereno: perché non andiamo tutti fuori a guardare le stelle?
Il fracasso si placò di colpo. – Le... stelle? – ripeté Usop, confuso.
– Sì, insomma, il cielo stellato... da piccolo, era una cosa che facevo spesso. Con Ace. – disse piano Rufy, lo sguardo basso e un sorriso appena accennato sul volto.

Cosa succede se i Mugiwara, dopo i fatti di Dressrosa, si riuniscono tutti sul ponte della Sunny ad osservare un magico cielo stellato? Sarà un'occasione per parlare dei due anni durante i quali sono stati divisi, ma anche un momento incantato che darà modo a Rufy di ricordare un particolare avvenimento legato alla sua infanzia... In fondo, come ha sempre detto Ace, tutti hanno una propria stella che brilla alta nel cielo. E ogni stella ha un colore speciale.
* * *
Buon compleanno, Sara!
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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All the colors of the stars

 

 

And I know this scars will bleed
Both of our hearts will bleed
All of this stars will guide you home

 

 

– Che mangiata! – esclamò Rufy soddisfatto, battendosi una mano sulla pancia. – Sanji, questo mostro marino era squisito!

Usop e Chopper ridacchiarono, mentre Nami borbottò un “Siamo alle solite...” con fare sconsolato. Ma si vedeva benissimo che stava sorridendo anche lei.

Era passato pochissimo tempo da quando si erano incontrati di nuovo dopo i due anni di allenamento: nemmeno un mese, a pensarci bene. Eppure, quante avventure avevano già condiviso! Prima l'Isola degli Uomini-Pesce, poi Punk Hazard, e adesso si erano lasciati alle spalle anche Dressrosa... E tutto sembrava essere tornato alla normalità.

– Ragazzi, stasera possiamo fare qualcosa tutti insieme? – domandò improvvisamente Chopper, fissandoli uno a uno con fare speranzoso. – Non ho nessun nuovo libro di medicina, e mi annoio a non fare niente...

Robin annuì. – Alla prossima isola dobbiamo assolutamente cercare una libreria: tutti i libri che abbiamo li ho già letti.

– Se volete, posso raccontarvi di quella volta che, senza l'aiuto di nessuna arma, ho sconfitto il terribile mostro che abitava l'isola... – attaccò Usop, prontamente zittito da una Nami alquanto infuriata.

– Si potrebbe fare una gara di bevute. – se ne uscì Zoro, guadagnandosi subito un possente calcio da parte di Sanji.

– Le nostre scorte di sakè sono già agli sgoccioli, grazie a qualcuno: dobbiamo tenerlo da parte per le occasioni importanti! – stabilì, scocciato. – Dico bene, cara Nami? – aggiunse poi, sviolinando in direzione della bella navigatrice.

Il resto è facilmente intuibile: qualche minuto dopo Zoro e Sanji stavano combattendo aspramente, mentre Usop, Chopper e Rufy ridevano come matti. Robin sorrideva e basta, affiancata da una desolata Nami che ignorava con decisione le avances di Brook e i “Super!” di Franky.

– Ho un'idea! – saltò su Rufy nel mezzo della baraonda. – Il cielo è sereno: perché non andiamo tutti fuori a guardare le stelle?

Il fracasso si placò di colpo. – Le... stelle? – ripeté Usop, confuso.

– Sì, insomma, il cielo stellato... da piccolo, era una cosa che facevo spesso. Con Ace. – disse piano Rufy, lo sguardo basso e un sorriso appena accennato sul volto.

Zoro fu il primo a riprendersi. – Per me va bene. – affermò, alzando le spalle.

– Sì, perché no? – gli diede subito man forte Sanji, alzandosi e avviandosi verso l'esterno. – Volete una coperta, carissime Nami e Robin? La notte potrebbe essere fredda!

– Quali coperte, ma se fa un caldo torrido! – lo riprese Zoro, ed uscirono battibeccando dalla sala da pranzo.

– Non è una cattiva idea, dai! È un sacco che non le guardavo, vado subito a prendere dei cuscini! – esclamò Nami, allegra.

– Io posso spiegarvi qualcosa sulle costellazioni che si vedono in cielo, ho letto parecchi libri a riguardo. – propose Robin, sorridendo gentile.

– Sarebbe bello! – fece Chopper con aria sognante. – Io non ho mai passato un'intera nottata a guardare le stelle, dev'essere stupendo!

– Davvero, Chopper? Non dirmi che non ti ho mai raccontato di quella volta che ho impedito ad un malvagio pirata di rubare tutte le stelle del cielo! Era già lì, pronto con la sua enorme rete da pesca, ma io sono riuscito a fermarlo prima che la lanciasse in cielo! – si vantò Usop.

– S-sul serio? – chiese l'altro, emozionato.

– Forza, non perdiamo altro tempo: tutti fuori! – fece Franky, euforico, alzandosi con gran foga. – Brook, tu che fai, non vieni?

– Yohohoho! Guardavamo spesso le stelle con Lavoon, la notte! Canterò una canzone scritta proprio per le notti stellate come questa! – rise lo scheletro canterino, avviandosi a grandi passi verso l'uscita.

Rufy sorrise, grato a tutti i suoi compagni, e lì seguì fuori, sul ponte della Sunny, all'aria aperta.

 

* * *

 

– Una stella cadente, una stella cadente!

– Piantala, Usop, l'hai vista solo tu.

– Come le ultime venti...

– Smettetela, stavolta vi dico che è vero!

– Oh, è uno spettacolo stupendo, non trovate?

– Perché non lo facciamo più spesso?

– Perché di solito la notte avete tutti qualcosa da fare, questa è la verità!

– Eh, adesso!

– Beh, su questo Usop ragione: Nami ha le sue mappe, Robin e Chopper leggono tutto il tempo, Franky scompare nella sala motori, il cuoco chissà cosa combina...

– Parla lui, che dorme tutto il tempo!

– E tu cos'hai di tanto importante da fare ogni sera, eh? Scommetto che la passi sempre a sbirciare nel...

– Io cucino, e se non ci fosse qualcuno che pensa ai bisogni fisici di questa ciurma a quest'ora tu...

– Adesso smettetela!

– …

– …

– Nami, mi fai paura.

– Zitto, Chopper, così la istighi.

– Hai detto qualcosa, Usop?

– Io? Niente, niente! Quando mai!

Rufy non riuscì a trattenersi dal ridere forte, a pieni polmoni: il mare era calmo e l'aria piacevolmente fresca. Se chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare, quasi gli sembrava di tornare indietro nel tempo, quando lui e Ace uscivano di nascosto e passavano la notte nella radura a guardare le stelle.

Erano tutti sdraiati in cerchio, le teste vicine le une alle altre, felici semplicemente per il fatto di essere insieme. Rimasero in silenzio, persi ad osservare quell'immenso manto blu costellato da piccole scintille luminose che sembravano chiamarli, incitarli a proseguire e a rincorrere i loro sogni, senza arrendersi mai.

– Certo che è assurdo stare qui, così, senza preoccuparsi di niente. Negli ultimi due anni, non ho avuto un singolo istante di pace per potermi rilassare così. Per non parlare delle avventure che abbiamo vissuto fino ad ora. È un miracolo se siamo ancora tutti interi. – sbuffò ad un certo punto Usop.

– A chi lo dici! – esclamò subito Sanji. – Negli ultimi due anni penso di aver dormito circa un'ora per notte, e il tempo che potevo stare nascosto non lo passavo certo a guardare le stelle: mi addormentavo di botto!

Rufy si tirò sui gomiti. – È vero, non mi avete ancora detto dove siete stati per tutto questo tempo! Dai, sono curioso! – li incitò, ridacchiando.

E tutti cominciarono a raccontare. Risero insieme delle disavventure di Sanji, impallidirono al pensiero di Mihawk e della sua isola e si stupirono dell'esistenza dell'isola nel cielo in cui era vissuta Nami. Inorridirono al pensiero di tutti gli schiavi obbligati a costruire il ponte su cui era stata scaraventata Robin e non potevano credere alle loro orecchie quando Franky gli raccontò alcune delle opere che il dottor Vegapunk aveva ideato. Ammirarono Brook per la sua grande carriera e lodarono Chopper per come si era comportato con quegli uccelli sull'isola in cui era capitato. Credettero addirittura ad una buona parte della storia che Usop gli aveva raccontato (distinguere la verità fra tutte quelle bugie fu dura, ma lo conoscevano tutti troppo bene per farsi abbindolare).

Restarono in silenzio per un po', poi Nami sussurrò: – E tu, Rufy... dove sei stato?

Subito tutta l'attenzione si concentrò su di lui. Anche se aveva lo sguardo fisso in alto, Rufy sapeva che gli altri lo stavano guardando di sottecchi e si aspettavano una sua risposta. – Beh... mi sono allenato con Rayleigh. Dopo. – azzardò, titubante. – Prima... sono stato spedito sull'Isola delle Donne. Appena sono finito lì non avevo idea di dove mi trovassi, poi ho mangiato uno strano fungo e non mi ricordo bene cos'è successo: mi hanno detto che era velenoso, credo.

Tra i suoi compagni si levò un coro di “siamo alle solite” e “ma non avevamo appena mangiato?”. Rufy ridacchiò e continuò a parlare. Stranamente, più andava avanti a raccontare, più si sentiva sollevato. Quando raccontò di Impel Dawn subito gli altri sbarrarono gli occhi, sgomenti, ma lui continuò imperterrito. Doveva farlo, sentiva che era l'unico modo per lasciarsi quella folle corsa contro il tempo alle spalle. Quando arrivò a parlare di Crocodile cercò di usare tutto il tatto possibile, ma sentì chiaramente Robin trattenere il fiato. Spiegò con foga che non l'aveva perdonato per i fatti di Alabasta, ma gli era grato per quello che aveva fatto per Ace, tutto qua. E questo lo portò a raccontare quello che era successo a Marineford. Parlò poco, frasi semplici, veloci e spezzate -nessuno ebbe il coraggio di interromperlo, ipnotizzati dall'orrore che era stata la guerra.

E fece male, fece male a tutti, perché era ingiusto che sotto quelle stelle sentissero quella storia di sangue e lacrime. – Poi, ho... mi sono bloccato. – concluse Rufy, incerto.

– Bloccato? – ripeté Usop, confuso.

– Ero lì, e c'era il corpo di Ace di fianco di me, e... non mi sono più mosso, credo. Non mi ricordo più niente. – si passò una mano sulla fronte, come a scacciare un feroce mal di testa. – Mi sono risvegliato che eravamo già tornati sull'isola delle donne.

Il silenzio sembrava galleggiare come una bolla di sapone sospesa sopra di loro. – E... la guerra? – chiese debolmente Chopper.

– Me l'hanno raccontata, dopo. Io non ricordo più niente. – ripeté Rufy, abbassando lo sguardo.

– Ma allora, scusa, tu non hai niente di cui rimproverarti! – si inalberò Nami, mettendosi di scatto a sedere. – È già incredibile che una persona sola abbia fatto tanto.

– Hai fermato mezzo plotone della marina, hai impedito che tuo fratello morisse decapitato, hai aperto le sue manette... È da pazzi! – commentò Usop, sconvolto. – Quasi come quella volta che, legato e bendato, ho eliminato da solo un intera nave della marina! – aggiunse poi, ghignando.

– Ehi, Rufy... – chiamò Sanji, togliendosi la sigaretta di bocca. – Domani che ne dici se cucino quel pesce con la maionese che volevi l'altro giorno?

Robin sorrise. – C'è un romanzo di avventure che devo assolutamente prestarti. È interessante!

– E non hai ancora visto l'ultima super-modifica che ho apportato alla Sunny! – aggiunse Franky, ghignando.

Uno ad uno, tutti i suoi compagni dissero qualcosa di piccolo, futile, assolutamente inutile e completamente fuori argomento.

Ma ogni volta che uno di loro diceva qualcosa, anche se era una cosa sciocca, inadatta, grande e bellissima, una stella si accendeva di nuovi colori.

 

Ace! Indovina cos'ho scoperto?

Il bambino correva a perdifiato su per la salita che portava al loro rifugio.

Piantala di gridare, mi fai venire il mal di testa, te lo dico sempre! – gemette il più grande, balzando a terra con un unico, fluido salto. – Cos'è successo?

Rufy si fermò, ansimante, un enorme sorriso stampato in volto. – Oggi alla locanda di Makino c'era un... un... un astro-qualcosa! – concluse, soddisfatto. – Uno che studia le stelle, insomma.

Ace inarcò un sopracciglio. – Eh?

C'era un signore che studiava le stelle e che passava di qui per degli studi. Sai che dovresti venirci anche tu, alla locanda? Non vai mai al villaggio e ti perdi sempre le cose più interessanti. Comunque. Studia le stelle, capisci? E ha un telescopio immenso, molto più grande di quelli che usano i pirati! – rivelò, allargando le braccia a dismisura per evidenziare l'immensità dell'oggetto.

Ace sospirò. – Ho capito, c'era questo astro-qualcosa che studia le stelle. E allora? Tanto a noi non importa mica studiarle, ci basta guardare, no?

Sì, ma lui mi ha detto che le stelle... non sono bianche, ecco. – rivelò Rufy con un sorriso furbetto. – Eh no, sono tutte colorate!

Ace si trattenne a stento dallo spalancare la bocca. – Colorate? Ma che scemenze vai dicendo? È chiaro che sono bianche, no? Insomma, ti sembrano per caso arancioni a pois verde acqua? A strisce gialle e viola? Ma fammi il piacere. – commentò, acido.

No! – si lamentò Rufy, pestando i piedi. – Sono rosse, oppure blu, o bianche, alcune. Il signore ha detto che le vediamo bianche perché sono lontanissime o qualcosa di simile. Però immagina se fossero davvero colorate! Allora la mia stella di che colore sarebbe?

Era un gioco che facevano spesso, quello della “mia stella”. Ogni sera scrutavano il firmamento alla ricerca della luce più luminosa, o di quella più vicina all'orizzonte, o di quella che formava un disegno più buffo insieme alle altre. E la facevano propria. Non contava che fosse sempre la stessa ogni notte, soleva ripetere Ace con tono saputo. “L'importante”, diceva sempre, “è che tu sappia che c'è la tua stella, lassù. Ce n'è una che è solo tua. E un'altra che è solo mia. Se guarderai in cielo, anche senza di me, saprai che tra le altre c'è la mia stella. E quella di tutti i tuoi amici, della tua famiglia, di tutti quanti.”

La tua stella? E io che ne so? La mia è sicuramente rosso fuoco. – affermò Ace baldanzoso.

Rufy gonfiò esageratamente le guance. – No, lo volevo io!

Allora dovevi dirlo per primo, scemo!

 

 

E risero, risero, risero come ridevano sempre e come amavano fare, ma quel discorso lo continuarono molte volte. Le stelle avevano sempre avuto un enorme potere su di loro, un fascino misterioso e splendido: il fatto che le potessero usare per ritrovarsi, dovunque fossero, era un qualcosa di magico e unico. E che avessero dei colori! Questo le rendeva ancora più vere e splendide ai loro occhi: immaginavano sempre di che colore potessero essere, viste da vicino. E, puntualmente, litigavano come forsennati per stabilire chi di loro due avesse la stella di un rosso più brillante.

In quei due anni di allenamento, Rufy si era ritrovato a fissare il cielo stellato più tempo di quanto non ne avesse passato effettivamente a dormire, scrutando lo spazio alla ricerca della stella di Ace. Rossa. Doveva essere sicuramente rossa, laggiù, lontana: rosso come il sangue, come l'amore, come il fuoco, come Ace. Ed appena la trovava -sapeva di averla trovata, lo sentiva- iniziava a percepire tutto il suo calore, rosso e bollente, avvolgerlo come un abbraccio. E più la guardava, più la vedeva colorarsi.

Cercava la stella di Ace, la trovava e si faceva scaldare da lei, sussurrandole parole di affetto e nostalgia, dolore e gioia. Poi, salutandola con un sorriso dolce e triste, andava a cercare quella di Sabo. Quella di Sabo... ai tempi, lo credeva ancora morto. E la sua stella era celeste, di un azzurro chiarissimo, il colore del cielo di quel giorno. Trovava la stella di Sabo -se ne accorgeva subito, quando la vedeva: era quella che rideva più forte, che lo incitava a prendere il mare e a vivere sempre più avventure. E le parlava, le raccontava la sua vita e il suo dolore, e le affidava Ace -anche se ancora non sapeva che Ace se la sarebbe dovuta cavare da solo, ovunque fosse- e la salutava con gli occhi lucidi, residui di quelle lacrime che aveva speso a fiumi quando, ancora bambino, piangeva la sua scomparsa.

Dopo aver cercato e trovato le stelle dei suoi fratelli, dopo averle pregate di guidarlo e di stargli vicino -come avevano sempre fatto, dovunque fossero-, Rufy chiudeva sempre gli occhi per qualche istante, cercando di prendere sonno. Ma sapeva che non ci sarebbe riuscito, non senza aver prima cercato anche le altre.

Ed eccole, splendenti nel cielo notturno, le stelle dei suoi compagni. Apparivano forse un po' più sbiadite -non era abituato a cercarle, non ne aveva mai avuto bisogno, prima-, ma alla fine le trovava tutte. Sempre.

E le salutava, un po' ridendo e un po' piangendo, promettendo di diventare più forte e pregandoli di avere pazienza -e di tornare, perché sapeva che sarebbe morto se non li avesse visti tornare tutti quanti all'Arcipelago Sabaody, il giorno dell'appuntamento.

Le scongiurava di essere forti e gli assicurava di stare bene. Raccomandava a quelle otto stelle luminose i suoi sogni e le sue speranze, affidando a loro tutti i suoi pensieri. Rimaneva a fissarle con sguardo sognante, lì sull'albero dove si era arrampicato per sfuggire alle belve feroci e dove Rayleigh gli aveva raccomandato di riposarsi, finché gli occhi non gli si chiudevano per la stanchezza. E avrebbe giurato di sentirle ridere, tutte. La stella verde smeraldo di Zoro, quella arancione brillante di Nami, quella giallo acceso di Sanji e quella marrone cioccolato di Usop; quella rosa cristallo di Chopper, quella viola velluto di Robin, l'allegra stella indaco di Franky e quella nero ossidiana di Brook. E quando anche quella rosso fuoco di Ace e quella celeste come il cielo di Sabo gli auguravano la buonanotte, solo allora Rufy chiudeva gli occhi e si lasciava cullare dal sonno, sognando se stesso volare tra le stelle e stringerle tutte a sé, senza paura di perderle, senza la consapevolezza di non poterle proteggere o raggiungere. Un intero firmamento di stelle solo per lui, lì a riscaldarlo e a colorare le sue notti.

In quel momento, circondato dall'affetto dei suoi compagni, Rufy poté osservare con precisione tutte le loro stelle -le aveva riconosciute appena si era sdraiato, abituato ormai a cercarle quasi inconsciamente con lo sguardo- accendersi, sfavillare, brillare ed esplodere come piccoli fuochi d'artificio nei suoi occhi.

Si mise a quattro zampe e si voltò, lo sguardo rivolto a tutti loro, sorridendo come mai prima d'ora. Era stato colto dall'irresistibile desiderio di fare in modo che anche loro potessero vedere tutte quelle luci così enormi, così belle, così calde. – D'accordo. – disse con determinazione, calcandosi il suo fidato cappello di paglia in testa. Era una sensazione che gli era davvero mancata, per tutto quel tempo. – Adesso vi racconto una storia.

Le parole sgorgavano senza quasi che se ne accorgesse, mentre prendeva a descrivere la bellezza dei colori delle stelle la notte, quando ci si sentiva persi. Non lo disse ad alta voce, ma sapeva che ciascuno di loro vedeva stelle diverse, come lui vedeva quelle di Ace e Sabo: le stelle delle persone che avevano amato. Ma le loro, le loro stelle, quelle dei componenti della ciurma che avevano condiviso, aspettato e amato... Ormai quelle stelle erano dei fuochi accesi in mezzo alla galassia, dei fari luminosi impossibili da non scorgere. Tutti ascoltavano ammaliati, stupiti e commossi il discorso del loro capitano, e vedevano con stupore sempre crescente le stelle accendersi di ogni colore.

– È... incredibile. – sussurrò Nami con le lacrime agli occhi.

– Non l'avevo mai vista in questo modo... – fece Sanji, conquistato.

Chopper tirò rumorosamente su col naso, imitato prontamente da Franky e da Brook. – È una cosa bellissima! – pianse lo scheletro.

– Super-commovente! – confermò Franky, piangendo a dirotto.

Zoro ghignò. – Interessante.

Robin annuì solamente, sorridendo di un sorriso largo e bagnato, e Usop alzò le braccia prima di esclamare: – La mia stella è sicuramente quella, guardatela tutti!

Rufy ridacchiò, passandosi velocemente una mano sugli occhi. I suoi compagni erano lì intorno a lui, e non poteva desiderare niente di meglio.

Alzò lo sguardo al cielo e fu improvvisamente colpito da un dettaglio incredibile: in mezzo a tutte le altre, brillava sfavillante un qualcosa che cercava da anni e che non era mai riuscito a trovare, da quando Ace era morto. L'aveva cercata, l'aveva cercata tanto, ma non era mai riuscito a rivederla: la sua, la sua stella, quella che più di tutte portava nel cuore il suo sogno e la sua promessa. Ed ora, finalmente, rieccola là, al suo posto: Rufy non l'aveva mai dimenticata, e nel rivederla il suo cuore per poco non esplose di gioia.

In quell'istante, sotto quel calmo cielo di Agosto, in quella notte magica e infinita, con tutti i suoi compagni intorno a lui, Rufy si sentì finalmente completamente libero, felice.

Tutte quelle stelle l'avevano guidato a casa, alla fine.

 

 










Angolo autrice:
Tanti auguri, Sara! Questa è una storia-regalo di compleanno per la mia adorata nee-chan Sara: cento di questi giorni, auguri!
Detto questo. Siccome quella persona mi ha messo la pulce nell'orecchio, ho deciso che non avevo scritto abbastanza sull'argomento "Stelle", che mi è molto caro. E quindi, eccola qua! Che Rufy e Ace guardassero le stelle ci è stato svelato dalla tredicesima sigla di One Piece, in quella (straziante) serie di immagini con i due fratellini da piccoli.
Quindi, da lì a tutte le elucubrazioni che ho fatto il passo è breve, immagino.
L'astro-coso di cui parla entusiasticamente il piccolo Rufy è un astronomo, e parla di cose come nane blu e giganti rosse, ma ovviamente Rufy fraintende. Anche in un modo abbastanza carino, se vogliamo dirla tutta.
Spero che la storia sia piaciuta a voi e a Sara: buon rimasuglio di vacanze (no, non fatemici pensare che divento triste) e godetevi quel che resta di Agosto!
Un abbraccio, vostra
Emma ^^
  
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