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Autore: PeNnImaN_Mercury92    25/08/2014    4 recensioni
Ripiegai il foglio e rimasi a guardare fisso a terra. Alzai poi lo sguardo verso di lui, che sorrideva con il pollice alzato.—Non cambiarlo per nulla al mondo.—disse.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freddie Mercury, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un giorno qualunque in cui facevo visita a Freddie, il tre luglio 1991.
Andai alla porta d'ingresso di casa sua, che fortunatamente era priva di giornalisti che da qualche mese gli si erano appollaiati davanti.
Presi il mazzo di chiavi che avevo e la infilai nella serratura.
Dopo averla aperta, bussai comunque per avvertire a chi fosse stato in casa del mio arrivo.
Come appena entrai, sentii una musica che dava l'impressione di provenire dalla camera da letto di Freddie.
Mi avvicinai così alla stanza e riconobbi la canzone: era “Hey, Joe” di Jimi Hendrix.
Vidi Freddie sdraiato, come al solito, sul suo lettone, circondato da tutti i gatti che gli tenevano compagnia.
Aprì delicatamente gli occhi. Quell'uomo incredibilmente affascinante, energico e attraente che incontrai diciotto anni fa non era altro che un cadavere vivente.—Mary! Sei arrivata ora?—disse con una voce che andava a rallentatore.
—Ciao, Fred. Sì, sono entrata in questo momento. Non hai sentito il campanello?—lui scosse il capo.
—Per niente. Mi è venuta fame. Andiamo in cucina?—io annuii. 
Sistemai il vinile nella sua fodera e aiutai ad alzare Freddie, dandogli un bastone.
Pian piano riuscì ad alzarsi, e ci incamminammo verso il corridoio a passo di lumaca.—Dov'è Jim?—gli chiesi, per avviare un po' di conversazione.
—Ti sei dimenticata che è partito ieri mattina? È andato dai suoi.—rispose lui, divertito. Mi sbattei una mano sulla fronte.
—Giusto. Me l'aveva detto qualche giorno fa. Scusa, ma non potevi chiamarmi? Ti avrei fatto compagnia.—dissi. Lui scosse il capo.
—Non preoccuparti. Sono sicuro che hai altro a cui pensare che a un cretino malaticcio come me.
—Non lo dire nemmeno per scherzo. Farei di tutto per te.
Eravamo finalmente arrivati alla cucina. Lo feci sedere sullo sgabello del bancone di mogano e gli preparai un caffè e misi qualche pasticcino che avevo portato io in una piccola ciotola.
Glieli porsi e mi sedetti accanto a lui.
—Mary, promettimi che non mi mentirai.—chiese lui, mentre sorseggiava il caffè.
—Certo che non lo farò, Fred.—dissi, con un po' di timore su ciò che mi avrebbe chiesto.
—Io non ho mai smesso di piacerti, vero?—chiese guardandomi nei miei occhi azzurri. I suoi invece erano di un nero spento, anche se non c'era niente di acceso nel suo volto.
—Sì. —risposi tutto d'un fiato. Mi veniva voglia di piangere, ma non volevo mostrarmi debole. 
Dopo la sua, avevo avuto qualche relazione con alcuni uomini, ma non ero mai riuscita a sostenerle, e nonostante lui mi fosse stato sempre accanto come amico, io lo consideravo sempre qualcosa di più.
Mi buttai tra le sue braccia, senza stringerlo troppo per non fargli male, e non riuscii a trattenere le lacrime.
Lui mi strinse.—Mary Austin, va tutto bene.
Quelle parole mi confortavamo, ma rimasi comunque tra le sue braccia.—Ehi, tesoro. Dai che se continui a piangere, tra un po' lo faccio anche io.—sciolsi l'abbraccio e mi rimisi al mio posto, asciugandomi le lacrime sotto gli occhi.—Mary, ti ricordi la settimana scorsa, quando ti ho chiesto di scrivermi quella cosa...—capii che si riferiva al discorso che avrei fatto al suo funerale. Era da alcune settimane che non faceva che parlarne, così cedetti e quella settimana cercai di scriverlo.
—Sì, è nella borsa. Vado a prenderla.—gli dissi e andai nuovamente in camera da letto per prendere la mia borsa nera.
Come appena entrai, vidi che uno dei gatti di Freddie stava giocherellando col pom pom attaccato alla borsa, Fanny.
—Oh, no. Cosa fai?—la gatta dal pelo marroncino scappò è presi la borsa.
Ritornai in cucina e posai la borsa sul bancone, rovistandoci dentro. Notai che la borsa presentava alcuni graffi.—Guarda cosa ha fatto quella scema di Fanny.—sventolai la borsa davanti Freddie.
Lui rise.—Ah ah, proprio un bel lavoro. Sono fiera di lei.—gli feci la linguaccia e finalmente tirai fuori il foglio bianco piegato.
—Eccolo, è ancora un po' abbozzato, ma credo che...—mi interruppe.
—Vediamo com'è. Se mi piace lo lasci così, okay?—disse.
—Okay.—spiegai il foglio e sospirai prima di leggere il contenuto: 

Vorrei esplicare giusto un paio di parole, così da non togliere altro tempo agli altri.
Ormai è passato tanto tempo da quando conobbi Freddie.
Quei momenti non li dimenticherò mai perché segneranno sempre una parte indelebile della mia vita.
Come mi innamorai di lui non lo saprò mai. Eppure lui non era il ragazzo perfetto, non lo era per niente. Per metà noi avremo un ricordo di lui come una persona autocelebrativa, un po' egoista e molto irriverente.
Ma sappiamo benissimo che gli esseri umani non vanno giudicate dai loro aspetti negativi, ma quelli positivi.
E Freddie ne aveva tanti, anche più di quelli citati prima.
Era quel tipo di persona che se ti vedeva giù di morale faceva di tutto per tirarti su.
Quel tipo di persona che se non era soddisfatto di qualcosa, lottava fino alla fine per accontentarsi.
Quel tipo di persona che non si fermava davanti l'apparenza, ma scrutava il tuo essere fino al cuore.
Quel tipo di persona che io non smetterò mai di stimare e di ringraziare, perché mi ha fatto capire che l'amore non è un sentimento che va buttato al vento.
E' qualcosa che non si può controllare, peggio di una droga.
Io e lui, come altri, abbiamo vissuto una breve storia d'amore. Che non è mai finita, nemmeno adesso.
Il nostro, infatti, non era solo amore.
Era rispetto verso l'altro, anche meglio.
Ma tutti noi sappiamo che lui non è morto, altroché.
Lui è con noi, dentro di noi che ci sostiene come faceva prima.
Per cui, Freddie, io che con tutta me stessa odio gli addii più di qualsiasi altra cosa, e tu lo sai meglio di me, questo non è altro che un informale e familiare ciao.



Ripiegai il foglio e rimasi a guardare fisso a terra. Alzai poi lo sguardo verso di lui, che sorrideva con il pollice alzato.—Non cambiarlo per nulla al mondo.—disse.


Freddie ci lasciò la mattina del ventiquattro novembre di quell'anno.
Due settimane dopo ci furono i funerali.
Lessi il mio discorso, dopo quello della sua famiglia e di Jim, e John, Brian e Roger insistettero perché li avessi preceduti.
Come mi fu richiesto, non cambiai neanche una misera sillaba del discorso. 

Una settimana dopo, i parenti più stretti, gli amici e anche ospiti come David Bowie ed Elton John, si recarono al lago di Ginevra per spargere le sue ceneri.
Jer mi aveva supplicato perché io avessi avuto l'onore di compierne l'atto.
Così mi ritrovai alle sponde del lago, tutti gli altri in semicerchio dietro di me.
Io guardai l'ampolla contenente le ceneri.
Nessuno si era ancora ripreso dallo shock, ma pensai a lui, che non faceva altro che ripetermi: “Non piangere per me. Io ti amo ancora”. Tutti gli abbracci degli ultimi momenti che avevamo passato insieme.
Le risate che facevamo a causa delle bravate dei suoi gatti. 
E poi ripensai ai primi momenti. Quando Brian mi presentò alla band e mi innamorai intensamente di Freddie. Di quando andammo a vivere insieme. Delle serate che passavamo quando mi suonava al pianoforte le mie sue composizioni preferite e quelle di Jimi Hendrix, Billie Holiday ed Elvis.
Infine mi venne in mente il suo capolavoro, “Bohemian Rhapsody”, la canzone più complessa e misteriosa della storia del Rock. 

I Don't Wanna die. 
Sometimes I'd wish I never be born at all.

Lui non sarebbe mai voluto morire, e infatti non lo era. 
Lui sarebbe stato con me per sempre.
Sorrisi, e sussurrai:—Anche io ti amo ancora, Freddie.
Lanciai le ceneri e rimasi a guardarle cadere sull'acqua. 
Mi girai verso gli altri. Jer Bulsara e le sue figlie e figliastre strette tra di loro, Jim, con gli occhi gonfi di lacrime, David ed Elton vicini a testa bassa. E poi John, Brian e Roger, con le loro rispettive partner, Veronica, Anita e Debbie poco distanti. Mi avvicinai a loro e li strinsi. 
Roger non era riuscito a non piangere. Erano tutti inseparabili, ma lui era sempre stato quello più legato a Freddie. Abbracciai per primo lui.—Roger, lui è qui con noi, fidati.—lo rassicurai, accarezzandogli la testa, sperando di non ricevere sguardi di gelosia da parte di Debbie. Lui mi guardó, i suoi soliti occhiali neri erano appannati.—Sì, Mary. Lui non ci lascerà mai.

Un anno dopo mi trovai per le strade di Londra, stavo passeggiando tranquillamente, quando vidi un ragazzino sui dieci anni con sua madre uscire da un negozio di dischi. Teneva in mano il vinile di Innuendo.—Cosa dici, credi che piacerà a papà?—chiese il bambino alla mamma.
—Sì, ma sono sicura che lo ascolterai più tu che lui.— il bambino arrossì.
—Sai quanto tengo a Lui.— fece il gesto che era solito fare Freddie, ovvero il braccio alzato e la mano chiuso in un pugno.
Guardai al cielo e sorrisi.
“Questo è un miracolo”.



Angolo dell'autore
Ciao a tutti! 
Prima di tutto devo dire una cosa importante. È la mia prima storia sui Queen (storia? Ma se hai scritto sì o no due righe?) 
Sì, so che ho scritto una cavolata, ma qualche giorno fa mi è venuto in mente come sarebbe stato il discorso di Mary Austin, quindi ho scritto questa piccola One Shot, in occasione del compleanno della nostra amata Regina che compierà gli anni tra pochi giorni. 
Se vi è piaciuta, mi farebbe piacere ricevere qualche recensione. Se non vi è piaciuta lo stesso, anche perché sto scrivendo altre due storie sui Queen, che sono però long e che non so quando le pubblicherò.
Beh, che dire. Spero sia stata di gradimento la storia e ci sentiamo presto con qualcosa di più lungo, alla prossima!

  
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