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Autore: _Girella_    26/08/2014    3 recensioni
[Post Reichenbach- Non tiene conto della terza stagione]
-E’ morto, Sherlock. L’abbiamo trovato stamattina nel suo appartamento.
Si è sparato alla testa.
Ha lasciato un biglietto.
“Non sei più tornato indietro, quindi verrò io da te”-
[Johnlock] [Rating Giallo] [Drammatico]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti:
Il Prompt “He is dead, Sherlock. We found him this morning on his flat. Shot himself in the head. He left a note: You didn't come back, so I'm coming to you. -John” non è ovviamente mio, ma di un post su Tumbrl che credo tutti noi abbiamo letto almeno una volta.



 

One more miracle

 

 

Gli incubi erano peggiorati nell’ultimo periodo.

Non che prima riuscisse a dormire più di due ore consecutive, si capisce.
Ma in quell’ultimo mese e mezzo non riusciva quasi a chiudere occhio senza che immagini di oscurità e morte, a cui avrebbe tra l’altro dovuto essere abituato, gli si presentassero davanti agli occhi costringendolo a correre in bagno in preda ai conati.
Come se la sua mente avesse già previsto, dedotto, quello che stava per accadere.

Erano ormai più di tre anni che non lo vedeva, e Sherlock era stanco.

Per una volta, sentiva il bisogno di lasciarsi andare, di presentarsi davanti al portone del 221B –era sicuro che la signora Hudson non avesse preso altri inquilini al loro posto- e chiedere scusa a tutti.
E in particolare a lui, ovviamente.

Sherlock lo odiava.
Lo odiava dal momento in cui, quel giorno di tanto tempo prima, al cimitero, aveva parlato a cuore aperto alla sua lapide, costringendolo a combattere contro il terribile desiderio di attraversare di corsa il giardino e gettarsi tra le sue braccia, compiendo il miracolo per cui John aveva tanto pregato.
Lo odiava quando il suo volto gli compariva senza preavviso davanti agli occhi, risvegliando in lui immagini che doveva cacciare via a forza.
E lo odiava quando, durante i suoi incubi, si svegliava e si trovava al buio, in una stanza spoglia, senza il suo respiro caldo accanto a rassicurarlo.
Irrimediabilmente solo.

Eppure in quel momento, Sherlock si sentiva felice.
Portò la tazza di te alle labbra e chiuse gli occhi.

Sarebbe tornato da John. Avevano vinto.
L’inferno era finito, finalmente, chissà, forse adesso si sarebbero meritati un po’ di paradiso.
Si lasciò andare a una risata.

La telefonata lo colse mentre si concedeva, per la prima volta in vita sua, di crogiolarsi in una fantasia, nella fantasia di rivederlo.
Aveva avuto paura, si era impedito di pensarci, nell’insano timore che ciò sarebbe bastato per far peggiorare in qualche modo la situazione.

Era quasi diventato pazzo.
E buffo, alla fine aveva avuto ragione.

-Sherlock-.

Era Mycroft. L’ultima persona che in quel momento avrebbe voluto sentire.
Certo, se avesse previsto ciò che sarebbe successo, forse non avrebbe nemmeno risposto al telefono.

No, non era esatto.
Se avesse previsto quello che sarebbe successo, probabilmente non si sarebbe egoisticamente buttato da quel maledetto tetto tre anni prima, lasciandolo solo.

-E’ morto, Sherlock. L’abbiamo trovato stamattina nel suo appartamento.
Si è sparato alla testa.
Ha lasciato un biglietto.
Non sei più tornato indietro, quindi verrò io da te”-

Evidentemente per Mycroft il rumore di ceramica che si frantumava fu una sufficiente risposta, perché riattaccò, chiedendosi perché alla fine toccasse sempre a lui il ruolo del fratello senza sentimenti che dava cattive notizie.
O forse, domandandosi semplicemente perché.

Rimase immobile almeno un paio di minuti a osservare la goccia di sangue che partiva dal punto con cui si era tagliato con la tazzina e gli correva fino al polso prima di realizzare veramente quello che Mycroft gli aveva detto.

Non reagì in modo plateale, Sherlock, non era da lui.
Si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, chiuse gli occhi, ignorò qualsiasi chiamata per le successive ore, non si mosse.
Sembrava quasi non respirasse.

Ma era tradito da quelle lacrime silenziose, che gli correvano lungo le guance e che non aveva bisogno né intenzione di fermare.

 

 

Fu una presenza silenziosa al funerale, ignorò gli sguardi sgomenti di chi lo credeva morto, il dolore dipinto sul volto degli amici di John, l’accusa, forse, negli occhi di Lestrade, della signora Hudson e di Molly, l’apparente freddezza di Mycroft che stava rigido in un angolo, senza che un fremito tradisse la sua facciata di uomo di ghiaccio.
Nessuno gli rivolse la parola, Molly provò a incrociare il suo sguardo ma lui tenne gli occhi bassi, stretto nel suo cappotto che non impediva al gelo di penetrargli nelle ossa.

Ascoltò a malapena le parole del prete e quasi non si accorse che tutti se n’erano andati, e che era rimasto finalmente solo con lui.
Si avvicinò alla lapide, era quasi imbarazzato, non sapeva cosa dire.

Lesse l’epitaffio. “John Watson. Amato figlio, fratello e amico”.

-Banale- commentò ad alta voce, aspettandosi quasi di sentire uno “Sherlock!” soffiato dalla voce indignata di John che gli avrebbe rimproverato di essere maleducato e che lui avrebbe fatto finta, come ogni volta, di ascoltare.

Le guance gli fremettero mentre una risata amara gli scuoteva il petto. – Mi hai fregato questa volta, non sono riuscito a prevedere le tue azioni. Mi immagino la tua faccia. Dopo tre anni pensavi che mi avresti rivisto e invece siamo separati di nuovo.
…Cosa mi hai fatto, John?? Sono la persona più razionale del mondo e invece eccomi qui, a parlare di Aldilà e ad attribuire emozioni ad un morto-.

Si inginocchiò, e passò una mano sulla lapide, scoprendosi a pregare quel Dio in cui non credeva e che troppo aveva loro tolto che finalmente stesse bene, e perché no, magari anche di raggiungerlo.

E pianse, Sherlock, pianse, inginocchiato nello stesso cimitero in cui il suo migliore e unico amico aveva pianto la sua morte, un giorno che sembrava lontano anni luce.

“Perché, John, perché?? Sono tornato, sono qui adesso.
Perché hai rifiutato quel miracolo che tu stesso avevi chiesto??”.


 

Il senso di colpa lo spezzava quasi mentre arrancava giorno dopo giorno in quella vita che gli era diventata estranea.
Poteva sembrare privo di sentimenti, all’esterno, ma dentro di lui si agitava una tempesta di emozioni contrastanti che in alcuni momenti lo lasciava quasi senza fiato.

E piano piano, quasi senza che se ne accorgesse, un desiderio prese a prevalere sugli altri, costantemente lì, costantemente presente.
Voleva rivederlo.

E questa volta ci sarebbe riuscito.


 

Sherlock non aveva paura.
Non aveva avuto paura mentre saliva le scale e non aveva paura adesso, mentre il vento gli arruffava i capelli e faceva svolazzare i lembi del suo cappotto come ali di pipistrello.
Non era niente di nuovo, in fondo.
Lo aveva già fatto.

Ma questa volta sarebbe stato diverso.

Niente cadavere sostitutivo, niente fuga rocambolesca, niente testimoni.
Questa volta, c’era solo il buio e il silenzio di quel vicolo, e il suono attutito del suo corpo che si schiantava per terra, in una pozza di sangue, di nuovo.

E dopo, fu come se niente fosse successo.

Il silenzio tornò padrone della strada, il vento continuò a soffiare, e Sherlock giacque tutta la notte lì, gli occhi rivolti verso il cielo e la mano destra stretta a pugno.
Chissà, forse stava già stringendo quella di John, pronto a lanciarsi con lui in una qualche caotica avventura fatta di brillanti deduzioni e accesi battibecchi.

Scusandosi di essere sempre il solito ritardatario. 

   
 
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