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Autore: Harryette    26/08/2014    5 recensioni
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA, SCUSATEMI]
Talvolta ognuno di noi ha già i respiri contati, le lacrime contate, i sospiri contati. E non importa come, ma succede. Succede sempre quello che deve succedere, quasi per inerzia. Talvolta qualcuno di noi si rende conto pienamente del significato del verbo salvare. Salvarsi da qualcosa, salvarsi dal dolore, salvarsi dai pensieri, salvarsi dagli altri. Salvarsi da se stessi. Talvolta qualcuno si scontra con il destino, e capisce che è completamente diverso da quel che si era immaginato. Scopre che, magari, il destino è una persona. Che magari è un ragazzo. Che magari ha i capelli biondi e gli occhi chiari più bui dell’universo.
[SEQUEL DI ANGELS AMONG US, DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE].
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Niente muore.'
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| Trailer |

''Dove sei tu, quella è casa''

Capitolo 6- Nel tuo dolore.

Harry's pov

Louis era andato via da circa dieci minuti, quando mi resi conto che dovevo fare qualcosa.
Per quattro, lunghissimi, anni ero stato inetto ed inerme: immobile quando mia madre aveva scoperto di essere una malata terminale, immobile quando avevo appurato che sarebbe morta comunque, immobile quando effettivamente se n'era andata, immobile quando avevo avuto l'onore immenso di conoscere Ria, ed immobile quando era morta anche lei.
Non avevo mai fatto niente per cambiare le cose, o almeno per provare a farlo. Mi ero lasciato trasportare dall'inerzia delle situazioni, affidandomi completamente ad un destino che odiavo e pregando un Dio in cui non credevo neanche.
Non avevo mai agito con un piano in mente, non avevo mai avuto la forza- e neanche il coraggio, sinceramente- di provare a vedere le cose da una prospettiva diversa- anche se creata da me. Ero stato sempre in balia degli eventi, e non avevo mai deciso io cosa fare della mia vita.
Quella mattina Louis mi aveva chiesto come stessi, ed io avevo risposto ''bene''. Avevo la vaga impressione che quando la gente ti chiedeva come stavi, non era minimamente preparata ad una disposta negativa.
E io non gliela avrei data, non al mio migliore amico e non sapendo che- anche lui- doveva fare i conti con la morte di Ria. E che la ragazza che amava era stata la migliore amica di qualcuno che adesso, per sfortuna, non c'era più.
Io ci avevo messo due anni per riuscire a pronunciare il nome di mia madre. Due anni dalla sua morte per riuscire a pensarla senza nascondermi e piangere, due anni per accettare il fatto che non l'avrei rivista mai più e due anni per rendermi conto che nulla avrebbe potuto cambiare quella situazione- per quanto facesse schifosamente schifo.
Il nome di Ria riuscivo a pronunciarlo, fortunatamente, ma avevo impedito alla mia mente contorta di pensarla. Avevo isolato ogni suo ricordo ed ogni pensiero che si collegava- direttamente o meno- a lei. Fingevo che non fosse mai esistita. Forse non mi faceva nemmeno sentire meglio, ma mi faceva sentire meno peggio e mi andava bene così.
Pensarla avrebbe significato ammettere che non c'era più, e non ero pronto a farlo. Probabilmente non lo sarei stato mai.
Ma quella mattina, decisi che per una volta avrei deciso io cosa sarebbe successo. Per una volta non mi sarei affidato al fato e avrei agito accettando tutte le conseguenze che sarebbero scaturite dalle mie azioni.
Chiamai Paul e gli chiesi, abbastanza poco gentilmente, di scoprire dove alloggiasse Lydia Louise Martin.

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La porta di mogano marroncina produsse un rumore quasi sordo, a contatto con le nocche della mia mano.
Sperai che fosse in camera e che non fosse in giro per Londra, probabilmente dai suoi genitori o da qualche amica che non vedeva da quando era ritornata in Germania. Un anno prima.
Probabilmente la ramanzina che le avevo fatto la settimana prima, quando era venuta a bussare alla mia porta per chiedermi come stessi interessandosi di una risposta quasi sicuramente negativa, era stata incoerente. Me ne ero reso conto nell'esatto momento in cui era uscita sbattendo la porta, ma il mio orgoglio di merda mi aveva impedito di fare qualcosa. Se anche fosse rimasta, seppur non fosse ritornata a Berlino, io sarei comunque andato in tour e ci saremo comunque visti pochissimo. Avrei potuto sempre portarla con me, ma dubitavo che avrebbe accettato. Era troppo per lei, e probabilmente era troppo per chiunque non ci fosse abituato.
Quando avevo urlato avevo semplicemente pensato che sarebbe ritornata da me, perchè glielo avevo letto negli occhi che non le ero indifferente. Se così fosse stato, non sarebbe ritornata per stare con me.
Paul aveva scoperto facilmente in quale hotel alloggiasse, siccome aveva sicuramente preferito non dar disturbo ai suoi che avevano comunque cambiato casa e preso un appartamento molto più piccolo, e che sarebbe rimasta per una decina di giorni.
Mi chiedevo cosa le avesse detto Federico, quando gli aveva detto che sarebbe ritornata per un pò. Sperai egoisticamente che avessero litigato.
Sperai egoisticamente che decidesse di non andarsene di nuovo.
La porta si aprì proprio quando ero sul punto di perdere ogni speranza e ritornarmene a casa.
Lydia era davanti a me, indossava un pigiama di flanella rosa chiaro e aveva legato i capelli rossi in una coda disordinata. Non era truccata, i suoi occhi verdi rimbalzarono dinanzi ai miei come un fresbee. Era troppo bella.
Il cipiglio che le si formò sulla fronte mi fece capire che non si aspettava quella mia visita. Che, anzi, non si aspettava di rivedermi affatto.
Mi diedi dello stupido da solo, perchè erano le undici e mezza di sera ed era ovvio che stesse per andare a letto. Era ovvio che ci aveva messo un poco a rispondere, ed era ovvio che fosse sopresa- a tratti sconvolta.
''Harry?'' domandò, sgranando gli occhi. ''Che cosa ci fai qui?''
''Mi fai entrare?'' domandai a mia volta, notando solo dopo il tono pretenzioso con la quale avevo parlato. ''Per favore''
Lei si staccò dalla porta e la aprì di più, in modo da farmi passare. L'hotel che aveva scelto era a tre stelle, per cui la sua stanza era ben arredata anche se spoglia. La sua valigia viola era gettata ai piedi del letto, aperta e mezza piena. Non riuscii a capire se era per un'imminenze partenza, oppure se era stata svogliata e non l'aveva svuotata.
''Come hai scoperto dov'ero?'' sembrava confusa. ''Chi ti ha fatto salire?''
''Mi dispiace ma non ho avuto altra scelta che chiedere a Paul di indagare'' ammisi. ''Non volevo essere invadente, ma avevo bisogno di parlarti. E mi è bastato dire chi fossi per salire, sinceramente''
Lei annuì, ben consapevole della mia fama e di tutto quello che dovevo sopportare- ma che aveva grandi vantaggi. Tipo quello.
''Che devi dirmi?'' chiese, ed il suo tono era gelido. Lo era stato dall'inizio, ma quella ne fu la conferma. Non potevo di certo biasimarla, avevo detto delle cose orribili e che, ovviamente, non avevo nemmeno mai pensato.
Mi passai le mani fra i capelli, perchè non sapevo che dirle. Che avevo solo bisogno di vederla di nuovo? Di sentire la sua voce acuta, anche se distante? Che era meravigliosa anche in pigiama e senza trucco?
Lydia, a sua volta, non parlò nè sospirò o altro. Conoscendomi bene, aspettò pazientemente che fossi io a prendere la parola.
''Parti?'' domandai, ansioso. Era stata l'unica cosa che ero stato in grado di chiedere. Lei passò lo sguardo da me alla valigia poggiata per terra, e poi di nuovo su di me come avesse paura di parlare.
Si avvolse nelle sue braccia e fece un piccolissimo passo avanti. ''Domani sera'' diede conferma ai miei pensieri.
Mi pietrificai, probabilmente perchè una parte di me ne era pienamente consapevole ma avevo dato retta all'altra. Mi ero illuso che sarebbe rimasta ancora per qualche giorno, in modo che potessi farle capire i miei sentimenti e farla restare. Ma un giorno era troppo poco. E quando la guardavo rivedevo Ria, nello stesso colore di capelli e nello stesso sguardo vispo e timido, nello stesso modo di parlare e nella stessa tonalità della voce. Rivedevo sua sorella minore il lei, e mi faceva male.
''In questo momento'' sussurrai. ''Sei identica a lei''
Lydia capì subito a chi mi stessi riferendo, non c'era stato bisogno di spiegare meglio. Si erano sempre somigliate, lei e Miriam, ma quando Lydia era senza trucco, con i capelli lunghi legati ed in pigiama le somigliava ancora di più.
Si strinse nelle spalle.
''Davvero?'' domandò, con una strana luce negli occhi così simili ai miei. Sembrava quasi che volesse distruggerla, quella domanda. Non mi parve mai fragile quanto allora.
''Si, davvero'' risposi, avvicinandomi a lei. Non si mosse. ''Posso...'' alzai una mano, sussurrando e confondendomi da solo. ''Posso abbracciarti?''
Lei mi guardò come se non sapesse nè cosa dire e nemmeno cosa fare, immobile nella sua postazione troppo lontana dalla mia. Avvenne tutto in un secondo: Lydia scosse la testa, come esasperata, si avvicinò a me e avvolse le sue braccia attorno ai miei fianchi- poggiando la sua testa sul mio petto. Io, per la prima volta con lei in imbarazzo, portai le mani sulle sue spalle e la strinsi forte a me.
Sembrava di star abbracciando Miriam, non solamente lei.
Mi sembrava di essere tornato ad un anno prima, quando stringerla a me mi sembrava quasi una cosa scontata. Forse, dopotutto, era proprio questo quello che Ria mi aveva insegnato. Che noi essere umani dovremmo seriamente smetterla di dar le persone per scontate, e di iniziare a godercele davvero e sempre. Perchè non si sa mai, sfortunatamente o per inerzia, le si potrebbe perdere. E sarebbe troppo tardi.
Il profumo di Lydia era diverso da quello che aveva la sorella, ma era altrettanto dolce.
Dopo un lunghissimo anno, sentii il bisogno di piangere.
Mentre eravamo ancora abbracciati, avvinghiati più che altro, ''Ho perso tante persone importanti nella mia vita'' sussurrai. ''Non ti voglio perdere, Lydia. Non di nuovo, ti prego''
Non so con che coraggio e che faccia tosta le dissi una cosa del genere, perchè sapevo che l'avevo trattata malissimo e che lei avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per odiarmi e allontanarmi. Ma non fece nessuna delle due cose, e ne ebbi la conferma quando parlò.
''Non mi hai mai persa'' disse, in un sussurro.
Non fui io a sciogliere quell'abbraccio, anche perchè non ne avrei mai avuto la forza, ma lei. Si allontanò dopo pochissimo tempo, a parer mio, e prese a stringersi la coda di capelli fra le dita.
''Non posso restare'' soffiò. ''Mi dispiace tanto Harry, ma non posso restare''
Mi innervosii per un motivo che non mi fu neanche tanto chiaro, tanto che fui tentato di urlarle che doveva smetterla di scappare. Ma tutto quello che dissi fu un leggero ''Perchè?''
''I miei genitori...'' sospirò. ''Tu non sai in che situazioni siamo, per questo non potresti mai capire''
''Prova a spiegarmi''
Prese a camminare convulsamente attraverso la stanza, sciogliendo una volta e per tutte i capelli rossi. ''Dopo la morte di Ria sono cambiati. Non abbiamo mai avuto un buon rapporto neanche quando lei era in vita, siccome avevo deciso di abbandonare Yale e tutto il resto, ma dopo la sua morte la situazione è precipitata. Non tanto con mio padre, quanto con mia madre che è particolamente orgogliosa e rancorosa. Non mi parla quasi più, quando la chiamo sembra irritata'' sembrò quasi che stesse per piangere. ''Vorrei tanto che Ria fosse qui, lei saprebbe cosa dirmi. Forse non avrei dovuto lasciare Yale e magari, adesso, la situazione sarebbe diversa''
''Tu non hai fatto niente di male'' esclamai. ''Non avrebbe avuto senso continuare qualcosa che non ti piaceva. E' del tuo futuro che stiamo parlando, Lydia, non del loro''
Lei sospirò ancora. ''Dico solamente che, in questo momento delle nostre vite, dovremmo essere uniti no? Sostenerci a vicenda. Loro hanno perso una figlia, ma io ho perso una sorella. Ho perso la mia sorellina'' la sua voce era rotta da un pianto imminente. ''Dovrebbero starmi vicini, e io potrei star vicina a loro. Invece sembra si stiano allontanando. Li ho delusi così tanto?''
Mi avvicinai a lei nel momento in cui una lacrima capitombolò per la sua guancia paffuta. ''No'' esclamai. ''Non hai deluso nessuno. Loro...stanno male, hanno solo preso questa perdita duramente. Sono medici, salvano vite ogni giorno ma non hanno potuto salvare la loro figlia minore. Non è facile per loro. Vorrebbero starti vicino, ne sono sicuro, ma...non ce la fanno''
Aveva senso?
In realtà ero il primo a condannarli, il loro comportamento non era nè maturo nè giusto. Lydia aveva ventitre anni ma aveva ancora, e soprattutto, bisogno del loro appoggio e di qualche loro parola di conforto. Anche lei era una loro figlia. Li avrei volentieri presi a pugni, ma non dissi niente di tutto questo. Non ne aveva bisogno e non lo meritava.
''Io...'' passò una mano disperata sul volto. ''Loro non sanno neanche che sono tornata. Non glielo ho detto''
''Come?'' mi sorpresi. ''E perchè?''
''Perchè non ce la farei a sostenere i loro sguardi'' trattenne a stento le lacrime, guardando la punta delle sue pantofole verdi. ''Non ce la farei a dirgli che devo ritornare a casa, a Berlino''
Proprio quando stavo per parlare, per dire qualsiasi cosa, lei mi precedette. Lydia sembrava quasi un vaso pieno d'acqua, che aveva sostenuto in silenzio il suo peso per tanto tempo ma che - alla fine - era esplosa.
''Sai, Harry, quando dici che sono una codarda e che non faccio altro che scappare hai ragione'' un'altra lacrima rigò il suo volto. Avrei voluto prendermi a pugni da solo, per le parole che le avevo detto.
''Io non le pensavo'' mi affrettai a dire. ''Non pensavo niente di quello che...''
''Fammi finire'' alzò una mano, bloccandomi. ''Hai ragione perchè, alla fine, è sempre stato quello che ho fatto. Ma la verità è che non ce la farei a guardarli mentre si domandano che cosa farò del mio futuro, perchè abbia deciso di non laurearmi e di seguire i loro passi, perchè abbia incontrato Federico'' a quel nome tremai. ''E hanno ragione. Anche io mi odio per aver lasciato tutto e per aver scelto Federico, ma non mi pento di essere andata in Germania. E non perchè Berlino mi piaccia, o perchè mi piaccia il tedesco o i tedeschi. Semplicemente perchè sono lontana dai miei genitori, da Londra, e dalla mia vita quì che era troppo piena di Ria'' scosse la testa. ''Sono una codarda'' scrollò le spalle. ''Ma non posso farci niente, perchè non sono masochista. Non ce la faccio a restare quì, Harry. Mi viene solo da piangere''
A quel punto, lo fece. Si coprì il volto con le mani e pianse. Io non mi mossi nè feci qualcosa perchè ero paralizzato. Avrei voluto baciare tutte le sue lacrime e dirle che non era codarda ma che teneva solamente a stare bene.
Provai ad avvicinarmi ma ci rinunciai.
''No'' dissi, calmo. ''Non è vero. Tu vuoi solo tornare a respirare, e non c'è niente di sbagliato in questo. Dopotutto, considerato il rapporto che hai con i tuoi genitori, non avresti neanche un motivo per restare''
Lei mi guardò, con gli occhi umidi e bagnati, e stette in silenzio per qualche minuto. ''Io ti amo, Harry'' disse con naturalezza. ''Ti amo, e questo è un motivo''
Mi immobilizzai, di nuovo. Avevo sentito bene? Me lo aveva davvero detto? Se fossimo stati in un'altra circostanza l'avrei baciata e le avrei detto che, sì, anche io la amavo. Ma non era così, e non eravamo in un'altra situazione.
Eravamo sempre noi.
Se le avessi detto che ricambiavo i suoi sentimenti, cosa che era vera, avevo paura che non sarebbe più partita. Riuscivo a leggere l'indecisione nei suoi occhi, il dubbio che le si era insinuato. Aspettava solamente un motivo per annullare quel volo che l'avrebbe portata ad una vita che non le piaceva, e dalla quale era evasa. Io non sarei stato quel motivo.
Non perchè non volessi che restasse, anzi, ma perchè avrebbe sofferto come avevo sofferto io. E non lo volevo. Avrei fatto di tutto per evitarlo.
''Buon viaggio'' dissi, velocemente e cercando di non far trapelare nessuna emozione.
''Cosa?'' sgranò gli occhi lei, non preparata a quella risposta inopportuna.
''Buon viaggio, Lydia'' mi avvicinai e le lasciai un bacio sulla guancia. Non potevo andarmene senza aver fatto nemmeno quello, perchè non sapevo quando l'avrei rivista. Se sarebbe successo.
Uscii dalla sua stanza in silenzio tombale.
Ti amo anche io.

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Cara's pov

''Ti prego'' lo implorai. ''Non farmi fare brutta figura''
Josh mi guardò con una finta espressione offesa, prima di sbuffare e mettersi la maglietta nera. Ero piombata nella sua camera come una furia, alle due e mezza del pomeriggio, dicendogli che alle tre sarebbe venuto- niente poco di meno che- Niall Horan. Aveva reagito piuttosto male, considerato che non aveva detto una parola.
E, solitamente, Josh parlava anche quando doveva stare zitto.
''Mi parli, perlomeno?'' sbottai, con le mani sui fianchi, dal momento che non accennava a prender parola. ''Il gatto ti ha mangiato la lingua?''
''Non abbiamo nessun gatto'' rispose prontamente, facendo una sottospecie di risata. Solo lui poteva ridere alle sue battute deficienti.
''Josh'' sospirai. ''Te lo chiedo per piacere. Nessun girare per la casa in mutande'' elencai con le dita. ''Nessun grattarti il culo pubblicamente, nessun insulto velato, nessuna battutina deficiente, e non parlare assolutamente di me come se non ci fossi e come, solitamente, fai''
Lui si grattò il capo, con fare confuso. Nonostante si ostinasse a comportarsi da stupido, sapevo benissimo che capiva fin troppo bene quello che dicevo e tutte le parole che nascondevo dietro altre. Mi conosceva fin troppo bene, condividendo l'appartamento con me da quattro anni.
''Sono davvero un sacco di cose'' esclamò, fintamente sconvolto.
''Per favore'' unii le mani a mò di preghiera. ''Ti prego, farò tutto quello che vuoi''
''Tutto tutto?'' sguazzò.
''Non tutto tutto'' assottigliai lo sguardo. Conoscevo bene anche io lui. ''Diciamo che dipende''
''Da cosa?'' sogghignò.
''Smettila'' ringhiai. ''Non deve essere poi tanto difficile per un ventitreenne comportarsi civilmente, no?''
''Forse'' scrollò le spalle. ''Comunque va bene, proverò a comportarmi civilmente'' imitò la mia voce sottile.
''Grazie'' gli saltai praticamente al collo, abbracciandolo un secondo prima che lui si discostaste. ''Niente smancerie, Archibald'' mi prese in giro, sistemando un paio di t-shirt sul letto.
Io sbuffai e mi sedei sul materasso della sua camera, prendendo a giocare con una ciocca di capelli neri e aspettanndo impaziente l'arrivo delle tre. Speravo vivamente che Niall fosse un tipo puntuale.
''Dimmi un pò'' iniziò Josh, dando vita a tutta la sua solita curiosità irritante. ''Come mai il biondino viene a casa nostra oggi?''
Glielo avevo letto nelle iridi dall'inizio, che voleva sapere il motivo di quella visita insolita. Dopotutto, gli avevo parlato abbastanza male di Niall all'inizio e non avevo avuto modo di rimangiarmi le parole.
Scrollai le spalle. ''Suppongo per fare due chiacchiere'' evasi.
''Due chiacchiere?'' scosse il capo e i suoi capelli bruni e gelatinati ondeggiarono. ''E da quando fai due chiacchiere con una popstar miliardaria?''
''Da oggi'' sbuffai. ''Non c'è niente di male. E' così strano?''
''Sei Catherine Archibald'' sistemò una maglia nell'armadio. ''Tu non dai confidenza, nè tantomeno inviti qualcuno a fare due chiacchiere. Neanche se è Niall Horan''
''Bhè'' cercai di appigliarmi a qualcosa. Aveva ragione, dopotutto, non invitavo mai nessuno a casa nostra. ''Diciamo che mi sono sentita in dovere di fare un'eccezione''
''Perchè è famoso?'' mi punzecchiò.
''Non penso solamente a diventare un avvocato di fama mondiale, lo sai?'' mi irritai. ''Non lo sto usando, se è questo quello che pensi. Ho sempre fatto tutto senza alcuna spinta''
''Lo so'' e mi parve proprio sincero. ''Solo che mi sembra strano, davvero''
Non ebbi tempo di ribattere, perchè il citofono squillò. La mattina stessa, mentre ero in pausa pranzo, avevo mandato a Niall un messaggio con l'indirizzo di casa sperando indovinasse la strada. Considerato che erano le tre meno dieci, e che era in anticipo, supposi non ci avesse messo molto.
''Mi raccomando'' dissi a Josh, prima di alzarmi e sistemarmi la camicia. ''Ricorda che hai promesso''
''Io non ho promesso niente'' mi lasciò un pizzico sulla guancia, spingendomi verso la scala che conduceva al piano inferiore. ''Salutamelo'' ironizzò, e ''certo'' scossi la testa.
Scesi le scale di corsa, come non avevo mai fatto, e presi il citofono. Non potevo nascondere un pochino di ansia, non perchè fosse un ragazzo ma perchè era Niall Horan. E Josh non mi aveva aiutata affatto, come al solito.
Gli aprii il cancello principale, quando al mio ''chi è?'' rispose con un secco e semplicissimo ''io''. Iniziai a domandarmi come avrei dovuto reagire, a cosa avrei dovuto dire, come avrei dovuto comportarmi. Non ero la tipa da complessi e dubbi, ma Niall faceva andare in crisi la Catherine Archibald che avevo sempre creduto di essere. E che perfino Josh credeva che fossi.
Quando bussò leggermente alla porta, sospirai e presi un grande respiro, scrollando le spalle. Era solo un ragazzo, come tanti altri che avevo frequentato e che avrei frequentato ancora.
Aprii la porta di legno laccato di bianco, e mi trovai davanti i suoi occhi incredibilmente azzurri.
Probabilmente, in un'altra situazione, avrei potuto vederli magnifici e trasparenti. Ma non in quella. Gli occhi di Niall erano sempre e continuamente, da quando l'avevo conosciuto, velati di qualcosa che non riuscivo ad indentificare. Come una cappa di tristezza mista a malinconia, che a volte finiva anche per terrorizzarmi e mettermi in soggezione.
Avrei tanto voluto aiutarlo, e mentre lo guardai- quel pomeriggio- mi convinsi che forse avrei potuto farlo.
Aiutare le persone era sempre stato il mio lavoro, ma mi sarebbe piaciuto aiutare qualcuno senza alcun fine. Mi avrebbe gratificata ancora di più. Niall indossava una semplice canotta bianca, che accentuava i leggeri muscoli sulle braccia, e un pantalone color ghiaccio. Un paio di Rayban e un beanie coprivano il suo volto, altrimenti troppo esposto alla gente.
''Non mi fai entrare?'' iroinizzò, e solo allora realizzai quanto mi fossi effettivamente incantata.
Scossi la testa, sorridendo nervosa, e aprendo di più la porta. ''Prego'' gli dissi, sempre sorridendo.
Lui entrò, con una calma che invidiai e una padronanza del posto che non sapevo neanche da dove venisse. Io chiusi la porta e lo raggiunsi, con le mani nascoste nelle tasche posteriori dei miei jeans scuri.
Come potevo sentirmi fuori posto a casa mia?
''Allora'' inizia, raggiungendolo. ''Come stai?''
Lui si voltò, dal momento che fino ad un secondo prima mi stava dando le spalle, e prese ad osservarmi a lungo e troppo. ''Tu?'' chiese, dopo aver scrollato le spalle.
''Bene'' risposi, prontamente. ''Siediti pure'' indicai il divano in pelle, e lui si accomodò tranquillamente. ''Vuoi qualcosa?'' ero in ansia, ed era palese. Presi a torturarmi i capelli come non avevo mai fatto in vita mia, e li maledissi uno per uno. Inoltre, ero ad una distanza si sicurezza da lui ed era chiaro anche quello.
''Si'' rispose alla mia domanda di cortesia. ''Voglio che ti siedi e smetti di strapparti i capelli'' fece qualcosa di molto simile ad un sorriso. L'aveva capito, chiaramente. Io obbedii, avvicinandomi molto lentamente e sedendomi molto distante da lui- dall'altra parte del divano enorme. Era come se avessi avuto paura di disturbarlo con la mia vicinanza, o di metterlo in imbarazzo, dopo quello che era successo e che mi aveva detto il giorno prima.
''Non ti bacio di nuovo'' diede voce ai miei pensieri. ''Tranquilla, puoi avvicinarti''
Io sorrisi a quella che doveva essere una battuta, ma che mi aizzò ancora di più. Possibile che fosse così pacato e calmo?
''Il motivo principale per cui sono venuto'' iniziò, spezzando il silenzio che si era venuto a creare. ''E' per chiederti scusa''
Io mi riscossi.
''Scusa?''
Lui annuì. ''Si'' confermò. ''Scusa per come mi sono comportato ieri. Sono stato un vero stronzo e mi dispiace davvero. Non avrei dovuto'' sospirò, come se gli costasse fatica dirlo. ''Non avrei dovuto baciarti, nè dirti tutte quelle cose. Non mi sorprenderei se, adesso, anche tu iniziassi a vedermi come il povero cantante che ha perso la ragazza che ama''
E quelle parole mi tagliarono come lame. Improvvisamente mi resi conto del perchè Niall avesse detto quelle cose a me, il giorno prima, e non a nessuno dei suoi migliori amici. Evidentemente li avrebbe solamente fatti preoccupare, loro non avrebbero capito e avrebbe continuato a compiatirlo. Era chiaro che non volesse la compassione di nessuno. Parlare con una mezza sconosciuta era stata quasi una liberazione per lui, convinto che si sarebbe liberato almeno un pò.
Sperai che fosse stato così, ma avevo i miei saldi dubbi.
''Non ti vedo affatto come il povero cantante che ha perso la ragazza che ama'' ripetei le sue parole. ''Non è un reato stare male per la morte di qualcuno, Niall. Non sei onnipotente, sei umano''
Lui mi guardò di nuovo, dopo aver spostato il suo sguardo per tutta la casa. ''Si'' annuì. ''Ma la gente, perfino i miei amici, sono convinti che basti un anno per tornare come prima. Si sorprendono che io stia ancora...così'' sospirò. ''Forse hanno ragione. Forse davvero un anno basta, ma io non ce la faccio capisci?''
Annuii, incapace di dire qualsiasi altra cosa. ''Si, capisco'' sussurrai, avvicinandomi di più. ''Ma un anno non basta, e non ne basterebbero nemmeno cento. C'è un solo modo per andare avanti''
''E sarebbe?''
''Accettare la sua assenza'' risposi, cautamente. ''Accettare che non c'è più e che, in un modo o nell'altro, bisogna andare avanti. Obbligatoriamente. Se non vuoi farlo per te, fallo per le persone che ti vogliono bene''
Sogghignò, ma era un sogghigno triste e tirato e mi pianse il cuore.
''La fai facile'' disse, amareggiato. ''Non riuscirò mai a rassegnarmi al fatto che non ci sia più''
''Non devi rassegnarti'' lo corressi. ''La rassegnazione non porta mai a nulla di buono o genuino. Devi solo capirlo ed accettarlo'' cercai di spiegarmi meglio, per quanto potessi. ''Io non ho mai avuto a che fare con una perdita così grande, però ho conosciuto persone che ci sono passate. Anche se erano clienti, riuscivo a vedere nei loro occhi la stessa cosa che vedo adesso nei tuoi. Dolore. Ma nel tuo dolore, Niall, io riesco a vedere anche qualcosa di buono e giusto'' sospirai.
''Tipo cosa?'' chiese, quasi tentennando.
''Tipo speranza. Io lo so che speri ancora'' dissi. ''La speranza è radicata in tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Per quanto possa essere difficile e controversa la vita, non la si perde mai del tutto. Nonostante tutte le batoste che, in un modo o nell'altro, devi prendere la speranza c'è sempre. Sempre. Io riesco a vederla nei tuoi occhi, sotto al tuo dolore. Tu non la vedi?''
Notai quanto fosse rimasto immobile, ed in silenzio, come se sentire quelle parole lo facesse sentire più pesante. ''No'' ammise. ''Non la vedo''
''Io si'' risposi prontamente e con sicurezza. ''Niente è impossibile, credimi. Se vuoi fare qualcosa, puoi farla. L'unica cosa che devi accettare è che lei sia morta''
Quella parola- morta- lo riscosse. Si alzò di colpo dal divano, con una specie di rabbia mista a pianto negli occhi, e prese a passeggiare convulsamente nel salone. Avevo capito che quello era il suo modo personale per scaricare la tensione.
''Tu non capisci'' urlò, in preda alla disperazione. ''Io la amo anche di più di quando era viva, e non mi basterà mai accettare che sia morta! Per me sarà impossibile, Cara''
''No'' urlai a mia volta, manco stessi facendo un'arringa. ''Non è impossibile! Lo è solo se te ne convinci, ed è esattamente quello che stai facendo. Così non andrai mai da nessuna parte!''
Lui rimase interdetto, dopo le mie urla- che Josh aveva sicuramente sentito come mezza Londra. Ma mi sentivo in dovere di sgridarlo, se era l'unico modo per scuoterlo un pò.
''Ma che ne vuoi sapere tu?'' urlò a sua volta, di nuovo. ''Che ne sai di cosa significa stare male? Guardati, hai tutto quello che qualcuno potrebbe volere!''
Quell'affermazione mi irritò non poco. Chi si credeva di essere per giudicare la mia vita, senza conoscerne proprio niente? Come osava, dopo che avevo anche cercato di aiutarlo?
''Sei tu che non sai niente di me!'' sbraitai. ''Non ti permetto di venire in casa mia e di giudicarmi! Non sai quello che ho passato nella mia vita, per cui taci!''
Lui rise falsamente. ''E, sentiamo, con questo cosa vorresti dire? Non puoi dirmi di accettare la morte della persona che amo di più al mondo come fosse acqua fresca. Lo capisci?''
''Allora scusami se ho cercato di aiutarti'' moderai il mio tono. ''Ma credi che tutto ti sia dovuto, solamente perchè sei Niall Horan? Scendi con i piedi per terra''
''Io non credo che mi sia dovuto proprio niente'' riprese ad urlare. ''Solo che mi urta il tuo modo di fare, tutto qui! Mi urta il fatto che stai parlando di una morte come se fosse qualcosa da mangiare! La vita non è uno studio legale, Cara, ed io non sono un tuo cliente. Non ti sto chiedendo aiuto per un testamento, nè tantomeno per un divorzio!''
''Bene!'' urlai di nuovo anche io. ''Allora, dal momento che la vita non è uno studio legale e che tu non sei un mio cliente, puoi anche andartene!''
Non ero mai stata un tipo tollerante e paziente, nè tantomeno con persone che si credevano il centro del mondo e che pensavano che fossero le uniche sulla faccia della terra a soffrire. La prima impressione che avevo avuto di lui era proprio giusta: Niall Horan era solo un pallone gonfiato.
Lui rimase interdetto per qualche minuto, come se non si aspettasse che dicessi proprio quelle parole, e si fermò di colpo dalla sua frenetica camminata.
Mi guardò con così tanta rabbia che ebbi quasi paura, sembrava volermi incenerire con lo sguardo.
''Perfetto'' disse, a bassa voce. Prese il cellulare che aveva abbandonato sul tavolino giapponese al centro del salotto e ritornò a fissarmi. ''E, comunque, sei tu che dovresti scendere con i piedi per terra''
Ma proprio nel momento in cui Niall si stava dirigendo verso la porta, qualcuno suonò al campanello. Mi chiesi perchè non avesse prima suonato al citofono, ma evidentemente il caro Niall Horan aveva lasciato il portone aperto. Lo guardai truce, prima di correre quasi verso la porta bianca, come fosse una via di fuga da lui e dal suo sguardo indagatore e scavatore.
Ma quando l'aprii, preferii non averlo mai fatto.
I suoi capelli erano proprio come li ricordavo: ricci e leggermente crespi, molto più lunghi dell'ultima volta. Gli occhi di quel nero cinereo che somigliavano tanto a quelli di Penelope, e lo stesso- identico- taglio di occhi. A mandorla, sfilati, aggraziati all'ennesima potenza. Erano stati la cosa che più avevo amato di lui.
Indossava una semplice camicia bianchissima e un classico pantalone di cachemire, ai suoi piedi le scarpe di pelle italiane che gli avevo regalato cinque anni prima. Era poco prima che lui partisse, e che ci perdessimo di vista- credevo- per sempre.
Rimasi immobile, capace solo di sussurrare un ''Ronan'' prima che lui prendesse a fissarmi insistentemente.
Avevo sempre amato il suo sguardo vispo, ma in quel momento desiderai solo sbattergli la porta in faccia. Ronan Hyde era la persona più egoista e spocchiosa sulla faccia del globo, e l'avevo capito troppo tardi. Ero stata troppo accecata dall'amore che provavo per lui per guardare in faccia la realtà e ammetterlo a me stessa. Era sempre stato il mio punto debole, e avevo la vaga impressione che lo fosse ancora.
''Che ci fai qui?'' domandai.
Per di più sentivo lo sguardo di Niall, che si era avvicinato, traforarmi la schiena. La mia voce era tesa ed infastidita, me ne accorsi perfino io ed evidentemente anche lui, perchè si avvicinò ancora di più. Tuttavia, era ancora troppo distante perchè Ronan potesse vederlo, nascosto dalla porta spessa.
''Catherine'' sorrise, maligno. Lo detestai ancora di più. ''Ciao anche a te''
''Che vuoi?'' insistei. ''E' da cinque anni che non ti fai vedere''
''Dov'è Penny?'' rispose con un'altra domanda. Odiavo quando faceva così, quando si comportava come un bambino capriccioso. E odiavo ancora di più quando pronunciava il nome di mia figlia.
Io feci per chiudergli la porta in faccia, intenzionata a non dirgli nulla che la riguardasse, ma lui previde le mie mosse. Come sempre. Infilò un piede sotto la porta e la bloccò, con la solita forza che gli davano tre ore di palestra a settimana.
''Cosa c'è, Catherine? Stare lontana da Brighton e dai tuoi genitori ti ha fatto perdere il senso dell'educazione?'' ironizzò. Io lasciai perdere l'idea di cacciarlo, perchè ormai sarebbe stato impossibile. Lo conoscevo troppo bene.
''Smettila'' ringhiai, improvvisamente. ''Non ti voglio quì, Ronan, e non ti voglio vicino Penelope. E' chiaro? Vattene''
Lui sogghignò e io gelai, cercando di mantenere la calma. ''Penelope è anche mia figlia, porta il mio cognome, non sei nessuno per tenermi lontano da lei. Sei un avvocato, dovresti saperlo''
Per quanto avesse ragione, non gli avrei mai permesso di entrare nella vita di mia figlia e di rovinare anche la sua. Perchè Ronan era così, non sarebbe stato un buon padre nè un buon compagno nè un buon amico nè tantomeno una buona persona. Mai.
''Te ne sei andato'' sputai. ''Quando ti ho detto che ero incinta, te ne sei andato con i tuoi miliardi dimenticandoti di tua figlia. Che credibilità credi di avere adesso, dopo cinque anni? Hai tre minuti per andartene''
Lui mi si avvicinò e mi accarezzò la guancia, con fare tutt'altro che affettuoso e protettivo. Era una serpe.
''Sono tornato adesso'' sorrise. ''E non me ne vado, Catherine''
Io non ebbi la forza di dire nient'altro. Per i primi due anni, in cui ero stata costretta a crescere Penny senza un padre, ero stata malissimo. Le immagini tristi e i ricordi di quel periodo buio della mia vita mi ritornarono in mente, congelandomi al mio posto con la porta ancora mezza aperta fra le mani. Ronan aveva tentato di distruggere tutto ciò che di buono c'era in me, facendomi credere che fosse qualcuno di diverso da quello che realmente era e illudendomi come una stupida. E io c'ero cascata.
Se ne era andato da un giorno all'altro, lasciandomi incinta di quattro mesi e convinta che saremmo stati insieme, mentre attraversavo una crisi con i miei genitori che non sarebbe finita mai.
Avevo solo venti anni, e lui - che ne aveva venticinque- avrebbe dovuto starmi vicino.
Niente era andato come avevo previsto, e se non fosse stato per l'aiuto della mia migliore amica non avrei saputo che fare.
''Non hai sentito la signorina?'' interruppe i miei pensieri una voce. ''Puoi anche andartene''
Non sapevo se essere più sorpresa perchè Niall Horan aveva appena preso le mie difese, oppure per la faccia tramortita di Ronan quando lo vide. ''Ma tu sei...?'' fece per chiedere.
''Sì'' si avvicinò ancora di più il biondo. ''Niall Horan in carne ed ossa''
Ronan era un manager, aveva un'importantissima casa discografica ereditata dalla morte prematura del padre. Non ignorava il nome di un singolo cantante, e lì a Londra gli One Direction erano una specie di divinità religiosa. Sgranò gli occhi scuri ed indietreggiò, mentre io rimanevo in silenzio.
''O mio Dio'' balbettò. Poi tornò a fissarmi ed indurì lo sguardo, di nuovo. ''Ci vediamo'' sputò. ''Ma non finisce quì. Mi conosci''
Io rabbrividii a quelle parole perchè, purtroppo, lo conoscevo fin troppo bene.
Lui, poi, si voltò verso Niall e gli tese una mano. ''E' stato un piacere conoscerti'' assunse la sua aria da grande datore di lavoro, e io potevo immaginare perchè: potevo immaginare quanto lui, un uomo assetato di potere, potesse godere nell'avere una delle band più famose del momento nella sua agenzia.
Niall non afferrò la sua mano, anzi, indietreggiò. ''Arrivederci'' disse, con il tono atono e monocorde che spesso aveva utilizzato con me. Ronan parve irritato, mentre si chiuse la porta alle spalle lanciandomi uno sguardo carico d'odio.
Era incredibile quanto, ancora una volta, avesse improvvisamente messo sua figlia in secondo piano per la sua carriera.
Io mi voltai verso il biondo, ora che finalmente eravamo soli, e vidi che mi aveva dato le spalle.
Sospirai e lo sorpassai, recandomi in cucina. ''Se devi andare sai dov'è la porta'' sputai, perchè non avevo per niente voglia di mettermi a discutere anche con lui.
Ma proprio quando Niall stava per seguire il mio consiglio, ancora una volta, qualcun ci interruppe. Un tornado che scendeva come un pazzò dalle scale, che sapevo essere Josh Cooper. Era stato in silenzio troppo a lungo.
Aveva uno scatolo di biscotti al cioccolato in mano, che probabilmente teneva in camera sua per i suoi ''spuntini notturni'', e lo allungò a Niall quando piombò nel salone con un tonfo e vide il suo sguardo confuso.
''Biscotti?'' domandò sorridendo, inevitabilmente senza maglia.
Fanculo.



Ciao ragazze c:
Per la prima volta in vita mia non sono in ritardo, e mi sento particolarmente soddisfatta ahahhaha
Questo capitolo l'ho praticamente scritto di getto, esattamente l'attimo dopo aver pubblicato quello precedente.
Visto? L'ispirazione ogni tanto si ricorda che esisto ahahaha
E niente, spero vi piaccia, con tutto il cuore perchè sono INDECISA al massimo sulle sorti di questa storia.
Ho una marea di domande che mi ronzano in testa, e TROPPE idee, che vorrei solo scappare da me stessa lol
Comunque, ritornando a noi, non credo ci sia molto da dire su questo capitolo: la prima parte è incentrata su Harry
(che chi ha letto angels among us conosce meglio come personaggio)
che decide di lasciar andare Lydia, MA ATTENZIONE. Non lo fa perchè non la ama, o perchè vuole andare
avanti anche lui, anzi. Lo fa per lei, e spero di averlo fatto capire: non vuole farla stare male chiedendole di restare,
perchè sa che questa volta resterebbe ma starebbe male comunque. Ha un rapporto di merda, attualmente, con i genitori lol
Comunque farò meglio luce su questa parte più avanti, promesso!
Riguardo Cara e Niall....diciamo che - finalmente- si incontrano in modo ufficiale (anche se non è un appuntamento, si intende)
e litigano. Niall è sfrontato, soprattutto dopo la morte di Ria, e apatico mentre Cara è una donna tosta e che
non ammette di essere trattata male o con sufficienza. Diciamo che hanno due caratteri incopatibili, e questo si è capito ahaha
Non potrebbero mai non litigare, perchè sono gli opposti proprio.
Però....chi lo sa ahahhaahha
Adesso smetto di blaterare e vado a mangiare, siccome ho una fame di pazzi. Spero vivamente, ancora, che
il capitolo sia di vostro gradimento. Ringrazio le ragazze che hanno aggiunto la storia nelle
preferite\seguite\ricordate e per chi mi scrive un pò dappertutto.
GRAZIE INFINITE.
Mi farebbe piacere avere un vostro parere, magari in una piccola recensione di 11 parole. Un bacio xx
Harryette






  
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