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Autore: Eynieth    26/08/2014    1 recensioni
Matilde ha una sola paura. E tanti sogni, ma sono collegati l'uno all'altro.
Sogni. Paura.
Paura. Sogni.
E i suo sogni la conducono per nove mesi in Francia, dalla famiglia Ulliel. Per realizzare i suoi sogni stravolgerà la sua vita, ma non stravolgerà solo la sua...
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Matilde si sveglia presto, troppo presto. Adesso, non so se sono io che ho il sonno troppo leggero, oppure è lei che che soffre di insonnia. Forse è più probabile la seconda, ho sempre dormito senza problemi, anche quando Liz era piccola e sbraitava come se la stessero uccidendo, il che non è un eufemismo. Da piccolo mi chiedevo come una piccola creatura, potesse fare così tanto rumore. Ma comunque, ogni notte riuscivo ad addormentarmi. Il rumore non mi ha mai causato troppo fastidio, anche perchè ci ho fatto l'abitudine. Le città sono chiassose, i film sono chiassosi, con voci che si sovrappongono l'una all'altra, le interviste, i fan, i paparazzi. Tutto nel mondo è chiassoso, quindi, o ci convivi o ci convivi. E io ho imparato a convincerci. Ma con Matilde è diverso. Mi rigiro nel letto un paio di volte, ma non ci riesco. Mi viene voglia di andare nello studio, prenderla a forza e riportarla nel letto. Insomma, non è mica un robot! Avrà bisogno anche lei di dormire e riposarsi. Così mi alzo silenziosamente e mi avvicino alla porta socchiusa, da cui esce appena una lama di luce, e sbircio dentro lo studio. Matilde è intenta a sistemare tutto. Stoffe, vestiti, scarpe, stira e sistema e piega. Mi chiedo come faccia. Io sono un disordinato cronico, l'ordine nella mia camera dura al massimo due ore, poi torna tutto come prima. Ricordo che quando ero piccolo e veniva la Maddalena, la donna delle pulizie, mi sgridava dolcemente ogni volta, diceva che la camera che la occupava maggiormente era la mia. E anche mia mamma mi sgridava ogni giorno, ma non le ho mai dato troppo ascolto. Certo, le persone mi considerano timido, forse, ma non lo sono. O meglio, forse lo sono a primo impatto, ma andate a dirlo a mia mamma, mio papà o mia sorella, che sono timido, vediamo cosa vi rispondono. Per me riderebbero in faccia ai giornalisti. Sono fin troppo chiacchierone con chi mi conosce, come dice mia mamma, sono logorroico.

Guardo ancora un attimo dentro allo studio, ma poi capisco che non ho nessuna possibilità di far uscire Matilde dal suo mondo, anche se si vede che è stanca, le brillano gli occhi ogni volta che appende un abito a una gruccia. Ci rivedo molto mia madre, o almeno, il ricordo che ho di lei. Ogni volta che si rinchiudeva nel suo studio e io la andavo a trovare, la trovavo con gli occhi che luccicavano dalla felicità. È stato allora che ho deciso che anche io volevo fare qualcosa che mi rendesse felice come lo era lei. Perchè il lavoro si fa per guadagnare e riuscire a vivere bene, ma un lavoro che si fa di malavoglia, non ti fa vivere, bisogna trovare la propria ragione di vita, che si nasconda nella famiglia, nella persona che si ama o nel lavoro, non fa differenza. Chi è fortunato, riesce a trovarle in tutte e tre, chi non ci riesce, come me, si accontenta solo di una. E io mi sono accontentato. Di certo non posso vedere cosa c'è nei miei occhi quando recito, ma sono sicuro che brillino. Almeno un po'.

Quindi, opto per lasciarla fare, la guardo per l'ultima volta e chiudo la porta. Mi dispiace per Matilde, ma io ho bisogno di dormire. Mi rimetto nel letto e mi addormento poco dopo.

 

Mi sveglio con il rumore assordante di qualcuno che bussa alla porta insistentemente. Mi alzo svogliatamente. E vado ad aprire. È mia mamma. -Vieni giù. Subito.- dice rossa fino alla radice dei capelli, si gira e se ne va. Sento solo il ticchettio dei tacchi sulle scale. Non mi preoccupa più di tanto. Insomma, ormai ho quasi trent'anni, non è che seguo ancora mia mamma come se ne avessi dieci. Qualsiasi cosa ho combinato, se ho combinato qualcosa, me ne prenderò le responsabilità. L'ho sempre fatto, non penso di cambiare così drasticamente in così poco tempo. Prendo dei pantaloni di una tuta e una maglietta a caso, niente ciabatte, amo camminare scalzo sul pavimento. Mi passo una mano tra i capelli e scendo svogliatamente in soggiorno.

Matilde è seduta rigidamente su uno dei divanetti, ha un tubino con le maniche lunghe e verde menta, molto semplice, senza fronzoli, e i capelli sciolti. E davanti a lei, sul tavolino, sono sistemati in ordine quasi maniacale, cinque o sei riviste a ventaglio. Entro in soggiorno salutando con un cenno e mi butto su una poltrona. Mia mamma mi guarda malcelatamente male, squadrandomi da capo a coda, prima di tutto per l'abbigliamento, e poi indica le riviste. Io mi sporgo appena per prenderne una. È il “Closer” una classica rivista scandalistica. In prima pagina ci siamo io e Matilde sulla mia moto, lei che si tiene stretta a me. Non guardo neanche il titolo, insignificante, vado solo alla pagina indicata. E lì trovo solo altre foto di noi, anche se un “noi” vero e proprio non esiste. In una c'è Matilde che mi prende per mano e mi trascina a vedere Notre-Dame, una dove mi toglie la sigaretta dalle mani e infine una dove le do la mia giacca e saliamo di nuovo sulla moto. Guardo mia mamma senza capire. -Scommetto che sulle altre ci sono le stesse foto, più o meno.-

-Sì.-

-E quindi? Ho portato Matilde a fare un giro a Parigi. Da quanto tempo è qui? Tre mesi? Quattro? E nessuno le ha mai fatto fare un giro a Parigi! Eddai! Io non ci vedo niente di male.-

-Tutte le riviste della Francia parlano della nuova fidanzata di Ulliel! Ma ti rendi conto? Avevano appena smesso di parlare della tua rottura!-

Vedo che Matilde tenta di dire qualcosa, ma non riesce. -E poi, cosa credi? Che adesso la permanenza di Matilde sarà bella? Non potrà più neanche affacciarsi alla finestra che le scatteranno trenta foto! Indagheranno sul suo passato e scopriranno tutto di lei! Questo ti fa piacere?-

Mi mordo il labbro. Non ci avevo pensato. -Non ci avevi pensato, vero? Certo! Tu non pensi mai a niente! Fai solo quello che vuoi e dopo ti domandi se era giusto! E non mi ascolti mai! Cosa ti avevo detto io? E non parlo solo di questo! Se solo mi avessi ascoltato.. sai quanti scandali in meno ci sarebbero stati?-

-Smettila! Il passato è passato, mi sembra di non averti mai chiesto niente e non sono mai venuto a piangere da te! Quindi basta, non voglio sentire altro. Per quello che potrebbe succedere a Matilde, mi dispiace, è vero, non ci avevo pensato, volevo solo farle fare un giro a Parigi, non mi sembrava nulla di grave. Faremo un'intervista stampa e dirò che è solo un'amica.-

-Assolutamente no! Tu non dirai proprio niente. Silenzio. Non una parola in più dovrà uscire dalla tua bocca. E oggi abbiamo un'intervista a proposito, ma per favore, ascoltami, per una volta.- detto ciò, mia mamma prende e se ne va.

Ha detto delle cose vere. Ragiono poco su quello che faccio, se l'avessi ascoltata, avrei evitato molte grane, ma questo è logico, quanti ascoltano le proprie madri? Non tanti. E quando non lo fanno, quanti finiscono nei casini? Molti. Quindi questo è completamente normale. O almeno, mi giustifico pensando che lo sia. Mi giro verso Matilde mordendomi un labbro. -Mi dispiace averti trascinato in questo casino.- ma lei mi sorprende. Mi sorride. -Non ti preoccupare, non ho nessuno scheletro nell'armadio, non penso che troverebbero molto. E poi sono felice di essere andata a Parigi. Scusa, ma adesso vado, devo finire delle cose.- dice alzandosi. Sto per dirle qualcosa, tipo che anche a me ha fatto davvero piacere portarla in giro, ma sento che mia madre mi urla di vestirmi. Sospiro e seguo Matilde in camera, ma ormai il momento è finito, l'attimo è volato, e dirle qualcosa adesso sarebbe fuori luogo. Prendo dei vestiti a caso e vado in bagno a cambiarmi.

Quando scendo, mia mamma mi aspetta in macchina. A quanto pare, non le è ancora passata, anche se non capisco perchè. Insomma, la vita è mia, ho fatto uno sbaglio, mi dispiace di aver coinvolto Matilde, ma basta. Dovrebbe finire qui. Basta musi. Passerà. La ascolterò, farò il silenzio stampa sulla questione e finita lì. Prima o poi i paparazzi si stancheranno di cercare e non trovare nulla. Almeno, io mi stancherei.

Il viaggio in macchina è noioso e lento, non c'è neanche Matilde che parla in italiano. L'Italia... non mi dispiacerebbe visitarla. Certo, ci sono ancora stato, per motivi di lavoro, ma non ho mai avuto tempo di visitarla veramente. E penso che sia stato un grandissimo peccato. Insomma, è un po' la culla della cultura, la culla dell'arte e della storia. Da francese convinto, mi dispiace ammetterlo ma... beh, ci sono tante belle cose. Molte belle cose. Non faccio in tempo a pensare ad altro perchè la macchina si ferma. Prima scende mia mamma e poi io. E appena esco dalla sicurezza dei finestrini oscurati della macchina, vengo accecato di flash e assordato da mille domande. Mi porto una mano davanti agli occhi e abbasso gli occhiali da sole. Dannati paparazzi. Mi avvicino a mia mamma e assieme riusciamo a entrare nella sala. Appena siamo al sicuro da occhi e orecchie indiscrete, mi lancia una delle sue occhiatacce. Abbiamo sentito tutti e due molte delle domande che mi venivano rivolte. “È vero che ha una nuova storia?” “Chi è la misteriosa ragazza di Notre-Dame?” e così via dicendo.

L'intervista comincia normalmente, solite domande di routine. Qualche progetto per il futuro, qualche nuovo servizio fotografico o film in programma. Fino a quando si passa alla parte della vita privata. La prima domanda è la più ovvia. Una giornalista carina, bionda con dei grandi occhi nocciola, si alza e mi pone la domanda che freme sulla lingua di tutti da quando è cominciata questa messa in scena. -E sul fronte della vita amorosa? Cosa ci racconta?-

-Essere single è bello!- dico ridendo.

-E la ragazza con cui è uscito a Parigi?- continua ostinata la giornalista.

-Mi dispiace, ma di questo non vorrei parlare. Avete altre domande che non riguardano la mia gita a Parigi?- chiedo sporgendomi appena. Vedo che i giornalisti si guardano l'uno con l'altro. È ovvio che era quella la notizia succulenta su cui volevano approfondire. Guardo mia mamma che mi fa un cenno del capo. -Molto bene... allora... arrivederci e alla prossima.- dico alzandomi e sorridendo. Appena mi alzo c'è un gran trambusto, qualche giornalista intrepido cerca di farmi comunque delle domande, come se avessi risposto adesso che era finita l'intervista. Ci facciamo spazio fino alla macchina e saliamo.

Quando arriviamo a casa, Matilde non c'è. Immagino che sia chiusa nello studio a cucire o sistemare, e decido di non disturbarla. Vado in camera e mi cambio, indosso una tuta comoda, prendo il telefono e le cuffiette ed esco a correre. Mi rilassa sempre andare a correre, è una cosa meccanica che non ha bisogno di nessuno sforzo e richiede di avere la mente completamente libera da qualsiasi pensiero, così non riesco a pensare a niente.

Torno a casa dopo un'oretta e mezza e vado subito in bagno e mi spoglio. Poi ci ripenso e chiudo la porta a chiave. Non si sa mai.

Corro in camera tenendomi l'asciugamano stretto in vita e mi chiudo nella cabina armadio, mi cambio e poi mi butto sul letto. Chissà cosa pensa Matilde. Chissà cosa ha fatto oggi.

 

 

Mi sveglio presto, tanto presto, senza il bisogno della sveglia. Come al solito, non ricordo il sogno che ho fatto, il motivo per cui mi giro e rigiro nel letto senza addormentarmi, ma forse è meglio così. Cerco di non fare rumori scendendo dal letto, cosa difficile, visto che io sono un disastro, a quanto pare. Ogni volta che voglio fare qualcosa in modo silenzioso, faccio casino. Però intravedo Gaspard che dorme, immobile, e mi chiudo la porta dello studio alle spalle, felice di non averlo svegliato. Guardo il casino che ho lasciato, devo assolutamente sistemare tutto. Fortunatamente Annalise mi ha dato molti stand e molti omini in cui poter sistemare tutti gli abiti. Accendo anche il ferro da stiro, e do una stirata ai vestiti messi peggio, cioè tutti. Dopo un paio di ore, sono riuscita a sistemare tutto e gran parte delle stoffe è arrotolata in un angolo. Mi fa male la schiena, ma sono soddisfatta del mio lavoro. Almeno adesso è tutto in ordine e non devo sedermi su stoffe e vestiti. Alle otto sono pronta e vestita, e Gaspard dorme ancora, quindi cerco di fare il meno rumore possibile e, quando mi chiudo la porta alle spalle e vedo che dorme ancora, mi sento molto orgogliosa. Sono riuscita a non svegliarlo ne questa mattina-notte, ne adesso. Scendo le scale sorridendo. Mi sento proprio felice. Ho sistemato tutto per bene, tra poco finirò il mio vestito e finalmente ho visitato Parigi. E rimango felice fino a quando non entro nella sala da pranzo. Annalise è seduta rigidamente e non accenna al minimo sorriso. Mi chiedo se è successo qualcosa di grave, ma per adesso ho troppa fame e non me ne curo. Lei rimane ferma ad aspettare che io abbia finito la mia colazione all'italiana e poi mi chiede di seguirla nel soggiorno. Io la seguo senza capire. Ho combinato qualcosa? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non mi sembra. Provo a ripassare mentalmente tutto quello che ho fatto, ma non riesco a trovare un errore. Mi fa entrare nel soggiorno e mi dice di sedermi e se ne va. Mi siedo rigidamente su un divanetto. Ogni volta che entro in questa stanza, mi sembra di rovinare o sgualcire qualcosa di perfetto, sembra che potrebbe venire da un momento all'altro un fotografo a fare un set fotografico. È tutto perfettamente pulito e in ordine. Mi sento alquanto fuori posto. Ma poi qualcosa raccoglie la mia attenzione. Qualcosa che stona alquanto con l'ambiente. Delle riviste colorate e patinate. E sulla copertina ci siamo io e Gaspard. O dei del cielo! Le lascio ricadere sul tavolino e cerco di non guardarle. E appena le metto giù, entra Annalise e poco dopo arriva anche Gaspard. In tuta. E si vede lontano un miglio che sua mamma non è per niente contenta. Mi dispiace per lui. O lo invidio? Forse lo invidio. Io non riuscirei a vestirmi così sapendo come mi guarderebbe Annalise. È anche vero che lei è sua madre, però non ci riuscirei comunque.

Madre e figlio cominciano a bisticciare sulle foto e su qualche altra cosa. Su qualche scandalo appena assopito. Dicono che indagheranno sul mio passato, non che abbia molto da nascondere, praticamente nulla, ma appena provo a dire qualcosa, vengo zittita, quindi ci rinuncio. Alla fine, quando Annalise lascia la stanza, Gaspard dice che gli dispiace. Beh, a me no. Mi sono divertita. Quindi degli scandali non mi interessa più di tanto. Certo, non mi fa molto piacere, ma posso riuscire a passarci sopra. Saliamo assieme in camera, ma io mi chiudo subito nello studio e finalmente sono a casa da sola. Gaspard, con sua mamma, è a una conferenza, Lisa è con il suo ragazzo. E io ho di nuovo la camera per me. E' davvero strano condividerla con Gaspard. Alcune volte è imbarazzante. Io che sono figlia unica e non condivido la stanza neanche con Amelia, se non in rarissime occasioni, mi sono ritrovata in camera con un ragazzo. Praticamente sconosciuto. Famoso. Lui sì che sarà ricordato da tutti e, anche se il mondo del cinema non mi interessa, lo invidio. E mi dà fastidio, perchè lui probabilmente non lo desiderava. E io che ne ho un disperato bisogno... rimango bloccata a metà strada. E' tutto così difficile... E venire qui mi ha cambiato molto. Ma è difficile mantenere il mio modo di comportarmi e di vestirmi. La mia valigia, praticamente, è intatta, ma non riuscirei mai a girare con Annalise, tutta in tiro, vestita come mi vesto di solito. Devo stringere i denti solo per un po', quando sarò a Milano, potrò vestirmi come voglio, senza nessuno che mi sgrida o rimprovera per le mie maglie larghe e i pantaloni scoloriti. Parlando proprio dei miei vestiti, me li tolgo e, proprio come due mesi fa, mi guardo allo specchio. Il mio corpo è cambiato, anche grazie alle mie corsette quotidiane. Le gambe si sono assottigliate, anche se non troppo, però forse così sembro più proporzionata con la vita sottile... Il viso, al contrario, è sempre lo stesso. Ovale, le guance cosparse di lentiggini, come il naso. La bocca carnosa e troppo rossa sul viso pallido. Gli occhi grandi e grigio-azzurri. Quanto li odio! Mi rimetto gli occhiali e passo le mani tra i capelli disordinati, mossi e castani. Sono troppo simile a lei, a mia mamma, sono la sua copia, e non lo sopporto. Il destino può ripresentarsi uguale una generazione dopo? Potrebbe succedermi quello che è successo a mia mamma? Lasciando stare l'amore perso, potrei avere anche io la sua stessa malattia? Magari, assieme agli occhi, alle lentiggini, al naso e alla bocca, mi ha passato anche l'Alzheimer. E io cosa posso fare? Devo lavorare. Lavorare e fare in modo di non perdermi lungo la strada. Non devo dimenticare la strada. L'obbiettivo. Mi porto le ginocchia al petto e chiudo gli occhi. Lavorare. Lavorare. Lavorare. Mi alzo e con un pezzo di stoffa copro lo specchio. Non voglio più vedermi. Mai più. Come alcuni attori non vogliono rivedere i film in cui hanno recitato, o come alcuni scrittori non vogliono più rileggere i loro libri, io non voglio più rivedermi. Non voglio farlo per vedere il viso di mia mamma. Posso vedermi alla sua età, le rughe di espressione, qualche filo grigio tra la chioma ribelle, gli occhi tristi di chi ha vissuto, le mani rovinate di chi ha lavorato. Proprio come lei. Ma io non voglio vedermi, non voglio vedere il mio futuro già scritto sul mio viso. Mi avvicino a due manichini che si trovano in un angolo della stanza, e osservo il mio ultimo lavoro. Il vestito, color rosa antico, si lega dietro al collo, lasciando così tutta la schiena scoperta, è stretto in vita da un cinturino nero. Sull'altro manichino c'è un vestito completamente in pizzo nero. Lo scollo a barchetta, stretto in vita e lungo fino ai piedi. Non sono ancora finiti, devo finire di sistemare le cuciture, togliere gli spilli, fare alcune modifiche e provarli. I due vestiti si indossano sovrapposti. Quello nero si allaccia da dietro con dei bottoncini fatti con delle perle nere. Ma manca ancora così tanto... forse oggi che non c'è nessuno riuscirò a finire tutto quanto. Delicatamente tolgo il vestito rosa antico dal manichino e lo appoggio sul tavolo sgombro. Faccio un respiro e comincio a sistemarlo. Lavorare mi rilassa davvero molto, cucire è una cosa meccanica e meticolosa e non mi lascia il tempo di pensare. La casa è silenziosa, e sembra che il rumore della macchina da cucire, rimbalzi nella grande villa. Dopo qualche ora, sono riuscita a finire tutto. Faccio indossare il vestito a un solo manichino. Avendo preso le mie misure, per cucire i vestiti, stanno un po’ grandi al manichino, ma l’effetto è comunque bellissimo. Il mio miglior lavoro, penso. Sorrido felice. Per oggi ho finito. Sistemo velocemente le cose che ho usato e prendo il computer, devo assolutamente rispondere ad Amelia, gliel’ho promesso. Le racconto tutto, o quasi. Scrivere quello che mi passa per la testa, tenendo sempre un piccoli filtro, mi aiuta a rilassarmi e a sistemare il disordine che ho in testa. Peccato che non possa sistemarlo come avevo sistemato lo studio questa mattina. Accatastare i brutti pensieri in un angolo, stirare le brutte pieghe dei miei pensieri… sarebbe stato tutto così semplice. E invece potevo solo confidarmi con un’amica. E non riuscivo neanche a raccontarle tutto. C’erano cose, cioè le mie paure, che non voglio, non me la sento, di condividere con gli altri. È meglio tenerle con me, vicino al cuore, così da dover portare quel fardello da sola, anche se so che dividerlo sarebbe più facile, non mi piacciono le cose facili. Voglio le cose meritate e sudate. Voglio le cose mie. Ho appena inviato la mail, quando sento la porta chiudersi. Cerco di pensare a come sono. Tra i capelli scompigliati, ho una matita che cerca di tenerli assieme come può, indosso una maglia larga e dei pantaloni di una tuta sformata. E sono un disastro. Ma manca ancora un po' alla cena e Annalise di certo non verrà in camera. Non so se dirle che ho finito il vestito... e se dopo a lei non piace? Sospiro. Che complicato... Sento la porta della camera aprirsi e chiudersi, probabilmente è Gaspard, ma non viene a salutarmi. Un po' ci rimango male, ma forse è meglio così... chissà come è andata la conferenza e poi, con quelle stupide foto, sarà venuto fuori un pandemonio. Già. E' proprio meglio così. Prendo in mano il cellulare, per poi appoggiarlo sul tavolo. Lo riprendo e lo riposo. Dannazione! A pensare a mia mamma, mi è venuta voglia di chiamarla. Ma cosa la chiamo a fare? Non riconosce neppure la mia voce... Ma ho voglia di sentirla. Prendo il telefono e compongo il numero del centro che la ospita. «Centro Sant'Anna. Salve, chi le passo?» chiede la voce gentile dell'infermiera. Le parole non mi escono dalla gola. Le mie dannate corde vocali non riescono a dire quel nome. Il nome di mia mamma. «Pronto?» Non ci riesco. Chiudo la telefonata e lancio il telefono sul tavolo. Non ci riesco. Mi stropiccio gli occhi, umidi di lacrime. Non so quanto rimango così, a piangere silenziosamente. Riprendo in mano il telefono e guardo l'ora. Manca poco alla cena. Svogliatamente mi alzo dalla poltrona e prendo dei pantaloni a sigaretta neri, un top azzurro e una giacca a taglio maschile, sempre nera. E, dalla fila ordinata di scarpe, dei mocassini neri, con il tacco. I capelli li sistemo in una treccia che fisso attorno alla testa. Sono ancora in anticipo. Perchè oggi faccio tutto così in fretta? In camera non si sentono rumori, che fine ha fatto Gaspard? Forse si è addormentato. Dovrei svegliarlo? Forse sì. Sua mamma è sempre precisa, non accetta ritardi. Ma è davvero questo? Certo. Non è perchè non lo vedo da questa mattina. Ovvio che no. No... Io... Non voglio che venga sgridato, tutto qui. Apro la porta e sbircio in camera. Gaspard è disteso sul letto, immobile, ma non sta dormendo, sta guardando il soffitto. Cosa ci sarà di così bello, nel soffitto? Visto che è sveglio, non mi avvicino al letto, lo saluto con un semplice "Ciao", ed esco dalla stanza. Perchè il tutto mi sembra così difficile? Alla fine non è nessuno. Almeno per me. Mi prendo la testa tra le mani, e comincio a scendere le scale. Non posso tornare indietro di una settimana? A quando tutto era perfetto, ero sola, senza distrazioni, senza foto di me in prima pagina, senza Gaspard. Solo io e i miei obiettivi. Solo noi, inseparabili compagni. Arrivo in sala con qualche minuto di anticipo. Annalise è già seduta. Perfetta come al solito. Come fa a non avere neanche un capello corvino fuori posto? O una sbavatura di matita all'angolo dell'occhio, dopo una giornata di lavoro. O una piega nel vestito perfetto. Ditemelo, vi prego! Perchè io sono un disastro, mentre quelli che mi circondano sono perfetti? Mi siedo al mio posto e inizio a guardarmi le mani, all'improvviso hanno assunto un che di importante, hai miei occhi. Non sapevo di avere i polpastrelli così rovinati. Ci passo sopra le dita, ci gioco. Sono piena di calli e le mani sono secche. Sono pessima. Magari dopo mi metto un po’ di crema.. Le guardo anche quando entra Gaspard, e quando entra Lisa. Mangiamo in silenzio, senza proferire parola. L'unico rumore udibile è quello delle posate che sbattono sui piatti. Il tempo si dilata, lunghissimo nel silenzio, e sembra che la cena non debba finire più. Ma finalmente finisce. Quasi scappo da quella sala e da quel silenzio. Il silenzio non mi piace. Preferisco mille volte le parole e il rumore. Mi chiudo nello studio e butto i vestiti sulla sedia. Poi ci ripenso e li sistemo al loro posto, meglio non accumulare troppa roba, meglio essere ordinati. Pensieri ordinati. No, i pensieri no, ma almeno i vestiti… per quello posso fare uno sforzo. Indosso la maglia larga e mi infilo nel letto, senza guardare o aspettare. La luce non so se spegnerla, visto che Gaspard non c'è. Meglio lasciarla accesa... Poco dopo sento la porta aprirsi, mi giro appena e lo vedo entrare, i capelli ancora umidi. Probabilmente si è fatto una doccia. Mi giro dall'altra parte, lasciandogli il suo spazio, per qualcosa che non so neanche io. Spegne la luce. E io ho sonno, vorrei dormire, riposarmi, dimenticare. Chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare dal nulla. Ma non ci riesco. Dio, perchè oggi è tutto così difficile? Mi sto quasi per assopire quando sento parlare Gaspard. «Matilde... Vuoi venire con me a una festa, domani?» No Matilde, non vuoi. Non sono ambienti per te, non ancora. Non sai cosa dire, non sai cosa mettere. Non vuoi seguire Gaspard a una maledetta festa. Non vuoi seguirlo. Non vuoi le foto. Non vuoi le tue foto su una maledetta rivista dalle pagine satinate. No, non vuoi. Tutto dice che non voglio, la mia mente, la mia coscienza, dice che non è giusto. «Sì...» Eppure riesco a dire solo quella dannata sillaba. "Sì". Maledetta voce. Maledetto tutto. Eppure, dopo, mi addormento tranquilla. E felice.

   
 
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