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Autore: Vibia Matidia    27/08/2014    5 recensioni
Per tutta risposta, Laura si bloccò, portandosi una mano alla bocca. Lo aveva riconosciuto, tutto combaciava. Non riusciva quasi a crederci. Eppure era lì, davanti a lei, in carne e ossa. Vivo.
E dire che aveva studiato tanto le sue gesta, sui libri di scuola. Anche i suoi ritratti: ecco perchè il suo volto le pareva familiare!
«Tu sei Augusto...»
«Chi?»
«Dove stai andando? Sei da solo?»
«A quanto pare, sì, sono solo. Ti dirò tutto: sto andando a Munda, dove mi sta aspettando mio zio»
«A sconfiggere Sesto, giusto?».
Ottavio restò perplesso. «Come lo sai?»
Laura gli sorrise. «Dovrò spiegarti moltissime cose»
«Per esempio?»
«Siamo nell'anno duemilasettecentosessantaseiesimo ab Urbe condita. Mi sa che hai appena viaggiato nel tempo».
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità greco/romana
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Capitolo 1
Se una mattina d'estate un viaggiatore

Gaio Ottavio aprì di colpo gli occhi.
Era steso supino. Sopra di lui, foglie verdi. Sotto di lui, foglie secche.
Un bosco. Perchè un bosco?
L'ultima cosa che si ricordava era l'interno della sua tenda da campo. Si erano fermati sulle alture di un piccolo villaggio, Segesta dei Tigulli, sulla via Aurelia che portava nelle Gallie. Munda, oltre la Gallia Narbonese, oltre i Pirenei, era la destinazione, da suo zio, il grande Giulio Cesare.
Una breve sosta, quella a Segesta, dettata soprattutto dalle sue cattive condizioni di salute: un febbrone che non accennava a calare da quando si erano fermati a Luni per rifornire le coorti. D'altra parte, in diciotto anni di vita era stato sempre piuttosto cagionevole; non assomigliava per niente a suo zio, in questo.
Magari era tutto un delirio dovuto alla febbre alta. Gli sarebbe bastato chiudere di nuovo gli occhi, e si sarebbe risvegliato nel suo giaciglio, probabilmente anche in un bagno di sudore.
Emise un sospiro, lievemente seccato, e chiuse gli occhi.
Strano, i rumori del bosco sembravano molto veri. Si sentivano i cinguettii degli uccelli, e persino le cicale che frinivano.
Non capiva come potesse trovarsi lì, tutto era decisamente troppo reale per poter essere frutto di una mente febbricitante.
Aveva ancora indosso la tunica del giorno prima, e le sue comode caligae.
Realizzò di avere con sè il gladius, che pendeva dalla cintura, avvolto nel suo fodero, e la cosa lo tranquillizzò non poco. Sarà stato anche solo, ma almeno era armato.
All'improvviso, udì qualcosa che lo mise in allarme.
Passi sul fogliame.
Ottavio si mise subito carponi, cercando di fare meno rumore possibile.
La sua posizione era abbastanza felice: era su un piccolo pianoro, sul ciglio di un pendio abbastanza dolce, in quello che pareva un lecceto. Da lì poteva controllare tutto.
Infatti, dal pendio stava risalendo qualcuno. Aguzzò la vista.
Era una persona, forse una donna. Aveva i capelli di un castano scuro, lunghi e sciolti sulla schiena come le donne barbare. E aveva, mehercle! le gambe nude. Almeno fino a metà coscia; lì tutto era coperto da uno strano indumento di uno strano tessuto blu stinto, che arrivava sino alla vita e che avvolgeva le gambe separatamente: un po' come quegli strani vestiti di certi barbari del nord, che suo zio gli aveva descritto.
Decisamente troppe cose 'strane', per i suoi gusti.
Dalla vita in su, la donna indossava una specie di tunica molto corta, del colore del cielo al tramonto, che le copriva anche una porzione di spalla, ma che restava molto aderente: si intuivano bene le forme di lei, sotto di essa. Distolse lo sguardo, e lo portò sui sandali. Beh, non erano sandali: erano chiusi come le caligae, ma più corti, e decisamente più spessi e ingombranti, e quindi rumorosi; ma la fanciulla — ormai poteva scorgerne i tratti giovanili del viso — pareva non farci caso.
Era del tutto assorta nella sua occupazione. Teneva tra le mani uno strano oggetto nero, con una protuberanza a tubo, e ogni tanto, in piedi o chinata, se lo portava al viso, e allora l'aggeggio emetteva uno strano schiocco. Subito allora lei lo allontanava, lo contemplava per qualche istante portandoselo al ventre, e poi si rimetteva in cammino.
La fanciulla, tra una sosta e l'altra, era ormai vicinissima a Ottavio, il quale, nonostante fosse probabilmente in vantaggio fisico — in fondo, era solo una femmina, e, a parte l'oggetto nero, pareva disarmata — avvertiva un certo timore.
Il romano incominciò ad arretrare, lentamente, in cerca di un nascondiglio.
A questo punto, però, Giove Ottimo Massimo decise di piantarlo nei guai.
La mano di Ottavio si posò su un rametto, spezzandolo.
Si bloccò immediatamente, sudando freddo. La ragazza lo aveva sentito, aveva afferrato il primo bastone nelle vicinanze, e ora si stava avvicinando con la massima cautela. Se prima era rilassata e felice, ora pareva molto agitata e impaurita, ma anche decisa.
Preparati, Gaio Ottavio, stai per essere scoperto!

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Ave a voi!
Eccomi qui con un nuovo delirio.
Stasera il secondo capitolo!
Pareri (favorevoli e contrari) più che bene accetti, come sempre. Fatevi sentire!
Valete, et salve
Vibia


 
   
 
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