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Autore: SakiJune    27/08/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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- Il Panopticon è in pratica la stanza del Parlamento di Gallifrey. L’Usciere Aureo (traduzione di Gold Usher, spero non ricordi troppo Maccio Capatonda) è il cerimoniere.

- Ricordo che tutte le informazioni sulle bruuuuutte cose che ha fatto Borusa ai tempi del Quinto Dottore sono qui

- Il dialogo tra Four è Romana è tratto dal serial “The Ribos Operation”, primo serial della saga Key to Time.



 

La maestosità del Panopticon, vuoto e risplendente, riempì Ada di sentimenti contrastanti. Non ne era intimidita; la grandezza e l’opulenza la infastidivano, forse, ma non si accordavano con la sua concezione di timore - legato piuttosto a ciò che di piccolo e scialbo si agita nella mente azzannando la serenità al suo timido sorgere.

Quanti Presidenti, tra quelle mura, erano stati investiti dell’autorità suprema dalle mani dell’Usciere Aureo, ricevendo i simboli di Rassilon! Oh, era stato proprio qui… lo scontro finale tra il Fondatore e il Maestro…

Il Dottore non aveva avuto una vera reazione alla notizia del loro reciproco annientamento. Forse se lo aspettava, forse erano state troppe le notizie difficili da elaborare. Lei aveva rispettato quel riserbo. Aveva a sua volta piccoli e grandi cedimenti, momenti di sconforto che non riusciva a condividere con lui, ma che sapeva di riuscire ad affrontare. Il tempo dei capricci era finito. Ogni mattina si svegliava e il dolore era lì ad attenderla, come un mostro di peluche e gommapiuma che ti saluta dalla TV mentre fai colazione, e sembra dirti che è proprio lì per te, ehi, dico a te, futura mammina, toc toc, buongiorno! Hai sognato Clara, stanotte?

Era una crepa visibile, una ferita aperta che ancora sanguinava.

Ma poi pensava alla voragine che il Dottore portava dentro, e quella consapevolezza spegneva per un po’ la risata del mostro. Se lui riusciva a sopportare…

 

Non aveva, tecnicamente, chiesto il permesso per entrare. Ma, vista la reazione nulla delle guardie all’ingresso, aveva immaginato che essere la ragazza del Dottore doveva pur fare qualche differenza.

Doveva, perché avevano sofferto e perduto troppo per non meritare la più completa libertà e il rispetto loro dovuto.

Non avevano nulla da invidiare a coloro che avevano occupato quei seggi nei millenni passati. Il Dottore non aveva certo meno valore di un Cardinale dell’Alto Consiglio. Forse proprio in quel momento Lady Romana gli stava offrendo una carica elevata. Si soffermò su quell’eventualità, immaginò divertita il suo Dottore in abiti cerimoniali, proprio come l’aveva visto nella sua quarta incarnazione. Sarebbe stato infinitamente più elegante.

Non si pensi che Ada avesse la sindrome da aspirante First Lady. Desiderava rispetto, sì, ma non avrebbe sopportato ipocrita deferenza o disprezzo malcelato nei loro confronti - ciò che nel bene e nel male sempre accompagnava il potere.

Il Dottore era in visita negli appartamenti presidenziali. Il primo incontro tra lui e Lady Romana dopo tanto, tanto tempo: sapeva quanto fosse importante. Lei no, non se l’era sentita. Ricordava confusamente che Romana fosse stata gentile con lei durante quei primi giorni su Gallifrey, ma era tutto filtrato attraverso una nebbia di dolore e vuoto. Le domande martellanti, senza che le venissero date risposte; il freddo degli strumenti, la stranezza del cibo - persino la nausea regolamentare della gravidanza era amplificata dalla sensazione di non parlare la stessa lingua di coloro che le stavano intorno, nonostante il dispositivo di traduzione inserito nella cupola della Cittadella. In qualche modo le sembrava di essere tornata su Gingko, ma no, allora c’era Clara con lei, erano insieme lì dentro… e ora più nulla, solo una preghiera che non aveva mai fine, perché nessuno voleva dirle la verità, perché continuavano a ripeterle che non doveva agitarsi ma come, come poteva?

“Dov’è lui? Perché non posso vederlo? Dov’è il Dottore? Vi prego, ho bisogno di saperlo…”

Inghiottì il magone che le era salito in gola. Era tutto passato, lui stava bene, non doveva più pensarci.

No, non le sarebbe dispiaciuto rivedere la Lady Presidente, non ne aveva soggezione e non era arrabbiata con lei. Sapeva che tutti loro, seppure con il distacco tipico della loro razza, avevano cercato di proteggerla da se stessa e non illuderla inutilmente.

A dirla tutta, non si sentiva pronta ad incontrare Lord Borusa.

Non sapeva se odiarlo o se averne compassione. I suoi compagni di fandom, nei forum affollati di teorie e dibattiti, lo classificavano come un villain puro, alla pari con i Dalek o la Rani. Lei aveva sempre avuto qualche dubbio a riguardo: era sempre stato una persona onesta, un Signore del Tempo ambizioso e vecchio stampo ma non malvagio. Cos’aveva scatenato in lui la follia che l’aveva spinto a ricercare l’immortalità, non facendosi scrupoli a sacrificare ben cinque incarnazioni del Dottore per accedere alla tomba di Rassilon?

Era confusa, e aveva rimandato quel confronto in modo da avere più tempo per rifletterci, ma non appena le veniva in mente i suoi pensieri svoltavano, incapaci di fermarsi su un giudizio equilibrato.

Ma poi, era davvero importante ciò che lei pensava? Non era più urgente che lui e il Dottore si riappacificassero?



Erano l’uno di fronte all’altro, infatti, in quel preciso istante.

Era il Dottore numero dodici, quello che Borusa aveva davanti, anche se tecnicamente si era rigenerato tredici volte. Sembrava sereno e in salute, nonostante la magrezza estrema e le sopracciglia dalla forma minacciosa, e il suo sguardo chiaro non recava tracce di ostilità.

Non era preparato alla sua visita; Romana non gli aveva detto nulla, temendo di agitarlo inutilmente nel caso il loro ospite, che conosceva sin troppo bene, non si fosse presentato all’ora concordata.

Non era preparato e soprattutto non riusciva a fare il primo passo. Attendeva una sua parola, un gesto che sciogliesse il profondo imbarazzo tra loro, che attenuasse il terribile senso di colpa che provava nei suoi confronti.

- Salve, professore. Mi piace come avete arredato qui. C’è un tocco esotico...

Non avrebbe dovuto sorprendersi così, eppure lo fece: il Dottore era disarmante, in ogni senso possibile. Aveva cancellato di proposito l’immagine del Cancelliere, del Cardinale, del famigerato Lord Presidente che era stato - tornando a considerarlo soltanto un suo vecchio insegnante, salutandolo con rispetto, come mai aveva fatto ai tempi dell’Accademia, tra l’altro.

- Salve, Dottore - rispose finalmente. La sua stretta di mano quasi gli fece male, ma non lo diede a vedere.

- Speravo che Ada sarebbe stata dei nostri - s’intromise Romana, spezzando il filo dei loro sguardi. - Sta bene?

- Sta molto bene, sì, grazie. È rimasta a curiosare in giro. Non si sente ancora di… vedete, lei conosce fin troppo la nostra Storia. Il nostro passato. Deve ancora elaborare il fatto di trovarsi qui, e…

- E perdonare quello che ti ho fatto.

Il Dottore scosse la testa, tentando di rassicurarlo: - No, non…

Borusa sospirò. - La comprendo. Non sono una buona compagnia.

- La nostra Lady Presidente non è d’accordo, perciò dobbiamo adeguarci al suo volere. - Il Dottore aveva scrollato le spalle con noncuranza e un pizzico di malizia, e Romana lo ringraziò mentalmente per il suo incredibile savoir-faire.

- Proprio così. Siete i miei servi e vi lascerete adorare. Il mio uomo e il mio eroe. Mi siete semplicemente indispensabili!

La videro allontanarsi, entrambi incantati da quel candore.

- Lo vedi com’è?

- Oh, lo so. Dal giorno in cui si è materializzata nella mia… - Il Dottore deglutì, incapace persino di visualizzare la stanza della console di quei tempi spensierati. Evitava le immagini, evitava le parole, i nomi; la sua mente era diventata una pista da slalom. Oh, sì, sembrava sereno. - Con il suo vestito bianco e la spocchia da ragazzina appena diplomata… dirle di no è sempre stato impossibile.

Borusa alzò le sopracciglia. - E la consideri ancora una ragazzina?

- No, non più. Almeno, l’ultima volta che la incontrai, prima della guerra, non lo era più, ma ora non so che pensare. Sembra molto felice, fiduciosa, ha ritrovato il sorriso... - Fece qualche passo verso la finestra, ammirando il panorama della Cittadella e dei deserti al di fuori di essa. Nell’aguzzare lo sguardo fino all’orizzonte, capì improvvisamente il vero significato di quella domanda e tornò a guardarlo in volto. - Oh, professore, no. Non deve nemmeno pensarlo, non sono… non ero quel tipo di persona. Saltavamo da un pianeta all’altro, ci ficcavamo nei guai e ci facevamo delle grandi risate. È davvero tutto qui.

- Sì. Mi racconta spesso delle vostre avventure. Peccato. Speravo che… dopo, qualcun altro potesse far sì che quel sorriso non si spenga.

Il Dottore era rimasto raggelato ma non trovò le parole in tempo, perché Romana era tornata nella stanza. Si era pettinata diversamente, abbandonando la complicata acconciatura cerimoniale per una più comoda.

- Merendina? - Premette un pulsante sulla parete e scoprì un ricco buffet. Il Dottore, per nascondere il proprio turbamento, ringraziò e si gettò sui dolci.

Mentre lei sceglieva la musica da un selettore posto al centro della stanza, ritenne opportuno chiarire l’equivoco. - Ho una compagna, professore. Stiamo per avere una figlia. Tutto può accadere, ma non questo… capisco come si sente, davvero. A Trenzalore… credevo davvero che fosse la fine, e pensavo a una donna da cui non sarei mai più tornato.

- Ma non è andata così.

Il Dottore fissava la pralina che teneva in mano con interesse esagerato. - È stata lei a tornare da me. Per lei ho capito che dovevo sopravvivere. Non solo per gli abitanti di Christmas. O perché Gallifrey avesse una possibilità. Solo per lei. Era… oh. Ma sto divagando. Quello che volevo dire è solo che non sarò io. Anche se un giorno terribile entrambi dovessimo restare soli, non potrei mai vedere Romana come qualcosa più di un’amica. Tutto qui.

Si rese conto che il cioccolato si stava sciogliendo. Mando giù il dolcetto e d’istinto si leccò le dita, sovrappensiero. Era dolce? Non gli sembrava dolce. La musica era iniziata, ma la percepiva soltanto ora. Gli dava quasi fastidio.

- Sei il solito bambinone, Dottore, ci sono i tovaglioli. - Romana indicò un angolo del buffet, fingendo severità ma sul punto di scoppiare a ridere. Persino negli occhi di Borusa brillò uno sguardo divertito. Era tutto così incredibile.

- È di nuovo a caccia del suo successore? - continuò lei sottovoce, mentre gli porgeva un tovagliolo. - La settimana scorsa ci ha provato con Drax. Poveretto, è diventato viola come le tuniche del Capitolo Patrexiano… ho paura che abbia una cotta per me.

Il Dottore le fu grato per quell’inconsapevole fune di salvataggio, a cui si aggrappò per uscire da quella pozza di pericolosa nostalgia.

- Non dovrei essere io a dirtelo, ma credo che Drax abbia una cotta per te dai tempi di Atrios, Romana.  Lo tieni d’occhio, spero… qualsiasi cosa stia combinando in quel laboratorio, non lo lasceresti pasticciare senza sorveglianza.

- Per chi mi hai preso? Certo che so cos’ha per le mani. La Lady Presidente ha occhi e orecchie ovunque… ma non lo saprai da me. - Ridacchiò. - Allora! - Tornò a parlare in tono più alto. - Per stasera convinci Ada a venire a cena, sì? Abbiamo fatto venire due cuochi da Tersurus.

- Ora sei tu che mi sottovaluti. Accetto la sfida, Fred.

Passarono almeno cinque minuti prima che lei riuscisse a smettere di ridere e spiegasse a Borusa l’origine di quel soprannome sciocco, che risaliva a quando lei indossava una tiara e lui una lunga sciarpa colorata.

 

“Il mio nome è Romanadvoratrelundar.”

“Mi dispiace moltissimo. Possiamo fare qualcosa? Prima che possa finire di pronunciarlo, saresti già morta. Ti chiamerò Romana.”

“Non mi piace!”

“O Romana o Fred, decidi tu.”

“Allora Fred.”

“Bene! Andiamo, Romana…”

 

- Esiste qualcosa che hai dimenticato?

Il Dottore si sgranchì le braccia all’indietro, allacciando le dita dietro la schiena. - Le cose… sì, ne dimentico parecchie. Le persone, no. In qualche modo, è la mia maledizione.

Lei annuì, senza più allegria. - Anche la mia, Dottore.

Sembrava felice, oh, sì.

 

 

   
 
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