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Autore: herflowers    29/08/2014    4 recensioni
"Ognuno ha qualcosa che riesce a colmare il vuoto all’interno di se stesso, un hobby, per esempio. C’è chi ha la mano artistica, chi a cui piace l’arte culinaria, chi va matto per la fotografia e chi per le mostre d’arte. Oppure, un semplice vizio come il mangiarsi le unghie, fumarsi appunto una sigaretta, bere caffè o semplicemente arrotolarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.
Ma ce ne sono alcuni che, purtroppo, non tutti si azzarderebbero a praticare. Chi per paura, chi per impressione o chi per semplice senso di umanità."
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 The middle of madness.

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Grazie mille, se non fosse per te la mia storia sarebbe
un vero scempio senza questo banner favolso. <3

 
 
Una semplice sigaretta. Quell’involucro era tutto ciò di cui aveva bisogno per intrattenere la noia. Intrattenere la noia, che cosa strana da fare con una semplice boccata di fumo, e il senso di pienezza che gli causava, mandando giù quella nebbia così compatta come inesistente, era qualcosa che capitava raramente e non sempre era soddisfacente.
Ognuno ha qualcosa che riesce a colmare il vuoto all’interno di sé stesso, un hobby, per esempio. C’è chi ha la mano artistica, chi a cui piace l’arte culinaria, chi va matto per la fotografia e chi per le mostre d’arte. Oppure, un semplice vizio come il mangiarsi le unghie, fumarsi appunto una sigaretta, bere caffè o semplicemente arrotolarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.
Ogni individuo ha un passatempo che ama e che lo fa sentire bene e vivo, un vizio che non si riesce a perdere non molto facilmente con il passare degli anni. Ognuno ne ha uno. Ma ce ne sono alcuni che, purtroppo, non tutti si azzarderebbero a praticare. Chi per paura, chi per impressione o chi per semplice senso di umanità.
Adam era un tipo particolare, aveva modi di sfogare il suo stato d’amino alquanto particolari. Più che stato d’animo, il suo era un modo per esprimere il proprio pensiero, il proprio odio. Odio, odio per quelle creature delicate e sognatrici, spensierate e combattive. Odio verso quelle che tutti chiamano donne. Negli ultimi anni non era una cosa diffusa, odiare le donne. Con il tempo si erano stabilite le parità tra i due sessi, anche se qualcuno era sempre convinto della differenza abissale tra essi. Essere misoginoera una cosa rara. Almeno, Adam non conosceva altre persone che la pensassero come lui. Ripugnava l’essere femminile, ma non rinunciava ai giochetti che compieva con il loro aiuto. Giochetti strani, inquietanti, completamente sbagliati e imperdonabili per il genere umano. Non aveva limiti, lui. Non si fermava davanti a niente e nessuno e non lo avrebbe mai fatto. Il suo essere non sarebbe mai cambiato, non avrebbe abbandonato le sue ideologie, i suoi bisogni.
Bisogni? Che cosa c’era in quello che faceva che si collegava all’avere bisogno di un qualcosa di importante, di necessario che, appunto, allontanava la sensazione di star impazzendo, senza potersi sfogare su di loro? Nulla, ma lui ne era dipendente proprio come fosse una dose di eroina, la migliore sul mercato.
Tutti quei pensieri erano partiti da ragazzo. Non si sa se per colpa o grazie al padre, fatto sta che era stato quell’uomo a fargli odiare le donne. Quell’uomo che trattava la moglie come se fosse la cosa più preziosa al mondo, come se fosse l’ultima donna a popolare la terra. Non c’era mai un battibecco, mai una litigata furiosa, mai una qualsiasi stronzata che scattasse in quella casa abitata da gente anormale. Adam, da bambino pensava che i suoi genitori fossero pazzi, completamente usciti di testa o solamente che non fossero comuni esseri umani. Fantasticava su come potessero essere arrivati sulla superficie terrestre da qualche pianeta senza ossigeno, di come potessero essere stati frutto di un esperimento genetico riuscito male. Ma non erano i suoi genitori quelli strani.
Un semplice bicchiere basso e ampio, contenente whiskey ambrato di vecchia data, veniva sfiorato da pollice e medio e fatto girare su se stesso in modo lento e straziante. Adam, seduto a un tavolo rotondo di un pub, arredato con mobilio in stile moderno, fissava il bicchiere tra le sue mani con semplicità, perso nella sua mente vuota da ogni pensiero, dalla minima presenza di parole, suoni o immagini. Andava allo Yoon qualche volta, un posto affollato durante la sera e semi-deserto durante l’arco della giornata. In quel posto, seduto sotto un lampadario a luce fioca, osservava quello che più odiava. Nonostante il sentimento nei confronti della donna, Adam rimaneva in silenzio, vestito di buon punto con i capelli scuri e lunghi che gli ricadevano ai lati del viso in attesa di trovare l’adeguata giovane con cui condividere quello che chiamavapassione. Una passione indescrivibile, unica nel suo genere e piena di sentimenti contrastanti. Dolore e sorpresa, shock e paura. Ma quello che scaturiva in Adam era anche ribrezzo.
Era solito attrarre le sue vittime o, come preferiva denominarle lui, le sue spettatrici, le comparse del suo piccolo e innocente spettacolo, rivolgendogli attenzioni alle quali non sarebbero serviti contatti fisici o parole, discorsi fatti o preparati in occasione, ma con uno semplice sguardo amorevole –interesse falso, ovviamente- pieno di semplicità. Osservava donne e uomini seduti sui loro sgabelli, al bar intenti a prendere un aperitivo o semplicemente intenti a bere qualche super alcolico in completa solitudine. Ed ecco che subentrava lui. Osservava movimenti ed espressioni in cerca di donne che, non essendo solite a ricevere attenzioni dal sesso opposto tutte le sere, trasmettevano la loro timidezza, la solitudine che le colmava. Donne ancora chiuse in loro stesse come le pagine di un libro in attesa di essere preso in mano e sfogliato, scoperto, letto e amato. Un libro abbandonato a se stesso e alla polvere in attesa dell’arrivo di qualcuno in grado di leggere le sue pagine tra le righe, in grado di vedere l’immagine nitida della sua anima pura. Tutto quello in cui si sforzava Adam era proprio cercare di scovare il grigio dentro di loro e soffocarlo con la sua gentilezza, il suo essere comprensivo. Le raggirava, le convinceva del potersi fidare di un completo sconosciuto. Lasciava che loro si aprissero, inconsciamente, e che le loro paure più grandi venissero a galla così che lui potesse raccoglierle, unendo le mani e affondando quel poco le dita all’interno delle acque del lago che rappresentava la loro strana mente, per poi manipolarle a suo piacimento. Anche se si stancava delle loro chiacchiere riusciva a contenere la voglia di circondare il loro collo con le sue dita callose e forti, stringendo il più possibile sentendo poi la trachea contorcersi a sua piacimento. Avrebbe voluto farle soffrire, vedere la paura trasparire nel loro sguardo e sentire le suppliche rivolte a lui, ma tutto quello non aveva una fine. La fine dei giochi era lecita solamente quando la lucentezza degli occhi svaniva e le lacrime diventavano semplici e inutili righi di acqua salata evaporata sui loro visi pallidi e inermi. Ma, nonostante avesse voglia di toccarle come nessuno avrebbe fatto mai, nella sua mente si issava quella sensazione di repulsione istantanea che, però, respingeva e sotterrava sotto la voglia di sfogarsi, di provare quell’indifferenza nei confronti del loro sesso che lo aveva perseguitato sin da bambino. Quanto avrebbe voluto non provare nulla nei loro confronti, nemmeno l’odio represso che lo inondava fino al midollo, ma solo semplice indifferenza. Vivi e lascia vivere. Ma quella non poteva essere vita. No, non per lui. Era troppo codardo però, troppo codardo per mettere fine alla sua di sofferenza continua, invece di risparmiare giovani donne, le quali avevano molto da dare al mondo, alle persone care, al loro futuro.
L’unico amico che aveva avuto, in tutta la sua vita, prima di lasciarlo solo in mezzo a quella massa di ignoranti bastardi, glielo aveva urlato in faccia. Un codardo, sono solo uno stupido codardo. Nient’altro, pensava. Quella frase lo caricava di rabbia, confusione, incertezza.
Alzò lo sguardo dal suo bicchiere afferrandolo per bene e portandolo alle labbra piene con eleganza inaudita. Lentamente mandò giù un sorso di liquore, un sorso incoraggiatore mentre con l’altra mano spegneva la sua sigaretta, bruciata solamente due volte. Spesso si ritrovava a paragonare la vita delle sue vittime alla durata di una sigaretta. Ogni colpo che infliggeva loro, stese e legate sul tavolo di legno del piccolo capanno nel bosco, era come prendere una prosperosa boccata di quella nicotina così affascinante, prelibata che ti rendeva indipendente. Ebbene, la vista del sangue sul corpo di una donna era la sua dipendenza. Il dolore nei loro occhi era la sua nicotina, la sua droga. Vedere come lo fissavano spaventate e in cerca di quella luce solidale che lo avrebbe convinto a smettere, o sentire le loro suppliche straziate di mettere fine a tutto quanto quando Uccidimi! riecheggiava in quel capanno. Tutto quello provocava quel sollievo dentro la sua anima cupa, smorta. Quelle urla riaccendevano qualcosa pari alla vitalità vera e propria dentro il suo corpo, dentro il suo cuore. Quel cuore che, gelido e impassibile, batteva nel suo petto e riscaldava il suo animo in quei momenti di gloria. Uccidimi, ti prego! Era una vittoria indimenticabile per lui, una vittoria succulenta servita su un piatto d’oro e accompagnato dal sangue degli Dei. Tutto quello lo nutriva, lo fortificava e lo aiutava ad andare avanti, a mandare avanti quella vita da codardo, da fallito che era la sua. E quando ripensava a quelle parole, ancora una volta, a come la sua vita fosse veramente fatta di fallimenti… Impugnava uno dei suoi strumenti e trafiggeva le sue vittime in modo mortale.
Un vero e proprio momento di svago, era quello, associato ai momenti passati insieme ai vari amanti di passaggio. Non aveva mai scoperto che cosa fosse l’amore se non per una volta soltanto, quella volta sbiadita e persa nel passato legato a una cavigliera che, attraverso un filo invisibile, trascinava quel bagaglio pesante. Era stata la mancanza di amore a renderlo così? Non aveva ricevuto abbastanza affetto da parte dei suoi genitori, o da quell’uomo che amava, così da essere la causa del suo malessere?
Malessere… che brutta parola, si diceva, versandosi un bicchiere di Scotch e girando attorno al tavolo da lavoro. Il suo non era malessere. La sua era arte. Arte espressiva di un uomo geniale, talmente pazzo da vedere il bello nelle cose imperdonabili. Arte valorizzata dalle sue tecniche, valorizzata dalla sua mente. Valorizzata da Adam Pine.
Alzò lo sguardo per vedere la sua immagine riflessa nella parete a specchio del locale. Fissò i suoi occhi azzurri, in contrasto con la carnagione chiara e il colore scuro dei capelli. Le spalle rilassate, ma la mascella contratta. Era ora di agire, di cominciare a giocare. Si guardò intorno e l’unica persona che attirò la sua attenzione fu una donna dai lineamenti asiatici. Esile, impassibile, ma il cui corpo lasciava vedere bene il disagio del momento, il completo smarrimento. Capelli raccolti in una treccia di media lunghezza, tirata di lato, e labbra rosse, sottili. Le dita erano impegnate a tenere un flute di champagne sospeso in aria, quasi vicino alle labbra. Si poteva vedere l’incontro tra il respiro caldo e leggero della donna con il vetro freddo e compatto del bicchiere. La sua mani si mosse nello stesso momento in cui Adam fece scivolare il suo whiskey sulla lingua, assaporando vittoria e ammirazione al contempo. Era la prima volta che provava ammirazione, ammirazione per la donna che sembrava urlare al mondo che non avrebbe mollato, che sarebbe potuta andare avanti all’infinto arrampicandosi sulla società, impossessandosi del mondo. Ma, grazie a lui, non lo avrebbe mai fatto, purtroppo.
Adam si accorse dello sguardo cupo della donna, intenta a fissarlo con aria interrogativa. Allora, le sorrise alzando il bicchiere e penetrandola con i suoi occhi azzurri. Occhi che avrebbero ammaliato chiunque. Il cipiglio che si formò tra le sopracciglia della donna, avvolta all’interno di un vestito lungo e rosso, sparì lasciando quello stupore nei confronti di Adam. Un sorriso di chi la sa lunga apparse su entrambi i loro volti. Sarebbe stata una nottata interessante, quella. Molto interessante.
Già se la immaginava legata sulla superficie ruvida e macchiata di scarlatto, ormai assorbito dal materiale e rappreso, con il suo vestito sgualcito. I capelli, slegati e scompigliati, le sarebbero ricaduti sul volto pallido e imperlato di sudore. Sudore che emanava paura, voglia di urlare, di dimenarsi. Quell’odore che faceva andare in estasi Adam stesso. Avrebbe carezzato le sue spalle nude, le avrebbe percorse con uno dei suoi strumenti sterilizzati per poi fare piccole incisioni all’altezza del petto, della gola. Avrebbe sentito quel suono tanto atteso inebriargli la mente, mandarlo dritto fino all’Eden interiore che si era costruito con l’immaginazione. E quella voce… non vedeva l’ora di sentire le note stridule di quel violino suonare e attraversargli l’anima.
Avrebbe estratto il coltello a serramanico migliore della sua collezione insieme a un semplice accendino. Avrebbe sentito la pelle della donna sfrigolare prima di tornare a scaldare la lama tagliente e tiepida del coltello.
Avrebbe studiato il suo corpo, avrebbe giocato anche provando un senso di nausea solo per vedere quell’indifferenza venire a galla. Avrebbe fatto tutto quello per provare che lui non dipendeva da quel genere stupido, inutile, approfittatore. Tutto quello solo per odio o semplice ossessione.
Si alzò con eleganza, prendendo il suo bicchiere tra le dita, e bevve l’ultimo sorso di whisky all’interno del vetro cilindrico. Abbassando lo sguardo per qualche secondo cominciò a camminare verso il bancone del bar, verso la donna in attesa della sua compagnia. Sorrise leggermente incontrando gli occhi a mandorla della donna, scuri e pieni di vuoto. Che strano, occhi che pur essendo vispi e lucidi, trasmettevano il nulla più totale. Assenza, distanza, lontananza assoluta.
Le si avvicinò con calma, si appoggiò al bancone ed ordinò un altro drink per poi tornare al viso piccolo di quella ragazza. Si guardarono per qualche secondo, si osservarono e studiarono. Lui non sembrava nemmeno accennare un minimo di quello che nascondeva sotto la superficie, sotto quell’espressione amorevole, interessata. Ma, la cosa bella è che lei, proprio con i suoi occhi, avrebbe avuto paura di quell’essere. Le sue lacrime avrebbero preso a scorrerle sulla pelle segnata senza sosta, senza alcuna timidezza. Avrebbe passato le ore più struggenti della sua vita e…
«Ciao.» Fu tutto quello che disse, e da quel momento le danze presero il via.
   
 
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