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Autore: Artefenis    29/08/2014    5 recensioni
dal testo:
Mi guardò ancora una volta. Iniziò a muovere silenziosamente le labbra. Da esse uscivano parole sconosciute, nascoste, nere e buie.
La sua fronte si corrugava ogni volta che mi rivolgeva lo sguardo. Capivo che non sapeva se poteva fidarsi. Poteva donarmi i suoi incubi? Aveva la forza di parlarne? Sapeva che una volta pronunciati ad alta voce, avrebbero preso vita e avrebbe dovuto affrontarli. Ne aveva il terrore e lo si leggeva nel pallore del suo viso.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il caso di Nadia



Se ne stava lì, in un angolo del divano con la testa sorretta dal braccio destro.
«Nadia, oggi hai voglia di parlare?»
Continuava a fissare il vuoto. Era persa in posti della sua mente, dove a nessuno era concesso entrare. Tremava ogni volta che sentiva il suo nome, come se quella fosse una parola orribile. Il suo viso mostrava i segni di sonni perduti e di cibo non mangiato. Le sue mani tremavano ad ogni battito del suo cuore, ed erano così piccole e fragili. I capelli sciolti le cadevano in disordine su entrambe le spalle, coprendole anche il viso.

Dopo alcuni secondi si voltò, mostrandomi i suoi grandi occhi verdi. Erano vuoti e spenti. Nessuna luce brillava in essi.
«Nadia - la esortai, cercando di farla uscire da quella forma di trance - «Vuoi dirmi qualcosa? Io sono qui per aiutarti…»
Avrei voluto davvero aiutarla, se solo me ne avesse dato la possibilità. 

Tante persone con diversi problemi venivano a chiedere il mio aiuto, anche solamente un consiglio per come comportarsi in certe situazioni, ma nessuno mi era stato così a cuore. Nessuno, oltre a questa fragile ragazza.

Mi guardò ancora una volta. Iniziò a muovere silenziosamente le labbra. Da esse uscivano parole sconosciute, nascoste, nere e  buie.
La sua fronte si corrugava ogni volta che mi rivolgeva lo sguardo. Capivo che non sapeva se poteva fidarsi. Poteva donarmi i suoi incubi? Aveva la forza di parlarne? Sapeva che una volta pronunciati ad alta voce, avrebbero preso vita e avrebbe dovuto affrontarli. Ne aveva il terrore e lo si leggeva nel pallore del suo viso.
Iniziò a tamburellare le mani sulle ginocchia. Poi sul braccio del divano. Sul tavolino.
La osservai. La volevo fermare, era una scena straziante. Ma sapevo che se mi fossi permesso di toccarla, le conseguenze sarebbero state enormi.
Come nella prima seduta. Quando il suo disturbo si fece vivo, cercai di fermarla toccandole la spalla. Non potrò mai dimenticare il suo sguardo e il suo urlo silenzioso. Era come se l’avessi uccisa in quel momento. Avevo profanato il suo spazio, il suo limite.
Era come vedere una bellissima rosa essiccare tra le tue mani. Lentamente vedere i petali scolorirsi, stropicciarsi, finché non ne cade uno. Ed è  solo questione di tempo, prima che cadano tutti, lasciandola spoglia.

Si fermò. Si mise china ad osservare le sue mani.
«Io…» disse, e fu la prima parola che pronunciarono le sue labbra da quando l’avevo vista per la prima volta.
«Era buio -  iniziò a dondolarsi  - lui veniva spesso. Mi faceva male…» si massaggiava i polsi, come se delle manette invisibili la stessero bloccando «E’ colpa mia». Delle lacrime iniziarono a rigarle il viso. «Lui me lo diceva….Stai zitta! Stai zitta!» Ogni volta che pronunciava quelle due parole, la sua voce si faceva più bassa. «Non fare rumore! Mi ripeteva. Non fare rumore, non svegliare mamma... Non fare rumore.»
Il suo respiro iniziò ad essere affannoso. Alzò le ginocchia e le cinse con le braccia.
«Quella volta, sbattei la mano sul muro. Io, io… ho fatto rumore e lui…» Il suo dondolio si fece più frenetico. «Non mi lasciava. Perché?»
Si voltò verso di me, con lentezza sovrumana…
«Non fare rumore, non fare rumore… shhh»  Il dito davanti la bocca, imitando il gesto di chi le aveva causato tutto questo. 

Perché? Come potevo rispondere a quella domanda? Come potevo spiegare quello che era accaduto? Le parole questa volta non mi avrebbero aiutato.
E stavo lì, fermo, ad osservare una ragazza nei migliori dei suoi anni, marcire dentro. Strappata dalla sua innocenza. Uccisa da chi avrebbe dovuto amarla.
 
Il suo tamburellare era una contro-volontà a quello che le era accaduto.
Le era stato chiesto di non fare rumore e adesso lei non poteva fare a meno di esso.
   
 
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