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Autore: Krysna    30/08/2014    0 recensioni
"L'unica cosa che ho sempre voluto è stato far pubblicare qualche mio scritto. Non avrei mai immaginato che quel giorno ogni cosa in cui credevo, ogni connotazione scientifica a me nota sarebbe stata spazzata via. Perché i mutanti non esistono solo nei libri e nei film." Questo è ciò che pensa la mia protagonista, un'altra versione di me a cui ho dato vita, che si scontra con persone realmente esistenti, ma con le quali i fatti non sono mai accaduti, ne vorrei mai accadessero.
All'inizio la storia va come vuole, non sembra neanche seguire una trama. E' stato quello a spronarmi a continuare a scriverla.
Genere: Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era davvero insopportabile. Cazzarola, sarei svenuta se non mi fossi subito messa all'ombra. All'angolo della strada c'era un vecchietto che sproloquiava da solo. Mi fece un po' pena. Povero. Inforcai gli occhiali da sole e sussurrai "in marcia, cowboy". Mannaggia, certo che quel dannato libro mi stava proprio contagiando con le espressioni. Ciabattai velocemente sino all'ombra di un grande albero che si affacciava oltre la ringhiera del parco mezzo distrutto. Mi voltai. Il vecchietto aveva smesso di parlare. Ok no, era proprio sparito. Un attimo prima era lì, e quello dopo no. Scossi la testa. Il sole mi stava davvero dando alla testa. Fissai con sguardo di sfida l'insegna della società. Strinsi al petto la cartella con gli schizzi per la copertina che mi aveva fatto Silvia e la chiavetta USB con il mio racconto. Ok, forse era un po' più grande di un racconto. Era iniziato tutto con un suggerimento di Ivan su una trama. E poi avevo iniziato ad appassionarmi davvero a quella storia. I personaggi riuscivo a vederli, ed erano loro a parlare a me. Non ero io a definirne la personalità, era come se già esistessero e io mi stessi limitando a dare loro la vita. Krysna, con quel suo carattere schietto, gentile, che però a volte poteva essere letale. Enzo, con la sua confusione, con quella sua determinazione a rendere orgogliosi i genitori e a trovare a ogni vampiro un posto nel mondo. In realtà avevo impiegato davvero una vagonata di tempo a terminarlo. Dio santo, chi ha tempo di scrivere d'estate?
Sillabai ad alta voce la scritta sull'insegna. "Mondadori.." Dio, che ansia. E se lui avesse avuto ragione e fossi stata solo troppo presuntuosa da pensare di aver davvero fatto qualcosa di fantastico? Mannaggia, dovevo piantarla di farmi scoraggiare da quello stronzo. Che poi, perché ancora ci pensavo? Tutta la storia era stata un errore. Avevo sbagliato a innamorarmi, avevo sbagliato ad andarci a letto (anche se, ammettiamolo, quei fantastici pettorali sudati e contratti sopra di me erano una visione afrodisiaca) e avevo sbagliato a non lasciarlo subito quando l'avevo beccato a sbattersi quel cazzone di Luca. Altro che migliori amici. Quelli erano due cazzo di froci da anni, e tutti noi a non notarlo. Cioè, non che abbia nulla contro i gay. Ma Enrico.. Dio, non me lo sarei mai aspettata.
La piantai di rimuginare su quanto fosse insignificante la mia vita, mi sistemai la maglietta, quindi camminai (ok, forse mi misi a correre. Davvero, tra il sole e il nervoso mi stava andando il cervello in pappa) verso l'entrata e non mi fermai neanche ad ammirare l'intonaco dell'edificio che, come mi accorsi dopo, era di un confortante verde muschio. La sala d'aspetto era decisamente accogliente. Il verde era, tipo, ovunque. A parte le pareti, colorate di un verde brillante, sulla scrivania bianca della reception c'era un enorme vaso argentato, anche se dell'argento si vedeva poco, visto che era tutto coperto dalle foglie della pianta che scendevano a cascata. A fianco a ogni divanetto grigio c'era una pianta di fiori. Una mi sembrava di orchidee. Ok, macabro. Una donna alta, snella e bionda mi venne incontro sorridendo e mi fece cenno di seguirla,. Tremando, mi avviai dietro di lei. L'ufficio in cui mi condusse,  al piano di sopra, era tipo GRANDIOSO. Un'enorme vetrata occupava tutta la parete, così si poteva vedere tutto il quartiere. Ma che figata, fu il mio primo pensiero. L'uomo seduto alla scrivania doveva avere una cinquantina d'anni, più o meno.  La barba e i capelli candidi erano curatissimi, ed era molto elegante.  Ovviamente, non perse tempo. Mi chiese subito il documento, così gli diedi la chiavetta. Poi mi misi a mostrargli gli schizzi, e si complimentò per la cura dei dettagli. Non so spiegare perché,  ma ogni cosa era come se la stessi vivendo in terza persona.
"Cosa?" Merdaccia, mi ero persa ogni singola parola della sua domanda.
"Al telefono mi ha accennato la trama del suo manoscritto, ma non mi ha dato nessun titolo. Come si chiama?"
La domanda mi spiazzò. Ma quanto si può essere idioti? Non ci avevo pensato. Ecco. Non ci avevo pensato minimamente. Il direttore continuava a guardarmi con un sopracciglio bianco alzato e un'espressione interrogativa sicuramente meno evidente del mio panico. E poi eccola. L'illuminazione. Divina? Nah, improbabile.
"L'albero cavo" dissi tutto d'un fiato, così che probabilmente risultò "lalberocavo".
"Titolo interessante." Grazie a Dio, sembrava soddisfatto. Con un'unghia perfettamente limata si picchiettò il mento, il che fece aumentare ancora di più il mio nervosismo. Mi accorsi a stento che mi stava di nuovo parlando.
"Facciamo così, signorina. Leggerò il suo manoscritto per martedì prossimo e nel frattempo le invierò per email eventuali critiche o correzioni alle quali dovrà pensare." Mi allungò una mano, che strinsi con forza. Mannaggia se ero contenta!

Il ritorno sotto il cielo limpido e il sole scioccante fu.. terribile, non c'è un'altra parola per descriverlo. Appena i raggi cocenti mi colpirono mi mancò il fiato. Come diamine avrei fatto ad arrivare alla macchina? Annotai mentalmente di chiamare Ivan. E Manu. E Stefy. Ero DECISAMENTE al settimo cielo. Quindi corsi verso la mia Fiat Punto un po' ammaccata, stringendo istintivamente al petto la cartella con gli schizzi che poi mi ricordai aver lasciato nell'ufficio perché il direttore potesse considerare bene i disegni. E fu subito dopo quel pensiero che accadde. Il tanto di percorrere quella dozzina di metri e il cielo si era oscurato. Me ne accorsi solo perché un blocco bianco cadde sull'auto, sfracellandomi il parabrezza.
"Cazzo!" Il blocco di grandine era grande quanto la mia testa, se non di più. Guardai il cielo. Era nero. Premetto che a me i temporali sono sempre piaciuti, ho sempre trovato rilassante lo scroscio della pioggia e il rombo dei tuoni. Ma questo.. Dio, questo faceva paura. Intorno a me, altri blocchi di ghiaccio caddero, sfondando persino l'asfalto. Cercai freneticamente le chiavi in tasca ed entrai in macchina. Misi in moto, ma dallo specchietto retrovisore vidi che dietro l'auto c'era un uomo. Indossava quello che sembrava un impermeabile nero e lungo sino ai piedi. Rabbrividii. Questo era stranamente simile a quel film horror che avevo visto a dodici anni. Mannaggia, così però non potevo fare retromarcia per uscire dal parcheggio! Suonai il clacson un paio di volte, e lui fece una cosa così tanto da racconto fantasy che se non l'avessi vista non ci avrei mai creduto. Alzò le mani, i palmi rivolti verso di me, i pugni chiusi. Poi li aprì. L'onda d'urto mandò me e il mio catorcio a sbattere contro il palo dall'altra parte della strada. Cercai, mezzo soffocata dalla cintura di sicurezza, di liberarmi dell'airbag. Aprii lo sportello e mi catapultai fuori. Aveva iniziato a piovere. Pochi istanti, e mi ritrovai zuppa sino alle ossa. Ma non mi misi particolarmente a contemplare la pioggia. 
"Che cazzo fai? Sei impazzito!?" E con questi sfogo di maturità e intelligenza, corsi dalla parte opposta all'uomo. Ma era dietro di me. Dannazione, lo sentivo. Gli stivali che correvano sull'asfalto producevano un inquietante CIAK CIAK. Maledizione, ma non c'era nessuno in giro??? Entrai come una furia dentro a un bar, e mi rifugiai dentro il gabinetto, ignorando glì sguardi sconcertati del barista e delle persone all'interno. Mi guardai allo specchio. Il mascara si era sciolto e avevo i capelli in condizioni deplorevoli. Le urla fuori dalla porta del bagno mi fecero sobbalzare. Aprii la finestra del gabinetto e salii sul water. Maledetta la mia statura, mi dovetti mettere in punta di piedi e saltare per riuscire a puntellarmi coi gomiti sul davanzale. Ero quasi fuori, quando la porta venne sfondata. L'uomo mi afferrò un piede, e con l'altro cercai di calciargli la mano. Lanciai un urlo, più che altro di frustrazione, visto che aveva una presa davvero di ferro. Spinsi coi polsi sul davanzale e riuscii a issarmi sulle ginocchia. Si!! Ce l'avevo fatta. Saltai giù, sotto la pioggia, e schizzai via senza guardarmi indietro, verso l'autobus che si era appena fermato. Le portiere iniziarono a chiudersi.
"Aspetti!!"
Corsi più velocemente possibile, e riuscì con il braccio a tenerle aperte.
"Signorina, sono in ritardo di cinque minuti" mi disse l'autista, un uomo di mezza età con una calvizie in progressivo aumento.
"Si si, lo so, mi scusi." Mi voltai in direzione del bar, ma dell'uomo nessuna traccia. 
"Ehm, ha intenzione di sedersi?"
Mi riscossi dal mio imbabolamento e annuii all'autista. Avanzai fra i sedili rossi e blu, finché non trovai un posto libero. Sedersi fu una cosa fantastica.

   
 
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