Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: SellyLuna    30/08/2014    6 recensioni
«Sono arrivato» le fece notare.
A seguito di tale osservazione, confidando che fosse sufficiente come saluto, il giovane si accinse ad entrare nella sua proprietà, spingendo il cancelletto, un po’ smesso, di legno.
Sakura venne colta dal panico, era consapevole che la sua occasione stava sfumando sempre più passo dopo passo che Sasuke si avvicinava alla porta d’entrata e non poteva permettersi che ciò accadesse; si era ripromessa almeno di tentare, non voleva fallire così miseramente.
« Sasuke- kun, aspetta!» lo richiamò.
«Volevo invitarti, venerdì, a cena da me» soffiò fuori tutto d’un fiato.

[SasuSaku ♥]
[Partecipante al ‘Cosa vi assegnerà la sorte?’ indetto da Mokochan sul forum di efp.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
- Questa storia fa parte della serie 'È perfetto il mondo dentro agli occhi tuoi'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: SellyLuna
Titolo: Al di là del precipizio
Personaggi e Pairing: Sasuke, Sakura, Naruto, Shikamaru, Ino; SasuSaku
Genere: introspettivo, romantico, sentimentale
Rating: verde
Avvertimenti:Spoiler! (lieve); What if?
Introduzione: Siamo dopo la guerra, in un momento di pace, nel periodo in cui ogni Villaggio è riuscito a riprendere il proprio equilibrio e la propria quotidianità. Inevitabilmente, sbocciano tanti amori, ma non per tutti è così facile, non è sempre rose e fiori. Per Sasuke e Sakura fare il passo decisivo costa parecchio; continuano a vivere in bilico, non sanno – oppure non osano farlo – come definire il loro rapporto, vivono alla giornata e non cambiano nulla, si accontentano di quello che hanno per paura di perderlo e tutto resta così, incerto.
Ma ben presto ci sarà un evento che permetterà loro di smuoversi da quel punto di non ritorno, per andare oltre, per prendere, finalmente, in mano la loro vita e poterla affrontare insieme.   
Note dell'Autore: Eccomi al mio primo contest! Che emozione. :)
Ora passiamo alle cose serie, alle note doverose da fare.
Prima di tutto volevo avvisare voi, lettori, che la shot è un po’ lunghetta, ma spero possiate darle una possibilità, augurandomi che sia di vostro gradimento.
Spero, inoltre, che i personaggi non siano troppo OOC – in particolare Sasuke! – e, in caso, si notasse, mi auguro sia lieve, passabile e che non guasti la lettura. ;)
Un’ultimissima cosa prima di lasciarvi alla lettura, leggendo scoprirete, ad un certo punto, che si parla di cucina e io non sono propriamente esperta, soprattutto circa ricette orientali, per cui mi scuso in anticipo se gli estimatori di tale cucina trovino degli errori – sono del tutto involontari, non vorrei che ciò potesse infastidire. Mi sono basata su informazioni che ho ricavato in rete – eh sì, una piccola ricerca, ovviamente, andava fatta, con i mezzi disponibili – e, molto probabilmente, non rendono come un’esperienza di vita.
Consigli, notazioni, critiche sono sempre ben accetti.
E ora vi auguro una buona lettura! ^_^

 
 
 
 

Al di là del precipizio
 
 




Alle mie amiche, Marzia e Marianna,
per la  disponibilità, per i consigli
e per la pazienza.

Grazie, ragazze. Grazie di cuore.
 
 
 

Saltavano con agilità da un ramo all’altro a velocità sostenuta, nonostante fossero stanchi e provati dalla missione appena conclusa, e non vedevano l’ora di arrivare, finalmente, a casa; quest’ultimo pensiero li spronava ad accelerare ulteriormente.
Anche per Sasuke il villaggio della Foglia era tornato ad essere considerato la sua casa, il luogo dove aveva lasciato – e  solo da poco ritrovato – il cuore, e gli nasceva spontaneo un lieve sorriso all’immagine presentatasi alla sua mente di una maestosa e austera villa signorile, l’ombra di quello che era stata un tempo. E, se doveva dirla tutta, gli mancavano dormire su un soffice materasso e poter usufruire delle comodità che solo una casa può offrire, sebbene non avesse alcun genere di problema ad adattarsi alle circostanze e non si lamentasse mai, a differenza di quel dobe del suo compagno di viaggio, che non nascondeva affatto quello che non gli andasse a genio. Certo, le sue lamentele erano diminuite rispetto a quelle dei suoi dodici anni, tuttavia questo piccolo difetto non aveva abbandonato la sua persona. Così gli toccava ancora sorbirsi le sue chiacchiere nostalgiche che riguardavano il Ramen, il suo cibo preferito, perché nel villaggio in cui si trovavano non sapevano nemmeno cosa fosse o perché non era all’altezza di quello che cucinava Teuchi all’Ichiraku. E altre scemenze simili. Oppure, altre volte, attaccava con la solfa di quanto gli mancasse Hinata, sentire la sua flebile e celestiale voce, l’osservare il suo dolce sguardo, lo stare abbracciati su una panchina o il passeggiare mano nella mano come se fosse lontano da Konoha mesi o addirittura anni. Continuava il suo sproloquio considerando che sarebbe stato grandioso se anche lei fosse stata partecipe di quella loro missione e Sasuke, a tali parole, non poteva che storcere la bocca, infastidito.
Come credeva che sarebbe finita la loro mansione, se ci fosse stata anche la sua ragazza insieme a loro?
Non dubitava delle capacità di ninja della primogenita della casata principale degli Hyuuga, ciò che lo preoccupava di più era il fatto che Naruto dimenticasse le priorità e in una missione non era mai auspicabile che ciò accadesse.
E Naruto, benché fosse molto maturato dal ragazzino irritante che ricordava, tendeva a dimenticarsi – oppure sceglieva volontariamente di non seguire – le nozioni basilari delle arti degli Shinobi e, essendo imprevedibile già di suo, avrebbe potuto mandare all’aria il piano studiato nei minimi dettagli, a cui dovevano attenersi, per una folle idea lampo che gli era balzata all’ultimo momento in mente, credendola più efficace.
Per questo Sasuke aveva imparato a non abbassare mai la guardia quando nelle vicinanze si trovava «il miglior Hokage di tutti i tempi!», come amava definirsi lo stesso Uzumaki, ma – a dirla tutta – doveva ancora raggiungerlo, quel traguardo.
Continuava a proclamare la sua indiscutibile e certa ascesa al seggio di Capo del Villaggio da quando frequentavano l’Accademia e ne era ancora convinto; non era minimamente cambiato, il suo sogno era rimasto intatto e limpido, sapeva quello che voleva e si impegnava ogni giorno per ottenerlo,  per avvicinarsi sempre un po’ di più alla meta.
E lui? Non poteva dire lo stesso: nel corso degli anni i suoi obbiettivi erano mutati alla stessa velocità con la quale il camaleonte cambia il colore della pelle per mimetizzarsi con l’ambiente circostante per salvarsi dal pericolo. Però poteva confermare che anche lui aveva sempre avuto dei punti fermi di riferimento; non aveva dimenticato cosa significa la parola famiglia e tutte le sue decisioni successive erano state dettate dal fatto che aveva perso la sua, di famiglia.
Oltre a questo immenso dolore, l’ultimo e più straziante colpo al cuore era stato scoprire che Itachi, il suo amorevole nii- san, il suo idolo, fu l’artefice del massacro del loro intramontabile, temuto e glorioso clan.
Per anni aveva covato odio e vendetta nel suo piccolo cuoricino e il suo massimo obiettivo cui anelava era quello di uccidere colui che gli aveva rovinato la vita; tutti i suoi allenamenti erano serviti per migliorarlo al fine del suo scopo ultimo.
Per anni aveva vissuto pensando a quel momento, alla punizione che gli avrebbe inflitto, ma, in realtà, non aveva riflettuto sui sentimenti che avrebbe provato dopo aver compiuto la sua missione e  su cosa avrebbe potuto fare successivamente. Si sarebbe sentito svuotato oppure appagato? Quale sarebbe stato il suo prossimo fine?
La situazione, tuttavia, aveva preso pieghe inaspettate; Tobi gli aveva illustrato come si erano svolti, in realtà, i fatti: aveva appreso che la scelta di Itachi era stata estremamente difficile ed era stato niente di meno che un comando proveniente dalle alte sfere del governo del villaggio come unica e possibile soluzione al già complicato contesto che si era andato a creare tra gli Uchiha e il resto di Konoha.
Ancora una volta era stato animato da vendetta, ma questa volta l’aveva indirizzata tutta sul suo villaggio natio, in particolare sui tre anziani consiglieri.
Quella fase della sua vita, la ricordava come quella più nera e infelice, il dolore e l’ingiustizia provati l’avevano reso pazzo, folle, con l’unico scopo – per l’ennesima volta – di uccidere e, allo stesso tempo, di allontanare ulteriormente le uniche persone che gli avevano voluto bene, che lo avevano compreso, che lo avevano sopportato, quelle che poteva figurarsi come la sua nuova – e  un po’ anticonvenzionale – famiglia, perché nel team sette aveva respirato il calore di una famiglia, ma per paura di adagiarsi sulla bambagia e di perdere la determinazione aveva voluto distaccarsene, ferendo tutti loro.
Dopo la morte di Danzo, si era frapposta in mezzo la quarta grande guerra ninja e, dopo aver ascoltato la versione dei quattro illustri Hokage, Sasuke era ritornato sui suoi passi: aveva deciso di collaborare e di aiutare il mondo ninja contro la visione squilibrata di Obito e Madara.
Avevano avuto la meglio, nonostante l’ultima battaglia avesse dato loro del filo da torcere, e erano riusciti a sconfiggere Kaguya grazie alla stretta collaborazione dei due ex compagni di squadra, le due reincarnazioni dei figli dell’eremita delle Sei Vie di cui disponevano i medesimi poteri, concessi loro dallo stesso saggio eremita.
Combattendo nuovamente fianco a fianco, i due giovani ninja avevano avuto la possibilità di ricordare  e riportare a galla l’antico affiatamento che li aveva legati ai tempi della squadra sette.
Era stata una bella sensazione, familiare e ben accetta; non era certamente luogo e tempo adatti per una chiarificazione, a loro – come era sempre stato – bastava uno sguardo e pochi gesti per capirsi, per dirsi tutto quello che era necessario, per ritornare amici come un tempo. E Sasuke era grato a Naruto per questa sua capacità, per comprenderlo così bene e per non avere bisogno di troppe parole, diversamente da Sakura.
Non poteva negare che anche lei lo capisse e lo sostenesse, ma la ragazza aveva bisogno di sentire effettivamente come stavano realmente le cose, cosa pensava e cosa provava lui, perché lei non era mai stata certa di riuscire a coglierlo nel profondo; riteneva sempre di poter fraintendere i suoi atteggiamenti.
Presto avrebbe dovuto sostenere con lei un chiarimento, uno di quelli tosti, in cui si sarebbe messo a nudo e le avrebbe rivelato i suoi pensieri e tutte le spiegazioni che sapeva – che le doveva – e che lei si attendeva. Era dalla fine della guerra – ed erano passati mesi ormai – che cercava di evitare quel momento, ma era consapevole che non avrebbe potuto sfuggirgli per sempre; doveva prendersi le sue responsabilità e affrontare, una volta per tutte, questo gravoso compito.
Non sapeva ancora come esporle la sua versione e non riusciva nemmeno a figurarsi le reazioni della ragazza: gli avrebbe urlato contro tutto il suo disappunto? Avrebbe pianto e poi l’avrebbe lasciato solo come un cane, senza dare chiarimenti? Oppure lo avrebbe schiaffeggiato dalla rabbia?
Era tremendamente insicuro e questo lo portava a racimolare più tempo; non credeva più di conoscerla, Sakura avrebbe potuto stupirlo, comportandosi in modo differente dalle sue congetture e, in tal caso, lui come avrebbe potuto relazionarsi di fronte alla nuova incognita?
Erano, ormai, arrivati ai pressi della grande porta, la riuscivano a scorgere tra le fronde degli alberi. Decisero, di comune accordo, di scendere a terra e di fare gli ultimi metri camminando, come dei semplici viandanti.
Passo dopo passo, si avvicinavano sempre più alla meta e la sempre crescente vicinanza dava loro la possibilità di riconoscere due piccole figurette poste in piedi subito all’entrata del villaggio; una delle due aveva colpito in particolar modo il giovane Uchiha ed era quella che spiccava per l’accostamento di colori – rosa e rosso – che caratterizzava la kunoichi dagli occhi verdi.
Ovviamente l’altra era Hinata, gliene aveva dato conferma il repentino acceleramento di Naruto con il suo riconoscibile e chiassoso giubilo; non sarebbe rimasto stupito se le due ragazze l’avessero udito dalla loro postazione. 
Ad essere sincero, la vista di Sakura ad attenderlo per dargli il bentornato gli aveva fatto molto piacere e sentiva un’inaspettata voglia di affrettare il passo, tuttavia riuscì a mascherare questa sua intenzione, continuando a camminare con la stessa andatura, con sguardo annoiato e indifferente, come se non gli importasse che stessero per tornare a casa, ma in realtà, nel suo petto, sentiva il cuore iniziare a battere sempre più veloce e sentiva addosso una certa aspettativa, come se non vedesse l’ora che qualcosa di particolare e importante accadesse.
Naruto giunse prima di lui dalle ragazze e, non appena si accorse che il suo compagno era rimasto indietro, si voltò per incitarlo a darsi una mossa.
Ovviamente, per non accontentarlo, Sasuke non seguì affatto le sue direttive, anzi lo accarezzò il pensiero di rallentare per dispetto. Infine, decise di mantenere lo stesso ritmo per farli attendere, ma non esageratamente.
«Sasuke- kun, bentornato!» lo accolse con gentilezza Hinata. Sakura era al suo fianco, che gli sorrideva dolcemente.
 «Mh» ringraziò la Hyuuga, contrariato dal silenzioso assenso di Sakura. Si era aspettato che quelle parole di accoglienza sarebbero uscite dalla bocca della Haruno, ma lei restò in silenzio, osservandolo, impacciata.
«Che ne dite se andassimo tutti a mangiare una ciotola di Ramen?» domandò, allora, Naruto, percependo il malumore del suo ombroso compagno di team, per smorzare la latente tensione.
«Sarebbe un’ottima idea!» convenne la sua ragazza, per dargli man forte.
Sasuke mugugnò, contrariato, allora i due fidanzati volsero la loro attenzione, curiosi, a Sakura, che rifiutò prontamente e un po’ dispiaciuta l’invito.
«Bene, allora noi andiamo. Sapete, ho una certa fame» rise «Ci si vede! Ciao!» li salutò e, con un braccio sulle spalle della ragazza, si allontanò con Hinata.
Non appena Naruto li aveva lasciati soli, un silenzio imbarazzante e pesante li aveva avvolti.
Sasuke cercava gli occhi della ragazza, ma Sakura continuava a far saettare lo sguardo da un punto all’altro della zona.
Sasuke si stava innervosendo, non riusciva a comprendere il disagio della ragazza: era forse successo qualcosa, che non voleva condividere con lui, durante la sua assenza?
L’ex nukenin si stufò presto di quell’irritante gioco – era una persona poco paziente – e con un  «tsk!» risentito, si incamminò.
Con quell’esclamazione era convinto di aver avvertito Sakura di non seguirlo e di averle espresso tutto il suo fastidio.
Appena Sas’ke le voltò le spalle, Sakura spalancò gli occhi, sorpresa, chiedendosi cosa avesse capito e cosa avesse pensato; perché Sasuke Uchiha era molto intelligente, ma molto spesso faceva dei ragionamenti estremamente contorti, difficili da districare e semplificare per un comune mortale.
« Sasuke – kun, aspetta!» gli urlò dietro e, con uno scatto, lo raggiunse e continuò il cammino al suo fianco.
Sasuke non protestò, continuò lungo la sua strada, quasi noncurante che Sakura gli stesse camminando affianco, o forse era semplicemente rassegnato e avvezzo alla sua presenza.
Era diventata un’abitudine per la ragazza accompagnarlo per un tratto di strada e in quel lasso di tempo cercava sempre di intavolare un discorso con lui, ma quello che otteneva erano delle scarse  e coincise risposte; aveva imparato, col tempo, a farsele bastare.
Per diversi minuti camminarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, incuranti di cosa la gente potesse pensare di loro, del loro rapporto; non sapevano bene nemmeno loro come definirlo: erano compagni di squadra, amici, ma anche qualcosa di più, solo che non osavano darsi un’etichetta per paura che tutto svanisse; si trovavano su un precario equilibrio tra l’amicizia e l’amore e camminavano in punta di piedi cercando di non perdere l’onda per non cadere miseramente da una delle due parti.
Quando lasciarono il centro per immettersi in vie poco popolate, segno che si stavano avvicinando al quartiere disabitato del clan Uchiha, Sakura si era ormai rilassata ed era pronta a parlare con Sasuke, perché aveva bisogno di sentire la sua voce, di sapere come stava.
«Allora, come è andata la missione?»
« Bene » rispose l’interpellato. Laconico, come sempre.
Sakura si aspettava una replica così striminzita, quindi toccava a lei condurre il dialogo, cercando di fargli domande più dirette, ma non troppo, altrimenti lo avrebbero infastidito.
«E con Naruto? Come sei riuscito a sopportarlo in tutti questi giorni?» ritornò alla carica Sakura, cercando di invogliarlo a esprimersi.
Sasuke si fermò di botto e volse la testa in sua direzione per accertarsi che Sakura fosse seria e non lo stesse prendendo in giro.
L’espressione che vide formarsi sul suo viso fu di incomprensione, quindi si rassicurò; non era sua intenzione deriderlo, però non avrebbe mai capito questa sua necessità di parlare anche di cose così frivole.
Presupponeva che la kunoichi conoscesse la risposta alla domanda postagli, d’altronde aveva memoria delle missioni che avevano affrontato insieme, di quanto facesse del suo meglio per sopportare quella testa quadra di Naruto: era semplicemente troppo espansivo per i suoi gusti e, nonostante l’Uzumaki si considerasse suo fratello, non gli andava a genio la sua vivacità.
Appurata la serietà del quesito, ritornò sui suoi passi, senza soddisfare la curiosità della ragazza, che continuò ad affiancarlo, fattasi improvvisamente silenziosa.
Che si fosse offesa? Oppure stava pensando a come porre un nuovo interrogativo?
Sasuke iniziava a preoccuparsi del silenzio che proveniva dalla persona di Sakura; il suo istinto gli suggeriva che non era mai un buon segno quando una ragazza – in particolare un tipo chiacchierone come Sakura – non emettesse suono per diversi minuti, era presagio di guai e  anche molto grossi.
Ripercorse con la mente le sue precedenti azioni e non trovò nulla che avesse potuto turbarla; si rasserenò convincendosi di trovarsi nel giusto.
Tuttavia, quell’insolita quiete da parte di Sakura lo destabilizzò; la sua incertezza lo chiamò a prepararsi ad attendersi di tutto, ma, per non destare sospetti, non lasciò trasparire le sue insicurezze.
Intanto, Sakura si stava torturando le mani, mentre nella sua anima avveniva una feroce battaglia che vedeva schierati da una parte la sua timidezza e il buon senso e dall’altra il coraggio e l’ottimismo.
Rimembrò le parole di Ino, che le consigliava caldamente di osare, di crearsi delle opportunità, delle occasioni, cogliendo l’attimo.
Era facile per la sua migliore amica darle un tale consiglio, visto e considerato che il suo fidanzato non era un complessato ai massimi livelli come lo era Sasuke Uchiha e nessuno, a Konoha e in tutte le cinque terre, lo batteva in quel campo.
Non andava dimenticato che anche Sai aveva delle difficoltà relazionali, ma – a differenza del bel Uchiha – aveva la volontà di imparare e migliorarsi e, con un po’ d’aiuto, sarebbe arrivato a comportarsi come conveniva e, presto, si sarebbe lasciato alle spalle alcuni piccoli difetti.
A furia di riflettere, Sakura non si accorse, da subito, di aver raggiunto la destinazione; si arrestò in automatico imitando Sasuke, ma ritornò presente a se stessa e consapevole di dove si trovasse solo dopo qualche minuto e trovò Sasuke a osservarla interrogativo.
Si riprese e gli sorrise, forzandosi di trasmettergli calma, quella tranquillità che lei stessa stava cercando. 
«Sono arrivato» le fece notare.
A seguito di tale osservazione, confidando che fosse sufficiente come saluto, il giovane si accinse ad entrare nella sua proprietà, spingendo il cancelletto, un po’ smesso, di legno.
Sakura venne colta dal panico, era consapevole che la sua occasione stava sfumando sempre più passo dopo passo che Sasuke si avvicinava alla porta d’entrata e non poteva permettersi che ciò accadesse; si era ripromessa almeno di tentare, non voleva fallire così miseramente.
« Sasuke- kun, aspetta!» lo richiamò.
«Volevo invitarti, venerdì, a cena da me» soffiò fuori tutto d’un fiato.
Non appena si accorse di quello che aveva fatto, sbarrò gli occhi, esterrefatta, e con uno scatto si girò e prese la strada del ritorno, di corsa.
Mentre si allontanava di fretta, si diede della stupida: come aveva fatto a essere così insensibile nei suoi riguardi?
Sasuke era appena tornato da una missione che, per quanto semplice o complessa fosse stata, gli aveva rubato energie e, quindi, aveva bisogno di riposo e tranquillità, non di certo delle sue pressioni.
Sasuke si era fermato per sentire cos’altro aveva da dirgli Sakura e era rimasto stupito dal suo comportamento; se ne era andata senza ascoltare la sua replica, non che ne avesse una pronta, ma era sicuro che Sakura sarebbe rimasta fino a che non avesse proferito suono che potesse assomigliare a una risposta. Invece, l’aveva sorpreso di nuovo, lasciandolo, basito, con una mano ancora sul cancelletto.
Lo stupore era stato ben presto sostituito da un leggero senso di irritazione.
 
 
 
«Ino, è un disastro!» esclamò Sakura, sconsolata, mettendosi le mani fra i capelli.
Sospirò.
La sua amica stava impacchettando una combinazione floreale per una cliente, una signora sulla cinquantina dall’aspetto bonario e materno che, suo malgrado, si era ritrovata ad assistere alla crisi dell’Haruno.
Le riservò uno sguardo premuroso, per trasmetterle la sua vicinanza e la sua comprensione, cercando di esserle d’aiuto, come poteva, per alleviarle almeno un po’ quella sofferenza, perché aveva intuito che la sua afflizione era dipesa dall’amore.
«Ecco a lei!» disse Ino, mentre metteva i soldi in cassa e prendeva il resto da dare alla signora.
«Buona giornata!» la salutò successivamente.
«Buona giornata, a voi!» rispose al saluto, cordiale, la signora, prima di uscire dalla fioreria.
Dopo il suo catastrofico esordio, Sakura era rimasta in silenzio, in attesa che la sua amica si liberasse per parlare più sinceramente, e l’empatia mostrata dalla cliente l’aveva lasciata piacevolmente sorpresa a tal punto che la sua gioviale attenzione le aveva risollevato un po’ il morale.
«Dimmi. Raccontami di questo disastro» dichiarò Ino, mentre si girava in direzione dell’amica per concederle tutta la sua considerazione.
«Ho invitato Sasuke a cena, seguendo il tuo consiglio» iniziò a raccontare, allora, Sakura e Ino, a queste prime parole, era in procinto di commentare positivamente, ma l’amica non le diede il tempo perché continuò il suo racconto: «E poi sono scappata.»
«Tu, cosa? Perché?» le domandò la Yamanaka, incredula e confusa.
«Aspetta! Non dirmi che non hai sentito la risposta di Sasuke?» le chiese con tono di rimprovero, iniziando a capire il vero problema dell’amica.
«Già, è così» ammise, con voce flebile, Sakura.
Era sicura che da lì a poco se le sarebbe sentite dalla sua migliore amica; si sarebbe infervorata non poco, proprio perché le voleva bene – e non osava immaginare come si sarebbe comportata se non avessero avuti così stretti rapporti! – e la voleva vedere, finalmente, sistemata con l’intrattabile Sasuke Uchiha, come aveva sempre sognato Sakura.
«No, no e no. Sakura, così non va!» l’ammonì con tono fermo la kunoichi dai capelli biondi.
Non aveva messo in conto un’evenienza simile, le sembrava di essere stata chiara; Sakura non doveva far altro che seguire alla lettera le sue istruzioni, non aveva contemplato un fallimento del genere. Sapeva che, per la sua amica, non era facile invitare, con nonchalance, il ragazzo più ambito di tutta Konoha, ma confidava nel fatto che, conoscendosi da più tempo e essendo stati nello stesso team,  le avrebbe dato la giusta carica per fare questo passo decisivo.
Sakura aveva trovato la forza per domandarglielo, certo, ma aveva avuto paura di sentire un rifiuto.
Si sentiva in colpa da sola, non le faceva piacere che anche la sua amica rimarcasse sull’accaduto; era stata avventata e una sciocca, sarebbe dovuta rimanere per sapere come avrebbe reagito Sasuke. Ora, l’unica cosa che le restava era rodersi il fegato per un suo possibile assenso.
Abbassò la testa in segno di resa, come se avesse compreso che non c’era nient’altro da fare e da sperare.
A questa scena, Ino si intenerì e si raddolcì, le si avvicinò e l’abbracciò con affetto; spesso aveva dei modi un po’ bruschi e schietti, ma era pur sempre la sua migliore amica, quasi una sorella per Sakura e, da quando erano bambine, l’aveva sempre aiutata e non avrebbe smesso certamente ora; per lei ci sarebbe sempre stata.
«Tranquilla. Non è tutto perduto» le disse, convincente e in maniera consolatoria.
Le sue parole catturarono la curiosità di Sakura: cosa intendeva Ino? Aveva in mente qualcosa, aveva già architettato una soluzione?
«Cosa?»
«La cena è venerdì, giusto?» Sakura assentì. «E oggi è martedì. Direi che Sasuke ha tutto il tempo per prepararsi psicologicamente e, vedrai, venerdì, ci sarà» concluse sicura, facendole l’occhiolino.
«Quindi, tu mi stai dicendo di comportarmi come se mi avesse detto di sì?» le domandò, incredula, Sakura.
No, non poteva credere alle sue orecchie; era assurdo e poi ci avrebbe fatto la figura della sciocca se Sasuke, come molto probabilmente sarebbe accaduto, avesse fatto finta di niente, come se lei non gli avesse mai fatto una tale proposta e avesse lasciato correre sulla questione. Lei, Sakura Haruno, avrebbe sofferto di nuovo, per un’amara illusione infrantasi con uno schiocco ai suoi piedi e, ancora una volta, avrebbe dovuto rimettere insieme i pezzi di sé, ma non era così sicura di farcela, di ripartire come se niente fosse; non era riuscita a cucirsi intorno un guscio che la proteggesse dalle avversità, a differenza di Sasuke: lui sì che aveva eretto un muro invalicabile, inattaccabile. 
«Certamente!» il sorriso sincero di Ino avrebbe potuto indurla a pensarla alla stessa maniera, ma era troppo incerta, nella mente le affollavano numerosi dubbi e quesiti.
«Gli preparerai una cena con i fiocchi, ti farai bella per lui» pianificò la bionda «Sarà una splendida serata!»
Sakura non comprendeva da dove provenisse tutto quell’entusiasmo e quell’ottimismo: Ino era, forse, a conoscenza di informazioni top secret che le davano la certezza che tutto sarebbe andato nei migliori dei modi?
Si arrese e accettò le direttive dell’amica, promettendole che, questa volta, le avrebbe seguite senza ripensamenti; in fondo non le avrebbe fatto nessun male, avrebbe solo scoperto di aver sprecato ore di lavoro e un po’ della propria autostima per niente; non era sicuramente un problema per lei.
 
 
 
***
 
 
 
 
Era da due giorni che gli tornava in mente la domanda di Sakura e, con il pensiero, correva a ripercorrere quell’avvenimento. Era come se non riuscisse a darsi pace, forse perché Sakura, andandosene così, non gli aveva permesso di rifiutare quel suo invito e le dava la colpa per non avergli fatto vivere fino in fondo quel momento. Forse era per questo che si sentiva irrequieto, perché non era sicuro di come sarebbero andate le cose, se effettivamente le avrebbe rifilato un no secco oppure avrebbe tentennato e magari, alla fine, anche accettato.
E così si ritrovava a ripensare continuamente e a ripetizione a quell’istante, arrabbiandosi perché – come tutto nel loro rapporto – era rimasto sospeso e la cosa, a lungo andare, gli bruciava.
Decise di fare quattro passi per il centro; forse respirare un po’ d’aria lo avrebbe calmato e gli avrebbe fatto ritrovare la serenità perduta. Adorava da sempre camminare, lo aiutava a rilassarsi e a ben ponderare sulla propria situazione.
Non riusciva a capacitarsi del comportamento tenuto da Sakura nei suoi confronti: perché scappare in quel modo?
Perché nella loro relazione si finiva sempre con uno dei due che fuggiva dall’altro? Cos’era che li distanziava, li allontanava, come se non si capissero?
Tutto quel mistero lo infastidiva parecchio, ma non sapeva come fare per migliorare il loro rapporto. Oppure era timoroso, perché aveva paura di fallire, non essendo per niente esperto in materia.
Assorto com’era non sentì Naruto chiamarlo da lontano; si accorse di lui, solo quando gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, in modo amichevole.
«Ohi Sas’kè!»
«Mh?» domandò Sasuke, spaesato.
«Va tutto bene?» si informò Naruto, constatando l’espressione incerta dell’amico.
«Tsk!» gli rispose, stizzito, riprendendosi immediatamente dallo sconcerto e andando oltre.
Naruto lo osservò, basito e preoccupato; il suo amico non gliela raccontava giusta: c’era qualcosa che lo turbava, ne era sicuro e, in simili questioni, non sbagliava mai; conosceva troppo bene Sasuke per fare un simile errore di calcolo.
Quindi gli andò dietro con l’intenzione di indagare il suo stato d’animo e di farsi dire cosa lo preoccupasse, perché di riflesso, faceva impensierire pure lui.
«Allora Sas’ke: dimmi cosa non va» andò dritto al sodo.
Sasuke roteò gli occhi al cielo, infastidito; ci mancava solo la stressante compagnia di Naruto, mentre lui desiderava solo farsi due passi in tranquillità e in silenzio.
Perché aveva solo, lontanamente, ipotizzato che Naruto lo avrebbe lasciato stare, dopo che non avesse ottenuto l’informazione che voleva? A lui era parso efficace come metodo, il messaggio che voleva trasmettergli gli sembrava chiaro.
Ma si era, solo momentaneamente, scordato che Naruto Uzumaki era anche ben conosciuto per la sua cocciutaggine che lo spingeva a sbattere il naso contro tante porte chiuse da altrettante persone testarde, ma il giovane jinchuuriki lo era molto di più; quando si appuntava un obbiettivo, era difficile smuoverlo e convincerlo a desistere, doveva provare finché non fosse riuscito nel suo intento.
Lo ammirava per questa sua caparbietà, ma non gli era stata favorevole quando lui si era allontanato dal villaggio e Naruto tentava sempre di persuaderlo a tornare; non sopportava ricordare per questo non tollerava le sue premure, i suoi insulti e le sue promesse.
Doveva arrendersi all’evidenza: se non si fosse inventato una scusa, non si sarebbe liberato molto facilmente di lui; sapeva essere alquanto e fastidiosamente insistente.
Appurando che Sasuke non aveva alcuna voglia di collaborare, l’ex forza portante cercò di avvicinarsi da solo alla verità.
«Ho capito: cercherò di indovinare. Allora… » disse, pensoso, mentre portava una mano al mento con fare teatrale «la Nonna non ti ha più assegnato una missione?» 
Lo guardò esterrefatto: per quale motivo Tsunade non doveva più assegnargli una missione?
In fondo se la cavava, era molto in gamba.
«Ti dà fastidio che non si fidi di te oppure volevi già partire subito per un’altra missione e lei non ha acconsentito» continuò, intanto, nelle sue considerazioni il biondo.
Alla fine del suo ragionamento cercò lo sguardo di Sasuke per verificare la sua ipotesi: aveva toppato alla grande!
Naruto si immerse nei suoi pensieri e ciò comportò la calata di un inaspettato ma ben accetto silenzio, che Sasuke si godette con profonda contentezza.
Si erano inoltrati in un piccolo parco su una altura, da dove si aveva un’ampia vista di Konoha, solitamente era un posto tranquillo.
Si stupì di non sentire più il suo compagno di team ciarlare inutilmente, quel caso doveva averlo interessato a tal punto da farlo zittire. 
Non volle guastare quel momento di pace, arrovellandosi il cervello nel tentare di scoprire qualcosa circa la nuova capacità dell’Uzumaki – o forse l’aveva tenuta nascosta apposta? – invece preferì dirottare la sua attenzione all’ascolto dei suoni della natura.
«Ci sono!» esclamò Naruto ad un tratto, con un tono alto da spaventare gli uccellini posati sui rami degli alberi.
Quell’improvviso urlo aveva intaccato il suo stato di calma, portandolo in automatico in allerta, con tutti i sensi vigili e in tensione.
«C’entra Sakura- chan, non è così?»
Al nome della kunoichi, Sasuke si era irrigidito e questo aveva dato la conferma a Naruto di essere sulla strada giusta.
Tuttavia, Naruto non riusciva a immaginare cosa fosse andato storto tra i due suoi migliori amici. «Cosa hai fatto a Sakura?» gli chiese, poi, con tono duro, sospettando un suo sgarro nei confronti della giovane ninja medico.
«Cosa?» lo guardò, sorpreso.
Perché, accidenti, doveva essere sempre lui quello che sbagliava con lei? Perché ogni volta che si parlava di Sakura, Naruto prendeva, a priori, le sue difese, come se lei non ne fosse in grado da sola?
Naruto parve tranquillizzarsi, come se Sasuke, con quell’esclamazione indignata, l’avesse convinto della sua innocenza.
«Allora non capisco» scosse la testa, sconfitto. «Davvero, non capisco.»
Sasuke sospirò, per darsi forza per quello che gli avrebbe rivelato da lì a qualche secondo. Perché avesse preso quella decisione, non lo sapeva nemmeno lui, ma forse avrebbe potuto ricavarne qualcosa, forse gli sarebbe stato d’aiuto per il suo dilemma.
«Sakura mi ha invitato a cena» rivelò, con tono atono, Sasuke.
Gli occhi di Naruto si illuminarono dalla felicità, era curioso di sentire il proseguo della faccenda, ma ben presto dovette ricredersi, poiché Sasuke non sembrava disposto ad articolare altre parole.
«E…?» volle sapere Naruto.
«E cosa, scusa?» controbatté, seccato, il giovane Uchiha.
«Cosa le hai risposto?»
«Nulla» gli rispose, infine.
«Come nulla?»
 Naruto era incredulo. Come poteva non avere una risposta da dare a una ragazza che gli aveva appena dato appuntamento?
Lo preoccupava, perché dovevano vedersi solo loro due? Non gli era mai sembrato che avessero avuto dei problemi a conversare fra di loro, quando si incontravano per caso per le vie del villaggio.
Lo terrorizzava perché era il loro vero e primo appuntamento? Questo, probabilmente, era molto più plausibile e vicino alla realtà.
«Non mi ha lasciato il tempo di dire alcunché» gli spiegò, sempre più innervosito, l’altro. Dannazione a lui, sapeva che non amava parlare, soprattutto di questioni private e, ora, stava proprio cercando di tirargli fuori le parole di bocca; quanto lo detestava quando si comportava così! 
«Com’è possibile?» Naruto era sempre più curioso.
«Semplice. Se ne è andata prima che riuscissi a dire a.»
Naruto percepì, in queste ultime parole di Sasuke, tutta la sua stizza; Sakura aveva proprio avuto un gran bella faccia tosta per non aver dato la possibilità all’ultimo erede del clan Uchiha di ribattere.
Non riuscì a trattenere un risolino; era una situazione troppo buffa e vedere Sasuke irritato per una sciocchezza del genere era impagabile.
Tuttavia, la sua ilarità non sfuggì a Sasuke, che prontamente rivolse al suo coetaneo uno sguardo torvo.
Naruto non ci fece nemmeno caso da quanto era, ormai, abituato agli sguardi minacciosi dell’amico e continuò a camminargli di fianco, serenamente.
«Dov’è il problema?»  tornò ad asfissiarlo con le sue domande, un attimo dopo.
Chi aveva parlato di problema? Da dove era saltato fuori quel termine?
Ancora una volta, percependo la scarsa voglia di Sasuke di aiutarlo a fare il punto della questione, Naruto rinunciò alla possibilità di sentire chiaramente dal diretto interessato ciò che lo preoccupava.
«Non sai se andare o meno» buttò lì, con leggerezza, l’Uzumaki.
Sentirselo dire così chiaramente rimpiccioliva di molto le preoccupazioni che lo avevano assillato in quei due giorni.
Era stato davvero uno sciocco! Di cosa aveva paura? Era una semplice cena.
«Sai che ti dico? Dovresti accettare l’invito» gli stava, intanto, consigliando il suo amico.
Ci avrebbe scommesso tutto l’oro del mondo e la sua adorata Katana che Naruto sarebbe stato propenso ad accettare; se si parlava di cibo, lui non si tirava di certo indietro.
Tuttavia, per lui non era così facile, non era mai stato tipo di molta compagnia, non sapeva come relazionarsi con gli altri, cosa dire e come esprimerlo; era una totale frana.
Non era una decisione da prendere alla leggera. E se poi, in quell’occasione, Sakura avesse voluto chiarire le cose fra loro?
Non si sentiva ancora pronto per quel dialogo.
Naruto aveva fiutato l’indecisione di Sas’ke e chiamò rinforzi.
«Shikamaru, diglielo anche tu!» 
Naruto invocò l’aiuto del Nara, che se ne stava appisolato, con il viso rivolto al cielo, sul prato poco più in là.
«Che seccatura!» Con lentezza, si alzò e si avvicinò a loro.
Non era nei suoi programmi interferire con le questioni private dell’Uchiha, ma dato che era stato espressamente richiesto un suo parere, gli toccava dare un suo apporto alla causa.
In tutta sincerità, avrebbe preferito starsene sdraiato ad ammirare le forme delle nuvole in panciolle ancora un po’, senza nessun tipo di pressione, godendosi quella calma, che da lì a qualche giorno gli sarebbe venuta a mancare, poiché con l’arrivo di Temari a Konoha avrebbe dovuto essere più attivo per la sua fidanzata.
«Gli uomini sono artefici del proprio destino: possono commettere sempre gli stessi errori, possono fuggire costantemente da ciò che desiderano, e che magari la vita gli offre in modo generoso;» disse solennemente Shikamaru «oppure possono abbandonarsi al destino e lottare per i propri sogni accettando il fatto che si presentano sempre nel momento giusto.»*
Aveva riportato una considerazione che aveva letto in un libro e che lo aveva colpito per la sua saggezza. Lo scrittore doveva aver vissuto molte esperienze che lo avevano forgiato e reso un uomo forte e giusto, in grado di dare consigli ad altri che si trovavano davanti agli stessi bivi e agli stessi ostacoli.
Sasuke rimase colpito dalle parole di Shikamaru, poiché si era riconosciuto in esse, senza che il suo nome venisse citato; sembravano fatte appositamente per il suo caso.
L’allievo di Asuma gli aveva dato modo di riflettere: da quanto tempo stava fuggendo? Scappava da qualcosa che voleva, perché in fondo sapeva che Sakura rappresentava il suo futuro, era la donna giusta per lui, doveva solo rendere il suo desiderio reale e lui aveva le facoltà per farlo.
«Grazie» disse, rivolgendosi a Shikamaru, prima di ritornare in centro.
Naruto era confuso; non gli era chiaro cosa fosse successo in quegli ultimi istanti.
Che cosa aveva convinto Sasuke? Come aveva fatto Shikamaru, con quelle frasi contorte e astruse, a spingere Sasuke a dare una possibilità all’invito di Sakura?
Da parte sua, Shikamaru fece un cenno di saluto con la testa e poi ritornò ad accomodarsi sull’erba.
Naruto corse dietro a Sasuke, altrimenti rimaneva indietro, e riuscì a scorgere sul suo viso il principio di un sorriso: dunque Sasuke aveva tutte le buone intenzioni di esserci, alla famosa cena.
Se ne rallegrò; come avesse fatto Shikamaru Nara a convincerlo, per lui, rimaneva ancora un mistero, ma doveva proprio ringraziarlo per questo.
«Però non è giusto! Se te lo dice Shikamaru, allora gli dai ascolto, ma se te lo dico io, non conta niente!» si lagnò Naruto, mettendo su un finto broncio.
Non ascoltò le lamentele del giovane Uzumaki, tanto sapeva che erano fasulle, non appena avesse visto il chiosco di Ramen si sarebbe dimenticato di questa gravosa mancanza perpetuatagli.
Naruto era fatto così, non c’era nulla da fare.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Posò le buste sul tavolo in cucina. Si tolse i sandali che mise nella scarpiera all’ingresso, preferendo calzare delle comodissime ciabatte.
Ritornò in cucina e tirò fuori i vari prodotti dalle sporte per poi metterli in ordine.
Fortunatamente, Tsunade le aveva concesso il pomeriggio libero, così che poteva avere tutto il tempo per preparare una buona e decente cenetta per Sasuke-kun.
Da quando Ino l’aveva convinta a comportarsi come se avesse sentito la parola «sì» pronunciata dalle labbra dell’Uchiha, era sopraggiunto il problema di cosa preparare da mangiare che quantomeno piacesse al suo ospite.
Era entrata in panico, un po’ perché non conosceva così bene i gusti culinari del suo compagno di team e un po’ perché lei non era esattamente una cuoca esperta; sapeva imbastire qualcosa, ma quello che riusciva a fare era una parte molto esigua di quello che, abitualmente, si sarebbe aspettato da una efficiente donna di casa.
In altre occasioni sarebbe stata propensa e serena nello sperimentare e apprendere nuove tecniche di cucina, ma non quel giorno: era particolarmente tesa, perché avrebbe voluto fare una bella figura con Sasuke, nonostante le sue scarse conoscenze.
Anche mentre stava riponendo la spesa al suo posto, i dubbi l’assillarono: e se non fosse stata in grado di preparare da sola una cenetta per due? E se il menù scelto da lei non aggradasse per nulla il ragazzo? Cosa poteva inventarsi, in tal caso?
Espirò lentamente l’aria fuori per tranquillizzarsi; si convinse che era in grado di affrontare una tale situazione, lei ci avrebbe messo tutto l’impegno del mondo e, per il resto, sarebbe andata come avrebbe dovuto.
Più sicura, prese il libro che le aveva imprestato sua madre aprendolo alla pagina della ricetta prescelta.
Dopotutto non era completamente sola, aveva il libro con le istruzioni: cosa poteva andare storto?
Lesse gli ingredienti che le occorrevano e andò a ripescarli dalle mensole e dal frigo.
Rovistò nell’armadio degli utensili per poi decidere di usare due pentole: una per cuocere il riso per il sushi e l’altra per il riso degli onigiri; le posò entrambe sul piano cottura spento.
Si apprestò a lavare il riso per eliminare l’amido; era un’operazione delicata ma allo stesso tempo molto noiosa e snervante, in quanto i risciacqui occorrenti potevano variare di volta in volta: il segno che le dava la certezza che i chicchi non contenessero più il composto organico era data dalla ritrovata limpidezza e trasparenza dell’acqua.
Nella mezz’ora che il riso riposava a bagno, Sakura si preparò sul tavolo tutti gli ingredienti per preparare il sushi e gli onigiri, iniziando a tagliare l’alga nori a strisce, a preparare il pesce a filetti e a tagliare le verdure e la frutta.
Passata la mezz’ora, versò il riso con acqua nelle due pentole e iniziò la cottura.
Nel frattempo, in un pentolino a parte versò l’aceto di riso aggiungendovi in seguito lo zucchero e il sale, scaldò il tutto.
A fine cottura trasportò il riso nell’hangiri, un contenitore di legno apposito, e lo irrorò con la miscela di aceto.
Dopo aver raffreddato il riso, Sakura lo coprì con un canovaccio pulito. 
Dopo essersi lavata le mani nell’acqua contenente un pizzico d’aceto, preparò diversi nighiri, piccole polpettine di riso al cui interno in alcune infilò del salmone tagliato e nelle altre dei gamberi.
Poi fu il turno della preparazione dei Futomaki; prese la stuoina e la stese sul tavolo, sopra di essa adagiò  un foglio di alga nori seguita dal riso e al centro da filetti di pesce e da alcune listarelle di carote, di avocado e di mele.
Successivamente, con molta cautela, arrotolò la stuoina con il suo contenuto al fine di costituire il futomaki.
Una volta tolta la stuoina, tagliò il cilindro in rondelle e le dispose ordinatamente su un vassoio.
Completati i futomaki, si accinse a preparare gli uramaki, simili al futomaki con la differenza nella disposizione degli ingredienti: prima va messo il riso, seguito dal foglio di alga e a ruota dal pesce e dalle verdure scelte.
Anche per l’uramaki, si avvalse dell’aiuto della stuoina nel momento di arrotolarlo e, in seguito, costituì delle rondelle, che adagiò su un altro vassoio.
Infine, mancavano all’appello gli onigiri. La loro preparazione non le risultò complessa; doveva prendere in una mano il riso impostandolo a formare una polpetta, lasciare un solco al centro nel quale poi avrebbe aggiunto il riempimento che aveva scelto: in alcune tonno e in altre salmone. Infine doveva avvolgere intorno l’alga nori, quella tagliata a strisce.
Tra una polpettina e l’altra, era meglio lavarsi le mani nell’acqua contenente un minimo di aceto.
Nonostante la semplicità della ricetta, le richiese tuttavia del tempo e, probabilmente, ce ne mise anche di più, dato che era la prima volta che preparava queste specialità.
Durante tutte queste operazioni, la sua mente fu sgombra dalle insicurezze che, però, le ritornarono a fare visita subito dopo, quando si sentiva di essere a buon punto: le mancava solo preparare il pomodoro, ma per quello aveva scelto di tagliarlo un attimo prima dell’arrivo del suo ospite.
Guardò l’orologio appeso alla parete in cucina: segnava le quattro, aveva ancora due o tre ore prima dell’ora x e si convinse di usare quel tempo per prepararsi con calma. Per prima cosa, si sarebbe rilassata facendo un bel bagno caldo, che – si augurò – le avrebbe infuso tutte le energie per affrontare quella serata.
Al pensiero di tale prospettiva, si avviò più serena e decisa.
In quel lasso di tempo si ripromise di non farsi intaccare dalle incertezze che erano pronte dietro all’angolo ad assaltare la sua mente; riusciva a relegarle in un cantone, ma non aveva la forza di poterle scacciare del tutto.
Tutto sommato, passò un’oretta molto piacevole a mollo nell’acqua e, una volta uscita dalla vasca, si sentì rigenerata.
Si avvicinò allo specchio e rimirò l’immagine del suo viso fresco e puro, nel quale era difficile scorgere qualche preoccupazione, come se la ragazza non avesse avuto pensiero alcuno; ne rimase assai meravigliata.
Ma quell’istante di idillio durò ben poco; in un battibaleno nuove domande infestarono la sua mente e la gettarono nel panico.
Come doveva presentarsi agli occhi di Sasuke? Che vestito era meglio indicato per l’occasione?
Talmente presa da altri problemi più urgenti – primo fra tutti quello di trovare un menù – , non si era posta la questione dell’abito.
Non era mai stata incline ad indossare vestiti eleganti e diversi a seconda dell’occasione, in realtà Sakura non aveva nemmeno un’intensa vita mondana per cui poteva fare a meno della variabilità nel vestiario. Era una semplice ragazza che amava vestirsi comoda e sportiva, senza eccedere nella stravaganza, caratteristica che si addiceva di più alla sua amica bionda. Ino adorava agghindarsi con abiti di lusso e raffinati, lunghi, corti, scollati, smanicati, semplici o complessi, non faceva alcuna differenza; l’importante era che fossero alla moda e sapessero esaltare le sue forme e la sua bellezza.
Sicuramente Ino era ben più informata di lei per quanto concerneva abbigliamento e cosmetici, tuttavia Sakura non voleva chiederle ancora un suo consiglio, non le sembrava il caso e poi sapeva, per esperienza personale, che se avesse fatto venire la Yamanaka in suo soccorso, all’ora della cena sarebbero state ancora a parlare del suo armadio, o meglio Ino avrebbe commentato duramente ogni capo che si sarebbe trovata fra le mani, giungendo alla conclusione che la sua amica avrebbe avuto un urgentissimo bisogno di rifarsi il guardaroba, perché quell’obbrobrio che aveva davanti agli occhi era troppo medievale, antico e piatto per i suoi gusti.
Scacciata l’intenzione di chiedere aiuto a Ino, Sakura si fece forza e, con entrambe le mani, aprì le ante dell’armadio, tuffandosi fra i vari capi alla ricerca di quello giusto.
La maggior parte era costituita da abiti ordinari, quelli che prediligeva per la sua quotidianità, per la loro elasticità e aderenza, pratici se doveva correre, saltare tra i rami degli alberi o per altre circostanze d’emergenza.
Infine, i suoi occhi vennero catturati da un semplice vestitino rosso smanicato e i suoi occhi brillarono.
Doveva essere stato dimenticato e Sakura, pian piano, rimembrò il giorno in cui si era lasciata persuadere dalla parte del suo inconscio, che voleva vedersi bella e donna, all’acquisto.
Si era convinta che male non le avrebbe fatto e che, probabilmente, in futuro – in un futuro molto lontano – le sarebbe pure servito.
Al rientro a casa, lo aveva riposto nell’armadio, per poi cadere nell’oblio più assoluto.
Finalmente, era giunto il suo momento.
Lo prese in mano, ne saggiò la stoffa e rimase, pensierosa per un po’, con quell’abito tra le mani.
Infine, se lo distese davanti a sé, per cercare di immaginare come le sarebbe stato addosso. Si riscoprì curiosa ed eccitata di conoscere la risposta. 
 
 
Ammirandosi allo specchio godendosi quel momento, pensò che aveva fatto davvero bene quel giorno a comprare quel vestito: le stava d’incanto e non accadeva molto spesso di piacersi e di approvare con tanto entusiasmo la scelta fatta.
Dopo l’ennesima mezza giravolta, si decise a rovistare tra le sue scarpe per trovarne un paio che si potessero abbinare.
Non poteva stare semplicemente nelle sue comode ciabatte? Tanto sarebbero rimasti in casa, che differenza avrebbe fatto?
Subito le si pararono davanti agli occhi le immagini dei visi di sua madre e di Ino, corrucciati, le era parso addirittura di sentire le loro voci; era sicura che no, non avrebbero apprezzato la sua scorciatoia.
Così, con un piccolo sbuffo, ritornò alla ricerca, finché le sue mani non afferrarono un paio di scarpe classiche con i tacchi nere.
Se le infilò e constatò che non erano per nulla comode come i suoi stivali, ma come le ripetevano spesso «per bella apparire, bisogna un po’ soffrire», quindi, avrebbe sopportato il mal di piedi.
Il problema più grande era quello di riuscire a camminare decentemente senza cadere, anche se non avrebbe percorso chissà quali distanze, tuttavia non voleva fare una figuraccia.
Si tenne ai piedi le scarpe per collaudarle e per abituarsi, intanto camminava senza meta per la stanza.
Quando le era sembrato di essere un po’ più pratica e di riuscire a restare in equilibrio, finì di prepararsi. Era arrivato il momento della decisione più difficile di tutte: scegliere se truccarsi e come.
Si guardò allo specchio, ponderando sul da farsi. Non era un’esperta in questo campo, si truccava molto raramente e in modo molto leggero, quel poco che le desse un po’ di luce.
Ma con Sasuke sarebbe stato necessario incipriarsi il viso per sembrare più bella?
Si parlava dello stesso Sasuke che, per quel che ne sapeva lei, non sembrava avere un interesse particolare nel gentil sesso e soprattutto quello stesso Sasuke che l’aveva vista, ormai, in condizioni peggiori.
Non ne era pienamente convinta. Forse, avrebbe potuto mettere un po’ di mascara per dare l’illusione di avere ciglia più lunghe.
Mentre ancora stava riflettendo sulla questione mascara, buttò distrattamente un occhio sul rossetto.
Perché non avrebbe potuto rendere le sue labbra più invitanti con l’ausilio del rossetto? Chissà, magari era la volta buona che Sasuke si sarebbe accorto di lei e… Ma cosa andava a pensare? – scosse energicamente la testa – Sasuke non l’avrebbe mai baciata.
Abbandonate le sue dolci fantasie, si ridestò e, con vigore, si alzò dalla sedia, ricordandosi che aveva ancora da apparecchiare la tavola, altro che pensare al suo primo bacio con Sasuke.
 
 
 
***
 
 
 
Erano le sette, quando Sasuke si ritrovò, suo malgrado, davanti alla porta dell’appartamento di Sakura.
Quando aveva lasciato le confortanti quattro mura di casa, era sicuro che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che non c’era niente di cui preoccuparsi. Ma, ora, trovandosi a pochi metri da Sakura, pianificò una silenziosa e strategica ritirata.
Chi glielo aveva fatto fare di presentarsi?
Era tutta colpa di Naruto e di quel pigrone di un Nara. Ma anche sua – gli ricordò la vocina della coscienza – che si era lasciato coinvolgere.
Quando li avrebbe rivisti, gliela avrebbe fatta pagare con tanto di interessi, non sarebbero riusciti a scampare alla sua tremenda vendetta.
E ora? Semplicemente se la squagliava?
In tal caso non avrebbe più avvertito quella strana sensazione che gli rimestava lo stomaco, che iniziava a fargli sudare le mani – e lui non era tipo che soffriva di sudorazione.
Non aveva alcun dubbio sul fatto che quelle sensazioni lo avrebbero lasciato, ma era altrettanto consapevole che agendo in tale maniera ne avrebbe risentito: l’idea di girare sui tacchi e svignarsela lo infastidiva, si vergognava per aver solo concepito tale idea, perché si sentiva inadatto, proprio come doveva apparire ad un passante, in piedi davanti a quella porta, mentre la osservava, accigliato.
Sperò che nessuno passasse da quelle parti, altrimenti avrebbe dovuto lanciare contro al malcapitato un amaterasu per convincerlo al silenzio; non avrebbe mai sopportato che chicchessia sbandierasse ai quattro venti le sue inadeguatezze, poiché non poteva permettersi di macchiare oltremodo il nome del clan.
Non era assolutamente da Uchiha scappare come miserabili vigliacchi. 
Questa inconfutabile affermazione ebbe il potere di convincere Sasuke ad andare fino in fondo alla faccenda, dopotutto era giunto fin lì, quindi tanto valeva scoprire come sarebbe andata a finire, per non avere dei ripensamenti in futuro.
In fondo erano solo lui e Sakura; ringraziò il Cielo, poiché non doveva affrontare anche i suoi genitori, per quello – ne era certo – non era ancora pronto.
Con più sicurezza, bussò e attese.
Si affacciò alla sua mente l’immagine di una Sakura colta alla sprovvista e che correva, goffamente, alla porta; ne sorrise sotto i baffi, riscoprendosi di buon umore.
Pochi secondi dopo – che però gli parvero molti di più – vide la porta aprirsi, dal cui spiraglio illuminato spuntò il dolce viso di Sakura, sorridente.
«Sasuke – kun, benvenuto!» lo accolse la kunoichi.
Si sentì la gola secca, come se solo in quel momento si fosse reso conto in che guaio si era cacciato, come se si fosse avveduto di come Sakura non fosse più la ragazzina dei suoi ricordi, di quanto fosse cresciuta e fosse diventata donna e, in ultima analisi, gli si era presentata diversamente da come aveva immaginato un attimo prima, ma ordinata e composta, una degna padrona di casa.
Rimase sorpreso, quasi scioccato, dall’inaspettata rivelazione, Sasuke si sentì come se fosse stato colpito e attraversato da un fulmine, guardò la donna che si trovava davanti, senza proferire parola.
Ormai abituata ai suoi silenzi, Sakura lo invitò a entrare nella sua umile dimora e Sasuke non poté che assecondarla; ancora intontito la seguì, docilmente.
Lo condusse nella sua piccola ma luminosa sala, dove al centro troneggiava la tavola accuratamente apparecchiata, che aveva catturato l’attenzione del giovane ninja.
Si accomodò in attesa della prossima mossa della ragazza.
«Aspettami qui. Vado a prendere l’antipasto» lo informò, con una lieve incrinatura nella voce.
Mentre Sakura era in cucina, Sasuke si osservò intorno. Oltre a quella piccola tavola, vi erano un divano e due poltrone, posizionate intorno a un basso tavolino. Nell’angolo, in fondo, c’era la tv e vicina ad essa si trovava la libreria, composta maggiormente – ipotizzò Sasuke – da libri di medicina, la passione della ragazza. Alle sue spalle, infine, si erigeva un ampio armadio.
Scoprì come facesse quella sala ad essere così luminosa: di fianco alla libreria, dirimpetto al tavolo, si trovava una grande finestra e nella zona relax vi era una porta finestra, che dava su un piccolo poggiolo.
Sasuke si ritrovò a gradire l’atmosfera che si respirava nell’appartamento di Sakura: era come se solo, grazie alla sua presenza, la giovane avesse impresso di sé e di buono quegli ambienti; si sentiva a suo agio e, solo a se stesso, poteva ammettere che andarsene via da lì gli avrebbe procurato un po’ di dispiacere.
In quella casa, si respirava una sensazione totalmente diversa da quella che lo accoglieva tutti i giorni, non appena varcava le soglie del maniero Uchiha, così silenzioso e quasi senza vita, come se i fantasmi del suo doloroso passato avessero raggelato l’ambiente.
Era sicuro che sarebbe bastata la permanenza, di pochi giorni, di Sakura nella sua villa per trasformarla completamente.
I suoi pensieri vennero interrotti dal ritorno di Sakura con il citato antipasto.
Quando la ragazza posò il vassoio e Sasuke riconobbe cosa conteneva, la sua mente non poté che tornare, veloce, alla sua infanzia felice: a quando Mikoto – e la vedeva, in piedi, al posto di Sakura – sorridente annunciava di aver preparato gli onigiri, a Itachi che bonariamente lo chiamava «outouto» – quanto gli mancava la sua voce e quell’affettuoso appellativo! –, cercando di convincerlo ad aspettare ancora un po’ e infine allo sguardo serio e perentorio di Fugaku, che lo ammoniva a non allungare troppo presto la mano verso il piatto.
Anche in quel momento sentì animarlo la stessa impazienza, quell’irruenza, quel desiderio di mangiare i suoi adorati onigiri. Da che aveva memoria, andava pazzo per quelle piccole polpettine di riso.
Si domandò come facesse Sakura a saperlo o forse non ne era a conoscenza e la sua era stata tutta fortuna.
Non gliene importava più di tanto, in realtà; allungò la sua mano per afferrare una piccola polpetta di riso e poterla gustare, dopo tanti anni.
Se la portò alle labbra e la ingoiò tutt’intera, andò giù in un battito di ciglia, ma il suo nostalgico sapore si adagiò sulle sue papille gustative, per non abbandonarlo tanto facilmente.
Sorrise e, senza pensarci troppo, si riempì il piatto con altri onigiri.
Sakura aveva aspettato una qualsiasi mossa del compagno, prima di pensare al proprio stomaco. Era tesa, perché aveva una grande paura di aver sbagliato, ma non appena notò che Sasuke aveva gradito la sua scelta, distese i nervi e cercò di vivere quella serata con più serenità possibile.
«Quando sarà la  tua prossima missione?» gli chiese, tutto ad un tratto, lei.
Sasuke levò il suo volto dal piatto e la osservò attentamente, prima di rispondere.
Le sembrò che cercasse qualcosa nei suoi occhi, nel tratto del proprio viso. Allo sguardo indagatore del ninja, non si era abituata del tutto.
«Non ne ho idea. Sono tornato da poco» le concesse due frasi come risposta alla sua domanda.
E Sakura comprese che Sasuke non aveva ancora chiesto un’altra missione, perché voleva prendersi un po’ di tempo per riposarsi, per stare nel suo villaggio facendo quello che amava e, solo in seguito, avrebbe dato la propria disponibilità.
Abbassò la testa sul proprio piatto, pensosa e non del tutto soddisfatta.
Quell’innaturale silenzio iniziava a metterla a disagio, era avvezza alle chiacchiere riempitive – forse anche esagerate – di Naruto e quella calma le era così estranea.
Perché non poteva coesistere una via di mezzo? Perché lei doveva trovarsi in mezzo a due opposti?
Se l’era chiesto molte volte, ma non aveva ancora trovato una degna soluzione.
Si mise in bocca un onigiri, avrebbe potuto lasciar affogare tutti i suoi dispiaceri e i suoi problemi nel cibo.
Doveva complimentarsi con se stessa, quelle polpettine erano venute molto bene e avevano proprio un buon sapore. Se ne compiacque; con buona volontà sarebbe potuta migliorare.
Il silenzio tornò sovrano e Sakura non cercò più di infrangerlo, almeno per un po’ di tempo. Si concentrò, invece, sulla sua essenza, intangibile come un mantello invisibile, provando ad apprezzarlo e a farselo amico, un po’ come quando ci si abitua a un vestito o a delle scarpe nuovi.
Tutto sommato aveva ragione Sasuke: il silenzio non era così male, solo e soltanto se non durava troppo. Era giunta alla conclusione che poteva far bene, ma era importante che l’esistenza di una persona fosse piena anche di diversi rumori di differenti tonalità: basse, medie e alte.
Improvvisamente – almeno per Sasuke – Sakura si alzò e lasciò la sala, recandosi ancora una volta nella stessa direzione di prima, quindi Sasuke dedusse che la ragazza fosse diretta in cucina.
Così come se ne era andata, apparve un attimo dopo, portando un altro vassoio e una ciotola di vetro, che gli aveva posato vicino al piatto.
Sasuke focalizzò l’attenzione sul nuovo piatto e realizzò che conteneva dei pomodori tagliati; inspirò il loro profumo di fresco e, con uno sguardo di sottecchi a Sakura, prese olio e sale per condirli.
Ancora una volta Sakura aveva azzeccato in pieno: iniziava a credere che la kunoichi possedesse dei poteri particolari.
Si gustò l’ortaggio, mentre Sakura assaporava il sushi.
Sakura continuava a lanciargli delle occhiate furtive, per cercare di capire cosa pensasse della cena che gli aveva preparato.
Non era sicura di essere passata inosservata, aveva il brutto presentimento che Sasuke, nonostante fosse preso nella degustazione dei pomodori, avesse percepito su di sé i suoi sguardi ansiosi, ma anche se così fosse stato, non diede mai segni di averlo notato.
La tranquillità, che Sakura credeva di aver raggiunto, sfumò, non appena Sasuke si servì del sushi. Era in iperventilazione, iniziava a sudare freddo, ma non doveva collassare: quella era l’ultima prova, poi sarebbe stato liscio come l’olio, o almeno era quello che sperava e che continuava a dirsi per calmarsi.
Le capacità sensitive da ninja di Sasuke avevano captato l’ansia di Sakura che – aveva intuito – doveva provenire dal suo verdetto.
Una parte della sua mente definì tutta quella preoccupazione come esagerata e sciocca – insopportabile proprio come Sakura  –, mentre l’altra parte era intenta a registrare le sensazioni gustative che stava provando in quel momento.
Con calma – adorava far soffrire le sue vittime – mangiò il suo sushi e rimase piacevolmente sorpreso dalla bravura di Sakura, oltre ad aver azzeccato i suoi piatti preferiti – il sushi non rientrava fra questi ma non lo disdegnava – aveva cullato dolcemente le sue papille gustative; c’era il rischio che avrebbe potuto abituarsi troppo a questo.
Forse perché talmente preso dal momento, Sasuke non aveva ben quadrato tutte le mezze riflessioni – perché a ben vedere tutti i suoi pensieri andavano verso una sola, unica e incontrovertibile direzione – che aveva formulato quella sera e, se solo ne fosse stato pienamente consapevole, non si sarebbe trovato ancora lì, seduto a quel tavolo, a osservare attentamente quella strana ragazza dai capelli rosa.
Sakura osservava ogni sua azione, ogni più piccolo gesto e mutamento, alla ricerca della risposta che cercava.
Nonostante la sua voce non avesse proferito la domanda, era palese nei suoi occhi, nella sua postura: voleva sapere se al giovane fossero piaciuti i suoi piatti o meno.
Sasuke tergiversò ancora un po’ – e a ogni secondo che passava, vedeva i suoi begli occhi verdi farsi sempre più scuri per la disperazione – e infine decise di darle quello che voleva.
«Non male.»
Sakura espirò fuori tutta l’apprensione accumulatasi in un lieve sospiro di sollievo e tornò a sorridere, proprio come quando ritorna a risplendere il sole dopo la pioggia. 
Il sorriso della ragazza ebbe uno strano effetto sulla sua psiche, più lo guardava più sentiva il bisogno di ammirarlo, perché sentiva crescere un inaspettato tepore dentro di sé che lo faceva sentire bene.
Si scordò di controllare se Sakura avesse capito quello che veramente intendeva con la sua uscita: il suo «non male» era un comunissimo «buonissimo!» di una persona normale o detto alla Naruto e l’avrebbe pure esclamato, se avesse avuto un altro tipo di carattere, tuttavia la sua reale opinione traspariva dai suoi occhi, se si sapeva osservare attentamente – e sperò che Sakura riuscisse ad analizzarlo altrettanto bene come lui faceva con lei.
«Sono contenta che ti piaccia» ammise, infine, lei.
«Mh» questo fu il commento dell’Uchiha.
Sakura non se la prese, troppo felice di aver fatto un buon lavoro.
Si alzò e iniziò a sparecchiare, con il sorriso ancora sulle labbra.
E lui cosa doveva fare, ora? La aiutava oppure aspettava ancora a tavola? 
Quando Sakura ritornò per prendere le ultime cose rimaste, Sasuke si alzò a sua volta e si accinse a darle una mano, ma Sakura lo invitò a lasciar perdere, dopotutto lui era l’ospite.
Sasuke non se lo fece ripetere, nonostante non gli sembrasse particolarmente corretto.
Poco dopo Sakura lo raggiunse e quindi immaginò che avrebbe lavato i piatti dopo che lui se ne fosse andato, preferendo passare quegli ultimi istanti con lui.
Si ritrovarono nuovamente uno di fronte all’altra, in silenzio.
Che cosa sarebbe successo, adesso?
Sakura non aveva la minima idea di come accomiatarsi da Sasuke, lo osservava imbarazzata, come se attendesse un aiuto da parte sua.
A sua volta, il ninja ricambiava lo sguardo della ragazza, in attesa di un suo gesto.
«Beh, mi ha fatto piacere che, alla fine, tu sia venuto» ruppe il silenzio Sakura.
Era sincera, lo percepiva dalla semplicità delle sue parole e lo scorgeva, chiaramente, nei suoi occhi.
Sasuke non trovò da replicare, ma concentrò nuovamente il suo sguardo sulla figura di lei: quella ragazza che aveva due occhi grandi e verdi, capaci di ammaliare e incatenare uno sprovveduto – e lui non lo era affatto, nonostante sentisse un certo richiamo verso la loro lucentezza – , due labbra rosee e piene, che strette l’una all’altra richiamavano la sua attenzione più  e più volte, come se desiderassero essere assaggiate dalle proprie, quelle guance rosse che le davano l’aspetto di una ragazza innocente e carina, molto carina – immaginò di essere leggermente arrossito a tale pensiero. 
Si trovò, di nuovo, sull’orlo del precipizio, sapeva che doveva prendere una scelta, era consapevole che in quel momento la mossa saggia da compiere era una sola, quella che avrebbe sistemato tutto – o quasi – fra di loro, quella che avrebbe confermato una volta per tutte e senza ritorno quello che erano, preludio di una lunga e duratura storia di vita.
Era, ormai, finito il tempo dell’indecisione e, convinto, Sasuke fece la sua mossa: si avvicinò sempre di più alla ragazza e la baciò, semplicemente.
Sakura rimase, in un primo momento, interdetta ma poi accolse, di buon grado, il volere del ragazzo e fece sentire il suo contributo.
La mente della ragazza non poté non andare in camera sua, là, sul comodino dove aveva lasciato il rossetto. E pensare che non le era nemmeno servito; le sue labbra erano risultate allettanti, lo stesso, a Sasuke.
Probabilmente il bacio che si scambiarono non era da manuale, non era nemmeno il miglior bacio che si fosse mai visto, ma era il loro primo bacio e per loro sarebbe stato un ricordo importante, che avrebbero custodito per sempre.
Con il tempo, sarebbe arrivata anche l’esperienza.
«Scusa.»
Sakura gli lanciò uno sguardo interrogativo e anche un po’ dispiaciuto.
Non gli era piaciuto il bacio?
«Grazie» si corresse, allora Sasuke.
Grazie di amarmi, di aspettarmi, di volermi ancora, nonostante tutto.
Si accorse che lo sguardo della ragazza si faceva sempre più cupo; doveva rammentarsi che non aveva proprio un buon rapporto con quella parola, in particolar modo se la proferiva lui.
«Sei insopportabile» disse, scuotendo la testa.
Sakura rise.
Sasuke non avrebbe mai capito fino in fondo le donne, ma doveva ammettere che sentire nuovamente quella risata non gli sarebbe dispiaciuto poi molto, anzi gli dava un senso di casa e di famiglia.
Alla fine, Sasuke era riuscito a saltare oltre il precipizio.
 
 

 
 
*Citazione da Brida, Paulo Coelho
 
 
 
 
Ed eccoci alla fine. Scusate se vi rompo ancora un po’…
Ringrazio Mokochan per aver indetto questo contest, che mi ha dato l’opportunità di tornare a scrivere su Naruto. E mi mancava, davvero.
Beh grazie a chi ha letto, a chi vorrà lasciare un suo parere. ^^
Buona fortuna a tutti gli altri partecipanti! ;)
A presto! ;)
Selly
 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: SellyLuna