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Autore: Columbrina    31/08/2014    4 recensioni
[Tekken Tag Tournament 2]
Cosa è successo tra le varie accozzaglie di guerrieri, che si sono ritrovati a combattere insieme e stipulare temporanee tregue, durante il secondo torneo Tag sponsorizzato dalla Mishima Zaibatsu?
Vecchie e nuove glorie si affrontano nell'arena più calda di sempre per dilettare il pubblico e, magari, regolare qualche conto in sospeso.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Tag Team
 
Pubblico EFPiano e terrestre d’azione, come potete aver intuito, questa è una raccolta di drabble\one shot\riflessioni\storie di corta, media e lunga (?) lunghezza\flashfic\chipiùneha riguardanti eventuali rapporti o episodi che si sono sviluppati nel corso del secondo Torneo Tekken Tag. Quindi potremmo avere:
  • Smutandate tra parenti.
  • Friendzone – Amici o fidanzati?
  • Maratone di YouPorn prima di un match.
  • Ex che riappaiono.
  • Vecchie e nuove glorie.
  • Toni tristi, macabri e gai, a seconda del distorto punto di vista dell’autrice.
  • Triangoli che non avevamo considerato.
  • Istruzioni per l’uso, per figli disonorati e genitori maneschi.
  • Tante riunioni di famiglia.
  • Un efferato soldato russo appassionato di bambole robotiche (i Russi sono sempre anni luce avanti a noi).
  • Robot con teste\braccia\gambe\articolazioni che esplodono\si trasformano in motori a propulsione atomica\in seghe elettriche\razzi della NASA\macchinette per il caffè; marsupiali umanoidi; tronchi d’albero; animali in via d’estinzione che girano tranquillamente per la città e vanno nei parchi divertimento, con la scusa di indossare un costume.
  • Over – sessantenni che giocano al casinò.
  • Spoiler su un paio di cosette della saga Tekken, se siete neofiti o, per usare un termine sofisticato, niubbi.
  • Shipping all over the world.
  • Flashback strappacuore.
  • Tanti mal di testa per la scrittura contorta dell’autrice.
 
 
 
 
Jun\Kazuya – Emotionless passion
 
Quanti anni sono trascorsi dall’ultima volta che si sono visti?
Una ventina, forse, eppure Kazuya Mishima riusciva ancora a percepire un fremito, un battito emergere dall'oscura coltre di malvagità che copriva il suo cuore, come una coperta fatta di tenebre. Il suo demone pareva cadere addormentato, in balia di due tranquilli occhi neri, dalla forma di una piccola mandorla che poteva tenere tra due polpastrelli, e che infondevano una pace quasi umana a qualsiasi pensiero o bramosia di vendetta nei confronti del mondo intero. Un mondo che ha sempre visto con gli occhi dell’odio, poiché troppo ingiusto con un uomo che non ha fatto altro che cercare di liberarsi dalle debolezze di un bambino, spezzato troppo presto dalla sua infanzia.  
Anche quel bambino aveva gli occhi neri. In un giorno come gli altri, si è trovato a portare il fardello di una sete mai placata, lo scotto da pagare per essere uscito indenne dalla caduta nel burrone e che ha accettato, forse inconsapevolmente; fatto sta che tutto il sangue versato nel tentativo di rialzarsi, ha fatto da bozzolo alla nascita, nel suo iride destro, di una creatura e di un monito più eloquente di qualsiasi parola: “Chiunque si metterà sulla mia strada, verrà ucciso”.
Era questo il mantra di Kazuya Mishima che, se avesse potuto, avrebbe ucciso con le sue mani anche il suo adorato nonno paterno, se gli avesse messo i bastoni tra le ruote nel suo tentativo di uccidere Heihachi Mishima, di cui condivideva il sangue. Ma, in un giorno come gli altri, una donna come tante, con la fascia bianca tra i capelli e tranquilli occhi neri, è riuscito a smentirlo per la prima e ultima volta.
E, in un altro giorno come tanti, di un periodo molto più recente, il fato ha mischiato nuovamente le carte e li ha uniti, una seconda volta. Senza, però, compromessi fatti di carne, anime intrecciate e sudore.
“Kazuya Mishima…” annunciò l’esaltato annunciatore, una voce dell’arena, che mandò il pubblico in visibilio.
Un uomo dalle folte sopracciglia, che sembravano falci spioventi sugli occhi piccoli, simili a quelli di un felino adirato e dalla folta capigliatura scura, sedeva in una delle tribune d’onore, così come si confaceva ai temuti proprietari di una multinazionale. L’annuncio del suo nome pareva non averlo scosso più di tanto, al punto che rimase con le braccia conserte ed esalò un bofonchio quasi seccato.
In fondo, era l’ennesimo partecipante alla seconda edizione del Tekken Tag Tournament, che riuniva i veterani del famoso Pugno d’Acciaio, in un torneo a coppie sostanzialmente amichevole, che serviva solo da intrattenimento al volubile pubblico, mentre dietro le quinte già si ordivano gli espedienti del prossimo torneo.
“Chissà quale smidollato mi capiterà come compagno, questa volta…” si disse, tra sé e sé, mentre cercava di non pensare agli stupidi espedienti dell’annunciatore per stuzzicare la curiosità del pubblico e far salire a livelli significativi la suspense.
Conosceva, bene o male, il target medio dei combattenti che partecipavano al torneo e riteneva che nessuno di loro fosse al suo livello, quindi non aveva grandi aspettative; sapeva solo che la metà di loro voleva la sua testa, ma – avendola ancora attaccata al suo collo – sperava fosse uno dei suoi collaboratori, almeno si sarebbe risparmiato la fatica di fingere un minimo di civiltà dinanzi alla prospettiva di vittoria, più allettante di qualsiasi rivalità.
Tra ansie e speculazioni e, soprattutto, contrariamente a ogni aspettativa, l’annunciatore dette un buon motivo per mandare in visibilio il pubblico…
“E Jun Kazama!”.
Un fremito. Un insignificante, fugace tremore, simile a un battito d’ali, risvegliò tanti interrogativi in lui, che non ebbe modo di ascoltare per un rifiuto categorico della sua nuova umanità.
“Ah, questa sarà interessante”.
Nemmeno il rimarco velenoso di Anna Williams riuscì a distoglierlo dal suo perentorio dovere di scacciare le debolezze di quel ragazzino che non ha saputo rialzarsi con le proprie forze e che, per un attimo di cedimento ai richiami del cuore, ha sfiorato una seconda volta gli abissi dell’inferno per mano dello stesso, bastardo vecchiardo che l’ha messo al mondo.
A seguito dell’annuncio, Kazuya si ritirò, lasciandosi alle spalle il pubblico che applaudiva, gridava e reclamava a gran voce il proprio spettacolo. Non ebbe nessuna reazione.
 
 
 
Quella sera stessa, quando l’arena fu spoglia di quelle grida che echeggiavano in ogni angolo della stanza e quando fu soddisfatto della sessione d’allenamento notturna, lontano da occhi indiscreti, si diresse verso l’imponente portone, che dava sul lungo, spoglio corridoio, illuminato da luci soffuse di lampade a muro, fatto di grigio acciaio e un odore stantio, una mescolanza di etnie che lo impregnava di gloria, anche se Kazuya Mishima avvertiva solo un puzzo insopportabile.
Solo il tempo di fare qualche passo, che vide stagliarsi, a un paio di metri da lui, una figura snella, slanciata che emanava, nella sua piccolezza, una strana percezione che si insinuava, come una serpe, in lui, imponente come un toro in attesa di attaccare. Notò che indossava una tuta bianca, con sopra delle rondini nere che spiccavano il volo; uno scialle le copriva discretamente le spalle e lasciava scoperto solo quel piccolo lembo di collo, che soleva baciare tra gli impulsi di una passione che lo divorava anche più del suo demone, tra gli stralci soffusi delle lenzuola e della camera da letto dove si rifugiavano di nascosto, lontani da occhi indiscreti; anche quella volta, aveva una fascia bianca, che enfatizzava il nero dei suoi capelli, i quali le ricadevano appena sopra le spalle e che le conferivano un’aria più matura, da donna. Si guardarono negli occhi, per la prima volta dopo vent’anni, Kazuya Mishima e Jun Kazama e non si dissero assolutamente niente, negli istanti in cui la distanza poneva un invalicabile muro tra di loro, come se suggellasse la permanenza di una guerra fredda, nata spontaneamente senza che fosse stato preso un accordo tra le parti.
Nello stesso istante, dopo l’intreccio dei loro sguardi, ripresero a camminare; inevitabilmente l’uno di fronte all’altro, senza che nessuno guardasse un punto definito del vuoto corridoio grigio metallico. Nell’aria, avvertiva il respiro di Jun divenire sempre più corto, man mano che i passi macinavano la distanza e li avvicinava al punto di rottura del muro. O quantomeno, alla definizione delle condizioni delle due parti.
E, come due rette perpendicolari alla fine del loro cammino, furono costretti alla resa definitiva quando le loro braccia si sfiorarono, quando ognuno passò accanto all’altro e l’aria iniziò ad essere impregnata di una tensione quasi claustrofobica. Si fermarono quasi autonomamente quando furono l’uno di spalle all’altro, come se avessero tacitamente accordato che gli scambi di sguardi non erano così eloquenti come quelli tra le parole, che aspettavano di dirsi e di sentire da tanto tempo.
Jun rivolse leggermente la testa verso di lui, sperando di intravedere, con la coda dell’occhio, un minimo cenno da parte di Kazuya, che stava con le braccia conserte, il ghigno che gli attraversava in modo imperturbabile il volto e le sopracciglia appena più rilassate.
Ci fu un secondo momento di protagonismo da parte del silenzio teso, simile alla corda di un’arpa, che solo l’abissale, baritonale, lapidario tono di Kazuya riuscì a sfaldare senza dover ricorrere alle forbici.
“Credevo che fossi morta”.
L’affermazione sortì lo stesso effetto di un macigno che tocca il fondo degli abissi infernali, quanto era incisivo. Ma Jun non sorrise, né ebbe una significativa reazione; gli sembrò sufficiente rispondere, senza dover necessariamente esporsi oltre i confini del muro che si stagliava tra di loro.
“Tutti lo credevano. Anche io, a un certo punto. Ma sono qui, pronta a rimediare gli errori che ho commesso”.
“Se ti stai ancora illudendo di potermi salvare o di poter scongiurare il destino maledetto di questa famiglia, sappi che stai perdendo il tuo tempo e, forse, sarebbe stato meglio che Ogre ti avesse uccisa”.
A quell’ultima frase, sul volto pacifico di Jun nacque la bozza di quello che si direbbe un sorriso, di quelli che si fanno quando si guarda melanconicamente il mare alla fine dell’estate.
“Se volessi augurarmi di patire le peggiori sofferenze, desidereresti per me una vita lunga, in modo che possa assistere alla distruzione della razza umana e all’ascesa del demone, senza che possa fare qualcosa per salvare un mondo condannato alla dannazione”.
Esalò un bofonchio seccato, ben più distinto di quello precedente, non per la tracotanza che c’era nelle sue parole o nel modo in cui riusciva a raggirare qualunque situazione. No. C’era qualcosa in lei, che gli impediva di poter accedere oltre l’involucro umano di Jun Kazama. Quella sensazione gli era familiare ed ebbe la vaga impressione che, in lei, si fosse annidato qualcosa che aveva bisogno di un catalizzatore per poter venire fuori.
“Ad ogni modo, saresti impotente. Questa è la peggiore delle sofferenze, che tu sia viva o morta”.
I dolci, espressivi occhi neri di Jun si rabbuiarono, socchiudendosi in una melanconica meditazione delle parole di Kazuya e che creavano un insolito contrasto con il suo sorriso abbozzato, ma comunque visibile. Erano pieni di tutte le parole che non gli aveva detto in questi anni, così tante che sembrava fosse sul punto di piangere.
“Non potrò mai capire il dolore delle tue ferite, né comprendere te, forse, che combatti per ideali così vani. Io non potrò mai soffrire quanto te perché ho qualcosa per cui combattere”.
Un altro bofonchio da parte di Kazuya, anche se questa volta c’era un che di motteggiante, forse dovuto al buonismo ridondante della sua ex amante.
“E sentiamo, qual è?” chiese, seccato.
Jun lasciò che ci fosse un istante di silenzio prima di rispondere, come se volesse dare a Kazuya il tempo di preparare la sua mente e quel che era rimasto del suo cuore. O, forse, sperava che lui lo capisse da sé.
“Nostro figlio, Kazuya” fu la sua risposta, sussurrata a mezza voce, come se volesse che solo loro due (neanche le pareti di quel grigio claustrofobico) ne fossero a conoscenza.
E l’ego di Kazuya divenne un castello di carte al sussurro di quel vento pacifico, simile alla voce delle mattine di primavera, così poco invasivo, così debole… Ma, comunque, capace di distruggere.
Ebbe la tentazione di stampare il suo pugno nell’acciaio delle pareti e ci sarebbe riuscito, dato che dentro sé ribolliva un vulcano attivo: non poteva permettere che le sue forze crollassero, neanche quando a proferire il suo nome era Jun Kazama. Neanche quando definiva quel piccolo bastardo di Jin “nostro figlio”.
“Non sono suo padre. Mi ha disconosciuto anche prima che mettesse piede in questo lurido mondo” esordì lui, secco come una schioppettata.
Non riuscì, comunque, a turbare l’animo della donna che era cresciuta in lei, che si limitò ad annuire, imperturbabile, decidendo che la rassegnazione – almeno per la fine di questo torneo – fosse la scelta più coraggiosa e matura che potesse compiere. Del resto, Jun Kazama sapeva perfettamente che le madri sono tenaci: Jin era ancora vivo e questo era per lei fonte di grande sollievo, perché l’aveva addestrato bene e lui era forte, schivo, implacabile come tutti i Mishima. E, questo, lo sapeva anche Kazuya, in cuor suo.
“Beh? Non hai altro da dirmi?”.
Kazuya si insinuò nei suoi pensieri, come ridestandola da un malinconico sogno.
“Sono tante le domande che vorrei porti” rispose lei, senza dar segno di essere in qualche modo turbata, nonostante le parole le riempissero ancora gli occhi di rancore.
“Ti permetterò di farmene una” fece Kazuya, dall’alto della sua vittoria morale. Forse quel ghigno impenitente si sarebbe trasformato in un sorriso maligno, se Jun gli avesse dato il tempo di farlo o se gli avesse posto una domanda meno scomoda.
“Mi hai amata?” gli chiese, a bruciapelo, senza che si aspettasse di trovare risposta – come poté intuire dal lungo silenzio che discese tra loro, come la silente neve durante una notte d’inverno – e, infatti, le venne da sorridere come fosse quasi divertita nel sapere di averlo messo a disagio.
Lui, di contro, approfittò del lungo silenzio che seguì per esalare un ultimo, seccato bofonchio e lasciare dietro di sé solo il rumore pesante delle sue scarpe, che attraversavano l’ultima parte del corridoio, che gli sembrò un’umiliante camminata dal Purgatorio all’Inferno, con tutti gli invisibili occhi che pungevano su di lui; ebbe il coraggio di lasciargli solo l’avvertimento di farsi trovare pronta domattina presto per l’inizio degli allenamenti, prima di imboccare la strada per la sua stanza. Una volta a letto, ricorda che maledì Jun Kazama per averlo lasciato senza parole una seconda volta.
 
 
Kazuya Mishima e Jun Kazama passano il primo turno! Clamorosa sconfitta della coppia oversize Ganryu e Bob… I loro colpi non sono stati pesanti quanto la loro mole e ciò ha giocato un brutto scherzo. Kazuya e Jun passano al secondo round! Che spettacolo, ragazzi, che vittoria!
 
Non si fecero neanche le congratulazioni reciproche dopo la vittoria.
Kazuya non si preoccupò nemmeno che il livido violaceo sulla gamba di Jun – per un calcio ben assestato dell’obeso CiccioPizza -  fosse doverosamente medicato.
Lei, di contro, preferiva concentrarsi a seguire i combattimenti del figlio con la ragazzina cinese, infondendogli la forza materna con i suoi “Forza”, sussurrati al vento, fiduciosa che questo glieli avrebbe portati.  E lui era visto sempre a parlare in modo concitato con Anna Williams e Bruce Irvin, suoi stretti collaboratori e partecipanti al torneo, nonostante il poco coinvolgimento da parte di entrambe le parti.
Eppure, Jun non poteva fare a meno di sorridere nel pensare che solo lei aveva avuto di vedere la vera natura di Kazuya Mishima e ricordava, con un certo trasporto, quando attendeva pazientemente la sera, all’ora di andare a letto, perché lui passava sempre davanti alla sua porta; la apriva debolmente, solo per intravedere i suoi capelli corvini posati sul cuscino, rimanendo fermo e stoico sulla soglia della porta e poi se ne andava, tenendo sempre quel cipiglio severo, credendo che stesse dormendo.
Una mattina, dopo l’allenamento, ebbero una breve conversazione, iniziata nuovamente da Kazuya. Si avvicinò alla panca dove Jun stava cambiando la medicazione e la sua stoica imponenza la sovrastava di molte spanne, nonostante non sembrasse minimamente intimidita, né da quello né dal modo in cui i loro sguardi si incrociavano, cercando di far da catalizzatore per le parole.
“Un demone dell’inferno non può provare amore, Kazama”.
Jun annuì debolmente, con una durezza nello sguardo che non apparteneva alla dolce ragazzina conosciuta vent’anni fa, fiduciosa solo negli ideali in cui si ostinava fermamente a credere e non si sposavano, purtroppo, con la cruda realtà.
“Credo di capire cosa intendi” disse lei, lapidaria, senza lasciargli una spiegazione che potesse diradare il dubbio che si era annidato nella sua testa e che l’avrebbe tormentato fino alla fine del torneo. Senza dire niente, Jun si alzò dalla panca e, prima di andarsene, fece un gesto che Kazuya definì “enigmatico”: tolse la fascia bianca dai capelli e la tenne stretta tra le mani per tutto il tempo che lui riuscì a vedere la sua figura sfumare sempre di più, in un’eterea luce bianca proveniente dall’enorme finestra del corridoio che dava sui dormitori femminili.
Fu ancora più strano, scioccante ed enigmatico quando Kazuya trovò la fascia bianca di Jun Kazama adagiata ordinatamente, senza nessuna piega, sul cuscino della piazza sinistra del suo letto, dove soleva dormire lei quando non erano altro che semplici amanti. Era come se gli stesse dicendo che ogni traccia di quella ragazza di ventidue anni o meno, con i dolci occhi scuri e la camicetta bianca era sparita per sempre.

 
 
 
 
 
Note autrice\Postille\Chiacchiere fandomiche\Chiarimenti:
La prima volta che scrivo in vita mia su Jun Kazama e Kazuya Mishima, anche per il fatto che mi sono avvicinata ai due personaggi solo in anni piuttosto recenti e solo in anni piuttosto recenti, ha cominciato a intrigarmi l’ambiguo rapporto che intercorre tra loro.
Ora, penso sia chiaro che i due hanno fornicato come due conigli in calore, altrimenti non si spiega come sia uscito fuori il capellone Jin che è la sintesi assolutamente perfetta dei due, un cinquanta e cinquanta inequivocabile e la Namco mette pure il dito nella piaga nel Tekken Animation quando viene mostrato un piccolo Jin bimbetto, indifeso e caruccio praticamente uguale a Kazuya da bambino; inoltre, pare che lo stile di combattimento di Jin sia la mescolanza dello stile Kazama e quello Mishima… Quindi, voi bigotti di Wikipedia, Wikia, Tekkenpedia e mazzi vari, non venite a dire come abbia fatto Kazuya a “ingravidare misteriosamente” Jun Kazama perché, a meno che non crediate ancora ai cavoli e alla cicogna, è la cosa più ovvia del mondo intero! Riflessione più che necessaria perché mi viene sempre da ridere quando vado su Tekkenpedia, alla voce Kazuya Mishima’s Relationship e leggo, accanto al nome “Jun Kazama”, “Kazuya mysteriously impregnated her”.
Meritevole di una standing ovation – e di un paio di schiaffi a quelli della Namco – è l’interrogativo più che lecito: “Qual è la natura del rapporto tra Jun Kazama e Kazuya Mishima?”.
Risposta? Ancora nessuna.
Ci sono, però, degli indizi – canonici e non – che fanno presagire una genuinità dei sentimenti da parte di Kazuya (sì, perché in molti stentano a dubitare della buona fede di Mishima Junior in merito alla misteriosa impollinazione dell’innocente ragazzina) e, visto che non voglio lasciare troppe bocche asciutte, mi limiterò a riportare la parola con cui l’ha definita in Tekken 6:
MISTERIOSA.
E, intorno a questa parola, ruotano anni e anni di speculazione che, speriamo, possano essere chiariti nell’imminente Tekken 7.
Nella storia, ad ogni modo, ho cercato di mostrare l’ – apparente – impassibilità di Kazuya dinanzi al ritorno improvviso della sua ex e al modo in cui si approcciano l’un l’altro; non avendo definito ancora chiaramente la personalità della “nuova” Jun Kazama, mi sono limitata a riportarla come una donna materna e dolce, ma comunque forte, che non si lascia abbattere da nessun signor demone viola. Del resto, penso nessuna novità in proposito… Voglio dire, mi serviva solo una valvola di sfogo del mio represso amore per loro.
E non mettete in mezzo segretarie irlandesi provocanti e poliziotti cinesi.
Piccola curiosità, solo per evidenziare un momento la suggestività della colonna sonora di Tekken: la stesura è avvenuta ascoltando esclusivamente Moonlit Wilderness da Tekken Tag Tournament 2 (Tecnicamente, la track originale viene da Tekken 5, ma io preferisco il remix) e Emotionless Passion da Tekken 2, il theme di Kazuya, che viene considerato dai più il pezzo più riuscito dell’intero scomparto sonoro della saga.
Ho in mente di scrivere una seconda parte su loro due.
 
GET READY FOR THE NEXT CHAPTER, anche se non so ancora su chi incentrarlo…
Ma visto che lo fanno quasi tutti, se avete richieste\consigli\preferenze particolari, non esitate a chiedere.
   
 
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