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Autore: rufus7    31/08/2014    0 recensioni
La storia di una famiglia sgangherata, che nonostante le difficoltà, riesce a superare ogni dramma potendo contare gli uni sugli altri, così diversi fra loro ma vincolati da un profondo legame. La storia comincia con la nascita del piccolo Charlie, un nuovo membro nella allargata famiglia Evans.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GLI EVANS
02 - SEGRETI

 

Ognuno di noi ha dei segreti: possono essere innocenti, come un brutto voto a scuola non rivelato ai propri genitori, oppure essere così sconvolgenti da non poter essere rivelati a nessuno, come il tradimento del proprio compagno. Il tutto sta nel saper rivelarli solo a coloro che sappiamo non tradiranno mai la nostra fiducia senza spargere la voce. Il problema arriva nel momento in cui l'uomo, per sua natura, non riesce quasi mai a tenere un segreto per sé, soprattutto se è un Evans.

 

GINEVRA

La festa di benvenuto di Charlie era andata proprio come Ginevra aveva pianificato: il cibo era piaciuto molto, Theresa aveva ricevuto tantissimi regali per il piccolino e Jenna non era finita ubriaca a gironzolare nuda per la casa come alla festa dei suoi cinquantasette anni. Ormai erano passati tre giorni e la quotidianità aveva investito la famiglia Evans. Alle sette del mattino di quel diciotto settembre la donna si alzò dal suo letto, scese in cucina e preparò il caffé. Apparecchiò la tavola per Cornelia e Luke, si vestì comoda per affrontare un'altra mattinata al ristorante a fare l'inventario e a fare una revisione dei conti della stagione estiva appena terminata. Assunse la sua dose giornaliera di caffeina, montò in auto e si diresse all'Alex&Gin.

Arrivata a destinazione, estrasse le chiavi dal pantalone le chiavi ed aprì il gigante cancello nero in ferro battuto. Il suo ristorante era conosciuto in tutta la zona, non solo per il buon servizio o la cucina di alta qualità, ma per l'aspetto che lo contraddistingueva rispetto a tutti gli altri. Era una vecchia fattoria, circondata da un muro di cinta. Una volta aperto il cancello vi era il parcheggio per le auto, una volta adibito al pascolo degli animali. L'enorme distesa di ghiaia veniva poi interrotta dalla presenza di due enormi capannoni molto rustici, uno posto a destra e l'altro a sinistra, perfettamente uguali e simmetrici, divisi da un sentiero di piastrelle in marmo che portavano poi alla struttura vera e propria. Appena entrati si presentava un'enorme sala con tavoli ricoperti da una semplice tovaglia bianca e con sedie rinforzate dal velluto rosso, facendole spiccare notevolmente. Sulla destra una porta basculante che dava sulla cucina e in fondo all'enorme salone i servizi igienici.

Ginevra arrivò in cucina, aprì una porticina bianca sulla sinistra ed accese la luce. Eccolo lì, il suo regno. Sedia, computer, scrivania con una miriade di fogli e una calcolatrice. Non era molto grande, ma non le serviva altro. Si sedette li e cominciò a rovistare fra le varie scartoffie, mentre le sue dita correvano intrepide lungo la tastiera del computer, facendo comparire numeri e strani percentuali sullo schermo.

Nonostante il lavoro fosse un'attività che la soddisfaceva molto, non sempre riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto se aveva qualche preoccupazione di tipo familiare. Ed era proprio quello il caso. Nei giorni successivi allo scontro con la figlia, questa aveva cominciato a chiudersi leggermente e la situazione la stava spaventando parecchio. Non avevano parlato molto, se non della scelta di Cornelia di intraprendere gli studi di criminologia presso un college nelle vicinanze. Si fermò e sbuffò. Non aveva idea di cosa fare. Non sapeva se tentare di riaffrontare il discorso rischiando un ulteriore allontamanto della figlia o aspettare che fosse questa a parlargliene, conscia che avrebbe potuto anche non accadere. Prese il cellulare dalla tasca e digitò il numero di Michael.

 

MICHAEL

«Non sapevo fossi sposato! Potevi almeno dirmelo! Se l'avessi saputo io... Io... Ti avrei portato in un motel invece di casa mia» Concluse Michael con un tono ironico. Era seduto sul letto ed era tutta la mattinata che provava ad imbastire un discorso da fare a Jim, il marito del collega di Noah, meglio conosciuto come la belva bionda -non credo servano spiegazioni-. Shana sedeva sul parque, davanti a lui e lo fissava con i suoi due occhioni neri. Era un bulldog francese, bianco ma con macchie nere che avvolgevano entrambe le orecchie fino all'occhio, perfettamente simmetriche. Michael era solito usufruire della presenza silenziosa del suo cane per provare discorsi. Era pur sempre meglio del solito specchio in bagno.

Alla festa aveva parlato con la coppia come se niente fosse, continuando a scambiarsi sguardi imbarazzati con James. Il fatto che Tyler fosse così a suo agio era un chiaro segno del fatto che era completamente all'oscuro dell'infedeltà del suo compagno. Nei giorni seguenti l'idea di aver preso parte al tradimento di una persona così buona come Tyler lo stava tormentando. Il giovane era conoscio di non essere una persona molto timida nel momento in cui riceveva delle avance, ma non aveva mai tradito nessuno da parte sua e immaginare di essere l'amante di qualcuno non lo allettava molto. In compenso, James non si era fatto sentire, perciò la questione avrebbe potuto cadere nel dimenticatoio nel giro di qualche settimana.

Il cellulare squillò. Erano le otto di mattina, chi diamine avrebbe potuto chiamare a quell'ora? James? No, faceva la guardia notturna ad una gioielleria, difficilmente alle otto di mattina si sarebbe messo a chiamare qualcuno. Prese il telefono dal comodino e non appena lesse “Mamma”, alzò gli occhi al cielo e riluttante rispose.

«Sì?»

«Tesoro, spero di non averti disturbato! Stavi dormendo?» la voce dall'altro capo della linea era squillante come non mai.

«Nonostante sia il mio giorno libero, siano le otto di mattina e abbia passato la serata di ieri a sbronzarmi al compleanno di Barbra come tu ben sai... No, sono sveglio. Dimmi, mamma» Rispose arrendendosi all'idea di dover ascoltare la madre parlare per una buona mezzora.

«Volevo parlarti di Cornelia. La vedo strana da un po' di tempo a questa parte.»

«Si vede che le cose con Jas...» si interruppe, consapevole di averne appena combinata una delle sue.

«Jason?!? Jason?!?» La voce isterica della donna costrinse Michael ad allontanare leggermente il telefonino dall'orecchio.

«Io non ti ho detto niente!» Mettere le mani davanti, un modo come un altro per confermare la propria colpevolezza.

«Si vede ancora con Jason Logan? Ma quel ragazzo è così... stupido! Non ha nemmeno il diploma, si fa mantenere dalla nonna e crede ancora che io sia la nonna di Cornelia!»

«Lo so mamma, lo hai ripetuto a tutti, compresa tua figlia, un dieci, venti volte».

Jason Logan era un ragazzo di diciannove anni, trasferitosi da Seattle per “badare alla sua anziana nonna”, anche se tutti sapevano che era stato cacciato di casa perché non era riuscito a concludere nulla dalla sua vita. Non era un gran lavoratore, questo no, ma dal canto suo era un ragazzo molto dolce e comprensivo, qualità che avevano colpito la giovane Evans. Alla madre, però, non andava bene che la figlia frequentasse un buonannulla come lui.

«Ad ogni modo, io non ti ho detto nulla e non osare mettermi in mezzo! Non devi nominare il mio nome in un lasso di tempo pari a venti minuti prima e dopo aver affrontato la questione con lei!» Avvertì serio Michael. Shana lo guardava incuriosita.

«Ma sì, stai tranquillo! Mi chiedo perché non ti fidi di me!»

«C'è una miriade di motivi per cui non mi fido di te! Devo ricordarti di Dean McArthur? Ti avevo espressamente detto che non era ancora riuscito a fare coming out con la sua famiglia e tu che fai? La prima cosa che dici a sua madre al supermercato non è un “Ciao, Amanda!”, bensì un “sono così felice che Michael e Dean si siano messi assieme!”». Inutile dire che poi il povero Dean lasciò Michael e si trasferì a Boston cercando di iniziare una nuova vita, lontano dalla famiglia che lo aveva rifiutato. Ci teneva molto, Michael. Era una ferita ancora aperta, che bruciava soprattutto quando metteva su il cd di Celine Dion.

«...Ti avevo frainteso! In ogni caso, almeno adesso so perché si comporta così. Non voglio lasciarla sola con i suoi pensieri... Non di nuovo.» Il tono della donna si era fatto grave e preoccupato.

«Nessuno lo vuole, mamma» Confermò il figlio. Dopo altri minuti di chiacchiere su come andasse il lavoro di Michael -responsabile delle vendite di una casa editrice locale-, su quanto fosse fastidioso il vicino di casa che abitava al piano di sopra e di come Regina Poursen -una vecchia compagna di liceo della madre- fosse arrivata ad aprire un porno shop, i due si salutarono e Michael decise che quella mattina l'avrebbe sfruttata al meglio: jogging! Il suo fisico atletico d'altronde non si manteneva da solo. Imbragò per bene Shana e i due scesero dal condominio, pronti per un bell'allenamento.

 

CORNELIA

Erano le otto del mattino quando si alzò dal letto e scese a fare colazione. Sorrise nel vedere la tavola imbandita, preparata dalla madre prima di andare a lavoro. Si sedette e fece colazione, mangiando i biscotti fatti da lei il pomeriggio precedente. Erano buoni, se non fosse che necessitavano di un martello per poterli spezzare. I lunghi capelli neri erano legati in una cosa e gli occhi blu, seppur pieni di sonno, erano luminosi sul viso dai lineamenti dolci e dalla pelle chiara. Finì e lasciò la tavola apparecchiata per suo fratello Luke: si sarebbe alzato qualche ora dopo, come al suo solito.

Prese il cellulare e rilesse quel messaggio arrivatole la sera della festa: hey dove sei? Scosse la testa e risalì le scale, diretta in bagno. Si fece una doccia, si vestì e si truccò, pronta per incontrarsi con la sua amica Roxanne. Entrambe si erano iscritte a criminologia e quella mattina dovevano recarsi in segreteria del college per poter ultimare l'iscrizione. Uscì di casa con i capelli sciolti e ancora bagnati. Arrivò alla fermata dell'autobus e si sedette sulla panchina. Guardò l'orologio al polso e sospirò. L'autobus successivo sarebbe arrivato dopo dieci minuti.

Riaprì nuovamente quel messaggio e lo richiuse. Era un rituale che ormai si trascinava da tre giorni. Non sapeva cosa pensare. Roxie era l'unica a sapere del messaggio e anche lei non aveva alcuna interpretazione da offrirle. Fece scorrere le dita sullo schermo e chiamò Jason, il suo ragazzo. Non voleva raccontargli del messaggio, il solo sentire la sua voce la tranquillizzava e voleva tenere la mente lontana da quella ragazza che le aveva rovinato la vita l'anno precedente. Tutti sapevano cos'era accaduto, ma ormai era diventato un tabù: nessuno ne parlava o osava sfiorare l'argomento. D'altro canto si sa, se non se ne parla, il problema non esiste.

Il bus arrivò e Cornelia salì, ancora a telefono con Jason. Si sedette su uno dei posti davanti e il mezzo ripartì. Senza farci caso guardò nel grande specchio centrale, necessario all'autista per poter tenere d'occhio i passeggeri. Il suo fiato si spezzò. Gli occhi spalancati. Una ragazza con i capelli ricci e rossi sedeva in fondo, gli occhi fissi in quelli di Cornelia.

«E' qui...» si limitò a sussurrare al telefono.

 

NOAH

Quella mattina, come le tre precedenti, fu svegliato dal pianto viscerale di Charlie. Si alzò prima che potesse farlo Theresa e non appena lo prese dalla culla ai piedi del letto capì che necessitava un pannolino pulito. Quale modo migliore di iniziare la giornata? Cambiò il piccolino e dopo averlo cullato per qualche minuto lo riappoggiò nel suo lettino in miniatura. Theresa continuava a dormire. Uscì dalla camera e bussò alla porta subito alla sua destra e a quella frontale. Le camere di Rose e John. Percorse il corridoio e aprì la porta della cucina. La casa di Noah era strutturata molto semplicemente: una porta di ingresso che dava su un lungo corridoio, dal quale si affacciavano numerose porte. Imbandì il tavolo per la colazione e poco dopo Rose arrivò, seguita da John, versione zombie. I tre fecero colazione chiacchierando fra loro e dopo essersi preparati e vestiti, chi per la scuola chi per il lavoro, i tre uscirono di casa, lasciando Theresa e Charlie nel mondo dei sogni.

Arrivato a lavoro, Noah fece il giro dei suoi pazienti -era un cardiochirurgo- e in men che non si dica si ritrovò alla pausa pranzo. Andò alla mensa dell'ospedale e si sedette ad un tavolo in fondo alla sala, non volendo essere disturbato. Poco dopo arrivò un ragazzo di circa vent'anni e si sedette accanto a lui. Non gli disse molto, se non «eccoti».

Noah gli passò la banconota da cinquanta dollari, attento a non farsi scoprire da nessuno, e il ragazzo porse lui un calzino arrotolato. Il medico se lo infilò in tasca e il giovane tornò nelle cucine della mensa. Frugò in tasca e inghiottì una pasticca. Era depresso, lo facevano stare bene. Che male c'era nel tentare una via alternativa rispetto al dialogo familiare o agli inefficaci sonniferi che il suo collega gli aveva prescritto? Era una cosa che doveva risolvere da solo. Avrebbe potuto smettere quando lo avrebbe ritenuto opportuno. Nessuno doveva ficcare il naso nelle sue faccende. E' quello che viene comunemente chiamato “scheletro nell'armadio”: se nessun curioso apre le ante, chi saprà mai che orrore si nasconde dentro?

 

LUKE

Si era svegliato tardi quella mattina, considerando che aveva un colloquio col signor Moore per un posto da commesso nello storico negozio di strumenti musicali “Moore Music”. Ingurgitò qualche biscotto duro come l'asfalto, sparecchiò, si preparò in fretta e furia e salì sul suo scooter. Arrivò davanti al negozio, ma la seranda era abbassata per metà. Controllò l'orario sul cellulare e notò di essere addirittura cinque minuti in ritardo: avevano appuntamento alle 9:30. Si abbassò ed entrò nel negozio. Pianoforti, trombe, violini, flauti, tamburi e qualsiasi altro strumento esistente erano in quell'enorme stanzone. Pareti piene di libri di musica e il soffitto decorato con le foto dei più celebri cantanti d'opera. Si addentrò nel locale e chiamò.

«Ehilà? Signor Moore?» La voce rimbombava nel silenzio tombale del negozio. Si fece avanti e giunse al bancone di mogano. Si appoggiò e aspettò. Sentì poi un rumore strano provenire dalla porta dietro la cassa. Che qualcuno stesse malmenando quel povero signore? Senza pensarci due volte aprì la porta e sgranò gli occhi.

Il vecchio di settant'anni, magro più di qualsiasi essere vivente sulla terra, si stava intrattenendo amichevolemente con la signora Durst, una donna decisamente sovrappeso di cinquantanni che lavorava da una vita nel negozio. Non sapendo se rimanere più sorpreso per l'accoppiata improbabile o per il fatto che la famiglia Moore era una delle più conosciute in zona e con una buona reputazione, chiuse la porta e prese la via dell'uscita.

Il signor Moore la riaprì, coprendosi con quello che doveva essere il reggiseno della sua “amica”.

«Luke! Ti prego! Tu non hai visto niente! Il lavoro è tuo! Ti prego, non farlo sapere in giro!» La risatina acuta della signora Durst nel retrobottega rendeva la situazione quasi comica.

Poco dopo Luke tornò a casa con l'orrenda scena ancora in testa e con un nuovo stipendio nella tasca.

 

La giornata trascorse in fretta e l'ora di cena arrivò in men che non si dica. Ginevra sedeva a capotavola, Luke alla sua sinistra e Cornelia alla sua destra. Il silenzio era tombale, ma c'era da aspettarselo: ognuno di loro aveva dei pensieri che li turbavano. D'un tratto suonò il campanello e Ginevra andò ad aprire: suo figlio Michael.

«Scusa per l'ora, ma hai mica la cassetta degli attrezzi? Shana ha dato il suo meglio sulla poltrona e voglio vedere se riesco a rimetterla in piedi» Disse entrando, senza aspettare un “accomodati” da parte di sua mamma. Arrivato nella sala da pranzo, la stessa dove si era tenuta la festa il giorno prima, salutò i suoi fratelli e cominciò a frugare nei vari cassetti della cucina.

«Ginevra, adesso che anche tuo fratello è qui, vorrei che mi parlarsi dei tuoi problemi di Jason» esordì la madre ancora in piedi.

«Mamma!» Urlò Michael risorgendo dalla sua ricerca di quella dannata cassetta degli attrezzi che sembrava svanita nel nulla. Cornelia iniziò a tossire a causa del boccone che le era andato di traverso. Dopo che il fratello Luke la aiutò con sonori colpi sulla schiena, la ragazza si alzò in piedi e guardò il fratello in maniera torva.

«Avrei dovuto immaginare che una pettegola come te avrebbe spiattellato tutto a lei!»

«Ma non l'ho fatto a posta! Lei aveva paura che stessi di nuovo escludendo tutti» Michael si interruppe, lasciando capire alla sorella a cosa si riferisse.

«Mamma, per l'amor del cielo, con Jason va tutto bene!» Sbottò la figlia facendo per uscire dalla stanza.

«E allora perchè mi stai tagliando fuori un'altra volta?» Le parole giunsero a Cornelia come proiettili e si fermò sotto l'arco che collegava la stanza all'atrio.

Si voltò lentamente e disse «Ginger è tornata, mamma». Il gelo calò nella stanza e l'unico suono che si sentì fu quello dei passi di Ginevra che andò ad abbracciare Cornelia, la quale scoppiò silenziosamente a piangere.

 

Ognuno di noi ha dei segreti e tutti scelgono cosa farne. C'è chi li sfrutta a proprio vantaggio per ottenere quel lavoro che tanto gli serviva, chi li rivela senza cattiveria ma che finisce per scoprire verità più grandi di lui, chi se li tiene stretti per paura che la propria moglie scopra cosa sta accadendo, chi tenta di nasconderli ma non ne ha la forza necessaria e chi se ne fa carico costantemente, aiutando i propri figli in difficoltà.

   
 
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