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Autore: LaMicheCoria    31/08/2014    0 recensioni
«Non so come funzioni il sistema di notizie nell’Ade, Capitano, ma si dà il caso che io mi sia spezzato la schiena pur di venire a tirarti fuori da questo piattume greco e tu…»
«Io sono morto, Tony. I morti devono rimanere coi morti. Noi non apparteniamo alla vita. Noi apparteniamo all’Ade. Non abbiamo più passato, non c’è concesso futuro. Possediamo solo il presente. E il presente è nell’Ade. Insieme ai morti. Noi non apparteniamo alla vita. I morti devono rimanere coi morti. Io sono morto, Tony.»

Per ordine di Giove, Atropo recide il Filo della Vita di Steve Rogers. Un sacrificio necessario per riportare l'Equilibrio nell'esistenza dei mortali, perchè è giunto il momento che il Destino di Capitan America finalmente si compia.
Ma forse non tutto è così semplice e se Temi, la Giustizia Divina, non interviene più nelle vicende degli uomini, sarà il Caso a far sì che l'inganno -Se esiste, venga svelato.
Per riportare indietro il loro compagno i Vendicatori si spingeranno fino alla bocca dell'Ade -E anche oltre.
[Steve/Tony] [Clint/Coulson] [Bruce/Natasha] [Thor/Jane - Amora/Thor] [ CONCLUSA ]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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cmdep.

Un tremito lo colse e il freddo delle lastre sotto i piedi nudi dissipò ogni mormorio nella testa e tra le tempie.
Bruce scosse il capo, si piantò i palmi sopra le orecchie, li pressò al punto di avvertire il battito iroso del cuore contro lo zigomo, la mascella, le orbite, la fronte.
Digrignò i denti, macchiò gengive e lingua e palato di sangue metallico, allargò le narici, ingoiò una poderosa sorsata d’ossigeno e contò i rigagnoli lividi e i ritorcimenti rossastri che s’agitavano dietro le palpebre serrate.
Le vertigini bubbolarono alla bocca dello stomaco, l’Altro gli afferrò con presa bestiale le viscere, gli intestini, ne fece un nodo, batté un pugno sullo sterno, frantumò le costole tra le nocche, si spinse sulle vertebre e si lanciò di petto fino alla gola.
Banner, facendo appello alla nausea e al gelo infernale che gli mordeva ogni tratto di pelle nuda, deglutì Hulk e le sue proteste, i suoi ringhi e latrati; si sostenne il volto con una mano, le ginocchia si piegarono fino a toccare terra e le rotule gemettero per il dolore. I nervi emisero un versetto indignato, il dolore ruscellò nelle vene e contrasse i muscoli in uno spasimo rantolante.
La voce che aveva udito, il canto nebbioso di sirena che aveva trasformato i compagni in un nugolo grottesco di animali e nemici e avversarie Hulk, spacca! non era più d’un ricordo blasfemo, un’impronta di peccato che i secondi e gli istanti e i minuti contribuivano a cancellare, onda dopo onda, respiro dopo respiro.
Riprendendo di nuovo una boccata d’aria, Bruce si permise d’aprire gli occhi e il lucore fiammeggiante dei bracieri lo accecò.
Conficcò le dita nelle orbite, si chiuse nelle spalle e incurvò la schiena, un rivolo di sudore appiccicò catrame e lerciume sul cranio palpitante. Annaspò in cerca di nuovo fiato, scrollò la testa come mulo recalcitrante, quindi sollevò mollemente il collo, osservando, frugando l’intorno tra gli spazi tremuli delle falangi.
C’era Thor, poco più avanti, col corpo di una donna stretto tra le braccia: non poteva vedere completamente il viso del Dio, giacché lo teneva nascosto nell’incavo della spalla di lei, lo celava dietro la sua guancia bella e cadaverica, oltre il viso abbandonato ad un sopore più tremendo del sonno.
Loki guardava la scena con alterigia al limite dello sprezzante –Forse troppo, troppo sprezzante, una caricatura per deviare gli occhi e i sospetti altrui-, mentre i due efebi col balteo gli serravano uno la spalla sinistra, l’altro il braccio destro. Tony aveva gli occhi puntati nella figura mastodontica di Persefone e Steve aveva abbassato il capo, l’aveva spostato appena di lato e chiuso le palpebre.
E Natasha…Natasha?
Il cuore affondò nel petto.
Vedova Nera giaceva distesa tra frammenti di intonaco, i capelli scarlatti insozzati da polveri e lacrime di affresco; un braccio allungato in maniera innaturale dinanzi al volto, il bacino ruotato e sollevato, una gamba ripiegata sotto il ventre, se respirasse o meno il dottore non avrebbe saputo dirlo.
Banner si levò faticosamente in piedi, traballò e quasi cadde, ma una forza innominata –Insapettata- gli rese le gambe più salde, innalzò la colonna, gli fece bruciare nuova vita nel petto. E mentre procedeva a passi incerti verso la donna, capì che era Hulk, che era l’Altro, a sospingerlo verso di lei: il mostro non avrebbe mai chiesto aiuto, non lo avrebbe mai fatto, soprattutto a lui, eppure in quel momento gli stava consegnando le ultime briciole di potere e vigore che ancora possedeva e avrebbe potuto usare per riprendere il controllo. Gliele passava, sì, gliele donava per raggiungere ed arrivare indenne a Natasha, per salvare l’unica persona, l’unico essere umano per cui valesse la pena vivere, anche se rinchiuso nel corpo rachitico, debole e patetico dell’omuncolo di Dayton.
«Natasha…» mormorò Bruce, crollandole accanto, le braccia allungate, tese a sfiorare a punta di dita la curva inerte della schiena. «Natasha, ti prego…»
Un tremito percorse la spina dorsale della donna.
Vedova Nera spalancò gli occhi pallidi di terrore e si ritrasse, vomitò un gemito dalla bocca macchiata di sangue.
«Natasha» ripetè «Natasha, sono io.»
Lei socchiuse gli occhi, il seno che s’alzava e s’abbassava al tamburellare aritmico della sorpresa e dell’allerta. Lo squadrava guardingo, cercava in lui in segni del Mostro, della follia; le pupille si dilatavano e si restringevano, mettevano a fuoco un particolare, si perdevano a sondare angoli e recessi –A ritrovare un briciolo anche minuscolo di fiducia.
Banner sfiatò un sospiro esausto, una mano a coprirsi gli occhi.
«Bruce…»
Poi furono solo le braccia di Natasha ed il profumo rassicurante dei suoi capelli.

 

***

«Tu! Tu! L’hai uccisa! È morta per colpa tua!»
Loki reclinò sfrontato la testa, un ghigno metallico gli tagliò di traverso la bocca. Arrogante, conscio di sé e del potere di cui era Maestro.
«Oh, no, fratello.» sussurrò «E’ tua strabiliante prerogativa perdere le persone che ami.»
Steve avrebbe voluto intervenire, magari mettendo una mano sulla spalla di Thor –Magari tirando un pugno a Loki-, tuttavia si trattenne. Il fatto che non fosse più di uno spirito incapace di toccare ed essere toccato era una ragione da non sottovalutare.
«Non ti preoccupare.» la voce di Tony, ora accanto a lui, lo fece trasalire «Lo rimetteremo in sesto» il figlio di Howard accennò col mento alla figura desolante di Thor, al suo volto contratto e alla disperazione che deflagrava dal respiro ansante.
Stark atteggiò le labbra in una smorfia.
«E se non ci riusciremo noi, lo farà la sua sventola con un ceffone ben piazzato.»
Il Capitano annuì ed il sorriso scivolò via dai suoi occhi, risucchiato dentro di lui dall’atmosfera di addio che gli infiacchiva le ossa e gli indolenziva i muscoli. Il cuore era intirizzito ed era consapevole che quel poco di sangue della libagione stava ormai finendo il suo effetto: dalla punta delle dita il gelo ramificava nelle braccia e qualsiasi parvenza di fiato diveniva pallida, ogni volta più distante dalla precedente, ogni volta più rarefatta, ogni volta più fasulla.
Presto, lo sapeva, avrebbe guardato Tony e non lo avrebbe visto. Avrebbe sentito le sue parole, ma non le avrebbe ascoltate. Avrebbe avvertito il suo amore, ma esso non lo avrebbe raggiunto.
«E’ un po’ uno smacco, eh?» riprese Stark, socchiudendo le palpebre «Insomma, niente Cancelli Dorati, niente Angeli con le Arpe o tizi barbuti che ti sventolano un paio di chiavi davanti al naso» alzata di spalle «Mi rassicura sapere che non mi ritroverò davanti un tizio con la testa di sciacallo o un bellimbusto fasciato e con la faccia verde, questo sì.»
Steve rise e quel suono riverberò nel Salone con una luminescenza argentina. I bracieri si scossero, muovendo frementi le lingue aranciate.
«Non importa, Tony.» il Capitano si voltò –A stento ingoiò l’istinto di alzare il braccio e passare le dita fra i capelli che erano caduti a coprirgli la fronte «Io continuo ad avere Fede. Non mi ha mai tradito.»
Stark abbassò gli occhi, sviò il suo sguardo.
«Hai Fede in me?»
«Sempre.»
Un refolo di vento costrinse entrambi ad alzare la testa: era giunto a loro un sottile canto di primavera, che a Steve aveva ricordato il rumoreggiare dell’erba di Central Park, il sapore amarognolo della pioggia sulla pelle e lo schiudersi silenzioso di una corolla.
Persefone li aveva raggiunti e sua era la tenerezza della Madre, nell’aspetto e nell’aura che emanava. Aveva abbandonato il peplo e i ninnoli tra i capelli e l’alto polos: i riccioli castano scuro  erano divisi alla sommità della fronte da una scriminatura centrale, stretti alla nuca da un laccio nero. La veste era un tramestio di pieghe, un alternarsi fumoso di sbalzi di luce, di grigio ferro e baleni di tormalina.1
Nella semplicità degli occhi liquidi, neri come terra bagnata, e nella piega carnosa delle labbra scarlatte, era una Fanciulla più bella di qualunque Dea.
«Non temere» bisbigliò, rivolta a Stark «Egli è destinato ai Campi Elisi.»
«No» replicò il figlio di Howard «Il Capitano verrà con me.»
La moglie di Plutone spalancò le palpebre.
«Che dici?»
«Rendimi la sua anima.»
«Tony» intervenne Steve, avvertendo l’incredulità e l’incomprensione singultargli in gola «A cosa servirebbe? Hai sentito Loki, non ho più un…»
Stark lo ignorò, lo sguardo conficcato in quello di Persefone.
«Rendimi la sua anima.» scandì.
La Dea, accigliata, corrucciò le labbra e la mandibola si contrasse. Emanava una potenza ed una regalità talmente forti che le ginocchia del Capitano tremarono; pur mantenendo l’illusione di essere alta al pari di un essere umano, Steve la vedeva giganteggiare sopra le loro teste e ciò che ordinava così sarebbe stato.
«In virtù di cosa?»
«Della nostra impresa.»
Natasha claudicò in avanti, un braccio attorno alle spalle nude di Banner ed una mano del dottore a sorreggerle la vita. Un rivolo di sangue le colava sopra l’occhio destro, i capelli, scarmigliati ed unti, erano coperti di polvere e terra; la divisa nera era stracciata sotto il seno ed un graffio rossastro si intravedeva già paonazzo sulla pelle bianca. Bruce la teneva in piedi e la guardava con preoccupazione e profondo affetto.
«Siamo scesi…Fino alle tue porte per portare via il Capitano» proseguì la russa, il tono debole e affaticato «Lascia tentare anche noi, esattamente come fece Orfeo.»
E così dicendo, scostandosi di un poco da Banner, Vedova Nera incespicò fino alla Dea e le porse il ramo d’oro, stretto tra le dita spellate.
Persefone non rispose, ma con una lacrima a scintillare tra le ciglia fini, prese il dono e sorrise.
Il Capitano non seppe spiegarselo, eppure le tenebre dell’Ade furono strappate e stracciate: i capelli della Dea erano biondi di grano e lei era bella come l’estate, meravigliosa e viva come la primavera. Scintillava la rugiada sulle sue guance truccate di porpora ed il ventre era cinto da fiori candidi, gli occhi avevano assunto il colore del miele.
Attoniti e strabiliati, stavano assistendo al miracolo della Rinascita e lei era Persefone prima che l’Ade la ghermisse e l’Inverno innevasse il suo cuore traboccante di linfa.
«E sia» accordò, sorridendo teneramente.
Una luce fioca segnò il cammino di un sentiero scosceso, di arduo cammino ed immane fatica.
«Proseguite avanti e non vi fermate. Non guardatevi indietro, mai, fino a quando non sarete usciti al sole ed al mondo dei mortali: se verrete meno a questo, la sua anima sarà persa per sempre.»

 

***

 

Clint non era famoso per la propria pazienza e quella volta era sicuro che un richiamo non glielo avrebbe tolto nessuno. Come se avesse importanza, come se una nota di demerito o una tirata d’orecchi potesse cambiare la situazione o anche solo avere un peso su quanto sentiva gridare e urlare e sbraitare dentro la cassa toracica e nel fondo dello stomaco.
Sbraitare contro Streiten chiamandolo “Vecchiaccio della malora”, inveire perché facesse presto, maledirlo, bestemmiare in ogni lingua padroneggiata -Ed erano tante, sebbene non paragonabili alla lista praticamente infinita di Natasha-, farsi perforare l’orecchio dall’ordine della Hill aggiuntasi non richiesta alla conversazione…
In poche parole, la situazione non volgeva a favore di un rientro pacifico all’Hub.
Il problema non si poneva, comunque, giacché Clint aveva deciso a priori che non si sarebbe fatto vedere all’Hub, a meno di non avere un vivo e vegeto Phil Coulson accanto. Qualsiasi rapporto, qualsiasi scempiaggine burocratica poteva e doveva aspettare quando in bilico c’era la vita dell’Agente. Lo aveva lasciato morire una volta, non sarebbe successo di nuovo.
Scansando i malconci Sitwell e Woo, ignorando le proteste degli infermieri e gettando un’occhiata assassina ai poliziotti che avevano tentato di fermarlo, rispondendo a male parole persino alla squadra di recupero venuta per scortare Vermin a Ryker’s Island in pompa magna e il Mutante direttamente all’obitorio, Occhio Di Falco montò sull’ambulanza e s’appollaiò sulla panca laterale.
Gli pareva tutto così goffo l’affaccendarsi del personale medico attorno alla barella di Coulson, tutto così approssimativo e poco professionale.
Poteva scorgere il sudore intingere di rigagnoli umidi del colletto e delle maniche della donna -Come sarebbe riuscita a salvarlo, se non era nemmeno in grado di mantenere la calma?, e il ragazzo che si stava occupando della ferita al ventre di Phil era troppo, troppo giovane, sicuramente inesperto e aveva il polso che tremava e aveva gli occhi appannati dalla tensione ed era bianco sulle tempie e rosso sulle mani, lì dove la pelle veniva a contatto col sangue copioso, bollente.
Il colore fluiva dal volto di Phil allo squarcio irregolare allo stomaco e in un attimo di sbandamento, di follia, Clint si chiese se non sarebbe bastato mettere le dita a coppa sulla ferita perché non fuoriuscisse, si fermasse, perché il fiato, il respiro non abbandonassero i polmoni e il bronchi si dilatassero a far passare boccate d’ossigeno una più profonda della precedente. Scacciò quel pensiero con uno scossone stizzito della testa, la nausea che incollava i denti come mastice.
Occhio di Falco si portò le mani alla testa e conficcò i polsi nelle tempie, strizzò le palpebre, contrasse la mandibola. Se prima i rumori gli erano arrivati alle orecchie ovattati e privi di contesto, se prima il tremolio dell’asfalto sotto le ruote era stato meno di un rollio costante, se le mosse dei due davanti a sé possedevano la gommosa ottusità del sogno, ora il reale stava prendendo di nuovo piede e il tempo aveva cominciato a scorrere di nuovo e in fretta, troppo in fretta.
Boccheggiando, Barton ingoiò un ansimo e poi un altro ancora e ancora e di nuovo fino a quando la fronte non ondeggiò e l’intontimento gli permise di approcciarsi con maggior lucidità, per quanto fosse un controsenso evidente, a ciò che succedeva.
Il pigolio ripetuto e affilato delle macchine gli affondò nel cervello, la goccia pallida della flebo singhiozzò un singulto bianco mentre scorreva fangoso dalla saccoccia fino al polso di Coulson.
L’arciere reclinò appena la testa sulla spalla, giacchè non si ricordava proprio che le vene dell’uomo fossero tanto striminzite, come graffi appena accennati, incisioni timide, un poco abbozzate sulla carne. Le aveva baciate un numero infinito di volte, era stato in grado di sentire il palpito del sangue sulle labbra e sulle lingue, eppure era certo, dolorosamente certo, che se vi avesse appoggiato l’orecchio a malapena avrebbe colto l’armonia cadenzata del battito cardiaco.
«Signore…» mormorò Clint, scendendo dalla propria postazione e avvicinandosi al capezzale traballante di Phil «Andiamo.» torse appena il collo ed ebbe coscienza dello stato pietoso in cui doveva versare soltanto dalla maniera in cui la donna, sul punto di intimargli di stare indietro, aveva contratto le labbra e s’era fatta da parte, perché potesse sistemarsi meglio senza disturbare nessuno «Andiamo, non mi lasci così.»
«Barton» esalò Coulson, in un sussulto roco, e tale fu lo stupore di Occhio di Falco che quasi si dimenticò di respirare –Rispondere era una reazione troppo al di là delle poche facoltà mentale di cui si trovava in possesso. «Barton, parlami.»
«Signore! Phil!» esclamò «Dio sia ringraziato!»
«Credevo…» continuò l’Agente, socchiudendo le palpebre e lasciando intravedere un frammento unto di iride «Credevo che non credessi in Dio.»
«Credo nel Dottore, che è un po’ la stessa cosa.»
Phil arricciò la bocca in quello che doveva essere un sorriso, ma l’attimo dopo s’era già trasfigurato in un gemito di dolore: sollevò i fianchi, lo stomaco eruttò un conato sanguinolento, costringendo il paramedico ad intervenire e Clint a retrocedere.
Dai piedi della barella, ora, Barton intravedeva le labbra pendule, macchiate di salive giallastra, dell’altro, il mento incurvato grottesco contro lo sterno nel tentativo di assumere una posizione che gli permettesse di guardarlo negli occhi senza ricadere con la nuca all’indietro. Operazione non facile, però, considerando l’impedimento costituito dal collare cervicale e da…Clint si impose di non far scorrere lo sguardo più in basso del petto dell’uomo, si costrinse a mantenerlo dritto nelle sue pupille offuscate –Ma Occhio Di Falco vede tutto, vede ogni cosa, e per quanto cercasse di mantenere la concentrazione sulle rughe affaticate che accartocciavano la fronte di Coulson, per quanto si fosse messo d’impegno a contare gli slabbri già rimarginati alle guance e sotto gli zigomi, il segno indelebile della coltellata dell’italiano era qualcosa che non poteva in alcun modo cancellare. Esisteva, dannazione, e il bubbolio del sangue a contatto con le fasciature non smetteva di ricordarglielo.
«Dovresti essere all’Hub.»
«Non la lascio solo un’altra volta, signore.»
Phil sbuffò una risata frammista a colpi di tosse.
«Non sei stato tu, Clint. Non sei mai stato tu.» smozzicò, le parole rese scivolose e claudicanti dai farmaci e dalla coscienza palesemente sempre più labile.
«Allora mi permetta di esserle accanto adesso
Coulson s’arrischiò a lanciargli un veloce sorrisetto, poco convinto e poco vitale. Le cicatrici purulente che gli insozzavano il volto si contrassero e uggiolarono, scricchiolanti, creando un accartocciamento grottesco e nauseante.
«L’Agente Attis diventerà una furia» ridacchiò e tossì «Il suo LMD si è rotto in mille pezzi.»
Clint avvertì distintamente un moto di rabbia bruciargli la bocca dello stomaco: inveire contro Phil era l’ultima cosa da farsi, in una situazione come quella, pur tuttavia non riuscì a trattenersi e il ringhio, il grido, gli uscirono dalla bocca come vomito e come bile.
«La smetta di dire cazzate!» abbaiò «Lei non è un LMD! È per questo che mi sono fidato!» la donna gli lanciò un’occhiata di fuoco, cui Barton reagì snudando i denti e soffiando iroso «Nessun LMD avrebbe mai confessato di esserlo! Lei è vero, Phil! Lei non è un LMD!»
«…Oh.» sussurrò l’altro, abbandonando la nuca all’indietro, l’iride che scompariva, opaca e vitrea, dietro le palpebre sempre più basse «Ma io non stavo parlando di me…»

 

***

«Sai, Reed stava quasi per farsela nelle mutande.»
«Johnny.»
«E’ vero! Sue ha pensato gli sarebbe venuto un colpo apoplettico, io e Ben abbiamo scommesso si sarebbe bagnato i pantaloni prima di svenire.»
«Johnny, ricordami un po’ perché sei salito con noi, per cortesia?»
La Torcia Umana fece spallucce e appoggiò la schiena alla parete dell’ascensore, passandosi la punta della lingua sulla piega irridente della bocca. Richards lo fulminò con lo sguardo e Tony, dal canto proprio, non ebbe il cuore di trattenersi da una breve, liberatoria risata.
Sapeva che Reed era in ebollizione e probabilmente non aveva neanche dormito, ma la cosa, invece di fargli pietà, contribuiva ad aumentare quel senso di euforia e gioia indomabile che esplodeva nel petto ad ogni battito del cuore. Non erano passati nemmeno cinque minuti dacché l’anima di Steve era deflagrata in una luminescenza accecante e lui era ripartito in volo alla volta di Manhattan, che J.A.R.V.I.S. lo aveva avvertito di una chiamata del Baxter Bulding. Era stato quasi di tentato di non rispondere, in verità, poi un pizzico di egocentrica filantropia e il tono costernato, affrettato, incredulo di Richards era rimbalzata da una curva all’altra del casco.
Abbassa la voce, Reed! Lo aveva ripreso Tony, ridendo ed esultando, ogni parvenza di serietà scomparsa dal volto affaticato e incredibilmente eccitato Così divento sordo!
Richards aveva preteso venisse subito al Baxter Building, ma il magnate aveva rifiutato l’invito: aveva una cosa da fare, prima. Aveva chiuso la comunicazione prima che lo scienziato potesse sciorinare repliche e spiegazioni e balbettii e mani nei capelli e Tutto questo non ha senso, Tony! e, quando finalmente aveva appoggiato il piede sulla piattaforma d’atterraggio della Tower, si era disfatto in fretta dell’armatura, correndo fino al salone dell’attico.
Pepper, seduta sui cuscini del divano con una tazza di the fumante in mano e gli occhi ancora rossi, aveva alzato di scatto la testa e si era levata immediatamente in piedi. Tony era rimasto fermo, sulla soglia, ad osservarla per lunghi minuti, senza il coraggio né la forza di dire nulla, di interrompere quell’attimo di eterna sospensione che poteva e avrebbe significato ogni cosa.
Non sapendo neanche come, si era ritrovato stretto nell’abbraccio di Virginia. Il suo profumo nelle narici, sottopelle, i suoi singhiozzi e la sua presenza erano stati una rassicurazione più calda del sangue.
Avevano trascorso la serata e la notte così, in silenzio, Stark allungato e protetto contro e da Pepper, le dita di lei che scivolavano piano tra i suoi capelli.  
Neil film fanno sempre vedere quei flash-forward al limite dell’ansiogeno, con le nuvole che si rincorrono e sdrucciolano e si sfilacciano e si rompono contro un cielo azzurro arancione rosso grigio blu, tutto conficcato di stelle, tutto punteggiato, smerigliato e ingentilito appena da qualche goccia di pioggia e dal mosaico luminoso delle finestre e dei palazzi. E la gente parla e parla e parla, vomita eterni discorsi di incredibili, pindarici confessioni e l’Universo potrebbe anche mettersi il cuore in pace, l’ONU dichiarare la cessazione di ogni conflitto se solo simili discorsi potessero farsi davvero, se solo simili discorsi davvero esistessero.
Niente di questo accadde, insieme a Pepper.
Il minuti si trascinarono lenti, il mattino si fece attendere come una diva non ancora pronta a mostrarsi sul filo sospeso dell’orizzonte. Non si erano detti nulla, se non un Ora devi andare mormorato, bisbigliato nel dormiveglia degli occhi spalancati sui primi balbettii dell’alba.
E adesso che Tony era stato lasciato solo e Johnny aveva convinto Reed a concedergli un po’ di privacy –A volte quel ragazzo lo stupiva: dietro la dabbenaggine perfettamente inscenata nascondeva una profonda umanità di pensieri che al confronto persino Steve avrebbe sfigurato-, il magnate ringraziò mentalmente Pepper per il caldo tepore della presenza che ancora aleggiava attorno a lui.
Con le proprie, uniche forze, altrimenti, non sarebbe mai stato in grado di affrontare il passo oltre la soglia, il lampo luminoso dei macchinari contro il viso nell’istante in cui le porte scorrevoli gli avevano accordato l’accesso.
La stanza era bianca. Immota.
Pannelli bianchi alle pareti. Lastroni bianchi del pavimento. Rettangoli bianchi incassati al soffitto. Finestre sottilissime e oblunghe, incorniciate di bianco. Macchinari pigolanti e bianchi.
Un letto, bianco, nel centro –Un corpo disteso, vestito d’un camicie azzurro tenue.
Lenzuola ruvide. Bianche –Due mani, appoggiate su di esse, spolverate di pallido rosa. 
Cuscino bianco –Capelli biondo cenere, ciglia finissime, spruzzate di pulviscolo dorato, labbra soffuse di rosso.
Susan aveva posizionato una seggiola blu proprio accanto al materasso, sotto i computer. Il loro pigolio era così intenso che Tony sentì il cuore comprimersi nel petto. Sugli schermi neri passavano e sfilavano nastri di dati, segmenti di battiti, pulsazioni e respiri; srotolavano incessanti il cammino della vita, mettevano prepotentemente in mostra l’esplodere inconfutabile dell’esistenza.
Stark avanzò di un passo e poi un altro, un altro ancora, punta di dita sfiorò il dorso di quella mano adagiata sulla coperta: il calore che emanava la pelle era appena percettibile, ma per il figlio di Howard era come se andasse a fuoco.
La sentì arroventargli la carne attraverso lo spazio e l’aria e l’ossigeno, quel barlume di calore scoccò simile a fiamma lungo le vene e si sostituì al sangue, gli diede nuova forza.
Si accomodò sulla sedia, accavallò le gambe.
Un singulto dei macchinari ed un tremito delle palpebre chiuse. Un suono roco dalle profondità della gola, di chi è sul punto di svegliarsi da un sonno pesante, di chi si sta liberando faticosamente dalle catene del sogno. Sulla bocca di Tony affiorò un sorriso.
Alle labbra di Steve arrivò un respiro talmente profondo che l’altro lo avvertì fin dentro le ossa.
«Buongiorno, Capitano.» lo salutò Stark, innegabilmente divertito.
E fiero, anche. E soddisfatto. Usare un Life Model Decoy per la camera ardente e tenere Steve in refrigerazione forzata al Baxter Building per evitare qualsiasi processo di decomposizione -Nonché il controllo medico costante di Reeds, che nonostante la somma genialità di cui era in possesso faticava a coordinare pensieri logici complessi- era stata un’idea al limite del patetico. E, visti i risultati, piuttosto azzeccata.
Il primo che gli ricordava di avere una lieve tendenza al sovra-reagire sarebbe stato mandato al diavolo senza possibilità di appello e calciato via in un punto imprecisato del globo terracqueo.
Possibilmente Timbuctù.
Steve emise un gemito disfatto, aggrottando la fronte. Deglutì un paio di volte prima di riuscire a prendere parola, le nocche che si flettevano per far ripartire la circolazione. Piegò la testa sul guanciale, inspirò a fondo. Una contrazione agli angoli delle palpebre, il tremolio delle ciglia e finalmente, Dio, finalmente il Capitano riaprì gli occhi sul mondo.
Il fiato di Tony s’incrinò.
Come diceva il ragazzo schizzato di American Beauty?
A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…Il mio cuore sta per franare.
Un sorriso stanco si profilò nello sguardo e nell’espressione serena, esausta, tranquilla e scanzonata di Steve.
«Per favore.» mormorò «Dimmi che nessuno mi ha baciato.»
«Bhè. A questo, Capitano, possiamo sempre porre rimedio.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cor Mortem Ducens
#10 American Beauty

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 Persefone, di Rossetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inizio processo cancellazione dati.

 

«Sto parlando da solo.
Volevo dettare una volontà o qualcosa del genere, ma sono molto lontano dall’essere in grado di intendere e di volere. Anzi…Nella mia testa non è rimasto molto.*»

 

Processo cancellazione dati.

Avvio.

 

«Sembra ci siamo solo io e te, amico. Tu ed io contro il mondo.*»

 

Avvio registrazione.

 

[ Crepitio. ]

[ Interferenze. ]

[ Compare un volto. Stanco. Emaciato. Sudato. Barba incolta. Occhi folli. Sguardo spaesato. È Tony Stark o una parvenza di ciò che Tony Stark è stato e forse non sarà più. Tiene un microfono in mano. Cavi ovunque. ]

 

«Sono convinto che…Sia cominciato tutto con la morte di Clint. Non chiedermi da dove mi venga questa certezza. Non lo so. Non so più niente.
L’ho dimenticato.
Qualcosa mi dice che è così e io non posso negarlo.
Lo ricordo, sai? Il viso di Coulson. Se avesse pianto sarebbe stato meglio. Se avesse gridato avrebbe esorcizzato l’orrore e reso i nostri cuori meno pesanti.
Ma credo non ci fosse più voce in lui. Solo silenzio.
Ha lasciato i ranghi. Ha dato il benservito a Fury.
Il dolore lo ha fatto uscire pazzo. Vaneggiava della Casata Maximoff, dei Mutanti, di Clint. Diceva che era vivo, che l’aveva visto, che abitavano insieme in una casa a Long Island. Parole senza senso.
A che pro ascoltarlo? Delirava.»

 

[ Tony Stark si stringe la radice del naso tra le dita. Ha le nocche sbucciate. I polsi tremano. ]

 

«Non mi andava di ricordarlo così, però. Preferisco pensare ad Agente mentre alza il bicchiere di Pepsi e annuncia l’imminente matrimonio con Barton.
Quando è stato, Steve?
Eravamo in qualche locale bislacco, sì, dopo una missione contro Viper e i suoi sgherri.
Due giorni dopo mi sono cimentato in un comizio logorroico e magniloquente davanti alle Nazioni Unite.
E Agente tirava indietro la sedia, Barton roteava gli occhi pesti a guardarlo da sottinsù.
Due giorni dopo, ubriaco come una spugna senza aver bevuto un goccio di alcool, ho minacciato l’insigne delegato di Latveria.
“Ci sposiamo.”
Due giorno dopo, Clint mi ha voltato le spalle, tu sei stato l’unico a credermi.
“Tu e chi?”
Due giorni dopo, la Tower è esplosa.
“Io e Clint.”
Due giorni dopo, Barton è morto.»

 

[ La voce si interrompe. Tony Stark contrae la mandibola. ]

 

«Non volevo ricordarlo così.
Non volevo.
Dio, quanto erano stupide e felici le loro facce.»

 

[ Sta piangendo. Non se ne accorge. ]

 

«Non importa. Tanto non lo ricorderò.
Clint è morto.
Quando è stato, Steve? Anni? Ore? Minuti? Settimane?
L’ho dimenticato.
L’ho dimenticato, tuttavia è stato il mio campanello d’allarme.
Perché no. Non è iniziato tutto con la morte di Clint. È iniziato prima e dalla morte di Clint il tempo è franato e non riuscivo a raggiungerlo, lo rincorrevo senza posa, ma era sempre davanti a me, mai dietro.
Ricordo lo spirito di mia madre, sul ciglio dell’Ade.
Impalpabile come nella mia memoria. Intangibile come lo è stata nella mia vita.»

 

[ Gli occhi si perdono appena, lo sguardo si offusca. Un ronzio del microfono, scintille dai cavi. Il nastro non fa rumore. ]

 

«Ti ho sposato con la sua maledetta profezia nel petto. Ce l’hai fatta, hai visto, a farti mettere un anello al dito? Eravamo sulla spiaggia e Pepper camminava sulla battigia, si teneva il vestito per timore di bagnarlo. Come nella mia visione.
Il cielo era sgombro, non c’era tempesta, ma quell’azzurro era solo illusione.»

 

[ Qualcosa si incrina e la figura di Tony Stark si accartoccia, come quella di un bambino che cerca protezione in se stesso e difesa contro il mondo nelle spalle chiuse. ]

 

«La morte di Clint è stato il primo boato.
Quando Nitro è esploso, la pioggia stava cadendo su di noi già da tempo.
Guardo il servizio al televisore, quando tu arrivi. Non hai vestiti addosso, il bagliore dello schermo ti si rifrange sulla pelle. Abbiamo fatto l’amore, hai ancora il mio odore addosso –Putrefazione, lo sento. Colpa, lo ammetto.
Hai graffi sulla schiena, io un livido sul collo.
Sono nervoso. I battibecchi sono più pesanti.
Sta arrivando, Steve. Cosa? Non lo so. E intanto Stamford brucia.
Non aveva nome, lo avvertivo. Sapevo cosa sarebbe successo, non avevo previsto in che modo. Non ho voluto affrontare le conseguenze. Non le ho messe in conto Ho peccato.
Perdonami, Capitano, perché ho peccato e ora sbriciolo tra le dita una messe di pianto, di ricordi che perdo e dimentico di possedere.»

 

[ Tony Stark sospira. Un gemito di dolore gli accartoccia il viso. Una goccia di sudore gli scivola alla tempia sinistra. ]

 

«”Cosa succede?”, mi chiedi.
Nulla. Prendi la mia mano. Andiamo a letto. Narcotizziamoci di baci e di ansimi. Addormentiamoci.
Stretti sotto una coltre cieca, il mondo non ci vedrà.
“E’ cominciata” dico.
E’ finita, concludo.
È finita e non mi ricordo quando è iniziata.
Ricordo solo il tuo volto, Steve, ed è bello. Troppa bellezza nei tuoi occhi, fammi morire, fammi morire, Steve, fammi morire, perché io possa assaporare in eterno la bellezza della tua vita che ora mi è preclusa.»

 

[ Tony Stark si passa il pugno sugli occhi chiusi. Quando lo sposta, la sclera è rossa, un intrico di arzigogoli scarlatti. ]

 

«Registro un messaggio, nessuno lo ascolterà.
Incido una preghiera sulla mia pelle, leggila nel mio sangue.
Apri le braccia, quando arriverò. Fammi appoggiare la testa sul tuo cuore. Sarò stanco. Riposerò di una morte più dolce della vita intera.
Con la tua voce cancella le oscure parole di mia madre. Strappa i cavi che ho sulla nuca. Affonda le dita nella mia mente vuota. Illumina col tuo affetto i miei occhi grigi.
Guarda il mio corpo privo di significato. Guarda le mie labbra bianche, le mie palpebre chiuse.
Chiedimi: “Ne è valsa la pena?”
Me lo hai già chiesto. Quando ti ho risposto, non potevi più sentirmi. Troppo tardi.
Il tempo era davanti a me. Non ero stato capace di fermarlo.
Ma presto non lo ricorderò.
Non lo ricordo più.
Ci sono cose nella mente di cui i cattivi vogliono impossessarsi. Quindi più tempo passo attaccato ai generatori a repulsori…E più tempo durerà il processo di cancellazione della memoria…Significa che non sto solo perdendo le mie conoscenze. Ma anche i miei ricordi*.
Cancello ogni cosa, sono l’orma che il mare trascina con sé.
Non ci sono passi, dietro di me.
Sono stanco, ma per quello che ricordo, ossia sempre meno, ormai nulla, sono sempre stato fermo.
Immobile.»

 

[ Un singhiozzo gli sale alla gola, ma Tony Stark lo reprime. Poi non lo nasconde e lo lascia libero. Trema. ]

 

«Eri bello, Steve, quando ti ho sposato. Vorrei sposarti dieci, cento, mille volte. Solo per dire Sì. E sentirti rispondere.
Ricordo il tuo viso.
Sta svanendo.
Nebbia.
Impalpabile.
Intangibile.
…Quegli occhi---»

 

 

Registrazione interrotta.

 

Attenzione: dati corrotti.

 

Impossibile salvare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non dovevi venire, figlio mio.
Oh! Una decisione ti ha portato qui…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una decisione lo farà tornare nell'Ade.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Finali
(Questa volta per davvero)

 

 

 

 

(*)  Iron Man Requiem, Gennaio 2010

 

 

E quindi.
Cor Mortem Ducens si è conclusa.
Ringrazio Alley dal profondo del cuore, perché è una mogliaH bellissima e adesso mi vorrà uccidere.
Ringrazio Ino Chan, bunnybenny, cory94, Crissoluv, Iceathena, Irina_Yermolayeva, Iron_Lady, Kighto, Lakky, s t r e g a t t o, The_Lazy_Fangirl, Lady White Witch, Alpha Hydrae, Bee S, Black Air, dandelionandburdock, Endimione, F 13, GretaJackson16, ipp0po, Julia 98_8, LightCross, Lori Liesmith, Misako 90, Nanna 12345, Nemenorse, Runarvisa, Saeros25, Selvy, Shannara_Sharel e Zia Enne.
Grazie a tutti voi.

 

 

 

 

 

Fin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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