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Autore: Arepo Pantagrifus    31/08/2014    0 recensioni
“L’uomo, nato da donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l’ombra e mai si ferma.”
GIOBBE 14, 1-2
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono solo. Solo nell’universo. Raccontando una storia si è abituati a cominciare da un inizio e terminare in una fine, mi trovo invece nell’imbarazzante situazione di dover lasciare la fine inconclusa, o quantomeno a lasciarla in sospeso, poiché il mio solo vivere crea un conseguente proseguimento del racconto. Il mio indissolubile legame con essa, quindi, si manifesta lampante: io sono il racconto della mia vita, e questa è destinata a non finire mai.
Semplice. Chiaro. Io sono, o sono diventato, immortale.

Basta che mi guardi intorno: accanto a me non c’è più nessuno. Tutti morti, tutti ossa, tutti cenere, tutti polvere. Ed io a guardarli, potente, a sovrastarli, a calpestarli tutti. Sono rimasto solo. L’unico e ultimo uomo sulla terra. In tutta la mia vita (ma non so più se chiamarla ancora vita) ho visto tutte le cose: ho camminato a braccetto con il tempo, ho visto la storia degli uomini passarmi sotto gli occhi, ho visto l’umanità degenerarsi, ho visto guerre e atrocità susseguirsi una all’altra. Ho conosciuto chi e come sono gli esseri umani veramente: mossi solo dall’avarizia, dall’egoismo e dall’ingiustizia, e ignari del fatto che tutto ciò che bramavano e per il quale si adoperavano in tutti i modi, non era nient’altro che polvere, come pure loro stessi erano destinati a diventare. Gli uomini non erano altro che un altro mucchietto di terra.

Non sono un uomo. Non lo sono più. Una volta fui un uomo, o credetti di esserlo. Certamente lo sono stato finché un vecchio mago o alchimista mi si avvicinò promettendomi la giovinezza, e con essa la memoria e la vita eterna, solo se gli avessi promesso di seguirlo e servirlo. Accettai tutto questo con sconsiderata leggerezza, preso da vanità e incoscienza. Vanità e incoscienza che mi perseguitarono per tutto il resto della mia lunga vita. Mi costrinse a bere un intruglio nauseabondo, che mi fece quasi portare all’altro mondo. Guarii miracolosamente, ma il vecchio, non contento, continuava a lavorare giorno e notte per perfezionare i suoi poteri e le sue infusioni. Mi costrinse con il bastone a sottopormi a delle umilianti fatiche e a rinunciare alle mie libertà, rinchiudendomi in una cella umida e malsana, come se fossi stato semplicemente una cavia per i suoi esperimenti. I giorni passarono, ma sul mio volto non comparve alcun cambiamento, anzi, lentamente, diventai più sano, più forte e più giovane. Un giorno sorpresi il mio padrone intento a realizzare nuovi filtri di questa portentosa pozione, era intenzionato a provare l’effetto su se stesso e a sottomettere il mondo intero e dominare sugli uomini, sui re, sui papi e sugli imperatori, come prevedeva nei suoi insani vaneggiamenti e nei suoi sogni. Immediatamente cercai di fermarlo, lo bloccai e distrussi ogni filtro e mistura, ma lui furioso, si avventò su di me brandendo un pugnale aguzzo e trafiggendomi proprio in mezzo al petto… Ma furono più grandi la paura e il terrore comparsi nei suoi occhi che il mio stupore. Indietreggiò, inciampando e cadendo a terra sgomento, balbettò: «Tu… tu… bestia immonda! Figlio del maligno! Che tu sia maledetto! Che Iddio ti maledica…!» Per nulla spaventato dalle sue ingiurie, sfilandomi la lama dal petto avanzai verso di lui e lo uccisi. Ebbi cura, poi, di bruciare tutti i suoi libri, i suoi appunti, i trattati di magia e i volumi eretici, per scongiurare al mondo una seconda volta. Così, mentre la sua abitazione era lambita dalle fiamme purificatrici, fuggii il più lontano possibile per tentare di rifarmi una nuova vita, o forse, solo per vendicarmi...  Scappai dalla città, dalla valle, dal paese, e finalmente sperimentai un senso di libertà mai provato prima. Solo io, la mia sacca e le mie gambe per valicare montagne, attraversare pianure e guadare ruscelli.

Da allora fui sempre lo stesso: stesso viso, stessa faccia, stesso corpo, stessa giovane bellezza. Sempre identico un giorno dopo l’altro. Godetti sempre di benessere e buona salute: mai una malattia, una ferita, una sola goccia di sangue. Da questo ne trassi giovamento, dandomi ad una sfrenata vita passionale e libertina. Furono gli anni delle esagerazioni, dei comportamenti smodati e delle massime libertà. Incontrai donne impudiche e libidinose, oltrepassai ogni limite della decenza e scesi a patti con la lussuria e altre sorelle peccaminose: tante donne mi amarono e altrettante ne amai. Anni e anni così: una donna dopo l’altra. Vedendomele tutte morire di vecchiaia sotto gli occhi: sciuparsi nella loro breve e fugace bellezza. Anche se ad una ne seguiva ben presto un’altra.

Amavo e mi nascondevo. Vivevo viaggiando, come un pellegrino, nelle locande e nelle osterie distanti e isolate che incontravo nel cammino. Ed in ogni taverna c’era sempre una donna pronta a concedersi, e a passare notti d’amore e di carezze.
La mia vita continuò così finché non incontrai una donna; non una donna come tutte le altre, non una semplice donna, ma la donna che faceva la differenza fra tutte le altre donne che avevo finora conosciuto.

   
 
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