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Autore: rachel_hetfield    01/09/2014    3 recensioni
[tratto dalla storia]
Non me lo sarei mai immaginato così. Pensavo fosse una specie di principe azzurro, un po’ come accade nelle favole, incontri magicamente un uomo che ti fa battere il cuore all’impazzata, magari a bordo di qualche bella moto o bella macchina, e invece stava seduto lì, silenzioso, con un bicchere in cartone in mano, le gambe accavallate.
Mi avvicinai lentamente, squadrandolo da capo a piedi. Lui ricambiò gli sguardi e si mise in piedi mantenendosi a distanza.
«Sei Lauren?»
Mi sentii mancare quando sentii la sua voce. Gli assomigliava. Assomigliava alla voce di Derek.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Con un sorriso sulla bocca, Rosalie leggeva le pagine in fretta, spostando velocemente gli occhi da sinistra a destra. Ero ansiosa di sapere cosa ne pensasse, se era da continuare o erano tutte mie paranoie, perché ero terribilmente cotta di quel Dan. Non credevo l’avrei mai ammesso che mi sarebbe interessato qualcuno dopo Derek, ma quell’uomo aveva avuto un effetto completamente diverso su di me, non una specie di colpo di fulmine, più che altro ero così presa dal chiedermi perché a Jenny interessasse che sono finita per interessarmene anche io.
Che brutti scherzi che fanno i sentimenti.
«Ci vedi davvero tutte queste cose in uno sconosciuto?» chiese all’improvviso Rosalie quando stavo per portare via i piatti sporchi sul lavello.
Rimasi ferma a pensare la risposta, ma era una e anche ovvia. «Mi basta guardarlo e scrivo. Nella sua monotonia ci trovo un sacco di confusione e insicurezza. Magari sono supposizioni, ed è silenzioso di natura, avrà una bella vita e tutto, ma per me è come... un punto fisso con un carattere indeciso. Ho descritto quello che vedevo e che immaginavo, perché effettivamente è uno sconosciuto del quale conosco solo il nome.»
Lei annuì, la vedevo parecchio sollevata. Forse perché finalmente non era di Derek che parlavamo. «E senti un po’, non avresti voglia di sapere altro su di lui?»
La sua voce si era offuscata perché ero in cucina a posare i piatti che erano diventati pesanti da tenere in mano. Mi sedetti e non la guardai negli occhi, per non tradirmi da sola.
«No, perché cambierebbe tutto. Capisci? A me basta averlo davanti a farsi i fatti suoi per...»
«Stare meglio?»
Mi si bloccarono le parole in gola. Non avevo pensato a questo stare meglio, perché non era così, non stavo meglio, ero semplicemente presa da lui, e gliene ero silenziosamente grata, perché quando rimasi più di una settimana senza vederlo ero sprofondata di nuovo nei ricordi che avevo tenuto lontano per tanti mesi. E mesi di lavoro sembravano essersi vaporizzati, all’improvviso, in una nuvola di pensieri. E come al solito, ripensai a Jenny e alla possibilità che si frequentasse con Dan. Volevo andare a fondo a quella faccenda, non perché mi interessasse – o forse sì , ma perché avevo bisogno del suo modo di fare così noioso e sempre uguale. Non mi sarei mai immaginata che un uomo così dannatamente... monotono, potesse ispirarmi così tanto. Potevo addirittura immaginare quali fossero i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, tutto.
Ma quella mattina, nell’All Blue, quando lo vidi, e senza preavviso, era diverso: non era più così insipido. Gli occhi erano puntati su di me, con un filo di interesse. Il cuore non mi batteva così forte per un uomo da tanto, troppo tempo.
«Lauren?» mi richiamò la psicologa schioccandomi le dita davanti al viso. Mi ero dimenticata che stesse aspettando una mia risposta, e onestamente dimenticai anche la domanda.
«Vieni con me all’All Blue stasera?» le domandai, sperando in un sì. Sia che fosse da solo, con i suoi amici o con Jenny, volevo vederlo.
Mi squadrò per un po’. «Devi promettermi una cosa però.»
La guardai allibita. Pensai a che tipo di promessa avessi dovuto mantenere, e risultò difficile convincermi a dire di sì, perché non ero pronta a tutto. Avevo paura di accettare una qualunque proposta, però annuii lo stesso.
«Lui non deve rimanere un semplice sconosciuto» sfoggiò un largo sorriso che mi sembrò più che provocatorio. Stavo per rimangiarmi il sì, dirle che non ci sarei mai riuscita perché non ero che una specie di stalker per lui, ma rimasi in silenzio. E si sa, chi tace acconsente.
Però avrei voluto dire qualcosa prima che mi interrompesse.
«Non crearti quesiti inutili, cosa c’è di male nel voler fare amicizia con qualcuno?»
«Potrebbe frequentarsi con Jenny, non voglio mettermi in mezzo.»
Lei scosse le spalle. «Chiedilo a lei.»
Provai a spiegare cosa fosse successo dopo quella sera al bar, che lei si era precipitata a conoscerlo, ma dissi semplicemente “non le importerebbe”.
Mi lasciavo condizionare, era pur sempre vero, ma non potevo fare altrimenti, non avrei mai fatto il primo passo verso uno sconosciuto dopo aver scritto un centinaio di pagine interamente sul suo conto. Mi sentivo come se fossi entrata inavvertitamente e senza permesso nella vita privata di qualcun altro, e non era poi così sbagliato questo mio ragionamento. Cosa avrebbe pensato lui sapendo che una scrittrice in crisi era riuscita a sbloccarsi prendendosi una cotta micidiale per lui e scrivendo sul suo conto, magari anche cose falsissime? Dopo che nemmeno mi ero degnata di guardarlo sedendomi al tavolo con lui e Mary Lou?
C’era da dire, però, che Lou era una gran testa di cazzo. O magari se fossi arrivata più tardi, avrei evitato tutto. O se Jenny avesse rifiutato di farsi vedere al bar. Io sarei stata ancora in crisi, ma un bel po’ di paranoie non si sarebbero presentate per sconvolgermi. Non ero abituata ad affrontare certe cose, l’unica persona di cui ero follemente innamorata era il fratello della mia migliore amica col quale ci sono cresciuta assieme, ci conoscevamo, eravamo come fratelli anche noi. E non tenevo una conversazione con uno sconosciuto da tanto, troppo tempo.
«Me lo prometti?» insistette, e non potevo più rifiutare a quel punto.
«Te lo prometto. Ma tu vieni con me stasera» le proposi, e accettò di buon grado. Potevo finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma ero troppo ansiosa, troppo spaventata all’idea di dovermi avvicinare a lui. Sentivo che quella sera sarebbe successo qualcosa.
 
*
Il locale non era molto pieno, ma c’erano la maggior parte dei tavoli occupati. Il suo ancora no, perciò io entrai seguita da Rosalie. Ero tranquilla, ma non abbastanza. Sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro, e continuavo a respirare irregolarmente. Un po’ trattenevo il fiato, a volte inspiravo profondamente e altre sospiravo. La psicologa accanto a me, mi guardava come se fossi un’adolescente al suo primo appuntamento. Ma il mio non era un appuntamento. Volevo solo vederlo, e al più presto.
Quando, dopo infiniti minuti, varcò la soglia del locale, il mio cuore sembrò scoppiare. Perché mi sembrava ogni volta che lo vedessi, sempre più bello? Con un leggero sorriso mentre salutava Mary Lou con un ragazzo piuttosto piazzato e muscoloso, i capelli più ordinati ma sempre antigravitazionali, gli occhi bassi e la felpa grigia. Erano passate poche ore dall’ultima volta che lo avevo visto, ovvero quella mattina, eppure mi sembrava fosse passata un’eternità.
Il suo solito tavolo era già occupato, e si sedette a quello davanti al mio. Mi scordai anche che ci fosse Rosalie a ridacchiare, accanto a me, della mia reazione. Mi stava studiando, me ne ero resa conto, ma non diedi peso a lei. Dovevo imparare a controllare le mie emozioni però, perché stavo dando troppo spettacolo di quanto fossi contenta di rivederlo.
Lo stavo fissando con la fronte corrugata e lo sguardo sottile, come a voler realizzare di rivederlo da vicino, molto più vicino. Sembrava un divo. E invece, era sempre Daniel, silenzioso, forse un po’ più sorridente. Fu troppo tardi quando mi accorsi che aveva preso a guardarmi anche lui. Distolsi velocemente lo sguardo afferrando il cellulare e facendo finta di controllare delle cose e poi parlai con Rosalie, di qualunque, maledettissima cosa.
«Stai sudando freddo, Lauren» ridacchiò, mentre io sentivo il petto volermi implodere. Sperai avesse smesso di guardarmi e feci scivolare lo sguardo, e con piacere notai che stava osservando il palco sul quale si esibiva un’altra band alla quale non prestai la minima attenzione.
Scossi il capo prendendole la mano. «Posso venire meno alla promessa fatta?»
«No, perché rinunceresti a fare una cosa fin troppo semplice.»
Una scarica di adrenalina mi percorse il corpo, se mi fossi avvicinata di un solo millimetro a lui sarei crollata per terra. Preferivo guardarlo da lontano come avevo sempre fatto. Per la prima volta osservai il suo viso di profilo, ma sotto un’altra espressione. Era più solare, con un mezzo sorriso, gli occhi che guardavano qualcosa con interesse. Erano azzurri, non blu come avevo sempre visto. Forse la luce, forse il momento, forse ero io che stavo solo dando di matto, ma più lo guardavo più mi ricordavo quanto stravedessi per Derek.
A Rosalie scappò un sussulto. Mi voltai rapidamente verso di lei smettendo di perlustrare quel viso che vedevo finalmente sotto un’altra luce, e la vidi leggere ancora i miei fogli. La guardai con aria interrogativa, sperando mi dicesse cosa fosse successo.
«Perché qui lo hai chiamato Derek invece di chiamarlo Dan?»
Lo disse a voce troppo alta e impallidii. Sapevo che era una scusa, avevo riletto tre volte quelle pagine. Si era voltato nella nostra direzione sentendo il suo nome, e lei fece cadere apposta i fogli. Si abbassò ridendo e la maledissi. Intanto non ero sicura che il mio viso fosse ancora del suo colore naturale, ma sentivo il fuoco scorrermi sulla guance. Alzai lo sguardo e lui, con la testa bassa, si mordicchiava il labbro inferiore per non ridere. Sarei voluta sprofondare e non farmi vedere più. Scappare da lì, ma ero troppo codarda anche per alzarmi e andarmene davvero. In fondo, quella sua risata soffocata fece ridere anche me, risi di me, di quanto fossi infantile. Rose si rialzò con i fogli in mano e li sistemò, rimettendoli nella borsa.
«Non smetterò di odiarti per questo» nonostante fosse una frase provocatoria, lo dissi con un sorriso imbarazzatissimo sulle labbra. Mary Lou si alzò in piedi dirigendosi verso il bagno, e quando mi vide mi salutò con la mano. Ricambiai il saluto alzando il braccio, attirando di nuovo l’attenzione di Dan seduto di fronte a me. Mi fece segno di raggiungerla e mi alzai con le gambe tremanti, scusandomi con Rosalie, e la raggiunsi velocemente, passandogli davanti, sentendo il cuore battermi forte in petto.
Mi diede un abbraccio veloce che non feci in tempo a ricambiare. «Beh, hai parlato con Dan? Stamattina ho notato che vi siete fissati e ho pensato fosse successo qualcosa.»
Mi morì il sorriso sulle labbra. «Non lo stavo fissando, stavo riprendendo fiato.»
«Oh.»
«Chi erano quei ragazzi?» le feci un sorrisetto scaltro, e lei si imbarazzò guardando verso il tavolo dove c’era la sua dolce compagnia. Mi prese per un braccio e mi portò all’esterno del locale, per non farci sentire.
Mi persi tutto il racconto, ero troppo occupata a pensare a quanto fosse stato evidente quando avevo fissato Dan. Immaginai lui che gliene parlava a Jenny, le loro conversazioni, le mie paranoie. Mi rendevo conto sempre di più che agli occhi di Dan sarei potuta sembrare un’adolescente con crisi ormonali che sbavava dietro il frontman di una band di poco conto, ma non era così, lui non poteva sapere quanti aspetti di lui avevo immaginato e scritto. Non poteva sapere quanto lo avessi pensato, sperando di rivederlo il giorno dopo, e il giorno dopo ancora.
«...e quindi gli ha detto che era ora si presentasse decentemente, tutto qui.»
Improvvisamente prestai attenzione, ma solo quando ebbe finito di parlare. Tutto quello che mi uscì dalla bocca fu un “aah”, fallendo miseramente di sembrare sorpresa o meravigliata. O perlomeno, incuriosita.
«Sono contenta di averlo incontrato, ma tu quando farai il primo passo?»
Scossi la testa. «Ma io non sono interessata a lui.»
«Ah no?» si sorprese lei «Cavolo, e io che speravo in una vostra uscita.»
Indecisa sul da fare e su cosa dire, con una scusa qualsiasi, ringraziai Lou e rientrai nel bar, dicendo a Rosalie che preferivo andare a casa perché non mi sentivo bene.
«Vuoi che ti accompagni?»
Dissi di no, ma lei insistette.
«Cos’è successo?»
«Niente, davvero» la peggiore delle giustificazioni. Ma perché ero così codarda e spaventata all’idea di poter parlare con qualcuno che mi piace un sacco, e scappare via quando trovo l’occasione? Era interessato, a quanto sembrava da quello che aveva detto Lou, e io gli volevo sfuggire. Ero così tremendamente stupida, ingenua, codarda. Stavo scappando ancora una volta dalla possibilità di andare avanti, tornare a piangermi addosso per Derek, perché avevo davvero paura di sostituirlo. Mi ero così decisa a voler cambiare che non avevo pensato a questo. Non era facile, non da sola, non senza l’aiuto della mia migliore amica che sembrava essersi allontanata di nuovo insieme all’unico uomo che mi stava distogliendo dalla pesante realtà che mi circondava. Lou voleva che uscissi con Dan. Ma non lo avrei fatto, non quella sera. Volevo solo andarmene a casa, a dormire.
Presi il mio cappotto e la borsa e diedi un breve abbraccio a Rosalie ringraziandola del pranzo. «Manterrò la promessa, ma non oggi.»
Lei annuì poco convinta e poggiò la testa tra le mani. Ero un caso disperato. La donna più idiota sulla faccia della Terra finita tra le mani di una psicologa che non sapeva più cosa inventarsi.
Fortunatamente ero a piedi, quindi approfittai per fare una camminata verso il parco e prendere ancora un altro po’ di quell’aria così piacevole, lontana da qualunque muro, da casa mia, da quel bar, dallo studio, dal mondo. Mi sedetti sulla panchina e mi poggiai sullo schienale in legno, alzando lo sguardo verso il cielo. In quel momento la mia mente stava immaginando che all’improvviso apparisse Dan, sorridente, a sedersi accanto a me e parlare, ma non accadeva, non sarebbe mai accaduto, perché non lo volevo davvero. Stava accadendo tutto troppo velocemente, e non me lo sarei permessa. Abbassai la testa raddrizzando la visuale per guardare i lampioni sgargianti di luce che illuminavano le giostrine che nessun bambino stava usando quella sera più fredda, il viale attraversato da qualche anziano signore che faceva la passeggiata serale, o quelli che passeggiavano il cane, o da me, poco prima. Incrociai le gambe sulla panchina, sospirando. Presi il cellulare e scrissi al mio manager: “il prossimo romanzo sarà pronto tra qualche mese”. Non ricevetti risposta, ma non importava. Volevo altri tipi di risposte.
Chi ero per Dan? Perché, sotto sotto, Lou sperava che uscissi con lui? Forse perché era stato lui a far scattare la scintilla?
Immaginai che c’entrasse il fatto di Derek, ma non mi tornavano parecchie cose, sia del fatto che Dan e Jenny si vedessero al bar, sia che lei non volesse parlarmi, sia che lui non mi aveva mai rivolto uno sguardo durante il periodo in cui scrivevo di lui, prima che sparisse e che sparissi anch’io da quel locale. Con il cellulare in mano, a fissare l’orario, stavano passando i minuti. Alzai lo sguardo a fissare la strada, quando un uomo in una giacca grigia passò lentamente. Non poteva di certo essere lui, anche se mi ero agitata, quindi mi calmai. Quando alzò la testa, però, vidi che effettivamente era Dan. Sperai che mi vedesse o che non mi vedesse, magari che mi vedesse e guardarmi, ma non che si avvicinasse. Si voltò per un secondo nella mia direzione e continuò a camminare, immaginai vivesse da quelle parti, negli appartamenti. Tirai un sospiro di sollievo anche se ero delusa. I miei film mentali mi illudevano troppo. Mi alzai e senza nemmeno pensarci lo seguii nell’ombra, senza farmi vedere. Si fermò davanti la porta di casa sua, che si affacciava al parco, e frugò nelle tasche. Sentii rumori metallici, delle monete forse, e poi sbuffò. Era tutto così silenzioso che potevo sentirlo respirare, oppure mi stavo concentrando talmente tanto su di lui che esistevano solo i suoi respiri.
Prese in mano il cellulare e velocemente digitò un numero. Attese. Nessuna risposta. Riprovò. Questa volta qualcuno rispose, perché prese a parlare.
Era la prima volta che sentivo la sua voce, e mi sentii mancare.
«Kyle» disse, aspettando qualcuno che rispondesse. «Apri, per favore.»
Continuava a battere il piede per terra per il nervosismo, e si passò più volte la mano libera tra i capelli.
«Lo so cos’è successo con Janna, ma ti prego, apri che ne parliamo. Altrimenti dovrò dormire sugli scalini.»
Ascoltò quello che stava dicendo quello dall’altra parte dell’interlocutore, e poi chiuse la telefonata. Mi sentii come un istinto ad andare da lui, ma aspettai. Si sedette sugli scalini mettendosi la testa tra le mani, e nemmeno mi accorsi che le mie gambe si stavano muovendo verso di lui. Non alzò la testa quando gli fui davanti. Ero carica di adrenalina.
Teneva le gambe accavallate. Non me lo sarei mai immaginato così, rimasto fuori casa, come un barbone. Pensavo fosse una specie di principe azzurro, un po’ come accade nelle favole, incontri magicamente un uomo che ti fa battere il cuore all’impazzata, magari a bordo di qualche bella moto o bella macchina, e invece stava seduto lì, silenzioso, con la testa tra le mani, le gambe larghe su cui poggiava i polsi.
Mi avvicinai lentamente, squadrandolo da capo a piedi. Lui subito alzò la testa quando mi sentì vicina e ricambiò gli sguardi che gli stavo lanciando da parecchi secondi. Per un attimo aggrottò la fronte ma poi si rilassò e si mise in piedi mantenendosi a distanza.
«Sei Lauren?»
Mi sentii mancare quando sentii la sua voce. Gli assomigliava. Assomigliava alla voce di Derek. Cercando di regolarizzare il respiro e il battito cardiaco, annuii. Non capii se il suo era un sorriso forzato o un sorriso uscito così, spontaneo, ma non lo ricambiai, sembravo essere entrata in un altro mondo, ero così terrorizzata che non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi, tenevo la testa bassa fissa sulla sua maglia.
«Ci eravamo già presentati» aggiunse, e annuii di nuovo, consapevole che stavo facendo la figura della bambina. «Puoi parlare, eh.»
Alzai gli occhi per guardarlo un attimo negli occhi e mi stava guardando con curiosità. Mi portai le mani dietro la nuca e dondolai sui piedi. «Ci aveva presentati Lou.»
Stavolta fu lui ad annuire. «Ti serve qualcosa?»
Scossi la testa. «Facevo un giro prima di tornare a casa e mi sono fermata, ti ho visto seduto qui.»
Ero una maledetta attrice, improvvisai di tutto pur di non apparire come una stalker adolescente che si era presa una cotta per il frontman di una band di poco conto.
«Oh sì» si guardò intorno, voltandosi verso la porta di casa sua «problemi con il mio coinquilino, sta passando dei brutti momenti e non vuole aprirmi.»
«Capisco.»
Si creò un silenzio imbarazzante, a momenti sarei scappata dall’altra parte della strada. E invece rimasi, perché adoravo sentirlo parlare, e sentirlo parlare con me, proprio io che pensavo non fosse mai accaduto. Era tutto così casuale, come una coincidenza.
«Ti inviterei a prendere qualcosa su, ma non posso salirci nemmeno io» scherzò, e feci un sorriso largo, ma mi pentii subito di aver sorriso così tanto. Sembrò accorgersene.
«Io sono apposto così» mi strinsi nelle spalle distogliendo di nuovo lo sguardo, e anche lui aveva smesso di guardarmi già da un po’. «E tu?»
«Io credo che resterò qui fuori stanotte, a prendere un po’ d’aria fresca» ironizzò di nuovo, e mi scappò un altro sorriso.
«Posso farti compagnia?» gli chiesi alzando lo sguardo, e i suoi occhi sembrarono brillare. Mi si era regolarizzato il battito cardiaco, ma ero comunque incapace di realizzare che stavamo parlando.
Lui si strinse nelle spalle. «Non voglio disturbarti.»
«Non mi aspetta nessuno in casa, quindi posso rimanere qui quanto voglio. Almeno finché non divento pesante per te.»
Fece una risata breve, e improvvisamente il mio cuore si alleggerì. Sentivo le farfalle nello stomaco in una maniera spaventosa ogni volta che sfoggiava quel sorriso, finché annuì. Mi sedetti su quegli scalini guardando l’orario dal mio iPhone. Il vento freddo sembrava essersi calmato, o forse lo percepivo di meno. Fatto sta, che nessuno dei due disse una parola per almeno trenta minuti.
«Non vuole proprio aprirti» gli feci notare, anche se lo sapeva già.
Scosse il capo con noncuranza, evidentemente non era la prima volta. Lo vidi scuotere le braccia come se fosse stato improvvisamente colpito da una scarica elettrica, ma era semplicemente un brivido di freddo. Decisi che non poteva marcire là sotto casa, al gelo, e io non potevo di certo stare sveglia tutta la notte, anche se c’era lui. Non ne avevo le forze. Ero una che amava la comodità.
«Che ne diresti di fermarti da me? Ho una stanza in più...»
Stavo per rimangiarmi quelle parole, data l’occhiata incredula che mi lanciò. Forse dovevo stare zitta. Forse non mi sarei dovuta avvicinare, parlargli, fargli compagnia. Forse quella serata era tutta uno sbaglio.
Sudai freddo.
La sua risposta sembrava un no secco, di disapprovazione, di repulsione. Era solo un’eruzione di sguardi, che non riuscivo a comprendere, mi pentii amaramente di averglielo chiesto.
 
 
Writer’s wall
Sono tornata dopo non so quanto tempo ma non importa, cioè forse a voi sì ma io ho avuto altri pensieri, ho un’altra fanfiction in corso e gestirmi tra le due sta diventando complicato. Comunque, ditemi cosa ne pensate, sul precedente capitolo non mi avete lasciato molte recensioni, anzi solo una, e ringrazio xGiorgias per aver recensito, e sprono tutti voialtri a farlo, per aiutarmi anche a migliorare.
Alla prossima, Angelica.
  
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