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Autore: madelifje    01/09/2014    4 recensioni
Se nasci a Hoeden muori a Hoden. Te lo dicono da quando hai sei anni, così non ti illudi, e te ne rendi conto ogni giorno che passa. Non te ne andrai mai, non troverai mai un lavoro degno di questo nome e vedrai il mare solo da lontano. Le case cadono a pezzi, il clima fa schifo e le persone sono addirittura peggio. Trascorri le tue mattine a inventare cose interessanti da scrivere sul curriculum, i pomeriggi a fumare all’Anfiteatro e le sere sulla cima della diga, a inventare nomi per le stelle o a sputare la birra controvento.
Non hai superpoteri, non indossi tutine attillate, non ti cambi nelle cabine telefoniche; ma ti piace pensare che tu, ai supereroi, fai un baffo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre: Quarantaquattresimo minuto
 
We stay up late and draw the lines to every constellation 
We live with all our sorrows tied to age and separation 
These are the days of love and life 
These are our expectations 
We stay up late to live tonight 
This is our destination 

- Imagine Dragons


 
Le maglie per lo staff sono sempre troppo accollate e costituite da un tipo di cotone (sicuramente sintetico) troppo pesante. Maaike inizierà a squagliarsi da un momento all’altro, ne è sicura (a meno che non muoia strangolata da quell’orrenda t-shirt col logo del Sunshine Center sul davanti e un errore di stampa sul retro).
Il Sunshine Center, oltre a un nome a dir poco brutto, vanta anche una mensa - la quale attenta in continuazione alla vita delle povere anime costrette a frequentarla -, personale per niente qualificato e bambini sovrappeso che cercano di dimagrire. Maaike non smetterà mai di domandarsi quanto debbano essere disperati i genitori per mandare i propri figli in un posto del genere. Questa gabbia di matti però è l’unico posto ad aver preso anche solo in considerazione l’idea di assumerla, quindi non può fare a meno di sentirsi grata.
“Maaike?” Sbatte le palpebre, tornando sulla Terra, e cerca il proprietario della vocetta. Joel è un bambino con un’enorme massa di capelli ricci e arancioni, le lentiggini,  due denti da coniglio e un carattere abbastanza insopportabile. Maaike lo adora.
“Eh?”
“Ma perché la tua maglia crede che tu sei un uomo?”
Sia, Joel. E non è la maglia che lo pensa.” Solo quell’incompetente che l’ha ordinata sbagliata.
Sì, perché sul retro della maglietta c’è scritto “Mick”; e adesso lei sta cercando in tutti i modi di convincere i bambini di essere una ragazza, non quello dei Rolling Stones.
È l’ora del gioco libero. Un gruppo di bambini sta litigando per salire sull’altalena, tre undicenni si sono date al punto croce e Joel è sempre lì sul muretto, vicino a lei, con le solite macchinine mezze rotte. Forse dovrebbe andare a separare i litiganti. Da quando una bambina anche più in carne degli altri ne ha sfondata una, sono rimaste solo tre altalene degne di questo nome. Naturalmente i litigi per salire sono aumentati in maniera esponenziale.
La ragazza fa per alzarsi. Una delle undicenni prende una manciata di terra. Maaike cambia immediatamente idea. Ci penserà qualcun altro.
“Che sfigata che sei, Maaike.”
“Joel?”
“Mh?”
“Ma tu non hai niente di meglio da fare?”
“No.”
“Ah ecco.”
Rita e quel nuovo animatore di cui non ricorda il nome sono in pausa sigaretta. Gli educatori più esperti saranno a fare le parole crociate da qualche parte. Maaike è lì a guardare i bambini. Che poi stia pensando all’Inglese nel vialetto di casa sua, è un dettaglio insignificante.
Chissà cosa ci faceva lì. E soprattutto, perché se n’è andato senza neanche bussare?
Magari voleva fare uno scherzo idiota, ma Maaike non è convinta. Non è da lui, in genere quelli sono i suoi amici.
Ogni volta che lo vede va in iperventilazione, è da quando ha quattordici anni che cerca di farsi passare quella cotta, eppure niente. In fondo non c’è nulla di male. Se lei non fosse lei e loro non vivessero a Hoeden.
Sì, e se la Terra fosse popolata da unicorni, pensa con rabbia.
“Maaike” dice ancora Joel, “a Hoeden c’è per davvero il circo?”
“Non lo so. Forse.”
“Ci vai? La mamma ha detto che in quel paese non mi porta.”
“La tua mamma fa bene, Joel, fa molto bene.”
 
 
 
Anya Keller sbircia da dietro il pesante telone nero. Il tendone non è pieno, esattamente come si aspettavano. La gente del posto non ha soldi da buttare e tutti pensano la stessa cosa: chissenefrega del circo. Probabilmente anche Anya ragionerebbe così, al loro posto.
Nives ha tirato giù la platea con il suo numero sul nastro. Tre quarti del pubblico si saranno spellati le mani a furia di applaudire, una reazione che Anya non ha mai ottenuto in vita sua. Chissà se tra quelle facce tipicamente olandesi c’è anche quel tale, Lucas.
Chissà se aveva già intenzione di venire o se l’ha fatto per causa sua.
Sempre che sia venuto, ovvio.
Lo stomaco è stretto nella solita morsa che le ricorda che sì, davvero si sta per esibire e davvero rischia di fare una figura di merda. O rompersi il collo. O entrambe.
Qualcuno le tocca una spalla. È Mangiafuoco che le dice di prepararsi, che tra un attimo tocca a lei.
Si arrampica su per l’alta scala che la porterà allo stesso livello del trapezio, nascosta dall’assenza di luci. Una volta arrivata, afferra il legno con le mani e si prepara a saltare.
Quando finalmente i fari le colpiscono in pieno gli occhi, Anya riesce ad avvistare Lucas. Poi salta e ci sono solo lei, il trapezio e il fiato sospeso del pubblico.
 
 
L’Inglese e Colin sono seduti tre file sopra Quella Strana. Lucas dovrebbe amarlo – solo non in senso letterale – perché aveva cose nettamente migliori da fare, lui, come andare all'Anfiteatro e vedere di scroccare qualche canna. Però il suo amico sfigato un po’ gli faceva pena, allora Il Vero Uomo che è in Colin ha accompagnato L’Inglese a vedere il circo. E deve ammettere che, dopo il numero di quella bionda col nastro, essere qui non gli dispiace più così tanto.
“Oh” dice all’Inglese.
Lui distoglie lo sguardo dalla trapezista e “Ma sai che quella la conosco?”
Accenna con il capo alla ragazza che ha appena spiccato un salto da chissà quanti metri d’altezza.
“E a me? Comunque senti, Quella Strana sta usando il riflesso sullo schermo del cellulare per guardarti. È la quarta volta che lo fa in… tre minuti?”
“Esagerato.”
Giuuuro!”
“Urla un po’ di più, eh, forse non ti ha sentito.”
Colin borbotta qualcosa e torna a guardare lo spettacolo.
“Oh.”
Sbuffo seccato che Colin prende come una risposta.
“Perché conosci la trapezista?”
 
 
 
Sette euro e cinquanta spesi abbastanza bene. Maaike Boderwijk non era mai stata al circo, perché il circo non era mai venuto da loro - in questo caso quel detto su Maometto e la montagna non vale. Infatti è ancora fermamente convinta che questi qua abbiano sbagliato strada.
Si avvia verso casa, cercando di non calpestare le fughe tra i ciottoli della strada, tanto perché non sa cosa fare. Ovviamente, mentre si diverte con questo passatempo stupido, deve scontrarsi con la schiena dell’Inglese. Il suo amico nero la stava guardando. Fantastico.
Si salutano.
Maaike non sa cosa dire. Quale frase non la farebbe sembrare pazza?
“Bello lo spettacolo?” Banale.
“Bah, abbastanza” dice quello nero – com’è che si chiamava? – con l’aria di voler fare il superiore.
“Carino” commenta invece Lucas.
“Anche a me è piaciuto!” esclama Maaike con troppa enfasi, felice di avere qualcosa in comune con lui, e subito dopo sentendosi patetica.
Lucas è chiaramente imbarazzato. “Be’ dai, son contento…”
Maaike è una delle poche persone a Hoeden a possedere un computer. Rettifica: è una dei pochi a possedere un computer funzionante. Una dei pochissimi ad avere anche, toh!, una connessione ADSL. Lentissima, ma permette di accedere a Internet. A volte, la ragazza si è avventurata su quei siti hipster che nel resto del mondo vanno così tanto di moda e non ha potuto fare a meno di notare quella cavolo di scritta YOLO. Che un po’ è una boiata perché sì, è vero che si vive una volta sola, ma uno vorrebbe anche trascorrere in pace il tempo che gli manca, senza doversi rovinare per una cazzata fatta in un momento di follia. No? Ecco, questa è più o meno la filosofia di Maaike Boderwijk.
Filosofia che, questa sera al circo, è probabilmente andata a farsi un giro. Perché Maaike apre la bocca e invece di qualsiasi frase intelligente dice “Ma tu oggi mica eri a casa mia?”.
Può quasi sentire l’ultimo briciolo di buon senso buttarsi da un ponte, mentre l’istinto di sopravvivenza le urla di girare sui tacchi e smammare. Inutile dire che Maaike non lo fa.
Lucas è visibilmente stato preso alla sprovvista. Non sa cosa dire – né a lei né ad un allibito Comesichiama – e sembra cercare una via di fuga. Ovviamente non c’è.
“I-io… Be’ forse sì… ma…” Illuminazione. “Il postino ha consegnato a me una lettera che in realtà era per te. Solo che non era seriamente per te, ma per la casa di fianco. Me ne sono accorto a metà vialetto, ho detto ‘Boia, la casa non è questa!’ e sono tornato indietro.”
Maaike non sa se ridere di gusto, piangere, o complimentarsi per il tentativo.
“A che ora ci aspetta Bjorn?” Non vorrebbe nemmeno sembrare paranoica, ma quest’ultima frase del ragazzo di colore sa tanto di scusa.
Impressione che viene confermata dall’occhiata perplessa dell’Inglese, che sembra significare che Bjorn non li sta affatto aspettando, ma il ragazzo ha la decenza di non dire niente.
Lucas dichiara di non saperlo e l’altro suggerisce che forse dovrebbero iniziare ad andare, perché Bjorn è meglio non farlo arrabbiare. Maaike forza per l’ennesima volta un sorriso e li guarda andare via, col cuore che piange. Quanto le piacerebbe essere un’altra persona.
“Mi devi raccontare qualcosa, eh?” dice la voce del ragazzo di colore, ancora abbastanza vicina da essere sentita.
“Colin, sei più pettegolo di mia zia.”
“Ma tu non hai una zia.”
Colin, ecco come si chiama.
 
 
 
Lucas non se ne vuole andare. Non senza salutare Anya e farle i complimenti. C’è anche l’immagine di Maaike che ogni tanto fa capolino tra i suoi pensieri e allora un po’ si sente una merda. Però cosa ci può fare? Lui non ricambia i sentimenti di quella ragazza. Non può mica fingere. Lucas Owen ha diciassette anni e una sola storia alle spalle, durata una settimana e mezza, con una ragazza più grande di un anno. Non hanno approfondito la relazione – si sono a malapena baciati, diamine – ma in confronto a Maaike si può considerare un playboy. Nessuno si è mai avvicinato a quella ragazza, non in quel paesino superstizioso e non con le storie che girano sul conto di lei. Già Lucas viene guardato in un modo un po’ strano perché è straniero, figuriamoci se peggiorerebbe tutto cercando di “conoscere meglio” Quella Strana!
Colin non ha creduto alla storia del postino sbadato. Lucas si è rifiutato di raccontare la verità – anche perché non la conosce con esattezza neanche lui. Hanno battibeccato. Sono finiti all'Anfiteatro a scroccare sigarette. Tanto per cambiare.
Lucas comincia a detestare la propria vita.
Poi gli viene in mente Anya, che gli ha urlato un saluto mentre loro imboccavano la discesa che porta al Teatro. Lui si è voltato e le ha fatto “ciao” con la mano. È sicuro di averla vista sorridere.
 
 
 


L’Olanda sta vincendo tre a uno contro la Spagna.
Probabilmente ci sperava solo Colin, gli altri erano già pronti a dire ciao agli ottavi di finale. Convinzione che è durata fino al quarantaquattresimo minuto del primo tempo, quando l’Olanda ha segnato. Sono tutti a casa di Gebren, Quello Col Televisore Figo; stipati sul divano un po’ sfondato, che riesce incredibilmente sia a ospitare sei persone – otto, contando i due sui braccioli – che a fornire un buon appoggio ai quattro seduti dietro. La tensione è così alta che, se in questo momento cadesse un bicchiere, verrebbe un attacco di cuore a tutti.
È estate, fa caldo, dalle finestre spalancate provengono gli echi della telecronaca della partita, trasmessa dai televisori di tutte le case, e il ronzio di chissà quanti ventilatori che funzionano nello stesso momento. Da qualche parte qualcuno sta anche grigliando delle salamelle, facendo aumentare la salivazione a tutto il vicinato. La fame però passa in secondo piano, dato che, non so se avete capito bene, ma l’Olanda sta vincendo tre a uno contro quei maledetti che li hanno fatti arrivare secondi nel 2010.
Lucas è seduto nel punto più a destra che è riuscito a trovare, perché durante la finale in Sudafrica era a sinistra e quella partita l’hanno persa. Non è superstizioso, eh, però non si sa mai. Bjorn dalla tensione ha già fatto fuori cinque sigarette, intossicato tutti i presenti e tirato tre calci negli stinchi al povero Pavel, colpevole solo di essersi seduto di fianco a lui. Colin è dietro, che mastica rumorosamente delle patatine e s’incazza perché i cappelli arancioni, riciclati dalle precedenti edizioni del mondiale, gli ostruiscono la visuale.
C’è anche Anya, che non ha ancora capito bene come abbia fatto a finire lì.
È il ventisettesimo minuto del secondo tempo. L’Olanda inizia un’azione.
Tutti coloro che fino a qualche secondo fa erano sul divano scattano in piedi, urlando “dai dai dai! DAI DAI! DAAAII!” con tanto di movimento di braccia per dare enfasi.
La palla entra in rete. È gol.
“Goool!” strilla Bjorn, con la voce più alta di un’ottava.
“GOOOOOL!” risponde gridando Pavel.
Baci, abbracci, strette di mano, risatine isteriche, Van Persie che diventa eroe nazionale e commenti poco carini sugli spagnoli.
Poi tutti ripiombano di colpo sul divano – che per poco non si sfonda del tutto – e ritornano alle occupazioni di prima: sigaretta numero sei per Bjorn, pellicina numero tre del pollice di Lucas, pacchetto di Fonzies per Colin e inalatore contro l’asma di Pavel.
Nessuno si azzarda a dire le fatidiche parole, perché ‘sti bastardi potrebbero anche rimontare, ma la gioia è ben visibile sui volti di tutti.
I “dai” che incoraggiano le azioni e gli “uuuh” di quando la Spagna si avvicina troppo alla porta. Gli insulti contro Colin che mastica troppo rumorosamente e contro Ube che ha portato troppa poca birra. Tutte cose che Anya Keller non aveva mai visto.
“Sai che non sto capendo quasi niente, vero?” sussurra all’orecchio di Lucas, che è proprio da parte a lei. Lo sente soffocare una risatina.
“Se Bjorn si toglie la maglietta, vuol dire che abbiamo vinto. Tu urla quando gridiamo noi e vedi che non se ne accorge nessuno.”
L’Olanda vince cinque a uno contro la Spagna, grazie alla spettacolare rete del sessantaquattresimo.
Una mandria di dieci persone galoppa fuori dal minuscolo appartamento di Gebren, lasciando Anya e Lucas da soli.
“Non vieni?” domanda lui. Gli risponde con un cipiglio interrogativo.
“Al bar, a intonare cori da stadio e bere alla faccia degli spagnoli. Non è squallido come sembra.”
Anya ride, fa finta di pensarci un attimo e annuisce.
 
 
Forse è davvero una cosa squallida, ma Anya non ha termini di paragone. Il circo è formato da persone provenienti da ogni angolo del globo, perfino qualche isoletta dell’Indiano che dovrà rimanere senza nome – Mangiafuoco giura di non ricordarselo, naturalmente non ci crede nessuno. Di conseguenza, durante i mondiali di calcio non si crea quello spirito di unità e amicizia che c’è adesso nell’unico bar decente del paese, il Fox. Hanno riempito tutti i tavoli. I proprietari del locale non sono mai stati così felici, non si sa se per la partita o per tutti i soldi che guadagneranno questa sera. Probabilmente la combinazione dei due fattori.
Un brindisi dietro l’altro; prima per argomenti seri, adesso per stronzate.
“Alla nuova maglia di Ube, che stranamente è guardabile!”
Cin-cin. Un idiota fa tintinnare il proprio bicchiere con quello del vicino, obbligando tutti gli altri a fare lo stesso perché “altrimenti porta iella”, spiega Bjorn all’unica ragazza del tavolo.
Anya Keller si è sentita così bene poche volte nella vita.
“A Pavel, che mi ha regalato una paglia!”
I bicchieri si alzano ancora una volta.
Era sulla diga con Lucas. Non si erano dati appuntamento, erano semplicemente capitati lì alla stessa ora. Poi era arrivato di corsa un ragazzo di colore, che aveva imprecato contro L’Inglese per tutta la strada che gli aveva fatto fare e successivamente aveva gridato che la partita stava iniziando. Quale partita? Ma in che mondo vivevano? Mai sentito parlare dei mondiali?
Lucas era partito per la tangente, non prima di averla afferrata per un braccio. E si era trovata sulla sedia dietro al divano sfondato di Gebren.
“Ad Anya, che non aveva mai guardato una partita di mondiale!” Il bicchiere di Lucas si solleva, circondato da un’improvvisa incredulità. Lo stupore generale comunque dura poco e tutti fanno il brindisi.
Poi, di punto in bianco, Lucas si irrigidisce. Anya segue la traiettoria del suo sguardo e vede una ragazza con capelli, pelle e occhi chiari, che gli fa un timido cenno di saluto con la mano.
Cenno a cui Lucas non risponde, anzi, fa finta di non aver visto niente.
Se c’è una cosa che invece Anya vede benissimo, è l’ombra di tristezza pura che attraversa quegli occhi pallidi. 


 

Eto voilà!
Il capitolo che, non so perché, non vedevo l'ora di pubblicare. La scena della partita mi ronzava in testa sin dall'inizio, quindi spero che vi sia piaciuta :)
Vi avevo detto che la cara Maaike Boderwijk sarebbe stata importante. È molto diversa dai ragazzi, trovate? Non solo per la condizione economica, ma anche nel modo di pensare. E poi, Maaike lavora. 
Ringrazio tutti quelli che seguono questa storia. Non sapete quanto mi sia d'aiuto :)
Oggi sono leggermente di fretta, quindi non mi dilungo oltre. Vi lascio con i miei contatti e spero che commentiate il capitolo!
bacioni,
Gaia

   
  
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