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Autore: _diana87    01/09/2014    4 recensioni
"E va bene, vi dirò tutto, ma voi dovete lasciarmi parlare senza interrompermi, okay? Fate finta che vi stia raccontando una storia... agente, lei sa come funziona un romanzo, mi auguro... c’è un prologo, che potremmo identificarlo in questo momento, in cui il bravo ragazzo viene scambiato per un traditore e cerca di convincere la polizia che lui non c’entra niente... poi c’è il corpo, che è la parte centrale in cui vi racconto come si sono svolti i fatti... infine, c’è l’epilogo, in cui c’è la resa dei conti e la morale della storia... perché ogni racconto ha sempre la sua morale..."
Genere: Guerra, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle, Sorpresa | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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New York vista dall’alto dà uno degli spettacoli più belli al mondo. Le uniche cose a turbare il panorama sono le sirene della polizia che sembrano urlare disperate verso il luogo da loro annunciato via radio. Le strade diventano una crocevia di volanti; taxi e auto lasciano spazio alle forze dell’ordine, mentre qualcuno è uscito dai propri veicoli per osservare il cielo: quando la nube di fumo provenire dalla metropolitana diventa più evidente, passando dal colore grigio scuro al nero, i newyorkesi hanno in mente una sola data e hanno paura di ritrovarsi di nuovo coinvolti in quella stessa tragedia che li colpì più di dieci anni fa.
Un gruppo di agenti si fanno largo tra la folla incuriosita per oltrepassare il cordone giallo della scena. Tra morti e sopravvissuti, i giornalisti indirizzano l’evento ad una sola possibile causa.
“Non ci sono dubbi, qui a New York c’è appena stato un attentato terroristico.”
Kate Beckett guarda accigliata le telecamere e i giornalisti che fanno a gara per accaparrarsi l’ultimo scoop. È sempre la stessa maledettissima storia. Quando esplode un ordigno o c’è un grave incidente, l’America pensa sempre al peggio. Ormai è diventata una paura presente e costante che si è insinuata nell’animo del newyorkese più radicale fin dall’11 settembre 2001.
Scuote la testa, tenendo le mani in tasca e oltrepassa la linea gialla per avvicinarsi al luogo dell’esplosione. Vede Lanie, Javier e Kevin di spalle, che parlano preoccupati con agenti dell’Interpol, ma lei cammina oltre per raggiungere una figura alta e magra, intenta a fare domande ad una persona all’apparenza irriconoscibile, seduta su una lettiga. Dietro di lei, altri due agenti con l’etichetta Interpol stampata sulle loro divise.
Arriccia la bocca appena sente quel timbro di voce profondo dell’inglese che conduce l’interrogatorio, un uomo che negli ultimi due anni le è stata indispensabile per tirare avanti, continuare a sperare, e avere una spalla su cui sfogarsi, proprio come lei faceva con quell’altro uomo della sua vita. Abbassa la testa mettendosi le mani nella tasca del giubbotto, non curandosi della persona lì seduta.
“Agente Jones, cominciamo con l’interrogatorio mattutino, come ogni giorno.”
L’uomo fa una smorfia che assomiglia ad un sorriso, appena la riconosce; ha sentito il suo inconfondibile profumo di ciliegie, ormai diventato famoso anche oltre il Dodicesimo; quindi si volta a mezzo busto verso di lei. Gli occhi azzurri, la fisionomia spigolosa e i capelli castano chiaro tagliati accuratamente la ipnotizzano, e ricomincia a sentire il groppo allo stomaco. Le fa sempre questo effetto ogni volta che lo vede.
“Vuole condurlo lei, agente Beckett? Magari il suo ex fidanzato saprà dirle qualcosa di più.”
L’attimo dopo, si spoglia di quella maschera che ha assunto. Dimentica l’agente Jones e gli altri della Interpol per concentrarsi sulla persona seduta sulla barella. Si blocca, come congelata all’istante. E avrebbe voluto essere messa in un congelatore in quel momento, per poi risvegliarsi tra mille anni, proprio come nella serie animata Futurama.
L’uomo con le manette la guarda attraverso i suoi occhi azzurri, la barba incolta, i capelli cresciuti di poco sotto le orecchie, qualche taglietto sul volto, lo sguardo impassibile e fisso su di lei. Indossa un completo nero e sul petto ha una specie di medaglietta gialla e verde con delle parole scritte in arabo. Non ha bisogno di dire altro per capire di chi si tratta.
Mike Jones, capo del dipartimento dell’Interpol inglese, dedito alla minaccia contro il terrorismo internazionale, squadra divertito Beckett dall’alto del suo metro e novanta. Poi tira fuori il suo telefono cellulare, un iPhone di ultima generazione, e compone un numero annunciandosi trionfante.
“Qui Mike Jones all’Interpol di Londra, missione compiuta. Richard Castle, ricercato per terrorismo da due anni, accusato dell’attentato alla metropolitana di New York e delle precedenti esplosioni, sospettato di essere membro di Al-Qaida, è stato arrestato.”
 
Kate Beckett è immobile nella stanza interrogatori e dal vetro osserva quell’uomo che due anni fa era sul punto di sposare, lo stesso che aveva scritto una serie di romanzi su di lei, una saga di libri rimasti incompiuti a causa della sua cattura anni fa; la stessa persona che le portava il caffè ogni mattina; che le ripeteva che ci sarebbe stato per lei “sempre”; che le aveva detto di amarla dopo essere stata sparata, e che l’aveva aiutata a mettere in prigione il senatore che aveva ucciso sua madre... proprio quel Richard Castle che lei aveva amato per sei lunghi anni, e che non aveva mai smesso di amare anche dopo, era lì di fronte a lei, ammanettato e pronto per attendere l’interrogatorio dell’Interpol e poi della CIA.
“Non mangi niente da stamattina, tesoro. Neanche il caffè?”
Con un gesto della mano, Kate allontana l’amica Lanie, e l’aroma della caffeina. Quel caffè ha smesso di avere un significato quando Rick Castle ha smesso di portarglielo.
L’anatomopatologa posa i due bricchi sul tavolino e torna ad avvicinarsi alla detective, guardandola preoccupatissima. Cos’altro potrebbe dirle in quel momento? L’unica cosa che le viene in mentre è un gesto spontaneo: l’abbraccia. Anche contro la sua volontà, Kate si stringe in se stessa, si contrae con tutti i suoi muscoli. Alla fine, però, cede, e avvolge Lanie con le braccia, per lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, ma silenzioso, posando la testa sulla spalla dell’amica. Non le importa se la bagnerà e se Lanie uscirà da quella stanza con la necessità di cambiare camice da lavoro.
Kate aveva bisogno di piangere da molto tempo.
La porta della stanza si apre ed entrano anche Javi e Kevin. Lanie fa segno con il dito di far silenzio. I due detective rispettano la tranquillità e la privacy di Kate Beckett, una donna che è stata forte per tutta la sua vita, ma che in quel momento ha abbattuto tutte le sue difese, per mostrare la sua fragilità.
Se Kate aveva un tallone di Achille, quello si chiamava Richard Castle.
“Io—io ancora non ci credo...” balbetta tra i singhiozzi. Sentendo la presenza degli altri due detective, Beckett si asciuga le lacrime con forza, scacciandole, impedendo che esse scendano di nuovo.
Esposito si avvicina mettendole una mano sulla spalla.
“Beckett, quello là dentro non è più Castle. Quella persona solare e divertente se n’è andata due anni fa.”
La mazzata arriva alle spalle come un colpo di pistola. Anzi, come un coltello affilato che incide la carne lentamente. Lei lo guarda fisso negli occhi come se avesse appena detto una grandissima cavolata.
“Bugiardo!” urla lei, disperata. “Bugiardo!” gli si butta contro prendendolo per il colletto, tanto che Kevin e Lanie devono separarli.
“Tesoro, l’ultima volta che vi siete visti, ti ha puntato la pistola contro.”
La voce di Lanie la riporta all’ultimo incontro avuto con Rick, a Beirut, prima che lui fuggisse di nuovo con quel gruppo di terroristi. Gli occhi azzurri del suo scrittore erano spenti, svuotati della sua aura positiva e sognatrice, e riempiti con odio contro la civiltà occidentale.
Kate stringe i pugni, abbassa lo sguardo, tornando in sé, rialzando il muro.
“Non era in lui. Sono ancora convinta che c’è qualcosa che non ci sta dicendo.”
“Allora perché scapperebbe se è innocente?”
Non ha il tempo di replicare alla domanda sussurrata da Ryan, perché Mike Jones è appena entrato nella stanza interrogatori.
L’inglese si accomoda sbottonando la giacca per sentirsi più a suo agio. L’aria sicura di sé che assume non è mai andata a genio ai due bro, che stringono i denti, bisognosi di difendere e proteggere il Dodicesimo, ovvero il loro territorio e la loro casa.
Rick e Mike si guardano per qualche istante, studiandosi a vicenda. Lo scrittore osserva come l’agente dell’Interpol posa le mani unite sul tavolo, sporgendosi verso di lui, pronto a stabilire un dialogo. Apre la cartellina che ha sotto gli occhi per dare l’ennesimo sguardo a colui che considera l’attentatore. Soddisfatto della sua cattura, l’agente Jones inclina la testa, sistemandosi la cravatta color bordeaux.
Non solo hanno la puzza sotto al naso e pensano di saperne più degli americani, ma gli inglesi hanno anche un pessimo gusto nel vestirsi, pensa Rick in quel momento, non spostando lo sguardo su di lui. Per fortuna qualche briciolo di umorismo sembra essergli rimasto.
“Perché non inizia a parlare signor Castle? Così potremmo capire cosa c’entra lei in questa storia...”
“Quindi lei, agente, crede che sia innocente?”
“Non ho detto questo. Ma la sua ex fidanzata, che ci sta guardando dall’altro lato della vetrata, sembra convinta del contrario.”
Sentendosi citata, Kate sobbalza. Si sente osservata e spogliata improvvisamente di quel muro che si era ricreata.
Esposito e Ryan si trattengono dall’entrare e prendere a pugni quell’inglese.
Rick, invece, quando sente citare Kate, si sposta leggermente dalla sedia per poi tornare a prendere posizione. Apre la bocca per ribattere qualcosa, invece riesce solo a sputare della saliva in faccia all’agente Jones. L’inglese si schiarisce la voce, restando composto. Molto lentamente, tira fuori un fazzoletto bianco dalla tasca interiore della giacca per asciugarsi il viso.
“Non riusciremo a concludere niente con quell’agente lì dentro.” La Gates fa la sua entrata nella stanza vetrata con eleganza e risolutezza. Alza le braccia e si fa largo tra i suoi detective per prendere il primo posto vicino a Kate.
La Iron Lady del Dodicesimo sa il fatto suo. Guarda Beckett e la vede rigida nella sua posizione. Se l’avrebbe toccata anche solo con un dito, lei sarebbe andata in frantumi, come un bicchiere di cristallo.
“Detective, se vuole possiamo interrompere l’interrogatorio.”
Senza guardarla, Kate stringe i pugni e continua a fissare davanti a sé.
“No, voglio andare in quella stanza con lei capitano, se non le dispiace.”
La Gates accenna un sorriso. La guerriera Beckett è tornata. Senza indugiare oltre, ordina a Esposito, Ryan e Lanie di restare nella stanzetta, mentre lei e Kate entreranno in quella degli interrogatori.
Il capitano sa che la detective è l’unica che può far parlare Castle. Saranno passati anche due anni, ma deve esserci ancora qualcosa che li lega l’uno all’altro, e deve sapere cos’è che ha spezzato quel loro legame.
Appena Kate entra nella stanzetta, Rick riprende a fissarla mettendola in soggezione. Vuole assicurarsi che sia ancora lei, con i suoi lunghi capelli folti ondulati, castano chiaro, gli occhi che sfuggono al suo sguardo, indugiando altrove. Kate si siede accanto a Mike, con la Gates in piedi dietro di loro.
L’agente Jones fa un gesto verso la detective come a invitarla a iniziare, invece è Rick a farlo.
“Io sono innocente. E comunque non avete prove contro di me.”
“L’abbiamo presa mentre fuggiva dalla metropolitana con quel completo”, ringhia l’agente Jones, poi gli indica la medaglietta sulla maglia, “E quel simbolo sa cosa vuol dire? Allahu Akbar.”
“Dio è il più grande”, dicono insieme.
Mike fa una smorfia.
“E’ la frase fondamentale per un musulmano. Ora vuole ancora farmi credere che è innocente?”
“Non tutti i musulmani sono dei terroristi. Forse voi dell’Interpol dovreste rivedere le vostre credenziali, perché non siete affatto credibili.”
Kate inizia a sentirsi a disagio e volge lo sguardo alla Gates dietro di lei, che rotea gli occhi di fronte all’interrogatorio.
La detective torna a guardare Rick e fa per allungare la mano verso la sua, movimento che non sfugge agli occhi di Jones, ma poi subito si ritira, capendo che un gesto del genere non può più farlo.
Decide di intraprendere la strada del dialogo.
“Castle, io ti credo, ma abbiamo bisogno che ci racconti tutta la storia.”
Lo scrittore fa una risatina nervosa. “Tu mi credi? Come puoi credermi dopo quello che ti ho fatto?”
“Perché l’amore che provo per te mi ha portata avanti per tutto questo tempo.”
Si guardano intensamente negli occhi, che si stanno chiedendo se ancora sono innamorati l’uno dell’altra. La mano di Kate vibra e arde nel volerla tendere verso di lui per fargli sentire la sua presenza. Abbozza un sorriso per fargli capire che lei è lì.
“Che scenetta commovente.” Interrompe l’agente Jones, prontamente ammonito dalla Gates che avanza vicino a lui.
Lui si sistema la cravatta e sentendosi circondato, decide di alzarsi, allontanando la sedia. In piedi, si tocca la fronte sentendola in incandescenza, poi si rivolge uno ad uno.
“Senta, capitano Gates... detective Beckett. Io rappresento la polizia internazionale del Regno Unito. Non posso permettermi figure del genere quando c’è in ballo la sicurezza mondiale. O la finiamo coi siparietti, oppure ricorrerò alla forza.”
“Non nel mio distretto, agente.” Lo ammonisce la Gates, restando con lo sguardo fisso su di lui.
Kate sorride appena, nascondendo il rossore delle guance da dietro i capelli. Quando alza lo sguardo, Rick è a lì a fissarla, ammaliato. Quanto le è mancato tutto questo.
La Gates si rivolge a Rick, interrompendolo dai suoi pensieri.
“Signor Castle, se la detective Beckett crede in lei, io mi fido, perché è la migliore che ho qui. Perciò siamo pronti ad ascoltarla.”
Si dimenticano che Mike Jones sia lì presente, ma l’agente dell’Interpol la pensa diversamente e torna a sedersi vicino a Kate, per riprendere posizione.
“Sì, ci dica tutto fin dall’inizio. Una ragione per cui dovremmo crederle, prima di tutto.”
Rick si sistema nella sua sedia e allunga le mani sul tavolo. Su di esse, un colore nero, forse di cenere, e un tatuaggio con alcune scritte arabe fatto con l’henné che colpisce Kate.
“Agente Jones, se c’è una cosa che ho imparato in questi due anni in cui sono stato via è che la gente vive di pregiudizi. Solo perché una persona incontra un musulmano, questo non vuol dire che egli sia un terrorista. Voi non conoscete tutta la storia.”
Mike fa una risatina e si sistema anche lui sulla sedia, incrociando le braccia al petto.
“Allora ce la dica, noi non ci muoviamo da qui.”
L’agente Jones e Castle si scambiano di nuovo sguardi di sfida, che fanno innervosire Kate. Rick assume la posizione dello scrittore che sa tutto, ritirando le mani e poggiandole dietro la testa per stiracchiarsi, occupando del tempo. Poi torna a rimetterle sul tavolo.
“E va bene, vi dirò tutto, ma voi dovete lasciarmi parlare senza interrompermi, okay? Fate finta che vi stia raccontando una storia... agente, lei sa come funziona un romanzo, mi auguro... c’è un prologo, che potremmo identificarlo in questo momento, in cui il bravo ragazzo viene scambiato per un traditore e cerca di convincere la polizia che lui non c’entra niente... poi c’è il corpo, che è la parte centrale in cui vi racconto come si sono svolti i fatti... infine, c’è l’epilogo, in cui c’è la resa dei conti e la morale della storia... perché ogni racconto ha sempre la sua morale...”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come promesso (?) sono tornata a rompere le scatole.
Premetto che la storia ho cominciato a scriverla a inizio maggio, quindi prima del season finale, e già immaginavo un non-happy ending per i Caskett lol
E premetto che ho cominciato a scriverla prima che sapessi di tutta la crisi in Medio Oriente, quindi dovrei smetterla di scrivere su questi temi che poi finisce sempre male XD
Tante domande in questo prologo, sopratutto due: Castle è un terrorista?! Che vuol dire 'deyman'?
Per saperlo, non vi resta che seguirmi u.u
Alla prossima! D. :)

ps: è inutile che googlate, tanto la parola del titolo non la trovate :p
   
 
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