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Autore: Justanotherpsycho    01/09/2014    0 recensioni
Una rivisitazione in chiave più cruda dell'universo Pokémon, dove avvengono catastrofi e guerre, e dove non si combatte più con le pokéball, ma con le spade, e dove il premio per la vittoria non è una medaglia, ma la sopravvivenza.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo 20 - Meta Raccogliere bacche, non c'è cosa più noiosa. Eppure il pensiero della festa lo consola: a breve sarà circondato dalla gente che ama, dalle loro risate, dai brindisi e dalle battute rumorose degli zii accorsi da nord e da ovest. Potrà di nuovo ascoltare le storie del nonno e del deserto, le leggende di quell’Entei che è il simbolo della loro antica casata. E quanto sarà felice la madre e orgoglioso il padre, quando Serak tornerà con tutte queste bacche, da farne gran vassoio ed esporlo a centro tavola!
 
Per la strada del ritorno, però, sente degli strani rumori, come ringhi e mugolii, provenienti da un posto non molto lontano. Superato qualche cespuglio si ritrova davanti alla scena: un branco di Zangoose… e uno sembra non essere gradito da tutti gli altri.
 
“Non è affare che mi riguarda” pensa Serak. Con il suo bel sacco di bacche gira i tacchi e punta verso casa.
 
Il fuoco. Allegro scoppietta nel camino. Sulla lunga tavola, attorniata da tutta la famiglia estesa, piatti ricchi di carni, bicchieri pieni di bevande, e al centro la montagna di frutti raccolti da Serak.
La serata era esattamente come se l’era immaginata, pervasa da quel calore che ti riempie l’anima.
 
Tutto è come deve essere. Niente è fuori posto.
 
«Ehi, Serak… siamo arrivati» lo sveglia la delicata voce di Quinn, prima che questa, appena il ragazzo apre gli occhi, si allontani arrossendo.
 
Serak, ancora un po’ rintontito, si strofina gli occhi mentre si appoggia sui gomiti per sollevarsi dal legno del pavimento del carro, ancora sobbalzante. K è già sveglio mentre ora Quinn sta svegliando Jay, impresa che si rivela più ardua della precedente.
 
Aveva dimenticato quanto potesse essere confortevole il mondo dei sogni, una realtà in cui tutto va sempre nel migliore dei modi. Gli capita raramente ormai di poterlo visitare; talmente di rado che non è più abituato a distinguerlo dalla realtà. Né tantomeno si aspettava di poter fare sogni felici proprio in queste condizioni, con una missione potenzialmente pericolosa alle porte.
 
Raggiunge Terry alla guida del carro, con Zangoose sempre taciturno al suo fianco.
«Quella è la nostra meta» gli indica il vecchio Custode con un cenno del capo.
 
Davanti a loro, dopo un altro breve tratto di strada fangosa, delle porte di legno, imponenti, ma più marce e decrepite di quelle del Rifugio. Tutta la zona è offuscata da una folta nebbia, che corre e si perde tra cupi tronchi d’albero tutt’intorno.
E’ notte, ma le stelle sono coperte da nuvole e la luna è buia, oscura, luna nuova.
 
Il carro si ferma davanti alle porte chiuse. Sotto alle mura, al ciglio della strada, c’è un piccolo capanno, le cui lanterne stanche sembrano salutare con la loro luce la compagna solitaria che segue i Custodi nel loro viaggio, come vecchi amici che si incontrino per caso lungo la via.
 
Una guardia all’interno del capanno, dietro un bancone, sta dormendo con le braccia conserte ed una picca stretta da queste. Ma si agita, il volto corrucciato, farfuglia “no no” quasi a voler scacciare l’invisibile.
 
Terry, non vedendo reazioni, si schiarisce la voce a richiamare l’attenzione.
Subito la guardia sobbalza, quasi cadendo dalla sedia.
«Chi va là? Chi siete? Cosa volete?» urla brandendo la picca.
«Siamo dell’esercito di Sua Maestà l’Imperatore della Grande Nazione del Fuoco» proclama il vecchio.
Serak rimane stupito.
 
«Ah sì? E dove sono le armature? Gli stendardi? I proclama? I plotoni?» fa sospettosa la guardia.
«Siamo in guerra, figliolo, e qui siamo anche molto vicini al confine. Fossimo venuti qui in pompa magna avremo scatenato una battaglia. E non è questo quello che vogliamo, vero? Qui ho quattro dei migliori soldati della Nazione, e tu stesso stai parlando con uno dei veterani più navigati, non abbiamo bisogno di plotoni. In più abbiamo i pokémon – indica Zangoose – e solo l’esercito può avere pokémon, non è una prova sufficiente per te? O dobbiamo riferire al Generale che non volete il nostro aiuto?» il tono calmo e sicuro sembra sortire il giusto effetto, perché subito il volto, incavato e pallido, della guardia cambia espressione, e diventa quasi supplichevole.
 
«Finalmente! Sapevamo che l’Imperatore non si era dimenticato di noi! Grazie! Altre guardie all’interno vi scorteranno al Palazzo» detto ciò aziona una grossa manovella e le porte, lentamente, si aprono.
«E grazie per avermi svegliato – fa poi sottovoce a Terry, quasi in modo confidenziale – rischiavo di…» ma poi si blocca bruscamente, abbassando il capo, finché non scompare dietro le porte richiuse alle loro spalle.
 
Le nebbia, come un silenzioso Ekans, è strisciata anche all’interno, bassa sulle strade fangose e mal tenute della città, come fosse a caccia della sua prossima preda.
Le ruote del carro si infrangono fragorose sulle pozzanghere, creando ampi cerchi nella fanghiglia.
 
Appaiono poi come in un sogno, o forse un incubo, le case oltre la coltre biancastra, illuminate da altre timide fiaccole sparse lungo la strada: di legno, le abitazioni, marce e fatiscenti anche queste. Insieme a loro dal sipario etereo di nebbia e notte sbucano i loro abitanti, stranamente sparsi per le strade, nonostante l’ora tarda: tutti hanno un colorito pallido, quasi come a mimetizzarsi con la nebbia, e gli occhi incavati, stanchi.
 
Ma si comportano in modo strano: le palpebre pesanti sono tirate su, a forza, spalancando gli occhi in modo terrificante e innaturale, le espressioni del volto finte, forzate, sorrisi da manichini. Si muovono quasi trascinati da fili, ma non sono marionette, ché mai si è visto un marionettista tanto abile da riuscire a creare qualcosa di così terribilmente afflitto quanto solo un corpo umano può essere. No, ma quei fili sembrano esistere davvero, e sono fatti di paura.
Gliela si legge in faccia, tra una pantomima e l’altra, la paura, il terrore.
 
Eppure non tutti sono in piedi sul palcoscenico, qualcuno sembra esserne caduto, e giace con la schiena contro un muro, seduto tra fango e Insetti. Gli attori non sembrano curarsi di questi individui, ma quest’ultimi non si muovono, hanno gli occhi chiusi, forse a stento sembrano respirare… che stiano dormendo?
Un brivido, come una scossa, attraversa il corpo di quello che Serak sta fissando, per poi emettere un urlo, sempre con gli occhi chiusi, e cadere, rannicchiato, di lato, la faccia nella sporcizia. Ancora, nessuno sembra preoccuparsene: lo spettacolo deve continuare.
 
Ma subito, avvertiti dal pesante tonfo degli zoccoli di Bill nel terreno irregolare, gli abitanti si voltano all’avvicinarsi del carro, i loro volti, stavolta, pieni di sospetto, quasi ostilità. Magari non hanno spesso ospiti.
 
«Terry, che sta succedendo? Che significa tutto questo? Da quando siamo a servizio dell’Imperatore?» chiede Serak, distogliendo lo sguardo per non incrociare quello indagatore dei passanti.
«Ovviamente era una bugia, ragazzo. Vedi, stanno succedendo delle cose, in questo posto… strani fenomeni riconducibili a dell’attività psichica… per questo crediamo che potrebbe esserci lo zampino della reliquia di Mewtwo…» risponde Terry
«Che genere di attività psichica?»
«Disturbo del sonno»
«L’intera città? A causa di una sola Reliquia?»
«Già, ma non siamo riusciti a capire esattamente dove questa si trovi…»
«Ancora non capisco cosa centri l’impero in tutto questo…»
 
«Il Signore della città si è rivolto all’autorità imperiale affinché intervenisse, ma la guerra impegna alquanto l’Impero, che non ha tempo né energie da spendere in questioni del genere. Lo stesso dicasi per la Nazione del Fulmine: nonostante qui siamo vicini al confine, non ci sono stati attacchi o incursioni, dato che persino la Nazione del Fulmine evita queste terre. Diciamo che questa città è stata tacitamente eletta a zona franca, ma è praticamente abbandonata a sé stessa, quasi in quarantena…»
«E così noi gli daremo quello che volevano…»
«O almeno questo fingeremo… ricorda, siamo qui solo per la Reliquia…»
 
Nel frattempo giungono nella piazza della città: lampioni più elaborati delle fragili fiaccole incontrate fino ad ora circondano un grande spiazzo pavimentato e salvo, almeno questo, dal fango, ma non dalla nebbia.
 
All’estremità opposta della piazza, a simbolo di una forse passata gloria, si erge un palazzo in pietra, sospettosamente ben illuminato e fornito di guardie, in grado con la sua mole di far impallidire gli altri edifici circostanti, ma neanche troppo imponente come altri palazzi imperiali: si capisce che sia la sede di un’autorità importante, ma non esattamente la più potente dell’Impero.
A testimoniare questa distanza dal resto della Nazione vi è lo stile architettonico: completamente differente da quello più elegante e “leggiadro” dell’impero, ma ricco di asprezze e punte, slanciato verso l’alto, senza però particolari decorazioni che ostentino ricchezza.
 
Tra i Custodi e questo palazzo, ad affollare la piazza, decine di bancarelle, gente e mercanti urlanti, quasi a farsi beffe dell’ora tarda. Anche i venditori, però, sono attaccati a questi fili, e mostrano i segni dell’assenza di sonno di cui parlava Terry: la voce, anche volendo ergersi sopra tutto il trambusto, è rotta e a volte sottile, neanche i loro volti sono salvi dal pallore.
 
E anche qui, appena la folla nota gli intrusi, tutto si ferma, persino le urla e i contrattamenti.
Attorno al carro si crea il vuoto, con tutti i cittadini intorno, che si aprono a far passare il gruppo come le onde sotto una nave.
Una nave che sembra anche troppo indifesa contro una possibile mareggiata, dato che gli sguardi non sembrano per niente benevoli.
 
Finalmente giungono al palazzo e, soprattutto alle sue guardie. Già, quella all’entrata aveva parlato di una scorta, ma probabilmente si riferiva solo al percorso dai cancelli del palazzo fino al suo interno… forse è troppo pericoloso rompere i ranghi…
  
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