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Autore: chelestine    02/09/2014    4 recensioni
"I'm down in the deep deep freeze,
what was I thinking of...
In the painful breeze,
by the frozen trees,
with a heart disease called love."

John Cooper Clarke
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Matt Helders, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ringrazio per prima cosa chiunque decida di fermarsi e leggere questa fanfiction, grazie.
E' la mia prima fanfiction su questa piattaforma, e ci ho messo diverso tempo prima di decidermi
a pubblicarla, ed infine eccomi qui. Come avrete visto, sia il titolo che il sottototitolo sono citazioni di 
poesie di John Cooper Clarke (l'autore del testo dI I Wanna Be Yours e da sempre grande
ispirazione per le Scimmie), che potete trovare qui, ovviamente niente di tutto ciò mi appartiene.
Anche i titoli dei diversi capitoli si rifaranno a diverse poesie di Cooper Clarke,ed anche quelle non
mi apparterranno. Non mi appartengono neanche i personaggi di Alex Turner e degli altri membri
degli Arctic Monkeys, mentre il personaggio femminile e l'idea per questa storia, sono mie. 
Non ho grandi pretese, vorrei solo divertirmi ed intrattenere chiunque ne abbia bisogno, o voglia.

 
 

1. SUSPENDED SENTENCE

«The novelty's gone - it's hell
This place is a - death cell»

 
«Vi chiedete mai cosa avreste fatto, se non aveste sfondato in campo musicale?» Era una domanda dolorosamente e distaccatamente banale, Andy non potè fare a meno di chiedersi quante volte altre intervistatrici impreparate vi si fossero nascoste dietro, sperando di essere particolarmente fortunate e non incorrere in una risposta scortese; ma la sorte non le tese la mano.
«Bah.. Niente, probabilmente. Non credo di saper fare altro.» Ogni risposta era uno schiocco di frusta: le parole ogni volta si rincorrevano per accavallarsi su quel tono basso e nervoso che la faceva sentire in colpa per aver posto ogni singola domanda. La ragazza iniziava ad abbandonare la timidezza per gettarsi nell'agitazione; stava facendo il proprio lavoro, e niente dava a quei due il diritto di risponderle di malavoglia, o perlomeno lei non classificava come valida scusante l'essere una rockstar. Forse quella domanda sarebbe risultata interessante ai due intervistati, se solo avesse avuto più palle, si disse.
Vi comportate da stronzi menefreghisti perché siete Rockstar?
«Pensate di aver perso qualche fan per il modo in cui la vostra musica è cambiata.. diciamo da Whatever People Say I am, That's What I'm Not ad adesso?» Chiese invece. Il tono con il quale l'aveva chiesto era forse leggermente più velenoso del dovuto, quindi lo addolcì con un sorriso di circostanza poggiando il gomito sul tavolo ed allungando il microfono verso i due ragazzi davanti a lei. Il batterista parve leggermente sorpreso, e scosse la testa con decisione
«Nah, insomma sono cresciuti con noi, non credo che qualcuno ci sia rimasto male. Voglio dire, facciamo sempre rock, no? Che dici Al, ne abbiamo perso qualcuno per strada?» L'intervistatrice guardò il ragazzo che aveva appena parlato con una punta di disappunto, sembrava che la stesse prendendo in giro. Il secondo, più taciturno e lapidario, si strinse nelle spalle.
«Spero di no.» Rispose. Un nuovo schiocco di frusta.
Siete dannatamente sicuri di voi stessi, per non avere neanche 30 anni. Avrebbe dovuto rispondere. Eppure in cuor suo la ragazza sapeva che se avesse toccato le note giuste, i due si sarebbero aperti e l'intervista sarebbe terminata in discesa, forse il suo capo le avrebbe addirittura fatto i complimenti, differentemente da quanto era successo dopo l'intervista dei The Black Keys, il giorno precedente. Dunque decise di mettere da parte i canini ed il veleno.
«Ho letto che scrivi la maggior parte dei testi da solo, Alex» si prese la libertà di chiamarlo per nome «Di quale testo sei più orgoglioso?» Si sporse nuovamente per avvicinare ai due il microfono, e guardò negli occhi il frontman degli Arctic Monkeys, che per la prima volta parve fare lo stesso, dietro le lenti nere degli occhiali da sole. Aveva richiamato la sua attenzione, adesso doveva solamente sperare che la incanalasse in senso positivo.
«La prima volta che.. Beh, è stata anche l'ultima.» Rise, guardando il suo amico, seduto alla sua sinistra. «Quando me l'hanno chiesto, la prima volta.. Ho risposto Arabella. Probabilmente è di Arabella il testo di cui vado più fiero dell'ultimo album. Ma in generale non saprei, è.. E' strano giudicarsi da soli, no?» Cercò nuovamente conforto nello sguardo di Matthew Helders, che si strinse nelle spalle con un sorriso sornione sul volto; la ragazza pensò che sembrasse perennemente divertito da ciò che gli succedeva attorno, anche se non succedeva assolutamente niente. «E' come se una madre dovesse scegliere il proprio figlio preferito, si può? Voglio dire, magari ne ha uno, tutti i genitori ne hanno uno, ma si può dire ad alta voce? Credo che sia scortese, non credi sia scortese Matt?»
«Non mi faccio di questi problemi Al, non ho ne figli ne canzoni.» gli rispose inutilmente, perché il cantante stava già seguendo un filo di pensieri privato e silenzioso, estraniandosi per qualche secondo dalla stanza. Calò il silenzio, ed Andy si trovò costretta ad intervenire.
«She does what the night does to the day. She's Thunderstorms probabilmente è la mia preferita.» Lo disse velocemente, quasi stesse per dimenticarsene ed avesse bisogno di sfogarsi. Se ne pentì a breve: le vennero in mente almeno altre cinque testi che preferiva a quello ed avrebbero potuto farla sembrare più colta e preparata sulla band, ma in silenzio pregò di non aver rovinato il minuscolo sprint positivo precedente. Matthew Helders parve soddisfatto.
«Anche a me piace un sacco!» Commentò annuendo ed intrecciando le braccia sul petto, mentre con l'intervistatrice si voltava verso il suo caro amico, appena tornato da un viaggio nel proprio mondo.
«Forse Cornerstone, ma alle volte mi rende triste. Mardy Bum? O Piledriver Waltz, Fake Tales of San Francisco. No, non riesco a decidere» disse Alex Turner come sempre affrettandosi sulle parole, ben sapendo tuttavia che l'eleggere la sua favorita avrebbe occupato tutto il suo tempo libero sino a quando non avrebbe trovato la degna vincitrice, e nella sua mente maledisse l'intervistatrice per avergli messo in testa quel nuovo tarlo. Lei diede un'occhiata fugace all'orologio da polso intrappolato in un cinturino di un marrone tendente al violetto, sperando che nessuno la notasse, temendo di risultare maleducata. Il tempo che le era stato concesso era quasi finito, ma non poteva permettersi di cacciarli prima del dovuto, il suo capo - lo stesso che si era scusato con i The Black Keys per le sue domande imbarazzanti - avrebbe esposto la sua testa come un trofeo fuori dal suo ufficio. La verità era che era stata una grande fan degli Arctic Monkeys, li aveva ascoltati nella sua Londra per il tour di Whatever People Say I Am, That's What I'm Not, e per quello di Favourite Worst Nightmare, poi li aveva semplicemente persi di vista. Si era persa dietro al folk, ai ritmi incalzanti del banjo ed ad una sconfinata voglia di andarsene dalla propria città. In quel momento credeva di non poterci condividere niente, era come se dallo stesso ovile avessero intrapreso due strade differenti e le loro linee parallele faticassero ad incontrarsi; non si riconosceva in quell'adolescenza piena di sigarette e di alcool ed allo stesso tempo non voleva deludere la se stessa di anni addietro che sarebbe morta per conoscere il proprio gruppo preferito. Gli occhiali da sole del cantante, il sorriso beffardo del batterista ed il poco confort degli stivaletti neri che aveva deciso di indossare non facevano che aumentare il suo disagio.
«Alex, ricordo che hai composto la colonna sonora del film Submarine. Vorrai ancora cimentarti in un'esperienza simile? Nel mondo del cinema?» Per la prima volta da quando si era seduta con i due uomini, Andy sorrise sinceramente, felice di essersi ricordata di quel particolare. Il suo interiore entusiasmo fu subito smorzato dalle parole nervose ed accatastate del cantante, che si strinse nelle spalle con fare menefreghista.
«Non credo, non ci sono molti progetti interessanti come quello. Vedremo.» A quel punto l'intervistatrice ne ebbe abbastanza. Sapeva di aver fatto il possibile per far sentire a proprio agio i due ragazzi, così come per trattare argomenti non esageratamente banali, e non avrebbe saputo dire se il suo scopo era stato raggiunto, ma qualcosa negli sguardi annoiati dei due le suggeriva che l'intervista non avrebbe fatto il boom di ascolti su youtube, che alla fine era l'unica cosa che davvero importava al suo capo. O almeno così aveva recepito per le innumerevoli volte in cui gliene aveva ricordato l'importanza. Aveva fatto le domande standard all'inizio dell'intervista: da cosa proviene il sound del nuovo album, perché l'avete registrato a Los Angeles, che rapporto avete con la fama.. Niente di nuovo, avrebbe descritto la sua intervista come una qualunque, e poteva convivere con quell'idea; l'aver fatto un'impressione mediocre a quella che un tempo era stata la metà del suo gruppo preferito, tuttavia, la turbava. Decise di rinchiudere la sua presunta mediocrità nel cassetto immaginario nel quale nascondeva tutto ciò a cui non voleva pensare, nella speranza che quando avrebbe voluto avrebbe saputo cogliere l'imbarazzo con un sorriso che non fosse amaro.
«Ragazzi adesso smetto di rubarvi tempo, è stato un piacere parlare con voi. Grazie.» Disse tentando di silenziare il groppo che le si stava formando in gola l'intervistatrice tendendo una mano sopra il tavolo, e stringendola poi ad entrambi, mentre loro si sprecavano nel borbottare malvolentieri i soliti convenevoli.


Mentre Judith versava il liquido nero e bollente nelle tazze, continuava a dare occhiate furtive alla sua collega, seduta con sguardo vitreo su una delle sedie anonime della sala caffetteria. Appoggiò la tazza gialla sul tavolo con un leggero tonfo, per richiamare l'attenzione della giovane ragazza.
« Sono stati abbastanza stronzi, Andy. Neanche fossero i cazzo di AC/DC. Com'è che ti ha risposto? Registriamo a LA perché ci sono più feste? » disse scimmiottando la risposta del batterista l'intervistatrice. « Non potevi fare molto altro, ti hanno dato proprio delle risposte a teste di cazzo. Non avrei potuto farci molto nemmeno io, o Jerry - anche se ti dirà che li avrebbe stesi -. Quindi rallegrati dolcezza, non credo che Andrew ti licenzierà perché due coglioni hanno fatto i gradassi. Su, bevi il caffè. » Il tono che Judith utilizzava era spesso granitico e malvolentieri lasciava spazio ad obiezioni, e Andy lo mal sopportava almeno quanto le continue imprecazioni, ma quella volta le rivolse il sorriso più sincero che possedesse. Non riusciva a decidersi: doveva essere infuriata, così come suggeriva la sua collega, o semplicemente imbarazzata per la pessima figura che aveva fatto? Il tappeto sotto il quale nascondeva la polvere alla fine non era riuscito a nasconderla troppo a lungo. Prese un sorso della bevanda bollente, incastonando tra le dita affusolate e color alabastro il contenitore giallo, e solo allora si rese conto di quanto avesse bisogno di caffeina. Ne prese un sorso più generoso, lanciando uno sguardo a Judith, per ringraziarla di averle ricordato l'importanza del caffè, e quella sua nascosta proprietà di rendere tutto un po' più digeribile. 
« Sai una volta li ascoltavo. I primi due album, soprattutto. Mi dispiace che sia andata in questo modo, in fondo ci tenevo. » Commentò  a bassa voce finalmente Andy con scarso entusiasmo, perdendosi con lo sguardo nel fumo che usciva vaporoso dalla tazza. Si chiese se il fumo avesse un colore, o se come l'acqua fosse incolore; non avrebbe ben saputo descrivere ciò che stava osservando: era grigio, o bianco? E' solo vapore, si disse. « Sono solo un gruppo » esternò invece rivolgendosi più a se stessa che alla bionda collega, oramai sulla cinquantina e da molti più anni nel settore radiofonico rispetto al suo curriculum praticamente virgineo. Tamburellò le dita laccate di smalto rosso mattone sulla tazza poggiandola poi nuovamente sul tavolo con un sospiro, quando se ne sarebbe convinta sarebbe stata meglio.
« Esatto! Sono solo un cazzo di gruppo! » Ripetè Judith alzando entrambe le braccia per rafforzare il concetto con un sorriso. « Non hai mandato a puttane l'intervista con Bob Dylan, Gesù! Sono dei ragazzini ribelli, chissà se arriveranno al prossimo decennio senza scannarsi a vicenda o senza salutarci per la cocaina! » Andy aggrottò spontaneamente le sopracciglia: quella conversazione era appena divenuta estremamente scomoda. Non si sentiva a proprio agio a parlare in quel modo di ragazzi che non conosceva, specialmente se avevano fatto parte di una delle band che aveva ascoltato per ore ed ore, seduta sul parquet chiaro della sua camera da letto con le cuffie sulle orecchie. 
« Non fare quella faccia Andy, sai come funziona per i gruppi rock, ha sempre funzionato così. E comunque io li avrei stesi. » Commentò Jerry non degnando di uno sguardo nessuno, ed avvicinandosi assetato alla macchinetta per il caffè. La ruga tra le sopracciglia della ragazza aumentò visibilmente. Che faccia ho fatto?
« Il cantante però, quel Turner. Sexy, sexy. Scommetto che le ragazzine impazziscono per quell'atteggiamento da testa di cazzo. » Commentò divertita Judith sapendo che il suo collega avrebbe approvato quel commento malevolo, e così fece alzando la propria tazza del caffè mimando il gesto del brindare. Andy si limitò a sospirare e voltarsi verso il tavolo, ben sapendo che a quel punto sarebbe partita una serie di commenti spiacevoli sul modo in cui l'intervista si era svolta e sulle proprie opinioni a proposito degli Arctic Monkeys. Non voleva difenderli, non aveva alcun interesse nel farlo: quelli che una volta aveva ascoltato avidamente avrebbero rischiato di farle perdere il lavoro, ed in più un 2 contro 1 che involveva Judith e Jerry l'avrebbe lasciata sconfitta all'angolo del ring prima di potersene accorgere. Le loro parole si fecero indistinte ai suoi orecchi, e si concentrò sul vapore che adesso meno egoista conquistava l'aria soprastante alla tazza. Si chiese se Alex Turner avrebbe potuto trasformare in un testo anche quel ritaglio di vita quotidiana sul quale si era concentrata: parole ovattate sullo sfondo, una tazza fumante il cui solo compito è quello di risolvere problemi fuori dalla sua portata, ed uno stato d'animo a metà tra l'arrabbiato ed il deluso. Certo che potrebbe. Ne tirerebbe fuori un capolavoro, o almeno un tempo ne ero convinta. Fu a quel punto che si rese conto che non era delusa da se stessa, ma dall'impressione che i due le avevano fatto. Aveva sognato per mesi di incontrarli, da ragazza. E la solida realtà degli Arctic Monkeys non aveva retto il confronto con il fulgido ritratto immaginario che aveva dipinto grazie alla loro musica. Si concesse un piccolo sorriso che si allargò alla destra delle sue labbra, mentre giocherellava con la tazza in ceramica, rincuorata dalla sua scoperta. Forse non era stata un completo disastro.
« Porca puttana Stonem, ti giuro che se fai un'intervista del genere a Jack White ti caccio a calci in culo! » tuonò imperativo il capo dei tre nella stanza, rivolgendosi alla più giovane tra loro, che si voltò impaurita verso la porta della sala caffetteria. Non aggiunse una parola. Dopo averla guardata negli occhi con aria minacciosa, la sua figura scomparve. Andy rimase a fissare lo spazio vuoto, mentre un silenzio surreale conquistò il chiacchiericcio sguaiato dei suoi colleghi che fino a pochi secondi prima formava lo sfondo del suo scenario quotidiano. 
 

Non so se i prossimi capitoli saranno più corti, più lunghi, od uguali a questo
Lo scoprirò assieme a voi.
Abbiamo ovviamente appena iniziato, e non vedo l'ora di scoprire insieme
anche se l'immagine che ho di Alex, può piacervi almeno quanto piace a me.
Vi ringrazio ancora, ed al prossimo capitolo! :)

 
   
 
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