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Autore: anqis    03/09/2014    4 recensioni
Sa già troppo senza che tu abbia detto nulla, ma non per questo ti senti messa alle strette: in questo gioco sei tanto brava quanto lui.
Infatti, "Spogliati" sussurri sul suo collo e il brivido che gli percorre la schiena rigida è come una corda di chitarra accarezzata: vibra, anche sotto la lana del maglione.
Lo senti deglutire e poi chiedere, confuso. "Cosa?"
Due passi attorno e la tua camicia ora gli sfiora il petto. Sorridi, vincitrice: "Non sei qui per farti ritrarre?"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sufficiente.
a Laura, auguri



Il locale si chiama The Cube, è un edificio di cemento situato nel quartiere di Shoredicht, East End della City. 
Ti piacciono le finestre alte che intervallano le immense facciate grigie e la luce calda che dispergono, illuminando l'ampia strada su cui l'intera struttura sembra sporgersi precariamente; insieme ai muri bianchi, il parquet di legno consumato e il rumore dei tacchi rossi quando lo tatui dei tuoi passi, le braccia nude strette al petto. Nonostante il vento che sfrigola contro il vetro e i soffi d'aria che si intrufolano in fessure mal celate con del nastro adesivo, ti piace. Si respira odore di vernice, carta e champagne di pessima qualità. Ti senti come a casa.
Il vestito stretto che indossi e che puntualmente devi sistemare sulla lunghezza della coscia, ti ricorda però che i muri non sono quelli da imbiancare del tuo monolocale in periferia e che  i quadri appesi non sono lì soltanto per tuo diletto piacere, ma per soddisfare le aspettative del pubblico che riversa nelle diverse stanze dell'ultimo piano. Pubblico che si sofferma di fronte ad una tela che ti è familiare nelle pennellate irruenti e impulsive, nel colore giallo prevalente su uno sfondo di ombre bluastre: AM - così è scritto sulla targa posta in basso alla cornice - si accende di contrasti sotto gli occhi di curiosi Londinesi annoiati e di indulgenti critici.
Osservi da lontano la tela che ritrae una Londra immersa nel buio e nella luce, e il ricordo di quella notte di inverno spesa sulla terrazza di un palazzo affiora vivido nella tua mente: mani congelate e guance sferzate di rosso, ma sollevate in un sorriso di emozioni solitarie. 
Tuttavia le tue labbra sono serrate ora, perchè quell'immagine la precepisci già distante. Improvvisamente è come se non ti appartenesse più, intascato magari da uno dei signori che più volte si sono rivolti al tuo manager. Ti senti privata di una parte di te, come un puzzle vuoto di un tassello. Ti domandi con angoscia, allontanandoti, se sarà sempre un po' così. Difficile, ecco. Non sei nemmeno sicura di riuscire a sopportarlo.



Decidi di non guardare e di andartene, le spalle voltate.
Ci sono altre opere: è una mostra di artisti emergenti e tu adori questo genere di eventi. Ti piace studiare la scelta di accostamenti di altre pupille, il tocco di altri polsi e pensieri segreti prendere significato sulla carta. 
Cammini, consapevole della ruga di concentrazione che ti solca la fronte, le braccia ancorate al petto e gli occhi pieni di colori. Poi ti fermi di fronte a questo immenso foglio bianco, nel centro un disegno in graffite delle dimensioni di un quaderno. Vi è ritratto la descrizione minuziosa del corpo di un uomo, dettagli cancellati prepotentemente da una pennellata di rosso acceso. 
Intenso, impavido. Arrogante.
Rimani ferma sulle gambe stanche, mentre stoffe di giacche eleganti di passaggio ti carezzano la schiena nuda. Ti scosti distrattamente una ciocca dimenticata dallo chignon e ti accorgi allora della presenza al tuo fianco che a differenza di altri sguardi fugaci non si è mossa. E' rimasta. Come te.
E' un ragazzo. Alto, magro appare nella larga giacca militare che gli ricade di una taglia in più sulle spalle sottili. Osservi il profilo che la luce ti regala, la fronte ampia, le sopracciglia scure, folte ma definite e il naso dritto. Con la gentilezza con cui stringi una matita, carezzi con lo sguardo l'ombra dello zigomo alto, la linea precisa della mascella, la curva morbida ma virile del mento. Le labbra dalla parvenza morbida sono strette in una morsa distratta. Ti scopri a punirti nello stesso modo quando lui si volta senza preavviso verso di te, cogliendoti di sorpresa: avverti il sapore salato del sangue diffondersi sul palato.
"Scusa" dici, ma non osi abbassare lo sguardo. 
Potrebbe essere l'unica occasione che hai di poterlo guardare negli occhi dal vivo. Perchè lo hai riconosciuto, chiaramente. Ed è bello, molto più quanto non lo fosse sulle riviste che dimenticano sempre sui tavoli dei bar, su cui il tuo sguardo è scivolato occasionalmente. Solo che non te lo aspettavi, non eri pronta e- ed è reale? ti domandi guardandolo.
Lui annuisce soltanto, è un sì non pronunciato ma sufficiente. Se è una risposta alla scusa o alla tua domanda, non lo sai. Si volta, tornando ad ammirare il disegno. 
E tu? Ti dici che è il caso che te ne vada, ma non ti muovi. Sposti il peso su una gamba, quella destra - verso di lui - e ti imponi di concentrarti sui dettagli della matita. Aspetterai che sia lui ad andarsene, decidi. Ma resta, con gli anfibi neri piantati sulle travi di legno e il respiro cadenzato che quasi descriveresti cauto se solo ti trovassi in una situazione diversa.
Ipotizzi che sia interessato ad acquistarlo - nonostante l'aspetto trasandato, sei consapevole che lui possa permetterselo - e che quindi stia valutando la decisione. Ti domandi come sia quel volto corrucciato dalla concentrazione, il modo in cui le sopracciglia si devono piegare appena e le piccole rughe che devono comparire sulla fronte. Chissà se la sua bellezza ne risentirebbe.
Così, senza neanche accorgertene, ti riconosci a spiarlo nuovamente. Sai che è rischioso, ma la curisità - e altro, dentro - è troppa per metterla a tacere. I tuoi occhi viaggiano velocemente lungo il collo magro e a destinazione, trovano i suoi ad aspettarti. Sono scuri, contornati da lunghe e folte ciglia scure, e vigili. Come se stessero aspettando soltanto quel momento.
"Scusa" questa volta è lui a parlare.
Ti mordi l'interno della guancia. Ti stringi nelle spalle e "Niente" rispondi, senza interrompere il contatto visivo.
Si lecca il labbro inferiore e lo cattura nuovamente tra i denti. Sembra indeciso, confuso. Apre la bocca, ma poi tace e sfugge con gli occhi sulle punte delle scarpe.
Non capisci. Va bene così, non volevi insinuare nulla, non pretendi niente. Abbandoni il suo viso e azzardi due passi, ma non bastano nemmeno perchè poi c'è una mano a trattenerti il polso.
Lui ti sta fissando con una tale intensità che-
"Scusa" ripete. 
"Va bene" rispondi, seria.
Non sembra rassenerato, ma le dita non lasciano la pelle del tuo interno braccio. Stringono (e brucia). "Sicura?"
No. "Sì."
"Sono Zayn"
"Lo so" sorridi, "Lauren."
Lui annuisce. "Lo so."



Poi vi ritrovate seduti sugli sgabelli di un caffè a pochi passi dal locale. Seduti di fronte, solo il tavolo nero e lucido - olioso -a dividere le vostre mani e i gomiti appoggiati. 
Siete sfuggiti dalla mostra come due studenti dalle lezioni del lunedì mattina, lui davanti a coprirti e tu con le dita che sfioravano il tessuto della sua giacca militare - la sua schiena - per non perderlo. Scappati dai giudizi, dallo sguardo di rimprovero di Ryan e dal sorriso tranquillo di un suo amico, quello dai capelli ricci e lunghi, del "One day I'd like to meet your mouth" scritto sulla maschera gialla che hai visto in esposizione al Daphne's 50th.
Non parlate, perchè forse di frasi non ce ne sono da dire e a te i silenzi sono sempre piaciuti, anche se ti mettono ansia. Quell'ansia da mordersi forte la guancia e giocare con le dita, l'unico anello che non perdi che sfrigola contro il piano liscio. Alla fine forse ti piacciono perchè puoi riempirli tu.
Lui sembra uno di quelli che nei silenzi ci nuota vasche ed una vita. Trattiene le parole come il fiato e ti comunica con gli occhi ciò che pensa, se lo vuole. Tu un po' vorresti sorridere perchè sono anni che guardi quadri e ci leggi dentro, e di fronte a te hai una delle opere più belle. 
"Sei astratto" gli dici poi, senza ragionare. Come se quella serata ci avessi provato anche un solo secondo, mentre "ora me ne vado" e rimanevi ancora, più vicino a lui.
Lui inarca un sopracciglio: non se lo aspettava. Forse sperava che quel silenzio durasse di più. Ti dispiace - non è vero.
Ti perdi a mirare le ciglia lunghe che come un sipario calano sugli occhi e si incontrano con la pelle dorata della guancia. Non risponde subito e inizialmente pensi non ne abbia l'intenzione, però sembra divertirsi a contraddirti. 
"Cosa vuoi dire?"
Non ne sei sicura nemmeno tu. Hai pronunciato quelle due parole con la facilità con cui risponderesti bene, tu? ad un come stai non sincero. Ma non hai mentito in questo caso.
Ti stringi nelle spalle nude, scrollandoti di dosso il freddo di Londra di notte. "Sei bello come uno di quei quadri di forme vaghe e colori insensati, ma che raccolti insieme sono belli, belli da lasciare il fiato - capisci? Di quelli che non tutti ne apprezzano veramente l'arte, ma che se ci vedi quel qualcosa, allora sei finito e rimani lì, incastrato in una cornice. Che quando credi di aver capito tutto, poi c'è altro sotto e quindi ci provi a scavare, ma sono sempre distanti. Inesorabilmente distanti nella loro bellezza insensata, ma giusta."
Non hai avuto il coraggio di guardarlo, mentre ti perdevi nelle tue stesse parole. Però hai visto come le sue dita si sono chiuse nel pugno della mano e come poi l'ha ritratta, nascondendola nella stoffa della giacca di cui non si è voluto liberare. Vorresti te la poggiasse sulle spalle, ma non lo farà. Non sai nemmeno perchè ci hai pensato, all'odore che deve esserci impresso. Sospiri, osi sbirciare perchè stai aspettando da quindici secondi.
Gli occhi sono seri, imperscrutabili e immobili nei tuoi. La mascella è appena contratta, ma nulla ti dà l'impressione di aver commesso un passo più lungo della gamba. 
"E' un complimento?" ti domanda, la voce contenuta tra le labbra umide. 
"Ti dicono mai altro?" replichi e questa volta ti concedi un sorriso ironico e divertito, un riflesso del suo mentre annuisce mordendosi il labbro. 
Uno a zero per te.
"Esageri" dice passandosi una mano sulla nuca in un gesto nervoso, come quei personaggi da libri letti sotto le coperte. "Non sono così.. perfetto? è solo immagine."
Non ci vuoi credere. Zayn Malik non è consapevole di se stesso.
Devi obbligarti ad un lungo respiro prima di ribattere: "Oh certo, dillo alle innumerevoli riviste che ti sicuramente hanno chiesto di posare per i loro servizi fotografici." 
"Sono per la band" replica lui a sua volta.
"Come se non avessi ricevuto proposte singole."
Tace, non nega. Un altro punto a tuo favore. Ti permetti di arrischiare ancora. "Ed immagino che tu abbia sempre rifiutato" aggiungi ostentando più nonchalance possibile.
Sorride, sornione. "Non posso che confermare" dice con tono divertito, ma gli basta l'arco di un sospiro per lasciarsi scivolare la piega dalle labbra ed indurire le iridi, serie. Non sto scherzando adesso. "Ma potrei stupirti."
E tu capisci: è un sì non pronunciato ma sufficiente.



Non hai idea di come vi mettiate d'accordo. Sai soltanto che quando lui varca l'uscita, nella tasca dei jeans neri ha il tuo indirizzo e il  numero di cellulare - nero sbiadito, confuso - su un tovagliolo rubato - bianco cielo, chiaro.
Poi aspetti. Forse nemmeno si farà vivo.
Cancelliamo il forse.



Quando il martedì mattina di due settimane dopo suonano alla porta, sai che è lui. Perchè sono solo le nove, tu solitamente a quell'ora dormi e tutti i tuoi amici lo sanno. 
Sei a letto, ma sveglia quando il tintinnio ti arriva attutito dalle pareti che vi dividono. Il cellulare che riposa vicino alla tua mano e che ancora non hai guardato: lo schermo ha lampeggiato due volte stanotte, ma ti sei costretta a fingere di dormire.
Ti sollevi e ti metti in piedi, che mai ti è parso così faticoso come azione. Ti infili la camicia di flanella che tieni appoggiata alla sedia contro la parete e cammini scalza verso l'entrata. Il campanello non ha più suonato, ma tu sai che lui è ancora lì. Ti aspetta, come tu hai aspettato in quelle due settimane: senza fretta, che nemmeno ci contavi.
Lo sai che dietro quella porta c'è lui con l'odore di fumo sui vestiti che ti è rimasto impresso nella memoria quando nell'andarsene, ti ha sfiorato il braccio con la manica della giacca. Intenso, prepotente, vizio. Ma non è così semplice trattenere il sussulto quando lo spii dallo spioncino: il viso nascosto e i capelli morbidi sulla fronte.
Giri la chiave due volte, piano, come se il rumore - la realizzazione - potesse spaventarlo e metterlo in fuga. Un sospiro nascosto prima di aprire completamente.
Ti dai della stupida quando hai la sua completa visuale e lui ti sta guardando, attirato dal cigolio dei cardini. Ha lo sguardo vigile, ma quieto, sicuro delle proprie scielte. Ti senti immensamente piccola nella camicia larga, un po' ridicola perchè quella che ha paura e non è certa delle proprie sicurezze sei solo tu in piedi sul varco, in una metà. E' come trovarsi di fronte ad uno specchio: il riflesso però che si apre di fronte alla vista è l'opposto di ciò che sei. Brutto, bello, sbagliato, giusto, astratto, concetro. Fa male non essere quell'altra faccia della medaglia.
Ti osserva in pieno viso e non abbassa lo sguardo. Non si sofferma sulle tue gambe scoperte, sui piedi nudi e sui bottoni della camicia che non hai allacciato. Ti guarda negli occhi e basta quello a farti sentire nuda, indifesa.
Sembra leggerti nella testa con le pupille nere e fisse, immobili. Forse lo fa veramente, perchè poi ti libera da quel contatto soltanto un attimo per concederti un respiro e poi di nuovo ti trova, però con la curva abbozzata di un sorriso sulle labbra rovinate dal vento.
"Scusa" dice e l'angolo si alza ancora di un po'. Sorridi di riflesso anche tu: sembra sia diventato il vostro modo di salutarvi questo. "Posso?" aggiunge poi puntando oltre le tue spalle.
Annuisci frettolosamente e ti fai da parte, poggiando le spalle contro la superficie fredda. Non lo raggiungi subito, resti lì e ti godi la sua figura incastrarsi nell'immagine di casa tua. Porta i jeans neri dell'altra sera, stivali e un maglioncino grigio che evidenzia la differenza tra le spalle e la vita stretta. Dici che ti piace perchè la piuma tatuata sulla nuca è visibile ed ora è uno dei tuoi tatuaggi preferiti, ma non glielo dirai.
Si guarda attorno, curioso. Sembra piacergli il posto perchè le spalle sono rilassate, così come le linee della mascella. Ne sei contenta: rimarrete tra quelle quattro mura per un po'.
"Ti piace?" domandi comunque, lasciandoti alle spalle il tonfo della porta che si chiude, e avvicinandoti di qualche passo.
Aspetta un po' a rispondere. "Questi quadri" indica in particolare quello che è appeso sulla colonna che divide le due finestre. "Non c'erano l'altra sera."
Non è una domanda, ma un'affermazione. Rispondi comunque di sì, confermando il suo pensiero. "Avevo due posti assegnati" spieghi con le mani nascoste dietro la schiena e i gomiti piegati che gli sfiorano il braccio scoperto. "Ho scelto i più belli."
Non si è mosso più da quando hai fatto sì che le vostre pelli si toccassero. Non ti sfugge il ritmo del respiro più lento, imposto da lui stesso. Vorresti sorridere, ma lui parla: "Ma non i più intimi."
Ti fermi pure tu questa volta. Le dita nascoste si chiudono in un pugno. "No" confermi ancora una volta e non aggiungi altro. Sa già troppo senza che tu abbia detto nulla, ma non per questo ti senti messa alle strette: in questo gioco sei tanto brava quanto lui.
Infatti, "Spogliati" sussurri sul suo collo e il brivido che gli percorre la schiena rigida è come una corda di chitarra accarezzata: vibra, anche sotto la lana del maglione.
Lo senti deglutire e poi chiedere, confuso. "Cosa?"
Due passi attorno e la tua camicia ora gli sfiora il petto. Sorridi, vincitrice: "Non sei qui per farti ritrarre?"



Si è spogliato lentamente, senza veramente guardarti negli occhi, permettendoti così di poterlo contemplare senza vergogna. Gli stivali accartocciati in un angolo della casa e il maglione che scivolava sul pavimento sporco di polvere, sotto soltanto la pelle ambrata e percorsa da linee di inchiostro su cui vorresti passarci le dita. Percorri con occhi silenziosi le curve piane delle spalle, le clavicole sporgenti che si incontrano in quella bocca maliziosa che sembra invitarti ad assaggiarla; il petto glabro, l'addome piatto e descritto da linee appena accenate di qualche pomeriggio trascorso tra gli attrezzi di una palestra. Ciò che però più ti piace è il modo in cui la sua pelle dorata contrasta con lo sfondo bianco alle sue spalle: gli hai indicato di sistemarsi lì, di fronte a quella grande tela bianca che occupa la parete, ancora vergine dei colori con cui volevi sporcarla. Avevi preso la decisione di riprodurre le scene pubblicitarie di giovani che buttano vernice su fogli immacolati, perchè nonostante il clichè, ti davano da sempre una sensazione di libertà: per una volta, non volevi avere il controllo dei colori, ti eri detta. Ora però sei felice di esserti trattenuta fino ad oggi o non potresti sorridere all'espressione tesa di lui che si morde il labbro inferiore e "Cosa devo fare?" ti domanda, passandosi una mano sulla nuca, in quel gesto che già ti è familiare.
Poggi la matita sul ripiano in legno e ti avvicini, lentamente. 
"Nulla che ti possa mettere a disagio" dici con tono di voce tranquillo, abituata a trattare con soggetti di ogni genere, dal modello ordinario allo studente paonazzo in cerca di crediti. "Puoi sederti, rimanere in piedi, poggiarti a qualcosa - ho una sedia, se vuoi sederti" continui approfittandoti della vicinanza per esplorare meglio i disegni con cui ha deciso di condividere una vita.
Lui sembra accorgersene perchè la postura si irrigidisce appena. "Ti piacciono?" domanda allora, guardandoti di sottecchi, curioso. Nemmeno te ne accorgi, distratta dal serpente che si attorciglia sulla sua spalla destra.
"Molto" dici, "Hanno ognuno il proprio significato?"
"Sì" ci pensa un attimo, "Alcuni no: mi piacevano e basta. Esteticamente parlando."
Annuisci. 
"Troppo poco profondo?" ti chiede non ottenendo una vera risposta, nella voce un po' di ironia. 
Probabilmente - pensi - qualcuno deve averlo criticato per questa scelta, magari dandogli anche del superficiale. Tu non sei proprio quel genere di persona. "No, è comprensibile. Meglio di chi acquista i quadri unicamente per vantare una collezione o per soddisfare i capricci di una moglie isterica. Arte è arte, sempre e comunque."
Senti il sospiro che abbandona la sua bocca, atteggiata in quello che sembra un sorriso. Ricambi e si fa più ampio quando con un cenno della testa ti invita a toccarli. La pelle, come immaginavi, è morbida e liscia sotto il tocco dei polpastrelli. Al tuo primo movimento ti rendi conto di star tremando impercettibilmente e ti imponi sangue freddo e la professionalità che hai dimenticato sullo schienale della del locale in cui sul vetro della finestra hai spiato il suo riflesso. Lui pare più tranquillo rispetto te, ma la postura del corpo è più rigida di prima: vorresti stringere le sue spalle tra le dita e i calli che i pennelli hanno impresso nei palmi delle tue mani e chiedergli in una preghiera muta di rilassarsi, insieme forse a un bacio a labbra aperte sulla nuca, a solleticare la piuma. Ma ogni tuo pensiero è interrotto da quel tatuaggio che ti rendi conto, vorresti non ricordare sul foglio.
Lui se ne accorge e tace.
Sospiri e ti costringi in un sorriso. "Devi amarla molto" dici con un sussurro, abbassando lo sguardo sui tratti femminili del disegno. Accompagni insieme ad esso la mano destra, ostentando il coraggio che in realtà ti manca. 
Zayn annuisce, senza un attimo di tentennamento. Sorridi, questa volta sincera: vorresti qualcuno che non dubitasse nemmeno un secondo dell'amore che prova nei tuoi confronti. 
"Sì. La amo. Con tutto me stesso."
"Posso baciarti?"



Non ti ricordi chi dei due abbia mosso il primo passo, se siano state le sue mani a coprire il tuo viso o le tue labbra a spingersi contro le sue, dolci in forte contrasto con l'irruenza del suo tocco. Se a cadere sia stata prima la vernice blu che riposava a terra vicino alle vostre caviglie, oppure la tua camicia a quadri e il reggiseno che già scivolava lungo la schiena magra. 
No, ciò di cui ti ricordi è la barba ruvida contro la pelle sensibile e arrossata del collo, il fiato caldo contro la tua spalla e i passi instabili con cui avete tracciato il parquet fino alla porta della tua camera. Dei baci aperti e dei ansimi che hai deciso di non trattenere, del cellulare che squillava sul comodino e di quel tatuaggio sul braccio che bruciava sotto il tuo tocco e i morsi, perchè l'hai invidiata, anche con il corpo di lui stretto al tuo, consapevole di non possedere l'unico organo che veramente vorresti. Ci sono dettagli accesi come il naso nell'incavo del collo, i baci che gli hai lasciato tra la clavicole, e poi solo immagini sfocate, le spinte decise e tu che ti aggrappavi a lui con la paura di cadere e non riuscire ad alzarti più. 
Non ti ricordi tutto quando poi ti svegli e lo trovi addormentato al tuo fianco, una mano sotto il cuscino e i centimetri a dividervi perchè a condividere un letto ci si abitua con il tempo e non nell'attimo del sesso. Allora decidi di immortalare solo quel momento perchè sei egoista e perchè è tutto ciò che ti rimarrà di lui quando si sveglierà e varcherà la soglia, lasciandoti con uno scusa a cui forse ridacchierai e l'ennesimo messaggio sul cellulare da leggere. Ti stringi nelle ginocchia nude e tracci la prima linea di quel disegno di cui nessuna galleria conoscerà mai l'esistenza.



Scusa, lo sai che ti amo.
Rispondi, Lauren.
Chris.
- ore 03.27, mercoledì 06/04





 
   
 
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