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Autore: ilovebooks3    03/09/2014    7 recensioni
Una raccolta di one shots per immaginare le nuove vite di Jane e Lisbon immediatamente dopo il finale della sesta stagione.
Perché la tempesta è finita, ed entrambi si meritano un po’ di arcobaleno.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CLOUDLESS BLUE SKY
 
E’ bello guardarsi da una distanza di pochi millimetri.
Jane osserva le incantevoli lentiggini che punteggiano il naso che sta sfiorando il suo. Ora le può finalmente contare, una ad una. E’ un’attività interessante.
Lisbon è assorta nella contemplazione di due iridi incredibilmente blu. Sembrano due pezzi di cielo, l’ha sempre pensato. Ora, però, in essi non c’è più alcuna traccia di nuvole.
Teresa non li ha mai visti così serenamente limpidi.
Forse perché lei e il proprietario di quel paio di occhi non sono mai stati così vicini come adesso.
O forse perché, finalmente, la tempesta è finita.
Le loro mani, ognuna sul viso dell’altro, quasi si toccano.
Le loro bocche sono ancora troppo vicine per non provare l’impellente desiderio di ricominciare a baciarsi.
Ma forse non è il caso. Dopotutto si trovano in una sala interrogatori del dipartimento della TSA di Islamorada. E l’agente dietro al vetro ha già dato alcuni segni di nervosismo.
Lisbon non riesce a smettere di sorridere: quello che ha desiderato per anni senza nemmeno accorgersene è appena accaduto, liberandola del gravoso fardello di un amore negato e nascosto anche a se stessa. Ha tutto il diritto di godersi appieno il momento, abbandonandosi, per una volta, soltanto alle sue sensazioni.
Eppure è la prima a rompere il silenzio, curiosa di ciò che dirà il suo mentalista preferito.
E’ consapevole che sarà qualcosa di irritante, ma è disposta a correre il rischio, pur di sentire la sua voce.
In cuor suo ammette di essere completamente rintronata. Sempre per colpa di una persona sola.
«Che ne hai fatto di Jane? Quello col gilé che non amava i contatti umani?», gli chiede alzando le sopracciglia, con una punta di dolce sarcasmo.
Il consulente, finora stranamente serio, viene subito contagiato e sorride di rimando.
«Se vuoi gli dico di farti una visita». Con le dita accarezza i capelli di lei, spostando una ciocca dietro al suo orecchio.
Poi riporta la mano nel comodo posto precedente, ovvero il viso della sua Lisbon.
«No, no, preferisco il folle con la camicia a fiori e la caviglia slogata», ribatte l’agente, sorridendo maliziosamente.
«In realtà lo so che avevi un debole anche per l’altro tizio».
«Devo ammettere di sì. Qualche volta. Quando non era troppo irritante».
A malincuore Jane sposta la sua mano desta dalla pelle morbida di Teresa alla superficie fredda del tavolo. «Oh, Lisbon, ammettilo: è in quei momenti che ti piaccio di più», ammicca, allontanandosi di qualche centimetro e facendole ironicamente l’occhiolino.
«Idiota».
Jane, per nulla turbato da quell’insulto che, detto da lei, gli è sempre sembrato perfino tenero, le si avvicina di nuovo pericolosamente, sfiorandole le labbra in un bacio veloce, ma passionale.
Si stacca troppo presto, però, lasciando una Teresa interdetta e sorpresa; la povera agente federale non ha nemmeno idea di dove mettere la sua mano destra che, fino a qualche secondo prima, era teneramente poggiata sulla guancia di quel mascalzone.
Incredibile: la donna non sapeva che i baci di Patrick Jane fossero una droga così potente.
«Appunto». Ecco il sorrido beffardo alla Jane.
«Appunto cosa?». Lisbon sa che dovrebbe non chiedere nulla per non dargli questa soddisfazione, ma, suo malgrado, è curiosa. Anche se è consapevole che, con la sua domanda, sta per cacciarsi nei guai.
«Mi sembra di intuire che non ti dispiaccio neanche quando faccio l’idiota».
Dopotutto gli è sempre piaciuto metterla in imbarazzo. Quale momento migliore, o peggiore, di questo per farlo?
Teresa arrossisce, come una bimba colta con le mani nella marmellata.
«Ma non ti montare la testa», gli intima frettolosamente, lanciandogli uno sguardo che vorrebbe essere minaccioso, senza esserlo neanche un po’.
«Oh oh, dunque avevo ragione. Grazie Lisbon per averlo ammesso così facilmente».
La donna arrossisce ancor di più. «Io non ho ammesso nulla», tenta di discolparsi, anche se sa già che è tutto inutile.
«Oh, non ne sarei tanto sicuro, dovresti vedere la tua espressione. Pupille dilatate, espressione delusa, bocca socchiusa e labbra protese. Bacio troppo breve, forse?», insinua Patrick. La prende bonariamente in giro perché è la cosa che sa fare meglio, ma, in cuor suo, è lusingato da tale reazione.
«Finiscila, altrimenti…», minaccia la manesca agente, guardandosi intorno per cercare qualche oggetto contundente. Colpire il suo irritante consulente, dopotutto, è sempre stato il suo passatempo preferito.
«Altrimenti cosa?», la provoca il mentalista, fissandola intensamente.
«Altrimenti ti tiro un pugno sul naso». Visto che intorno non ci sono martelli né oggetti di cancelleria adatti allo scopo, la mano nuda andrà benissimo.
«Su questo mio bel faccino?», chiede Jane, sfoderando il suo irresistibile sguardo da cucciolo.
«Certo», risponde Lisbon, senza riflettere sulle conseguenze di questa parola.
Conseguenze che non sfuggono al suo furbo interlocutore. «Quindi ammetti che ho un bel faccino». La sua non è una domanda, ma una constatazione.
«Non ho detto questo». Nella voce di Teresa è ben udibile una sfumatura di irritazione, che, aumenta in modo direttamente proporzionale al colorito rossastro delle sue guance.
«Lo sapevo. Sono irresistibile», dice Jane con tono vittorioso. Stuzzicare Lisbon è sempre stato il suo passatempo preferito.
In realtà, l’egocentrico biondo, osservandola mentre arrossisce e lancia lampi verdi con gli occhi, non può fare a meno di pensare che quella irresistibile sia lei.
«Jane!», sbuffa la rassegnata poliziotta, come è solita fare negli ultimi dodici anni.
«Teresa, puoi chiamarmi Patrick ora», azzarda il mentalista. Alla peggio ci rimetterà il naso.
«Eh no, te lo devi meritare. Per ora rimani Jane», dichiara lei, mettendo su uno dei suoi adorabili bronci.
«Cercherò di meritarmelo». C’è della sincerità nella sua voce. Anche Lisbon la coglie, ma decide di far finta di niente. Stuzzicarlo è eccitante quasi come baciarlo.
«Bugiardo, so già che farai di tutto per farmi arrabbiare».
«Non puoi sapere quello che farò».
«Sì invece».
«Sei diventata improvvisamente una mentalista?»
«Può darsi».
«Dai, forza Lisbon. Cosa sto pensando in questo momento?», la sfida.
E va bene. Se lui ha voglia di giocare, Teresa non si tirerà certo indietro. Riflette per qualche secondo, con aria accigliata. «Stai pensando…che vorresti un comodo divano», esclama poi con tono di trionfo.
«Sì, anche. Su un divano si possono fare molte cose», mormora il consulente più irritante del mondo con un sorriso malizioso. L’ironia è solo un modo alternativo di dire la verità, Jane l’ha sempre pensato.
Teresa arrossisce, senza neanche sapere perché.
«E poi a cos’altro sto pensando?», la esorta a continuare.
«A quanto vorresti una tazza di tè».
«Risposta sbagliata».
«Impossibile. Tu vuoi sempre un tè».
«Il tè è come un abbraccio in una tazza, ricordi? Ora, però, non mi servono tazze perché ho te da abbracciare. E stavo giusto pensando a questo», spiega Jane con semplicità.
Nessun trucchetto. Patrick si stupisce di se stesso e della sua acquisita capacità di esprimere le sue emozioni. Capacità che, evidentemente, presuppone l’esclusiva presenza di Lisbon.
Teresa non sa cosa dire. Nel dubbio, arrossisce. Più arrossisce e più non sa cosa dire. E viceversa.
«Ti ho stupita, vero Lisbon? Pensa a quanto ti saresti annoiata a Washington senza di me». Eccolo il vecchio Jane. Non sia mai che Teresa ne senta la mancanza.
«Sicuramente con te la noia non mi preoccupa», mormora lei con un tono sarcastico e amaro insieme. Che non sfugge a Jane, insieme a un sospiro preoccupato e a un piccolo tremito delle sua dita.
«E allora cosa ti preoccupa?», chiede. E’ serio, stavolta, e la fissa intensamente. Non vuole che nulla turbi la sua Teresa.
Lisbon abbassa lo sguardo, lo posa brevemente sulla mano sinistra di Jane, quella con la fede, poi lo rituffa nei suoi occhi blu. «Jane, forse non è il momento, ma promettimi che non vorrai mai più nasconderti da me. Che tutto quello che ti farà soffrire me lo dirai e lo affronteremo insieme. Che ti sentirai libero di parlarmi di loro. Dimmi che ti fiderai sempre di me. Ne ho bisogno». La sua voce esprime sicurezza, ma una lacrima traditrice fa capolino dal suo occhio destro.
«Oh». Patrick è sorpreso, ma, effettivamente, non ha motivo per esserlo. Questa donnina meravigliosa non smetterà mai di preoccuparsi per lui.
Dio solo, se esiste, sa cosa abbia fatto lui per meritarsela; ma, probabilmente, anche Dio ignora un mistero del genere.
Teresa ha appena messo in chiaro che non vuole sostituire nessuno. Che affronterà con lui il suo passato, tutte le volte che ce ne sarà bisogno. Ammesso che lui glielo lasci fare.
E lui, stavolta, ne ha tutta l’intenzione. «Lo sai che mi fido di te», la rassicura.
Nonostante le abbia sempre detto il 30% delle cose, si fida di Lisbon tanto quanto si fida della propria intelligenza, se non di più.
«Promettimelo». La donna ha bisogno di sentirglielo dire.
«Te lo prometto». La voce di Jane è ferma e calda. Sincera.
«Grazie».
«Ma sono sicuro che non me la passerò poi così male», dichiara Patrick, ammiccando e scrollando ironicamente le spalle. Poi torna serio e la guarda intensamente negli occhi. «Non hai idea di quello che significhi per me, Teresa».
Lisbon sorride e si fruga nelle tasche dei pantaloni. «Non mi hai rubato niente, stavolta».
«No. Sto perdendo il mio smalto».
«Non hai nemmeno intenzione di spararmi, vero?»
«Direi di no. Mi hanno perquisito, non ho un’arma», la tranquillizza lui, strabuzzando gli occhi.
«Quindi devo presumere che questo non sia uno dei soliti tuoi trucchetti?», lo stuzzica Lisbon.
«Sai che è la verità. Sai che anche le altre volte lo era». La voce gli trema, per una frazione di secondo.
«Sì. Lo so».
Silenzio. Uno di quei silenzi che valgono più di mille parole.
E’ Jane il primo a romperlo. «Anche tu devi promettermi una cosa».
«Spara. Metaforicamente, parlando».
«Che starai attenta», prosegue lui, ignorando la battuta. Segno che sta per fare un discorso molto serio.
«A cosa?», domanda Teresa, sorpresa. Si aspettava un altro genere di promesse. Qualcosa che riguardasse chiavi della macchina o pugni sul naso.
Ma lo sguardo di Jane si è rabbuiato. Ecco che in quel cielo ricompare qualche nuvola. Segno che qualcosa lo preoccupa sul serio. «Attenta a tutto. Alle sparatorie, agli assassini, agli incidenti. Attenta».
«Jane, sono un poliziotto», gli ricorda, con una nota di rimprovero nella voce.
«Appunto».
«Appunto cosa?»
«Appunto, ovvero per te i pericoli sono moltiplicati per 100. E non potrei sopportare che accada qualcosa. Di nuovo». Il mentalista abbassa lo sguardo per non farle scorgere il terrore folle e irrazionale che lo sta divorando. Non gli piace mostrarsi così debole, neanche a se stesso.
Ma lei l’ha già visto. Sta diventando brava a leggere le persone. O, semplicemente, a leggere il suo adorabile, complicato, affascinante e irritante Jane.
«Sono “armata fino ai denti”, ricordi?», risponde citando una frase che lui aveva detto molti anni fa.
«Non mi basta». Patrick mette in conto qualche altra battuta acidamente femminista, della serie “ho una pistola e so badare a me stessa”. Ama anche quella sua scorza da dura.
Ma, stavolta, Teresa non si arrabbia. Lo sguardo le si addolcisce. E’ commossa, ma non vuole darlo a vedere. Anche se sa che ogni sua espressione sta passando al microscopio.
Il farabutto tiene davvero a lei, ma questo Lisbon l’aveva già capito. Ora che ha permesso a qualcuno di avvicinarsi a lui, è terrorizzato dall’eventualità che possa accadere qualcosa di brutto. E’ comprensibile. Perché le persone che ama muoiono, come aveva ripetuto mille volte.
Sciocchezze. Non c’è più nulla di cui avere paura, ormai.
E poi lei è un poliziotto.
Eppure stavolta, ma solo per stavolta, dirà quello che Jane ha bisogno di sentirsi dire. «Non mi accadrà niente. Starò attenta, te lo prometto».
«Grazie», mormora lui a voce bassa, sincero. Poi i suoi occhi brillano di malizia. «Ora tocca a te. Dimmelo».
«Dire che cosa?». I cambi repentini di umore di Jane hanno sempre il potere di destabilizzarla.
«Lo sai», le suggerisce con aria furbetta.
«No, non direi». Voce stridula. Se Jane si sta riferendo a…beh, non gli darà certo quella soddisfazione. E’ già stata fin troppo sdolcinata e romantica, per oggi.
«Avanti Lisbon, non fare la finta tonta». Ecco il suo sorriso da mascalzone: non è buon segno.
«Ehm…Sentiamo, cosa dovrei dirti? Ah sì ecco, sei stato un idiota a farti male alla caviglia», butta lì, per sviare il discorso.
«E’ per quello che mi hai baciato?»
«Veramente mi hai baciato tu. Due volte». Lisbon ama mettere le cose in chiaro.
«Ma non mi è sembrato che ti dispiacesse. Tutte e due le volte», Patrick, fingendo stupore. Anche lui ama mettere le cose in chiaro.
«Impertinente».
«Dimmelo. Non la caviglia. L’altra cosa».
«Mi sembra di avertela già detta», mormora una Teresa ormai rossa come un peperone.
«Ah sì? E quando?»
«Prima».
«Di cosa?»
«Oh, insomma. Prima». Prima del bacio più sorprendente della sua vita, è ovvio. Ma non lo ammeterebbe neanche sotto tortura. E spera con tutto il cuore che Jane non riesca davvero a leggerle la mente. Altrimenti la prenderebbe in giro a vita.
«Ti sbagli. Non l’hai detto».
«Sì invece».
«Hai usato una perifrasi, ma non le parole esatte».
«Vale uguale».
Entrambi sorridono al ricordo di una frecciatina che aveva tirato Lisbon a Jane molto tempo prima. Vale uguale, aveva detto lei a proposito di un bacio sulla guancia. Che Jane non aveva dato a lei, ovviamente. Che già fosse gelosia, la sua? Sembra ieri, eppure è passato un secolo.
L’agente Ross fa segno da dietro il vetro che il tempo a disposizione per la visita è terminato. Lisbon vorrebbe urlargli che anche lei è un poliziotto, anzi, a parte il fatto che deve ancora abituarsi lei stessa all’idea, è nientepopodimeno che un agente federale, e, in quanto tale, avrebbe tutto il diritto di rimanere ancora; ma decide di lasciar perdere e di approfittarne per togliersi dall’imbarazzante situazione in cui Jane, come sempre, l’ha messa. «Ora, devo proprio andare, altrimenti quel tizio butterà giù il vetro». Accenna ad alzarsi, ma il braccio di Jane la blocca.
«No, Teresa, non andare». Nella sua voce è riconoscibile una punta di panico. Non è da lui e Lisbon sorride, stupita.
«Non credere di sbarazzarti di me. Quando uscirai mi troverai ad aspettarti. Non vado da nessuna parte», lo rassicura. Lei ci sarà, come sempre, del resto.
«Neanch’io», mormora Jane.
«Beh, ovvio, ti hanno arrestato», ironizza la poliziotta.
«Intendo dire che non me ne andrò mai più, Teresa».
Voce profonda più contatto visivo uguale sincerità. Questo assioma Teresa l’ha imparato, ormai. «Oh. Bene». Gli sfiora per un attimo il braccio, in una lieve e impacciata carezza, poi si alza, dirigendosi verso la porta. Un familiare e mozzafiato sguardo azzurro non la abbandona.
Arrivata sulla soglia si gira verso di lui e gli sorride. Un sorriso luminoso, privo di sarcasmo e autodifese.
«Ah, comunque, per la cronaca, ti amo Patrick».



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Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Spero che la prima one-shot vi piaccia. Aggiornerò tra circa una decina di giorni. Se vi va, aspetto le vostre graditissime recensioni! A presto :)
  
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