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Autore: Tomi Dark angel    03/09/2014    4 recensioni
Tratto dalla storia:
Sequel di: "How To Train Your Sherlock"
Tratto dalla storia: "Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!"
Johnlock, con accenni di Mystrade. Dedicato a chi impara, cresce e vive leggendo, figlio di innumerevoli mondi e personaggi che, ad ogni parola accarezzata dagli occhi di chi legge, sbocciano tangibili intorno all'anima del lettore per trascinarlo in avventure mozzafiato che egli saprà custodire in eterno nella purezza del proprio cuore.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene, rieccoci. Vi ricordate di me? Proprio così, sono io. John Watson. Ex militare, eroe della più grande battaglia tra uomini e draghi che il mondo abbia mai avuto la fortuna di vedere e compagno dell’ultima Furia Buia esistente nell’intero universo. Che cos’è una Furia Buia? Andiamo! Non avete letto la storia precedente? Le Furie Buie sono… be’, draghi. Non draghi come gli altri, certo… ma draghi. E fidatevi; non esistono creature più straordinarie nell’intero universo. Dio, perché l’ho scritto? Se Sherlock lo legge, se ne vanterà fino al tramontare delle ere… ok, ormai la frittata è fatta.
Torniamo a noi.
Perché sono di nuovo qui? Per raccontare una storia, come al solito. Per raccontare, per ricordare… per far sì che il passato non vada perso. È giusto così, dopotutto, e alla fine capirete il perché. Perciò, meglio cominciare dall’inizio:
Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!
 
How To Train Your Sherlock
2
 
-Sbrigati, Mycroft!-
Vento. Velocità. Euforia. L’aria si contorce ferita mentre ali affilate, gigantesche, massicce calano svelte per tagliare il vento in un sali e scendi ripetuto, continuo, instancabile. Corpi grossi come montagne sovrastano il cielo, lo oscurano sfondano ogni barriera d’umana velocità.
-Andiamo, Noah!-
I muscoli si tendono, qualcosa scintilla prezioso alla luce dorata del sole, che accoglie gloriosa i giganteschi spalti circolari che popolano il centro dell’arena. La gente esulta, scaglia in aria i pugni, grida euforica ad ogni passaggio dei tre giganteschi corpi da rettile che velocissimi seguono il percorso, oltrepassandosi, spintonandosi, tuffandosi in splendide acrobazie aeree. La creatura più veloce, una dragonessa dalle scaglie di lucente rubino, stringe tra gli artigli una minuscola pecora bianca, grossa poco più di una squama. Non la uccide, non la mangia. Al contrario, la chiude tra le zampe come in una prigione d’inespugnabili dita e artigli acuminati.
-C… coraggio, Irene!- urla il piccolo uomo in armatura di cuoio che giace aggrappato convulsamente a uno dei corni ricurvi della dragonessa. Ha la faccia contratta in una smorfia sofferente, la pelle sbiancata, gli occhi serrati, ma il suo drago non decelera. Al contrario, Irene sforza i muscoli, sbatte forte le ali e vittoriosa, si accosta fulminea a uno dei tre giganteschi cesti che giacciono appesi in fila contro una staccionata. Lascia cadere la pecora, sbatte le ali, si innalza al cielo in strettissime spirali che capovolgono violentemente lo stomaco del suo cavaliere.
Mike stringe più forte il corno, respira a fondo dal naso e combatte strenuamente la nausea che soverchiante cerca di sopraffarlo.
-Non vomiterò, non vomiterò, non vomiterò…-
Dagli spalti esplode un boato di puro giubilo quando la dragonessa compie sulle loro teste un giro d’onore, facendo risplendere le magnifiche scaglie di rubino e gli artigli d’avorio che ferini sfiorano le teste degli spettatori in un’aggressiva carezza di ringraziamento.
Ma si è distratta un istante di troppo.
Una catapulta d’acciaio scaglia in aria una minuscola pecora nera. Gli spettatori si voltano come un sol uomo, la fissano belare disperata e compiere un arco scuro nell’aria pulita del mattino.
Un istante, l’ansito di un respiro…
-SÌ!!!-
Una freccia violetta taglia l’aria velocissima, stringe gli artigli intorno al piccolo corpo della pecora e infine s’innalza in cielo, fulminea, quasi non vista perché appena più piccola degli altri draghi. Due identiche teste cornute stringono i denti, tendono i lunghi colli muscolosi irti di punte acuminate sui dorsi mentre, aggrappata a uno dei corni che spuntano dal cranio sinistro, una ragazza dai lunghi capelli castani ride felice, scagliando in aria un pugno vittorioso nello stesso istante in cui Noah lascia cadere la pecora nel cesto più vicino.
-E questa conta per dieci! ABBIAMO VINTO, NOAH!!!-
Dagli spalti esplode un nuovo oceano di grida elettrizzate che felici s’innalzano al cielo, disturbando la quiete del mattino. Sulle teste degli spettatori, passano i tre mastodonti, talmente grandi da oscurare l’intera città con le ali gigantesche, tese di muscoli e tendini massicci. Le membrane appaiono quasi trasparenti, le scaglie gettano sul pubblico un turbinio prezioso di cristalli sfaccettati.
Dalla tribuna più alta, un uomo sulla sessantina solleva una mano artigliata per decretare la conclusione della sfida. Ha lunghi capelli striati di grigio, intervallati da due splendide corna ricurve, occhi chiari, zigomi alti e taglienti, labbra carnose. A partire dai lati del collo, si snoda una fitta rete di squame lucenti che eleganti scivolano lungo i tendini sporgenti, tuffandosi poi alle spalle del colletto rigido della lunga veste blu notte che abbraccia quel corpo ancora statuario, ancora bellissimo e incontaminato dalla reale anzianità. La coda, irta di punte acuminate sul dorso, scudiscia lenta e morbida intorno alle zampe posteriori, in tutto e per tutto simili a quelle di un drago, per poi innalzarsi verso le ali ripiegate sulla schiena, che massicce sbocciano dalla schiena lasciata nuda dalla veste, svettando gloriose verso il cielo come splendide tende di seta luminosa.
Edarion Holmes. Padre degli attuali principi, marito di una delle più grandi leggende che il passato abbia mai visto e attuale regnante della prima e ultima alleanza che riunisce al suo cospetto uomini e draghi. È padre della sua razza, basta guardarlo: splende di gloria repressa, respira magnificenza, il corpo s’intreccia armonioso tra regno umano e draconico. Lì dove la guerra da poco trascorsa ha lasciato un segno, giace una profonda cicatrice all’altezza della guancia. Serpeggia lungo lo zigomo, scivolando aggressiva verso la mandibola, dove si ferma.
-Fantastico, Molly. Bravissima! E bravissimo anche tu, Noah.- esclama sorridendo quando Molly e Noah lo oltrepassano, scatenando una nuova ondata di grida estasiate.
È tutto perfetto, tutto ben strutturato. Le gare, Londra, l’armonia che giace serena su ogni singolo abitante della città. Tutto. Ma manca qualcosa. O meglio, qualcuno.
-Dov’è mio figlio?- domanda a bassa voce, rivolto all’uomo seduto al suo fianco.
Philip Anderson lo fissa di sfuggita, indeciso sulla risposta da fornire.
–Ecco…-
 
-WOHOOO!!!-
Velocità. Tanta, troppa. Il vento che graffia la pelle, l’odore di libertà, il bacio del sole sulle carni. Il mondo si srotola intorno a loro, spiega arti d’acqua pulita che limpida si stende all’orizzonte, intrecciando arti marini all’azzurro sbiadito di un cielo senza nuvole. È un incontro gentile, armonioso, che quasi fonde acqua e aria, cielo e mare in un dipinto senza tempo ma lavorato in ogni singolo dettaglio di luci ed ombre da anonimo artista senza volto.
Sull’acqua sottostante, dove le ali del drago affondano iridescenti ad ogni battito, sollevando sulle loro teste un arco lucente di goccioline simili a diamanti, splende danzante una miriade di cristalli brillanti, intrisi di riflessi arcobaleno.
John Watson solleva lo sguardo per spingere la vista a nord, dove giganteschi crepacci di roccia s’innalzano spavaldi dall’acqua, svettando diroccati verso il cielo. Sono rocce frastagliate, consumate dall’acqua e dal tempo, ma sbucano irte di minacce ad ogni singolo tratto d’oceano per decine di metri, nascondendo a malapena l’esplosione di smeraldo che più in là s’inerpica lungo la sporgenza rocciosa che svetta sul mare, sbocciando tuttavia da un fitto arrampicarsi d’alberi.
John sorride euforico prima d’appoggiare il mento sulla spalla del suo mezzo di trasporto preferito. Inspira grato il profumo di spezie e vaniglia che impregna quel corpo così caldo, nervoso di muscoli contratti e scaglie acuminate.
Se avesse dovuto dare un volto all’angelo più bello di Dio, figlio del mattino e della sera, del cielo e della terra… John lo immaginerebbe proprio così.
A volte, guardando lo spiegarsi dell’aurora boreale o le imponenti Cascate del Niagara, l’uomo crede di aver scoperto il vero significato di imperscrutabile bellezza. Le sette meraviglie del mondo, il sorriso di un bambino, la risata di una donna innamorata. Queste sono bellezze di indubbia grandezza. Ma niente, niente al mondo o nell’universo, può eguagliare l’inquietante perfezione di quel viso ultraterreno.
Nessuna creatura terrestre è così bella, nessuna creatura terrestre possiede quei tratti affilati, dagli zigomi alti, scolpiti nella madreperla della pelle intrisa di riflessi quasi argentati. Gli angeli stessi potrebbero aver scolpito quelle labbra cesellate, morbide, dipinte da artista divino e accarezzate dai capelli ricci, corvini e luminosi, vivi di una distratta eleganza che li abbandona scompigliati sulla fronte e sul viso del loro proprietario. Tuttavia, ogni magnifica sfaccettatura di quel viso annega in una meraviglia ben più grande che abbraccia il cuore di John in una stretta soffocante, sottomessa, innamorata.
Cristallo. John non può descriverli altrimenti. Quegli occhi brillano dei più morbidi, variopinti riflessi che qualsiasi spettro di colori abbia mai posseduto. Il mondo intero nasce e muore in giovinezza e vecchiaia attraverso quello sguardo, insieme a quelle sfumature sfuggenti, indescrivibili, senza tempo. Occhi del genere potrebbero spezzare il mondo con un semplice sguardo, plagiare qualsiasi animo, riavvolgere il nastro delle ere per cambiarlo nella sua interezza.
Un fascio di sole dorato accarezza le squame variopinte, tinte di un nero brillante, intriso di riflessi arcobaleno e d’aurora boreale. Ogni più prezioso cristallo del mondo non eguaglierebbe minimamente lo splendore di quei diamanti oscuri accuratamente sovrapposti, che sinuosi scivolano ai lati del collo, separandosi all’altezza delle clavicole in due identiche ali che abbracciano le spalle e le braccia, scivolando sulla schiena, lungo i fianchi, fino ad abbracciare le gambe in tutto e per tutto identiche a quelle di un rettile. Cosce possenti, muscolose, che introducono ad arti nervosi, muniti di zampe artigliate, bestiali. La coda scudiscia nell’aria, le corna ondulate rilanciano riflessi adamantini sul viso e sulle acuminate ma piccole punte che seguono la linea della mandibola.
Infine, ci sono le ali.
Ampie oltre ogni dire, possenti, forti di vele gigantesche che sembrano voler abbracciare il mondo per proteggerlo o spazzarlo via. Ali possenti, ali che più di una volta hanno sostenuto il mondo intero. Ali che adesso, trasportano John in un oceano lontano di sogni e libertà, di vento e profumi esotici, laddove l’uomo ancora non è giunto.
John allarga le braccia, cattura il vento con una risata euforica mentre un nuovo ventaglio di goccioline iridescenti s’innalza verso il cielo, spinto in aria dalle ali possenti della Furia Buia.
-Non comportarti da bambino, John.- lo rimprovera la calda voce di Sherlock. –Rischi di cadere se ti agiti tanto. E sappi che, in tal caso, ti lascerei affogare.-
John vorrebbe ascoltarlo, davvero. Ma è troppo felice, troppo libero, troppo leggero. Intreccia le gambe con quelle di Sherlock, lascia scivolare le mani lungo le braccia del drago ben più che umanoide che lo trasporta sulla schiena. Chiude gli occhi, respira a fondo l’odore del suo drago mescolato al profumo del mare sottostante.
Qualcosa risale velocemente verso la superficie, catturato dai bruschi movimenti della Furia Buia ormai troppo vicino all’acqua. Bestie massicce dai corpi longilinei balzano oltre l’azzurra serenità dell’oceano, bucando giocose il mare che le accoglie e rilanciando al sole i riflessi impazziti della pelle iridescente che ricopre quei colli così lunghi, quelle teste triangolari, quelle membrane lucenti di polvere di stelle.
I draghi d’acqua inarcano i corpi a mezz’aria, offrono al cielo le pinne anteriori in un saluto mattutino che vuole rivolgersi invece al mondo intero.
Sherlock punta dritto verso di loro, scende ancora fin quasi a toccare con mano il pelo agitato dell’acqua. Poi, all’ultimo momento, chiude le ali, ruota su se stesso e con sinuosa eleganza passa sotto i ponti arcuati dei corpi in caduta libera dei draghi.
John ride quando uno spruzzo d’acqua gli urta il viso, bagnandogli anche i capelli. Scrolla la testa, spargendo goccioline tutto intorno mentre Sherlock accelera ancora, tanto da poter sfruttare lo spostamento d’aria per aprire le acque sottostanti in due identiche ali azzurrine.
John gli dà un colpetto sul fianco, protendendosi verso l’orecchio di Sherlock.
-Che ne dici, proviamo a…-
-No.-
-Suvvia, Sherlock! Cosa può andare storto?-
-Tutto. Devo ricordarti cosa è successo l’ultima volta?-
-Non fu colpa mia! Quel cespuglio di rovi non doveva neanche esserci, lì!-
-John, quello fuori posto eri tu, non un banalissimo cespuglio di rovi. A rigor di logica, le piante non si spostano da sole.-
Nonostante le proteste tuttavia, Sherlock sbatte forte le ali, catturando una corrente ascensionale che lo spinge verso l’alto. Il suo corpo si adatta al cambiamento, asseconda con leggeri movimenti dei fianchi ogni battito d’ali, ogni virata.  
John si sporge emozionato oltre la spalla tornita di Sherlock per fissare estasiato il mondo che placido si stende come morbido tappeto ai loro piedi. Immense distese d’azzurro che dolci s’intrecciano col pallido smeraldo degli alberi, riflessi cristallini d’acqua baciata dal sole, monti assopiti che sereni riposano accucciati sulla terra.
Quello è il loro mondo. Quello è il pianeta che passo dopo passo, stanno ripulendo dalla guerra, dal sangue, dall’odio. Non è facile, ma John finalmente può vedere la bellezza laddove ha creduto di non poterla vedere mai più.
-Pronto?- esclama per sovrastare il ruggito del vento.
Sherlock rallenta considerevolmente, quasi smette di sbattere le ali, ma non manca di catturare qualsiasi placida corrente ascensionale volta a tenerlo in equilibrio sul tetto del mondo. Stringe le labbra, assottiglia lo sguardo.
-Cambierebbe qualcosa se dicessi di no?- sbotta infastidito, ma John sorride e lentamente allenta la stretta sul corpo di Sherlock. Sente i suoi muscoli irrigidirsi sotto il lungo cappotto nero che indossa, vede i tendini del collo farsi più nervosi, pronti a scattare.
-Andrà bene.- lo rassicura.
Poi, semplicemente si lancia.
Un senso di vuoto alla bocca dello stomaco, la totale gelida assenza del corpo di Sherlock sotto il suo, il ruggito del vento nelle orecchie. Improvvisamente, John comincia a precipitare. Non ha paura, non teme lo schianto col mare che velocemente gli corre incontro, pronto ad abbracciarlo. Sente che Sherlock è alle sue spalle, pronto a riprenderlo, impedendogli di cadere così come ha sempre fatto.
Allarga le braccia, e improvvisamente delle ali di sottilissima seta nera che collegano le braccia al bacino si gonfiano possenti, schioccando catturano il vento e issano il corpo di John verso il cielo.
Alle sue spalle, Sherlock allarga le ali e lo imita, senza tuttavia distanziarsi troppo.
John sforza i muscoli delle braccia, combatte imperioso contro il vento che cerca di fargli perdere l’equilibrio. Non demorde mai, non si rilassa finché non cala lo sguardo sul mondo sottostante che per la prima volta, l’uomo può guardare dall’alto, volando su ali proprie, funzionanti, resistenti quasi quanto quelle di un drago.
-È belliss…-
Qualcosa va storto all’improvviso, violento e inaspettato. Una brusca folata di vento lo destabilizza, fa oscillare pericolosamente le ali improvvisate che fremono di fatica, troppo sottili per resistere un istante di troppo.
-Oh, no! SHERLOCK!!!-
John comincia a precipitare all’improvviso, avvinto alla forza di gravità che impietosa lo trascina in basso, verso lo spuntone più alto delle rocce che sbucano dall’acqua impetuosa del mare. Chiude gli occhi, piega le ginocchia e invano cerca di anteporre le braccia davanti al viso per proteggersi dall’impatto.
Inutile. Banale. Sta precipitando dal tetto del creato stesso: non sopravvivrà.
Vorrebbe chiamare Sherlock, vorrebbe voltarsi e capire perché il suo drago non l’ha ancora afferrato. Sherlock non è mai stato così lento, dannazione. È una Furia Buia!
Le rocce si avvicinano vertiginosamente. Niente rallenta la caduta, niente la arresta. A John non resta che chiudere gli occhi e prepararsi a morire.
Ma l’urto non arriva.
Due braccia muscolose gli circondano la vita, un corpo caldo preme contro il suo mentre mani esperte lo voltano a mezz’aria per poi premergli il viso contro il petto scoperto e ancora caldo del suo salvatore.
Due ali gigantesche si chiudono protettive su di loro come spiriti guardiani, una coda rovente di calore li abbraccia in una stretta inscindibile, meni gentili lo afferrano, bloccandolo un istante prima dell’impatto.
Lo schianto col terreno svuota i polmoni di John di tutta l’aria accumulata, ma le membrane tanto setose quanto resistenti delle ali impediscono che su di lui venga esercitato il minimo graffio. Lo proteggono, lo abbracciano, arrestano qualsiasi ferita il terreno possa infliggergli. John serra gli occhi e nasconde il viso contro il petto del compagno, inspirando disperatamente il suo profumo speziato per tranquillizzarsi.
Tutto finisce così com’è iniziato. Sherlock e John restano immobili, ancora stretti in un abbraccio soffocante. Il mondo pare fermarsi, qualsiasi orologio blocca le lancette lì, in quell’istante cristallizzato nel tempo. Cade il silenzio, spezzato soltanto dal mare che imperterrito continua a infrangersi contro le rocce.
John respira ancora il profumo di Sherlock, stringe forte il suo cappotto, intreccia le gambe con le sue in un disperato tentativo di contatto, di calore. Ha guardato la morte in faccia per l’ennesima volta, sfiorandola stupidamente, quasi toccandola a causa della sua avventatezza. Ha creduto di perdersi, di smarrire il sentiero della vita. ma qualcuno l’ha afferrato, strattonandolo verso il cielo, verso nuovi respiri puliti, sereni, vivi.
Sherlock. Il suo Sherlock.
Lentamente, le ali di Sherlock si schiudono, rivelando i loro corpi intrecciati come il più prezioso dei tesori. La coda allenta la stretta, le braccia di Sherlock quasi lo liberano, ma John non vuole separarsi da lui. Al contrario, lo stringe più forte, rifiutandosi di alzarsi.
-Scusa.- mormora contro le sue scaglie tiepide, rassicuranti, profumate di paradiso.
Sherlock respira a fondo, sbatte forte le palpebre per mettere a fuoco il cielo sulle loro teste. Mantiene la calma, così come ha sempre fatto, così come si è sempre imposto. Stringe John tra le braccia, assapora il suo respiro. Un attimo, ancora un attimo.
Non è stato abbastanza veloce… ha rischiato di perderlo. Il tutto, perché non riusciva a misurare le distanze. Sherlock non sta bene. Non è giusto che a pagarne le conseguenze sia un inconsapevole umano. John poteva morire.
-Sherlock?-
John si solleva appena per guardarlo in viso, ed è allora che Sherlock si perde affascinato in quello sguardo così caldo, così innamorato… di lui. Occhi che sanno di mare, occhi che sanno di cielo e vita. Occhi umani che umanità hanno saputo insegnare.
Sherlock ha studiato quel viso così tante volte da poterlo disegnare ad occhi chiusi. Conosce quelle labbra, quello sguardo, quei tratti gentili d’uomo testardo che non ha mai smesso d’amarlo e d’insegnargli amore. Ogni giorno, in qualsiasi istante della giornata, John popola il mondo di Sherlock con semplici respiri caldi di vita, con tocchi gentili, con sorrisi di giovane uomo che ha visto la guerra e finalmente apprezza la pace. Sherlock lo studia, impara da lui come un bambino imita il genitore per muovere i primi passi.
Grazie a John, Sherlock impara a vivere ogni giorno.
-Tutto bene?- chiede John, e per un istante, Sherlock è tentato di dirgli la verità.
Vorrebbe confessargli il motivo che lo spinge a rifiutare continuamente l’incoronazione.
Vorrebbe confessargli che qualcosa non va.
Ma non può. Perciò, Sherlock tace e al contrario annuisce. Si alza lentamente in piedi, scrollandosi di dosso lo sguardo inquisitorio di John.
Slam, slam, slam.
Le porte si chiudono una dopo l’altra nel suo Mind Palace, lasciandolo solo nel corridoio novantatre. Una serratura in particolare scatta minacciosa, sigillandosi imperscrutabilmente per nascondere, per celare, per impedire che la realtà venga fuori. Sherlock siede davanti alla porta, chiude gli occhi, giunge le mani sotto il mento e si rilassa. Logica, pace, silenzio. Adesso sta bene.
-Sherlock?-
John lo raggiunge sul bordo della scarpata, affiancandolo e sporgendosi appena per guardarlo in viso. La coda di Sherlock gli cinge la vita, abbraccia con dolcezza quel corpo caldo d’umanità.
-Non ti sporgere. Se cadi, non ti riprendo.-
Ma John ride di una risata divertita, serena, priva di paura. Si sporge verso lo strapiombo, cercando di saltare nel vuoto, ma la coda lo trattiene imperiosa e senza sforzo, sollevandolo da terra come un bambino inerme.
John si dimena giocoso, picchietta sulle punte acuminate che seguono il dorso della coda squamosa del drago, ma alla fine si accascia ridendo, felice come mai in vita sua.
-Visto? Non mi lasceresti mai cad…-
Ma improvvisamente, la coda scatta fulminea come cranio di serpente: lo lancia in aria senza sforzo, si avvolge intorno a una delle sue caviglie e in un istante, John si trova a penzolare a testa in giù sullo strapiombo, a metri e metri dal mare che minaccioso si abbatte contro la scarpata irta di rocce.
-SHERLOCK HOLMES!!! METTIMI GIÙ!!!-
John grida, si dimena, per qualche istante cede al panico. Sherlock arriccia un angolo delle labbra nella sua familiare parvenza di sorriso, ma alla fine cede al buonsenso e ritrae la coda. Lancia in aria John una seconda volta, lo guarda agitare le braccia in aria, un istante prima di stringergli i fianchi con delicatezza. John si aggrappa a lui, stringe forte il cappotto tra le dita e finalmente riassapora il piacere della terra sotto i piedi.
Respira a fondo, espirando poi dalle labbra per far sì che quei ricci così scompigliati, così morbidi, danzino al ritmo del suo ansito leggero. Li fissa ipnotizzato, si bea della stretta morbida di Sherlock intorno alla vita.
-Sei un bastardo.- sbotta, cercando di fingersi arrabbiato.
-Lo so.-
Sherlock si siede lentamente e John lo imita, accomodandosi tra le sue gambe divaricate. Appoggia la schiena sul suo petto e sorride quando il braccio di Sherlock gli circonda la vita protettivo, leggero, gentile come ali di farfalla.
Entrambi fissano l’orizzonte, scrutano il cielo terso d’azzurro striato di bianco. Un drago vola libero nel cielo, diretto verso Londra, mentre nel mare, giganteschi corpi di rettili marini sgusciano sinuosi sotto la superficie, facendo emergere di tanto in tanto riflessi cangianti di pinne colorate. Cielo e mare sono vivi, terra e fuoco riposano quieti negli animi di chi li abita.
Quello è il mondo che hanno salvato dalla guerra, quello è il mondo che poco a poco stanno ripulendo dalle sue stesse malattie. John ricorda le fiamme sovrastare le foreste, il sangue arrossare l’acqua, il cielo tingersi di fumo nerastro. Grida, tante grida. E dolore. John ha perso tanto, a causa di quella maledetta battaglia. I suoi amici, la sua casa, la sua famiglia. Tutto per un errore, tutto per un fraintendimento dovuto alla paura di una freccia scoccata per sbaglio sul drago sbagliato.
Poi però, è arrivato lui; la splendida creatura che adesso lo stringe tra le braccia. Ha raccolto John dalla sua miseria, gli ha insegnato nuovamente a camminare, ha ricostruito minuziosamente ogni pezzo barbaramente massacrato del suo essere. E infine, tra le sue giovani zampe artigliate, John si è visto rinascere.
-Sherlock?-
-Mh?-
-Seriamente… scusa se ti ho fatto preoccupare, prima.-
Sherlock espira dal naso, scompigliandogli i capelli con una folata di profumata aria calda. John si riscalda, preme dolcemente contro il suo petto e lentamente si accuccia tra le sue braccia. Si sente a casa, si sente protetto. Ha visitato il tetto del mondo, toccato il paradiso, visto il sorgere dell’alba e la nascita della luna, ma niente nell’intero universo può essere paragonato alla bellezza di uno dei rari abbracci che Sherlock gli concede. Sono regali preziosi e senza tempo, benedizioni che John apprezza e memorizza in un cassetto gelosamente custodito tra le sue memorie più care.
Sherlock non ha bisogno di rispondergli. Non dice ad alta voce che l’ha già perdonato, non dice che la colpa reale del pericolo appena trascorso è sua. Non vuole spiegarsi, non è giusto che John sappia. Non ancora, almeno.
Lentamente, Sherlock appoggia la fronte sul capo del suo umano e lo stringe a sé, combattendo contro le sue debolezze, contro i tremiti convulsi che rischiano di scuotergli le membra.
Stanza ventiquattro, corridoio quindici. Logica, pace.
Sherlock si è indebolito, e questo John non lo sa. Sherlock tace, e questo John non riesce ancora a capirlo. Ma non è ancora il momento di disperarsi, perché qualcosa smuove l’immobilità del momento e un brivido freddo striscia lungo la spina dorsale di Sherlock mentre una sensazione di lontana familiarità lo pervade, spingendolo a guardare oltre, a ovest, dove ancora giacciono le terre inesplorate.
Qualcosa in lontananza ruggisce, ed è un suono talmente potente da far vibrare la terra sotto i loro piedi e il cielo sulle loro teste.
John si alza di scatto, quasi perde l’equilibrio per sporgersi oltre la scarpata nel disperato tentativo di guardare meglio. Nessuno ruggisce così forte, a parte Sherlock. Sembra un richiamo di Furia Buia, ma è impossibile: le Furie Buie non esistono più. Di loro, è rimasto un unico esemplare maschio che giace adesso alle sue spalle, seduto sull’erba.
-Cos’era?- chiede John, assottigliando lo sguardo verso le terre lontane.
Silenzio. Nessuna risposta.
-Sherlock?-
John si volta, cerca con lo sguardo la figura longilinea del compagno, ma Sherlock non è più lì. Al contrario, John lo scorge poco lontano da lui, accucciato sul bordo della scarpata, come pronto a scattare. Ha le narici dilatate, le ali frementi, le pupille feline sottili come non mai. I muscoli sono tesi al punto che ogni nervo, ogni tendine emerge nevrotico sottopelle come minaccioso segnale di pericolo. John non l’ha mai visto così, nemmeno durante l’ultima battaglia che li ha resi famosi.
-Che… Sherlock, tutto bene?- domanda, avvicinandosi cautamente.
Sherlock non si muove, non reagisce. Resta immobile come una statua, lo sguardo vitreo, le scaglie lucenti alla luce dorata del sole. Ma quando parla, la sua voce è la stessa che John conosce, calda e profonda come gli abissi della terra: -Dobbiamo andare.-
-Dove?-
-A casa. Adesso.-
John sente che non è il momento di chiedere spiegazioni.
Qualcosa si sta muovendo, nelle terre inesplorate. Qualcosa che Sherlock sente di conoscere, qualcosa che silenzioso sguscia fuori dal suo passato come spirito senza nome, senza volto, senz’anima. Qualcosa che il suo stesso Mind Palace ha seppellito a doppia mandata nelle sue segrete più oscure, sigillandolo in un angolo lontano dai ricordi, dal presente e dal futuro.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque… eccoci qui, alla fine. Il sequel sui nostri draghetti preferiti. Ammetto di aver promesso ben altre storie al riguardo, ma… sì, forse mi sono un po’ troppo affezionata a questi personaggi. In ognuno di loro c’è un piccolo pezzo di me, una parte che ho faticato mesi per costruire. Per questo, sono di nuovo qui e vi tendo la mano, gente: se non siete stanchi di volare in mia compagnia, è ora di ripartire. Ci aspettano terre lontane, ben più lontane dell’ormai nota Londra, o delle familiari lande dei draghi.
Stavolta, oltrepasseremo i confini delle terre conosciute, scopriremo creature nuove e guarderemo ancor più a fondo in ognuno dei personaggi. Ammetto che io stessa non so come continuerà la storia: come al solito, i personaggi seguiranno il loro percorso, e io mi limiterò a descrivere ciò che accade poiché, come ho già detto, io sono soltanto una narratrice e nient’altro. Io osservo, niente di più. Perché, ricordate: basta credere che i sogni, quelli veri, esistano davvero se solo scegliamo di dar loro vita. Dunque, levate gli occhi al cielo e guardate! Sherlock e John sono pronti a ripartire, e io con loro. Voi, invece? Avete fatto le valigie?

Tomi Dark Angel
 
  
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