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Autore: Irecchan    05/09/2014    1 recensioni
Christopher Hayden ha tutto ciò che un giovane uomo possa desiderare: amore, salute, un lavoro ben retribuito. Non gli resta che sposarsi, ma quando lui e la sua fidanzata si rimboccano le maniche per organizzare il loro tanto desiderato matrimonio, un inaspettato incontro che non avrebbero mai dovuto fare cambia per sempre il corso degli eventi. Quando si dice “trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato”... Ma chi sarà mai questo Morgan? Da chi è tormentato? O meglio, da cosa? Una vicenda singolare ed inquietante, consumata tra le mura di un’antichissima cattedrale e in compagnia di una presenza che ha del sacro ...e del demoniaco.
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tormento del Signor Morgan

Londra, 17 Maggio 1934

Mi chiamo Henry Morgan e tengo un diario. Lo aggiorno ogni dì, senza saltarne mai uno. Ci si chiederebbe per quale motivo un uomo di trent’anni dovrebbe tenere un diario e raccontare le proprie giornate come una ragazzina innamorata del professore di Letteratura, e spesso io stesso mi sento molto in imbarazzo quando mi ritrovo a tu per tu con il mio spirito, nella mia camera d’albergo spoglia e triste, e poso la punta della penna stilografica sul foglio a righe, dando voce ai miei demoni.                                                                                                                                    
Io scrivo per non diventare pazzo.                                                                                                
Questa tattica mi è stata suggerita da un famoso strizzacervelli di Edimburgo, il dottor Lucas Liars, il quale, neanche a dirlo, al solo pronunciare il suo nome mi ispira sentimenti assai lontani dalla fiducia. Tuttavia tento. Questo o il manicomio.                                                     
Oggi è il mio compleanno, e inizio il mio sesto diario. Sono ormai cinque anni interi che metto per iscritto le mie memorie e completo un’agenda ogni 365 giorni esatti. Da qualche mese a questa parte, forse per tenere ulteriormente allenata la parte razionale del mio cervello, forse perché proprio questa comincia inesorabilmente a rimanere indietro, lasciando il posto alla follia, sono diventato estremamente e quasi diabolicamente metodico e preciso e tendo a contare e ad appuntare qualsiasi cosa mi venga a tiro: proprio ora mi rendo conto di aver scritto per ben 1824 giorni senza mai un’interruzione.
Dunque sono passati esattamente 1854 giorni da quando il mio incubo ha avuto inizio.      
Ma ora basta, rompo gli indugi: non ha senso scrivere per una vita intera a che ora mi sono alzato, cos’ho mangiato per colazione, le panzane che mi ha raccontato lo strizzacervelli e tutte le altre grane su cui inciampa la mia esistenza disgraziata; non ho osato spingermi oltre per troppo tempo, ma oggi intendo prendere il coraggio a due mani e parlare in maniera diretta di ciò che fu e che sconvolse irrimediabilmente la mia vita.                       
Prima di tutto, occorre dire che cinque anni fa avevo venticinque anni e non mi chiamavo affatto Henry Morgan.
 
Il mio nome era Christopher Hayden ed ero uno dei più quotati detective del prestigioso centro di Scotland Yard, nella zona più ricca e ben tenuta di Londra. Molti ritenevano che fosse oltremodo oltraggioso che un giovanotto come me ricoprisse un ruolo già tanto importante e che ai miei piedi vi fossero molti uomini con decenni di sana esperienza, e alcuni vociferavano che io fossi nientemeno che il figlio del mio non-sposato capo reparto e dunque meritevole di un’ascesa ben facilitata. La verità era che avevo lottato e soprattutto studiato molto: sin da piccolo avevo mostrato un certo fiuto per i misteri e mi ero messo subito all’opera per diventare, un giorno, bravo quasi quanto Sherlock Holmes.                  
La mia vita era perfetta, non mi mancava nulla; mi piaceva fare il modesto, ma ero sveglio, intuitivo e intelligente, ed ero anche abbastanza bello con il mio metro e ottantacinque, le spalle larghe, gli occhi verdi e i miei -allora corti e ordinati- capelli castani. Nonostante il mio lavoro, particolarmente impegnativo e a volte potenzialmente pericoloso, le mie giornate erano relativamente serene e illuminate dalla presenza della mia splendida fidanzata Anne, che io chiamavo affettuosamente “Boleyn”, visto il suo grande amore per la Storia inglese che stava meticolosamente ripassando in vista della laurea ad Oxford. Avevo bisogno di lei come un uomo perso nel deserto necessita dell’acqua ed ero innamorato, oltre che della sua bella persona, del suo modo di fare dolce e appassionato; le sue amiche, donne frivole e prive di interessi, minavano alla sicurezza che aveva di se stessa dicendole spesso che era noiosa e che avrebbe dovuto pensare meno a studiare e più a farsi bella, o presto io avrei perso il mio ardore nei suoi confronti. Sciocchezze: per me era perfetta, anche se i suoi lunghi capelli rossi erano spesso legati in una crocchia e aveva sempre in mano un libro di Storia Medievale e Rinascimentale di cinque chili.  Avevamo in programma di sposarci subito dopo la sua laurea e di mettere su famiglia.                           
Caso volle, però, che la mia fidanzata fosse proprio fissata con la tradizione e, mentre io pensavo di sposarmi alla Saint John the Baptist, una graziosa chiesa di culto anglicano costruita solo il secolo scorso, in stile neoclassico, lei insisteva nel voler trovare una chiesa dal sapore storico, che a parer suo avrebbe reso il nostro matrimonio più sfarzoso e indimenticabile. Le donne!                                                                                                                                                 
 Il suo piccolo desiderio pose probabilmente una firma su ciò che sarebbe accaduto in seguito. Chissà, forse se mi avesse ascoltato...
Era una di quelle rare mattine belle e soleggiate d’Aprile del 1929 ed io me ne stavo rintanato nel mio ufficio al settimo piano a riordinare alcune scartoffie, aspettando che mi chiamassero a svolgere un compito più degno di tal nome. Di tanto in tanto gettavo qualche sguardo frettoloso al panorama sotto di me: vedevo il St. James’s Park, sempre pieno di colombe, molto vicino al quartiere di New Scotland, e più avanti il Big Ben che troneggiava sul palazzo di Westminster; alla mia sinistra, il London Eye. Non avrei potuto nascere in una città più bella. Avevo appena riposto tutte le mie scartoffie in una pila sulla scrivania e stavo per alzarmi dalla poltrona per godermi la pausa caffé, quando ad un certo punto bussarono alla porta, una visita che non aspettavo.
-Avanti-, dissi curioso. Ad aprire la porta fu Benjamin, il mio segretario, che si scusò per l’intrusione e si spostò per lasciar entrare Anne, poi richiuse la porta dietro di sé e si allontanò per il corridoio. -Boleyn! Che ci fai qui?- mi alzai e andai a baciare la mia futura moglie. -Immaginavo che non stessi facendo niente di costruttivo e così sono venuta ad impegnarti la giornata-, disse lei sorridendo e nel frattempo prese posto alla mia poltrona, accavallando le gambe ed esibendosi in una pessima imitazione di un Christopher poco impegnato.
-Cos’hai in mente?- le chiesi, ammirando le sue lunghe gambe.
-Credo di aver trovato la chiesa perfetta per il nostro matrimonio, vorrei andare a visitarla insieme e sapere che ne pensi.
-Adesso?-
-Be’? Allora perché sarei qui? Poco intuitivo per un detective...- mi prese in giro lei. -Allora, andiamo? -Non avevo proprio voglia di approfittare della mia buona posizione per lasciare il lavoro durante la pausa e andarmene in giro con la mia fidanzata, volevo che la mia condotta risultasse impeccabile e questa eccezione non avrebbe fatto che accrescere la fantasia delle malelingue nei miei confronti. Restava comunque il fatto che a me non importava poi così tanto della chiesa in cui si sarebbe svolta la cerimonia: per me contava il dopo, e dunque non avevo ancora abbandonato l’idea di un semplice ed intimo scambio di promesse alla Saint John. Ciononostante non sapevo dire di no a Boleyn, soprattutto se si trattava di una faccenda così importante per lei e che per di più riguardava il Nostro progetto, così mi arresi ai suoi occhioni da cerbiatto e mi riavvicinai alla poltrona dove lei si era accomodata.
-Qualche minuto di pazienza, tesoro, devo comunicare al capo che prenderò il resto della giornata libera.-
- Ti aspetto seduta qui- mi rispose lei tranquillamente, e tirò fuori dalla sacca che aveva con sé un volume da biblioteca su Hampton Court. Sorrisi tra me e me: ‘la solita appassionata’, poi mi avviai per il corridoio per avvisare che stavo andando via.
Il Signor Sloan, il mio capo reparto, non era di fama un uomo particolarmente comprensivo, parlava poco e metteva tutti a tacere con lo sguardo; anche se avevo arrestato decine di delinquenti, lui era ancora in grado di mettermi in soggezione. Tuttavia quando gli dissi che sarei stato trascinato chissà dove da Anne per sbrigare alcune faccende inerenti le nostre nozze ormai prossime, con mia grande sorpresa mi lasciò andare senza conseguenze. Almeno, non nell’immediato... quella casualità segnò la mia condanna.
Quando ero già sulla porta mi disse: -Il prossimo caso toccherà a te, è un po’ che batti la fiacca.-

Quando io e Boleyn fummo sulla mia nuova Alfa Aurelia, mi voltai verso di lei e finalmente le chiesi la destinazione della nostra gita. -Si tratta della Old Sarum, la chiesa più antica di Salisbury. Andiamo?-
-La Cattedrale di Salisbury?! Ma tesoro, arriveremo al crepuscolo!-
Salisbury è una city che conserva per lo più il suo assetto medievale e presenta un sacco di bellissimi luoghi di Storia e cultura che per Boleyn erano assolutamente irresistibili; l’unico problema è che si trova nella contea di Wiltshire, a sud-ovest della regione, e arrivarci in automobile richiede soltanto undici ore di viaggio. Mi veniva da piangere. Non eravamo neanche sposati e già sapevo di dover imparare a dire di no alla mia fidanzata. Ormai ero incastrato, perciò misi in moto e partimmo alla volta di quell’antica città di archi e portali. Fortunatamente il viaggio fu allietato dalla bella voce di Boleyn che, ogni volta che salivamo su un qualunque mezzo, che fosse un’auto o un treno, cantava con voce da soprano tutto il suo repertorio, dalle ballate al gregoriano. Quando facemmo il nostro ingresso nella città erano già passate le ventidue e trenta, così decidemmo di non fermarci per la cena e ci dirigemmo direttamente alla Cattedrale. Una volta arrivato davanti a quella costruzione imponente, non potei fare a meno di emozionarmi un po’ anch’io, poiché l’Old Sarum, come a rimproverarmi del mio scarso interesse e della poca fiducia, era indiscutibilmente una chiesa splendida: era un edificio compatto, di forma rettangolare, arricchito da un altissimo campanile; la facciata, rivolta verso ovest, era alta almeno trenta metri e affiancata da due torri poste a ciascuna estremità, con due contrafforti in corrispondenza di un’ideale linea mediana posti a sostegno della grande porta trifora centrale. Ciascuna delle torrette era sormontata da una guglia e la parte superiore della facciata era arricchita da quattro finestre dagli archi a sesto acuto sopra le quali si trovavano altre due finestre, più piccole e a forma di quadrifoglio, e ancora più su era posta una nicchia a forma di mandorla contenente, ben visibile anche dal basso, una statua di Cristo seduto su un trono. Feci un giro tutto intorno all’edificio, affascinato dalle mura riccamente decorate con motivi quadrifogliari e trigogliari, colonne e file di statue.
I lati nord, sud ed est della cattedrale presentavano una collezione impressionante di nicchie di varia grandezza poste in cinque livelli differenti, ciascuna contenente, a partire dall’alto, simulacri di angeli e arcangeli, patriarchi dell’Antico Testamento, apostoli, martiri e uomini di cultura, nobili, ecclesiastici e altri illustri personaggi le cui storie si erano intrecciate a quella della cattedrale. Effettivamente Boleyn aveva ragione, era davvero valsa la pena di trascorrere una giornata intera in auto. Non avrebbe potuto esserci chiesa più affascinante. La pietra scura, dalle sfumature che al crepuscolo apparivano color sabbia, sembrava parlare ad ogni visitatore: raccontava la storia sua e di tutti coloro che di lì erano passati. Quando terminai il mio giro e tornai da Anne, che nel frattempo era rimasta ad aspettarmi ammirando l’imponente portale ad arco triforo, avevo la sensazione di aver fatto, più che una veloce visita turistica, un tuffo attraverso i secoli. La mia fidanzata, molto più appassionata e competente di me, interruppe il filo dei miei pensieri: -Riesci a immaginare quante persone più o meno in vista sono passate di qui nel corso degli anni? Il primo blocco di pietra della cattedrale fu posto sotto Guglielmo il Conquistatore, nel 1066, mentre la consacrazione avvenne nel 1092. E’ così antica... è come se mi parlasse.- Quando c’era di mezzo il Medioevo, sorrideva da un orecchio all’altro.
-Entriamo?- proposi, e mi lasciai precedere da Boleyn, che nel frattempo era entrata in uno stato di muta contemplazione. Se l’esterno mi aveva lasciato senza parole, l’interno mi mise in soggezione: la navata sinistra e quella destra erano identiche, incantevoli e caratterizzate da alti finestroni a forma di lama con l’immancabile arco a sesto acuto dal sapore un po’ gotico, reso ancora più evidente dalle figure austere di monaci e santi effigiate sui vetri colorati che di giorno dovevano essere uno spettacolo, ma a tarda sera facevano un effetto vagamente lugubre e, oserei dire, quasi intimidatorio, e questo ai nostri occhi rendeva il tutto ancora più affascinante. Il termine “affascinante”, tuttavia, era appena sufficiente a rendere omaggio alla grandiosità della navata centrale, molto più alta delle altre e sormontata da archi appuntiti come spade, al centro di ciascuno dei quali era posta una mostruosa testa di gargoyle che con la bocca spalancata minacciava dall’alto i visitatori.
Ci incamminammo lungo la navata centrale verso l’altare di pietra coperto da un drappo rosso e scoprimmo con piacere che nella semicupola superiore, al posto del solito Cristo Pantocratore delle chiese cristiane, era raffigurata la volta celeste. Restammo lì a gironzolare per un po’, ammirando ogni centimetro di quella costruzione maestosa, in attesa che si facesse avanti il pastore, sicuramente impegnato nella preparazione dei vespri... fino a quando, ritornando ancora una volta verso l’altare, notai un curioso particolare che prima mi era sfuggito: ad una spanna dall’abside centrale, collocato sul lato destro del muro che separava la navata centrale da quella sinistra, c’era un angelo di pietra molto, ma molto diverso dagli altri. Le statue raffiguranti angeli e arcangeli poste all’esterno dell’edificio erano alte almeno due metri e scolpite in un marmo bianco come la neve; presentavano chiome bellissime così benfatte da dare quasi l’illusione che si muovessero al vento e tuniche che sembravano della consistenza della seta leggera. Tutte avevano leggiadri visi di donna con grandi occhi molto realistici, il naso dritto e la bocca socchiusa e ognuna di loro teneva in mano un vangelo, la Bibbia o un crocifisso.
Quest’angelo, invece, era a grandezza d’uomo ed era stato interamente scolpito in una pietra molto scura, quasi nera e leggermente porosa, ben lontana dalla superficie perfettamente liscia del marmo; l’angelo aveva delle ali bellissime, nelle quali si poteva distinguere ogni piuma, e immense, tanto che le punte inferiori sfioravano quasi il pavimento e la parte superiore era più in alto rispetto alla testa, coperta da un cappuccio dal quale spuntavano delle ciocche di una chioma che avrebbe dovuto essere brobabilmente lunga e ricciuta; il corpo della statua era interamente ricoperto da un mantello, dal quale spuntavano due mani nodose, una sollevata all’altezza del petto, col palmo volto verso l’osservatore, e l’altra stretta intorno ad una lunghissima lancia posta al fianco destro dell’algelo, con una grossa punta acuminata rivolta al cielo. Perché mai un angelo dovrebbe portare una lancia?, pensai impressionato. Ma la cosa più bizzarra, e fu anche la prima che notai perché parecchio inquietante, era che l’angelo era privo di volto. Non un accenno di lineamenti terreni o celesti. I riccioli fuoriuscivano dal cappuccio del mantello di pietra, ma incorniciavano solo un ovale perfetto e senza vita.
Mentre mi avvicinavo sempre di più per accostare il viso a quello inesistente dell’angelo, sempre più ammaliato ma al tempo stesso impressionato da quella figura tra il sacro e il demoniaco, arrivò il pastore. Era un uomo anziano, sulla settantina, di corporatura minuta ed esile, con una zazzera ancora folta di capelli bianchi e un sorriso gentile solcato dai segni del tempo; i suoi occhi, di un azzurro ceruleo, tradivano un inizio di cecità senile, e quando si presentò come -Padre Simoooooon!-, urlando a pieni polmoni come un bambino, capimmo che era anche parecchio sordo. -Cosa desiderate da un povero vecchio come me, miei cari?- sorrise bonario. Ci presentai entrambi a quel simpatico vecchietto: -Mi chiamo Christopher Hayden e lei è la mia fidanzata, Anne Gloucester. Vorremmo celebrare qui il nostro matrimonio e siamo venuti per discuterne nel dettaglio con lei.- Il pastore mi guardò dritto negli occhi. -Come dici, ragazzo?- sbraitò. Per non dovermi ripetere preferii indicare me e Boleyn per poi avvicinarmi all’orecchio del pastore e urlare, scandendo bene le sillabe: -Ma-tri-mo-nio!- Allora il vecchio si accigliò: -Be’? Cos’hai da urlare tanto? Ho capito bene, sai? Seguitemi.- Ci diede le spalle e s’incamminò per una scala a chiocciola alla quale si accedeva da una porticina posta sul muro a nord dell’abside destro; Boleyn vide la mia espressione spazientita e soffocò una risatina, poi seguimmo il pastore su per la scala fino a quando arrivammo ad una stanzetta posta esattamente tra il soffitto della navata destra e il tetto, dove l’ometto aveva sistemato, sulle ante di legno scuro, un giaciglio per sé e un tavolinetto. Quando venne a sapere che venivamo nientemeno che da Londra e che dunque avevamo fatto moltissima strada per arrivare fin lì, il vecchino si affrettò a stendere sul suo piccolo tavolo una tovaglia bianca, poi sistemò tre piatti, una bottiglia di vino, una caciotta e una mafalda croccante, e lì consumammo una parca cena, discutendo i dettagli del nostro matrimonio e stabilendo ogni particolare. La cerimonia avrebbe avuto luogo di lì a tre mesi. Mentre mangiavamo iniziò a piovere e ben presto i goccioloni divennero un temporale, finché cominciammo ad avvertire il rumore della pioggia battente sul soffitto di legno di quella mansarda improvvisata, così tornammo nella chiesa vera e propria. Quando rimettemmo piede a terra e uscimmo dall’abside per tornare nella navata centrale, ci fu un tuono piuttosto fragoroso e un lampo illuminò la finestra proprio di fronte a noi, sul lato sinistro della cattedrale; ci voltammo per guardare il cielo, ma nell’istante prima di posare gli occhi sulla vetrata lo sguardo mi s’impigliò sull’angelo senza volto.
Qualcosa non andava.
Era diverso dall’ultima volta, eppure doveva per forza trattarsi della stessa statua. Avevo esaminato con attenzione quella figura quando eravamo arrivati, ed ero assolutamente certo che stringesse una lancia rivolta verso l’alto. Adesso, invece, l’angelo aveva cambiato posizione, e stringeva la lancia posta orizzontalmente. Mi bloccai e fissai la statua. -Padre Simon, Boleyn, guardate l’angelo!- esclamai. -Che succede, ragazzo?- Mi chiese tranquillamente Padre Simon. -Guardate... la statua... l’angelo... ha cambiato posizione... la lancia...- farfugliai. Quella maledetta statua mi aveva gelato il sangue nelle vene. Possibile che mi fossi sbagliato? Una lancia così grande non era un dettaglio da nulla... d’altro canto, possibile che la statua si fosse mossa? Padre Simon guardò l’angelo. -Che c’è figliuolo? Cos’hai?- Il pastore guardava me e poi la statua, ma non sembrava notare nulla d’insolito. Probabilmente ci vedeva così male che non si sarebbe accorto di nulla neppure se tutti gli angeli della Cattedrale si fosserò trasformati in satiri, povero vecchio. Boleyn invece notò quanto era accaduto; si avvicinò all’angelo, lo esaminò e si rivolse a me: -Effettivamente anche io me lo ricordavo diverso. Strano! Comunque non mi sembra il caso di fare quella faccia, tesoro- mi sorrise, e io mi resi conto di avere gli occhi sbarrati e la mascella contratta. Già quell’angelo era terrificante, poi ci si metteva anche l’immaginazione...
La tempesta si era fatta così violenta che persino il pastore, sordo com’era, non poteva fare a meno di sentirne il frastuono, così c’invitò a rimanere da lui fino all’indomani, per rimetterci in viaggio in condizioni più favorevoli; accettammo la sua offerta e rimanemmo a dormire nella sua piccola mansarda, mentre lui preferì improvvisare un giaciglio su uno dei banchi della cattedrale; sapete, preferiva non condividere la stanza con Boleyn. Penserete fosse sciocco da parte mia, ma trascorsi tutta la notte pensando all’angelo senza volto. Non ero mai stato un tipo impressionabile, ne avevo viste tante nella vita, omicidi assai cruenti anche, ma inspiegabilmente quella statua così strana mi aveva messo addosso una certa inquietudine, e saperla sotto di me, con quella testa senza volto e quella lancia infernale (perché quello di certo non poteva essere un angelo del Signore) mi era tutt’altro che d’aiuto a prendere sonno. Non avevo alcun dubbio su ciò che avevo visto: prima l’angelo impugnava la lancia tenendola verso l’alto, e adesso la puntava dritta davanti a sé. Era assurdo, sì, e avrei fatto meglio a non dar seguito a quella storia e mettermi subito a dormire, dimenticando quel fenomeno. Ma quella notte diversi brividi mi corsero lungo la schiena, mentre nella mia mente fissavo un punto dove avrebbero dovuto esserci due occhi.
La mattina seguente, dopo aver trascorso una notte quasi del tutto insonne, mi misi a sedere sul mio letto improvvisato e trovai un tranquillo Padre Simon che sistemava sul tavolinetto al centro della stanza tre ciotole, una pagnotta di pane integrale e un bricco che scoprii poi essere pieno di latte macchiato; tutto sommato si trattava bene. A giudicare dal viso fresco di Boleyn e dal sonoro sbadiglio in cui si esibì una volta accomodatasi a tavola, intuii che ero stato l’unico a non dormire pensando all’inquietante stranezza di quella dannatissima statua, e ciò mi fu confermato dall’aria serena di Padre Simon che evidentemente stava conducendo la stessa quieta routine di sempre e di certo si era alzato ore prima per le Lodi dell’alba. Dato che ormai erano quasi le nove, ci sentimmo in colpa ad avere fretta di lasciare la Cattedrale per rimetterci in marcia, così decidemmo di rimanere almeno per la Terza. Una volta sceso nella navata per partecipare alla preghiera del pastore, non potei fare a meno di guardare con la coda dell’occhio la statua.
Come faccio a dirvelo?
Non mi credereste! Probabilmente mi fareste condurre dritto dritto in manicomio! Eppure è così, ve lo giuro!
L’angelo adesso aveva un volto!
Rimasi così, a metà tra il terrificato e l’incredulo; lo ammetto, ormai non si trattava più di inquietudine: mi aveva fatto profondamente impressione, ero prossimo a provare paura. Senza dire nulla, forse per non allarmare Boleyn o forse perché temevo che mi avrebbe preso in giro, oppure perché le parole mi si erano congelate nella gola, mi avvicinai all’angelo per osservare il suo nuovissimo volto.
Fu già da allora che temetti di essere impazzito, o per lo meno di correre il rischio. Quella bocca solcata da piccole rughe, quel naso un po’ aquilino, quegli occhi che ora mi restituivano lo sguardo erano quelli di Padre Simon! Oh, sì, voi mi credete pazzo.
Ma io non lo sono, non ancora, e ve ne accorgerete man mano che il mio racconto andrà avanti. Di nuovo attirai l’attenzione del pastore: -Padre Simon, venite! Presto, venite a vedere!- Il vecchio accorse -Cosa, figliuolo? Dì pure!- sbraitò. Era proprio sordo. -Padre, guardate, guardate la statua! Quest’angelo non aveva un volto prima! E adesso ha il vostro volto!- Il vecchietto mi guardò e poi parve esaminare la statua. Fece una risatina sdentata.  -Oh, sì, ragazzo, vedo. Buon Dio,-rise- è vero, mi somiglia!- e si allontanò ridacchiando tranquillo per poi iniziare a pregare all’inginocchiatoio. A quel punto afferrai il braccio della mia povera Boleyn e la trascinai lì per guardare quel nuovo fenomeno che stavolta mi aveva davvero fatto accapponare la pelle. -Guarda, Anne (non ero in vena di nomignoli). Ti sfido a dirmi che non noti nulla. Tu lo sai, hai visto quest’angelo e sai perfettamente che prima non aveva un volto! Come te lo spieghi?!- quasi le ringhiai contro. Quando la guardai in viso, però, notai in Boleyn la stessa espressione agghiacciata che dovevo avere io quando mi ero accorto della lancia, che anche adesso era puntata verso l’osservatore. Stavolta non trovava una risposta e non sembrava neanche voler ignorare la cosa. -Andiamo via,-mi disse-questo è davvero strano, fin troppo strano, non mi piace. Torniamo subito a casa.-  Mi voltai verso il pastore, perfettamente ignaro di tutto: -Padre Simon, abbiamo avuto un contrattempo e purtroppo dobbiamo tornare subito a Londra. Mi raccomando per i preparativi della cerimonia, contiamo che sia lei a celebrarla, e la ringrazio per la generosa ospitalità.- Il vecchio fece segno di aver capito e mi mostrò il pollice in su.
Gettai un’occhiata all’angelo. -Ah, ancora una cosa!- gli urlai. -Non ci piace quell’angelo di pietra nera, ci faccia il favore di spostarlo da un’altra parte durante il matrimonio... grazie ancora.- Uscimmo.
Povero vecchio, non gli avessi mai fatto quella richiesta! Forse fu solo colpa mia.
Durante il viaggio di ritorno Boleyn canticchiò a bassa voce fino a quando non mettemmo un po’ di distanza tra noi e Salisbury, poi si voltò verso di me. -Sai, forse siamo stati un po’ precipitosi. Magari Padre Simon è un bravo attore e un vecchio burlone, e si è inventato uno scherzetto architettato ad arte per impressionarci e magari spingerci a mandargli degli amici. Il turismo si nutre molto di leggende e misteri...- Sospirai. -Forse è così. Dimentichiamo questa storia, il più è fatto e quell’orrendo angelo non ci disturberà più.-

E starete pensando che l’incubo di cui vi parlavo all’inizio della mia storia sia finito così, con un viaggio in macchina. Ebbene, vi sbagliate. Mai avrei potuto concepire una cosa del genere, mai avrei potuto credere, se mai me lo avessero auspicato, che la mia vita sarebbe stata così irrimediabilmente distrutta dall’orribile statua di un angelo!

Quando io e la mia ormai promessa sposa facemmo ritorno a Londra, ero così stanco per il lungo viaggio e la notte insonne che telegrafai al lavoro che mi sarei preso un altro giorno per malattia, e trascorsi una giornata tranquilla in casa ascoltando Boleyn che mi ripeteva la sua tesi di laurea, davvero interessante e ben impostata.
Il giorno dopo mi attendeva una sorpresa al sapore di sangue. Il Signor Sloan mi mandò a chiamare nel suo ufficio e mi disse, pallido in volto, che avevo il dovere di occuparmi di un caso particolarmente complesso: un povero vecchio era stato brutalmente ucciso. Il cadavere era stato trovato proprio un’ora prima. -Dov’è successo?- chiesi, pronto a mettermi al lavoro. Il capo mi guardò. -A Salisbury, nella Cattedrale di Old Sarum.- Non mi fu necessario chiedere nient’altro: Padre Simon.
Immaginatevi il mio orrore, il mio raccapriccio quando, giunto di nuovo sul posto, trovai già la Scientifica ad indagare e lì, proprio accanto all’altare, il cadavere del povero Padre Simon, infilzato nella lancia dell’angelo senza volto. Perché l’angelo di nuovo non aveva un volto. -Lo ha scelto, lo ha scelto, per questo aveva la sua faccia! Distruggetelo! Distruggetelo, quell’angelo di pietra maledetto è l’assassino!- caddi in ginocchio. -Suvvia, Christopher,-fece una collega- non vorrai davvero farci credere che stai parlando sul serio! Qui si tratta di un killer brutale, che ha sollevato di peso quel povero anziano e gli ha fatto fare una fine orribile. Pover’uomo. Forza, alzati, ne hai viste di peggio.-
-Voi non capite, è stata la statua! E’ stata la statua! Ha messo la lancia così, per trafiggerlo. Prima era puntata verso l’alto! E il volto... non aveva un volto! E all’improvviso aveva quello di Padre Simon! Dovete credermi!- piangevo mentre cercavo di convincere i miei colleghi che non ero uscito di senno, ma non ottenni nulla. Se accusi la statua di una cattedrale di aver ucciso il prete, come minimo ti credono del tutto pazzo, nel peggiore dei casi pensano che il colpevole sia tu. Per mia fortuna era del tutto fuori questione che fossi io l’assassino, perciò venni riaccompagnato a casa, ancora urlante, e sollevato dall’incarico. Mi fu concessa una settimana di riposo per riprendermi dallo shock, come il Signor Sloan scrisse nella comunicazione che mi fu inviata, poi tornai regolarmente alla vita di sempre; ma ero tormentato dagli incubi, e il protagonista era sempre l’angelo senza volto, con la lancia pronta a fare del male. A volte credevo di sentirlo parlare con me, mi diceva che non avrei mai dovuto permettermi di giudicarlo meno bello degli altri e addirittura di chiedere al pastore di spostarlo, dopo tanti secoli che si trovava lì e che faceva quello che voleva. Sì, forse non ero ancora pazzo, ma non stavo bene. Più volte provai a parlare con Anne di quella brutta storia, del povero Padre Simon e dell’assoluta certezza che fosse stata la statua stessa ad ucciderlo, ma ogni volta che accennavo ad introdurre la questione Anne s’innervosiva.
Una mattina, mentre facevamo colazione, la mia povera Boleyn mi disse di aver sognato l’angelo. Sapevo che anche lei era rimasta molto impressionata dalla faccenda e quindi non ne fui molto sorpreso fino a quando sospirò e mi disse: -Aveva la mia faccia, Christopher.- Sbiancai. A questo punto era così assurdo temere che quella storia raccapricciante si ripetesse? Era da folli pensare che l’angelo assumesse di volta in volta le sembianze della sua prossima vittima? Con Padre Simon era stato così. Mi avrebbe portato via la mia piccola Boleyn? No?                                                                                                                               
Oh, sì che me la portò via. La uccise.
Il giorno della laurea della mia promessa sposa, andai in auto a prenderla a casa sua per portarla all’Università. La trovai in una pozza di sangue, un buco nel petto che l’attraversava da parte a parte. Solo una lancia avrebbe potuto fare un lavoro del genere. Non fui mai più lo stesso. Fuggii, lasciai il lavoro; mi recai in Scozia, e qui sono ancora in cura. Ma quel dannato angelo è sempre nei miei pensieri, un tremendo tormento, una tortura dalla quale non troverò mai sollievo. Lo vedo spesso mentre sogno, e mi parla. Mi dice che verrà a prendere anche me, il detective che non sa farsi i fatti suoi.

Eccolo! Mentre parlo con voi è proprio lì, alla finestra! Il mio peggiore incubo che mi osserva silenzioso con i miei stessi occhi!

Salve a tutti! Io sono Irecchan u.u Scrivo da una vita ma questa è la prima storia che pubblico su EFP; è arrivata al primo posto nel Contest Creepy Bloody Summer indetto da Hikari Megami e sponsorizzato dal gruppo Facebook Scambio Recensioni EFP, e adesso vorrei condividerla con tutti voi e sapere cosa ne pensate! Alla prossima! 
   
 
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