Note
dell’autrice:
non
sono miei – ullalà, che sorpresa – e non
ci ricavo niente se non divertimento.
Warning
per un po’ di linguaggio zozzo.
It almost feels
like a joke to play out the part
When you are not
the starring role in someone else’s heart
You know I’d
rather walk alone
Than play a
supporting role
If I can’t get
the starring role.
“Starring Role”, Marina and
The Diamonds
La
prima volta che Irene Adler vide Sherlock Holmes fu in un pulcioso
teatrino dei
sobborghi di Lonra. Capì subito che sarebbe diventato una
star.
Lei,
come sempre in cerca di giovani talenti poco costosi e senza troppe
pretese
da portare nella sua
compagnia, era seduta in
platea ad assistere alle prove di un “Giulio
Cesare” allestito in maniera
semplicemente patetica. Lui,
vestito
di un vecchio lenzuolo drappeggiato sulle spalle puntute e bianchissime
a mo’
di toga, stava snocciolando con voce profonda e strascicata il famoso
discorso
di Bruto alla folla.
“Chi
è quel ragazzo?” chiese Irene al regista.
Lui
seguì la direzione del suo sguardo, sbuffò,
alzò gli occhi al cielo e accavallò
le gambe come pervaso da un improvviso fastidio che gli avesse preso
tutto il
corpo.
“Sherlock
Holmes.”
Irene
arricciò il naso.
“È
strafatto di coca.”
“Come?”
“Nelle
sue condizioni non so neanche come abbia fatto a centrare Cesare con il
pugnale.”
“Irene,
se sei venuta solo per criticare…”
“Se
almeno ci fosse qualcosa da
criticare. Ma questo spettacolo è solo fumo.” E
mosse le mani come per diradare
l’aria del suddetto fumo. “Fumo,
Michael.”
“Senti
un po’-”
“No,
senti tu, carino. Oggi sono in buona, perciò ti faccio un
favore. Venti
sterline per rompere il contratto di quel ragazzo.”
“Ma
va’ al diavolo.”
“Volentieri,
se mi ci posso portare anche Sherlock Holmes.”
“Oh,
e va bene fece Michael in tono esasperato. “Fai
pure beneficenza. Adotta il
piccolo tossico rompicoglioni.” Le rivolse un ghigno cattivo.
“Spero che ti
pianti almeno metà delle grane che ha piantato a me. Te lo
meriti, stronza.”
Irene
si alzò in piedi raddrizzandosi l’abito di
Alexander McQueen.
“Di’
la verità, Michael” mormorò, quasi
facendo le fusa. “È perché alla festa
di Capodanno
non te l’ho succhiato.”
Lui
impallidì e mise su un sorriso di circostanza.
“Sai
che gran perdita.”
Irene
si allontanò in direzione dei camerini mettendo particolare
enfasi nell’ondeggiare
i fianchi.
“Pensa
a me la prossima volta che ti fai una sega”
cantilenò alzando due dita nella
sua direzione.
*
Quando
Sherlock entrò nel suo camerino e cominciò a
spogliarsi della toga senza
nemmeno guardarsi intorno, Irene emise un lungo fischio. Il ragazzo
sobbalzò e
alzò su di lei due occhi azzurrissimi
e
sospettosi.
“Hai
capito il piccolo tossico” disse Irene. “Mica male.
I veri costumi di scena ti
staranno a meraviglia.”
“Impresaria
teatrale” disse Sherlock percorrendo la sua figura
stravaccata sulla sedia con
sguardo clinico. “Ha una gemella omozigote. Ieri ha saltato
l’appuntamento con
il dentista. Va a letto con la costumista del suo teatro.”
Irene
si permise un’aria stupefatta per appena qualche decimo di
secondo, dopodiché
riassunse la sua espressione maliziosa.
“Fidati,
se la vedessi non mi biasimeresti.”
“Non
il mio campo.”
“Oddio,
un altro.” Alzò gli occhi al cielo.
“Questi attori. Finocchi dal primo all’ultimo.
Ma vi mettete tutti d’accordo prima?”
“Che
cosa vuole?”
“Mmmh”
fece Irene, accendendosi una sigaretta. “Parlare di affari.
Prima però rivestiti.
Se entrasse qualcuno, potrebbe pensare male.”
“La
gente fa poco altro” disse Sherlock facendo spallucce. Ma
obbedì, e si infilò
una t-shirt grigia e un paio di jeans. Dopodiché si
appoggiò alla malconcia
specchiera e attese a braccia conserte.
Irene
sorrise lentamente.
“Quanti
anni hai?”
“Ventuno.”
“Sì,
e mia nonna è Mata Hari. Quanti anni hai?”
Sherlock
aggrottò le sopracciglia.
“Venti.”
“Psssh.”
“Diciannove.”
Il ragazzo si schiarì la voce. “Fra un
mese.”
Irene
assunse un’espressione fintamente deliziata.
“Oh,
un capricorno. Bene, bando ai convenevoli. Avevo poche speranze quando
sono
venuta a caccia qui dentro, ma poi ti ho visto recitare e penso che tu
sia un
genio.”
Sherlock
batté le palpebre, abbandonando per un attimo la propria
aria di superiorità e
tornando a essere semplicemente un ragazzino compiaciuto.
“Beh,
grazie…”
“Tieni
chiuso quel becco. Hai tutto. Buona statura, bella presenza, una voce
che può
far stringere il cuore al pubblico, una faccia di
gomma…”
“Ma
che razza di complimento è?”
“Il
più grande complimento che si possa fare ad un attore. Una
faccia di gomma è
una faccia che può essere brutta, bella, sofferente,
radiosa, rilassata,
devastata dalla malattia o dall’infelicità. Una
faccia dove le battute del
copione si stampano sopra.” Si accese un’altra
sigaretta e lanciò il pacchetto
a Sherlock. “Prendine una, così ti rilassi e la
smetti di fare i capricci come
un poppante. Dunque. Dove eravamo. Ah sì. Hai un senso del
ritmo quasi
perfetto. E quello non si impara, lo si ha per natura. Parli qualche
altra lingua?”
“Il
francese.”
“Perfetto.
Ho già una parte in mente per te. Un diplomatico.”
Gli lanciò l’accendino, che
lui prese al volo. “Quanto guadagni?”
“Settanta
sterline a settimana.”
“Bugia.
Cinquanta, ne guadagni, e non le vali nemmeno. Con me ne guadagnerai
quaranta.”
“Quaranta?!”
“Sssh,
a cuccia. Hai buona memoria? Dovresti, alla tua
età.”
Sherlock
gonfiò il petto come un gallo.
“Posso
imparare qualsiasi parte in un’ora scarsa.”
“Molto
bene. Ora, prima di firmare per me, un’ultima cosa.”
Sherlock
si irrigidì, divenne tutto rosso sugli zigomi e
guardò per terra.
“Se
pensa che verrò a letto con lei…”
Irene
non poté farne a meno: scoppiò a ridere.
“Tesoro,
se pensi che abbia tempo o voglia per queste cose!... E
fidati: tra le sessioni di prove, gli
spettacoli serali e le eventuali matinée,
neanche tu avrai né tempo né voglia di
andare a letto con chicchessia. Sarai
buono solo a dormire. E poi basta
con
questa fastidiosa cocaina. Le uniche strisce che vedrai nella tua vita
da ora
in poi saranno solo quelle pedonali. Entendu?”
*
Negli
anni successivi Irene affidò a Sherlock parti sempre
più grandi e adatte al suo
talento. Dai camerieri e diplomatici francesi passò ad
aristocratici, re,
ufficiali dell’esercito, tutti ruoli che facevano brillare il
suo carisma e il
magnetismo della sua voce. Da sempre bravissima a menare la stampa per
il naso,
fece credere a tutti i critici di aver scoperto per caso un diamante
grezzo,
mentre invece era lei che spingeva Sherlock sotto le luci della
ribalta.
Sfruttò al massimo i costumi di scena per far risaltare il
suo fisico alto e
slanciato e in breve tempo il pubblico non poté fare altro
che pendere dalle
labbra del suo pupillo.
Quando
giudicò i tempi abbastanza maturi, scritturò
Sherlock per la parte di Hedda
Gabler in un adattamento en travesti dell’opera
di Ibsen. Il ruolo gli si adattava a meraviglia e il successo fu
clamoroso. La
gente non riusciva a staccare gli occhi dal modo insinuante con cui
riusciva a
caricare di sex-appeal quel personaggio freddo ed egoista.
L’uscita del teatro
era assediata dagli ammiratori e Sherlock a malapena si riusciva a
muovere nel
suo camerino per la quantità di fiori che gli venivano
mandati.
Vi
era solo un unico neo in tutto quel trionfo: Irene non aveva mai visto
un
attore più negato per le scene d’amore.
“Non
così, per l’amor di Dio!” sbraitava
dalla sua posizione strategica nella prima
fila della platea, mentre Sherlock teneva fra le braccia la malcapitata
di
turno come fosse un sacco di patate. “Quella donna
è tutta la tua vita! Vuoi
darle un’intera squadra di calcio di figli! Ti devi sentire
il fuoco dentro
quando la baci, le ossa fuse dentro! E invece la guardi come se fosse
coperta
di piaghe!”
Sherlock
tirava su col naso, offeso, e rimaneva intrattabile per tutta la
giornata.
Irene sapeva che faceva così perché si rendeva
conto che lei aveva ragione. Per
quanto sensuale fosse la sua presenza sul palco, quando si trattava di
dichiarazioni e giuramenti d’amore diventava rigido come uno
stoccafisso e non
sapeva dove mettere le mani, come guardare con passione, come parlare
con la
voce rotta dal sentimento.
Le
cose miglioravano un minimo quando doveva lavorare con Mary Morstan, la
quale,
al contrario di tutto il resto della compagnia, gli stava vagamente
simpatica e
con le sue battutine rassicuranti lo spingeva a sciogliersi un
po’. Ma se
l’andazzo generale rimaneva quello si poteva scordare le
parti di Romeo, di
Lisandro, di Cyrano. E Irene era intenzionata a spremerlo come un
limone per
far fruttare il più possibile il suo teatro.
*
Un
giorno, durante un periodo di vacanza di Sherlock, lo tirò
per un orecchio in
teatro e lo obbligò a guardare con lei le prove del
“Riccardo III”.
“Guarda!”
sibilò indicandogli l’attore biondo e minuto al
centro del palco, ingobbito e
completamente calato nella parte. “Guarda come si fa credere
a una donna che è
la cosa più squisita del mondo dopo i bigné alla
crema!”
Era
la scena del discorso della regina Anna, cui Riccardo aveva appena
ucciso il
marito. Un capolavoro di manipolazione e veleno intriso di finta
arrendevolezza. Solo un istrione della più alta categoria
riusciva a
raggiungere il giusto mix di seduzione e meschinità. E Dio
la fulminasse sul
posto se Irene non pensava che John Watson fosse perfetto.
Tirò
una gomitata eloquente a Sherlock, che guardava le prove con aria
indecifrabile,
perfettamente fermo e zitto di fianco a lei.
“Allora?
Hai capito come darti una svegliata? Prendi esempio da quel Watson. Ah,
sgraffignarlo a quegli imbecilli del Barbican è stato un
vero colpo da
maestro.”
“Mmmh”
rispose distratto Sherlock, non distogliendo neanche per un attimo gli
occhi da
quel re piccolo e zoppo che sembrava troneggiare come un gigante.
*
Irene,
che si considerava un genio, e a ragione, trovò il rimedio
perfetto facendoli
recitare insieme in “Ricorda con rabbia” di
Osborne. Sherlock faceva Jimmie,
Mary faceva sua moglie Alison, e John faceva il loro convivente e amico
Cliff.
La
parte di Jimmie era piena di arroganti monologhi al vetriolo,
superbamente
scritti, che sembravano tagliati su misura su Sherlock, e le scene
d’amore
erano poche. Lo spettacolo fu un altro enorme successo e
consolidò il trionfo
di John dopo il “Riccardo III”. Ora entrambi erano
proiettati nel cielo delle
stelle del palcoscenico.
Sherlock
cambiava del tutto modo di recitare – e in meglio –
quando si trovava a lavorare
con John. Sembrava impaziente di dimostrare il suo meglio, persino di
mettersi
in mostra, pavoneggiarsi. L’altro lo copriva di complimenti e
insulti
affettuosi e si rivelò perfettamente complementare a lui.
Insieme facevano
scintille. La chimica era innegabile. Irene non stava nella pelle per
la
soddisfazione.
Ma
inorridì quando un giorno, mentre osservava le prove di
“A Single Man”, un
adattamento dell’omonimo film (altra sua geniale idea),
assistette a uno
spettacolo semplicemente inaccettabile.
I due stavano provando una scena in cui dovevano bisticciare
amorevolmente e
poi baciarsi; ed era la cosa meno simile al teatro che Irene avesse mai
visto
Fumante
di rabbia convocò Sherlock nel suo ufficio e lo
ricoprì di insulti.
“Tu
non stavi recitando!” sbraitò gesticolando
furiosamente e spargendo cenere
dappertutto. “Se cercassi un idiota che cola melassa addosso
al suo collega mi
prenderei uno dei fanboy pubescenti di John! Non deve essere vero,
Sherlock,
deve sembrare vero. La
verità non mi
interessa, e nemmeno la naturalezza, tantomeno la
spontaneità e tutte quelle
cazzate. Il teatro non è questo. Il teatro è
artificio. Stupendo, levigato,
memorabile artificio. E quella robaccia che ho visto prima non lo è.”
“Non
capisco di cosa tu stia parlando” replicò gelido
Sherlock, che si era fatto un
po’ pallido.
Irene
si alzò in piedi e sbatté i pugni chiusi sulla
scrivania.
“Sto
parlando di tenere la tua vita privata separata dal lavoro, come si
confà
all’adulto che sei. Fuori da questo teatro puoi portare il
tuo John al parco a
guardare i cigni, adottare bambini cambogiani con lui, fargli un
pompino nei
bagni di una discoteca, quello che accidenti vuoi – ma dentro questo teatro, voglio che tu
reciti con lui come un dannato
professionista. È chiaro?”
Sherlock
incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, per
niente impressionato.
“La
tua costumista ti ha lasciato, per caso? O è quel momento
del mese?”
“Non
fare il finto tonto, Sherlock, o ti risbatto nei vicoli più
sordidi di Londra a
mendicare per una dose. E ora fuori.”
Gli
indicò la porta, che lui si chiuse dietro sbattendola.
Irene
si prese la testa fra le mani.
“Maledetti
attori” borbottò, mettendosi a contare gli incassi
della sera prima per
calmarsi. “Se solo si potesse fare teatro senza di
loro.”
*
“Allora?”
le disse sogghignando Sherlock da dietro il sipario, truccatissimo per
sembrare
più vecchio e assolutamente raggiante. Gli applausi
sembravano voler tirare giù
i muri. Accanto a lui, John aveva quasi le lacrime agli occhi.
“Cos’è che non
era vero teatro?”
Irene
sbuffò e gli rivolse un’occhiata incendiario.
“Il
pubblico non capisce mai un accidenti di niente. E ora fuori, che vi
vogliono
per il bis.”
*
“Hai
bisogno di una vacanza” disse Irene con i nervi a fior di
pelle. “Per
riflettere sulle tue colpe. Perché così non si
può andare avanti. Tu,”
disse sventolandogli un dito sotto
il naso con fare minaccioso, “Sherlock Holmes, sei un vero
attore, uno che con
un solo sguardo può prendere il pubblico per la collottola e
urlargli
silenziosamente ora occhi solo su di me,
brutti bastardi. E stai sciacquando via il tuo talento per
colpa di questa
infatuazione cretina per quell’altro cretino-”
“Di
nuovo, non capisco di cosa tu stia parlando.”
“Scopatelo, per carità del
Signore.
Legalo al letto e rotolati nelle lenzuola con lui per una settimana e
dopo
torna te stesso. Così magari ti togli anche la
verginità, che sarebbe anche
ora. O vuoi perderla con il vicino di letto
dell’ospizio?”
“Grazie
al mio talento sciacquato stai facendo incassi
d’oro.”
“Con
il tuo intelletto fuori dalla norma sarai stato in grado di capire, mio
caro
ragazzo, che io non faccio teatro per i soldi. I soldi sono un mezzo
per
raggiungere un fine, che è: buon teatro. Ottimo teatro.
Entertaining e arte ai
massimi livelli. Quindi tu adesso ti prendi un aumento sul tuo
stipendio e te
ne vai in Costa Azzurra per una settimana.”
“Io
odio la Costa Azzurra.”
“Non
me ne può fregare di meno. E vedi di tornare con un
po’ più di distacco. Sono
arcistufa di vederti spogliare John con lo sguardo anche in una scena
in cui lo
devi uccidere.”
*
Otto
giorni dopo, Irene sentì bussare alla porta del suo ufficio.
“Avanti”
disse con voce indaffarata.
Sherlock,
scottato dal sole sul naso e sugli zigomi, entrò lentamente
e si chiuse la
porta alle spalla. Irene non alzò nemmeno lo sguardo dalla
burocrazia che stava
sbrigando.
“Bentornato,
cucciolo. Sarai l’incubo dei truccatori con
quell’aragosta che ti ritrovi al
posto della faccia. La mamma non ti ha insegnato che se si è
pallidi come gli
stucchi delle chiese bisogna mettere la cremina?”
Sherlock
sembrò non averla nemmeno ascoltata. Si avvicinò
alla scrivania, zitto, il viso
una maschera impassibile, poi con una rapida mossa la prese per
entrambe le
spalle e le diede una violenta scrollata.
“Ha funzionato il
tuo sporco piano, eh?” urlò
fuori di sé dalla rabbia, paonazzo in volto. “ Non
sei altro che una schifosa
egoista! Distrarmi per mandarlo via e avermi tutto per te! Non
è forse andata
così, razza di strega?”
Irene
si divincolò dalla sua stretta, si alzò in piedi
e gli tirò uno schiaffo in
pieno viso. Poi, con la massima calma, si risiedette e si accese una
sigaretta.
Lo
guardò crollare sulla sedia di fronte alla scrivania con una
mano sulla guancia
dolorante e lo sguardo perduto.
“Bevi”
disse, spingendo nella sua direzione il whisky che teneva sempre con
sé quando
doveva occuparsi delle scartoffie. “Ricomponiti, da bravo, e
quando ti sei dato
una calmata, dimmi che accidenti ti è preso.”
“Una
tournée in America”
sibilò Sherlock
con disprezzo. “Repliche per sei mesi.”
Irene
sbuffò una nuvola di fumo.
“Ebbene?”
“Perché?”
“Perché
me l’hanno chiesto in prestito.”
“Anche
Mary?”
“No,
lei gliel’ho consigliata io.”
Sherlock
scagliò il suo bicchiere di whisky a terra. Irene
alzò gli occhi al cielo.
“Vedo
che stai cominciando a sentirti a tuo agio nei panni della
primadonna.”
“Mostro,”
disse Sherlock con gli occhi arrossati. “Sei un
mostro.”
Lei
fece per mettergli una mano sul braccio ma Sherlock si ritrasse con
espressione
disgustata.
“Ma
perché non hai ascoltato il mio consiglio?” gli
chiese in tono ragionevole.
“Perché non gliel’hai detto, invece di
dannarti con tutti quei silenzi e quelle
occhiate? Non è un semidio, è solo un uomo. Lo
puoi toccare. Lo puoi avere.”
“Il
lavoro era più importante” sbottò
Sherlock tormentandosi le mani. “Non avremmo
più potuto passare così tanto tempo insieme se il
nostro rapporto fosse
diventato più teso.”
“Più
teso?”
“Se
lui mi avesse detto di no. Le cose si sarebbero…
complicate.”
“Santa
Maria madre di Dio, perché mai avrebbe dovuto dirti di
no?”
Sherlock
le rivolse uno sguardo così ingenuo, confuso e spaventato
che Irene quasi
sobbalzò per la sorpresa.
“Porca
puttana” sussurrò orripilata. “Sei
innamorato.”
“No”
ribatté brusco Sherlock, ma ormai era tutto inutile.
Irene
batté con delicatezza la testa sulla scrivania.
“Solo
chi è innamorato ha queste paure cretine” gemette.
“Non
sono cretine” disse Sherlock con voce offesa. “John
potrebbe… non avere quella
qualità che tu trovi tanto banale negli attori.”
Irene
gettò la testa all’indietro e rise di gusto.
“Sherlock,
persino Ben Whishaw è più eterosessuale di John
quando ti guarda. E si è
sposato l’anno scorso con un uomo. Non dire
stupidaggini.”
“Gli
piace Mary” disse Sherlock con una voce piccola che Irene non
aveva mai
sentito.
“Se
la sarà voluta portare a letto a un certo punto, ma questo
non cambia il fatto
che ti consideri la creatura più divina che abbia mai
calcato un palcoscenico
dopo Eleonora Duse.”
Sherlock
la considerò a lungo con sguardo perplesso.
“Mi
hai sempre detto che sono uno stronzo, gelido palo della luce
così snob che persino
la Regina mi prenderebbe a calci in culo.”
“Esattamente.”
“Perché
mai dovrei piacere a uno come John?”
“Per
la stessa ragione per cui ha accettato quella
parte in Love Actually. Perché è completamente
pazzo. Ma anche molto
coraggioso.” Gli fece gesto di versarsi un altro bicchiere di
whisky e Sherlock
obbedì. “Ma devi essere tu a fare il primo passo,
cucciolo, perché sei un
criptico bastardo. E John sarà anche spericolato, ma non
vuole certo rischiare
di essere respinto in malo modo da uno che considera i sentimenti al
pari delle
ernie del disco.”
Sherlock
annuì.
“Quando
tornerà” mormorò quasi fra
sé e sé, “glielo
dirò.”
Irene
finse di asciugarsi una lacrima.
“Commovente.
Ora fila in sala trucco e preparati a farti venire un naso
più lungo delle
pudenda del tuo amato Watson. Cominci le prove del Cyrano settimana
prossima.”
Gli sorrise con qualcosa di molto simile all’affetto.
“Penso proprio che tu sia
pronto per la parte.”
*
Irene
lesse del matrimonio sul Daily Mail. Si erano sposati a Las Vegas.
Nei
mesi successivi Sherlock ebbe un crollo che agli occhi di tutti
sembrò un
miglioramento di carattere, ma che a quelli della sua impresaria pareva
piuttosto una lenta ma inesorabile discesa verso la depressione.
Parlava
solo durante le prove, in occasione delle sue battute, e aveva smesso
completamente di dedurre e maltrattare i suoi colleghi. Durante gli
spettacoli
era splendido, controllatissimo, misurato, del tutto padrone di
sé. Sembrava
brillare di una luce pallida e malinconica che faceva risaltare la sua
bellezza
come mai prima. Durante le sue scene tragiche la gente si asciugava
furtivamente gli occhi. Sherlock moriva meravigliosamente. Aveva
imparato a
declinare le sue vere emozioni in forme d’arte.
Quando
John e Mary tornarono, sorridenti, abbronzati e con un lieve accento
americano
che Irene tolse loro a suon di urlate e minacce di licenziamento,
cominciarono
finalmente a provare insieme il Cyrano.
John
ora sembrava a disagio in presenza di Sherlock. Non riusciva a
guardarlo negli
occhi, dimenticava le battute, inciampava nei propri piedi, litigava
con gli
sceneggiatori. Sherlock d’altro canto era il ritratto stesso
del sostegno,
della premura, della buona volontà. Lavorò come
un cavallo da tiro per la buona
riuscita dello spettacolo e si guadagnò la stima anche di
quei pochi che non
consideravano il suo talento sufficiente per dargli ammirazione.
Irene
lo sorprendeva a guardare John con un tale represso, disperato
desiderio che
spesso si ritrovava a distogliere gli occhi. Sherlock stava buttando
tutto
quello che aveva nel lavoro e si era snaturato il carattere pur di
stargli
vicino, pur di farsi amare incodizionatamente almeno come amico.
Un
giorno in cui la melanconia di Sherlock traspirava da ogni suo poro e
John era
particolarmente distratto e irritabile, Irene prese da parte quello che
ormai
considerava un uomo odioso e vigliacco e gli fece una partaccia su come
non si
meritasse di lavorare con qualcuno del livello di Sherlock.
John
rise, si strofinò il collo e abbassò lo sguardo a
terra.
“Lo
so che non me lo merito. Lo so che non sono abbastanza per lui. La
verità è che
non capisco come non si sia ancora stufato di me.”
“Sei
un povero coglione” disse Irene, e non si stava
più riferendo alle sue doti
recitative. “E ora è troppo tardi.”
*
La
sera della prima del Cyrano, Irene bussò al camerino di
Sherlock per fargli i
consueti auguri di rito.
“Mettili
al tappeto, spilungone” gli disse, dandogli una pacca
incoraggiante sulla
spalla in un raro moto d’affetto.
Lui
sembrò riprendere per un momento il suo vecchio
atteggiamento strafottente e le
sorrise con sufficienza.
“Contaci,
strega.”
*
Nel
guardare Sherlock suggerire a John tutti i modi migliori di corteggiare
la
donna di cui era segretamente innamorato da sempre, Irene pianse
dall’inizio
alla fine. Non aveva mai visto un’interpretazione
così. Non aveva mai creduto
che si potesse recitare così – con così
tanto cuore, e così tanta eleganza. Sherlock
era straordinario, indescrivibile. Non gli si sarebbe potuto staccare
gli occhi
di dosso nemmeno se il teatro fosse andato in fiamme. Doveva
distaccarsi da una
situazione fin troppo simile alla sua per non crollare in mille pezzi;
e quello
sforzo inumano lo rendeva sublime. Ciò che diceva, faceva,
come si muoveva –
era tutto più vero del vero.
Quando
incrociò il suo sguardo dopo che il sipario fu calato, e
l’aria venne invasa
dal frastuono quasi insopportabile degli applausi e dei fischi, Irene
scosse la
testa fra le lacrime e gli rivolse un inchino silenzioso.
Non
aveva più nulla da insegnargli.
Note
dell’autrice:
*guarda
l’orologio* *geme*
Sono
le sei del mattino.
L’ultima volta
che ho controllato era l’una di notte e io avevo appena
cominciato a scrivere.
Sigh.
*Nessun rimpianto degli 883 playing in
the distance*
Ordunque,
questa fic è un omaggio a uno dei miei libri preferiti,
“La diva Julia” di W.
S. Maugham. Sì, lo stesso di You’re No God. Mi
piace parecchio, se non si fosse
capito :3
Ma
è anche un omaggio ad Irene. Mi piace molto, Irene, al di
là della fine indegna
di ASIB, e avevo voglia di scrivere ancora di lei. Ho cercato di
trasportare il
suo lato dominatrix nel personaggio della tirannica impresaria,
aggiungendoci
un po’ di comicità. Spero di esserci riuscita.
John,
come dice giustamente la Adler, è un coglione. Molti
riferimenti a lui sono
tratti dalla realtà – il “Riccardo
III”, Love Actually. Sherlock è
principalmente lo Sherlock della s3. Hedda Gabler, Ricorda Con Rabbia e
il
Cyrano de Bergerac sono fra le mie opere teatrali preferite. La canzone in apertura è bellissimissima.
Tutta
la fic è un po’ un esperimento nello spingere una
AU al limite dell’OOC.
Grazie
di aver letto, come sempre. :***