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Autore: nightswimming    07/09/2014    8 recensioni
La prima volta che Irene Adler vide Sherlock Holmes fu in un pulcioso teatrino dei sobborghi di Londra. Capì subito che sarebbe diventato una star.
(theatre!AU)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Starring Role

Note dell’autrice: non sono miei – ullalà, che sorpresa – e non ci ricavo niente se non divertimento.

Warning per un po’ di linguaggio zozzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

It almost feels like a joke to play out the part

When you are not the starring role in someone else’s heart

You know I’d rather walk alone

Than play a supporting role

If I can’t get the starring role.

 

“Starring Role”, Marina and The Diamonds

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima volta che Irene Adler vide Sherlock Holmes fu in un pulcioso teatrino dei sobborghi di Lonra. Capì subito che sarebbe diventato una star.

Lei, come sempre in cerca di giovani talenti poco costosi e senza troppe pretese

 da portare nella sua compagnia, era seduta in platea ad assistere alle prove di un “Giulio Cesare” allestito in maniera semplicemente patetica. Lui, vestito di un vecchio lenzuolo drappeggiato sulle spalle puntute e bianchissime a mo’ di toga, stava snocciolando con voce profonda e strascicata il famoso discorso di Bruto alla folla.

“Chi è quel ragazzo?” chiese Irene al regista.

Lui seguì la direzione del suo sguardo, sbuffò, alzò gli occhi al cielo e accavallò le gambe come pervaso da un improvviso fastidio che gli avesse preso tutto il corpo.

“Sherlock Holmes.”

Irene arricciò il naso.

“È strafatto di coca.”

“Come?”

“Nelle sue condizioni non so neanche come abbia fatto a centrare Cesare con il pugnale.”

“Irene, se sei venuta solo per criticare…”

“Se almeno ci fosse qualcosa da criticare. Ma questo spettacolo è solo fumo.” E mosse le mani come per diradare l’aria del suddetto fumo. “Fumo, Michael.”

“Senti un po’-”

“No, senti tu, carino. Oggi sono in buona, perciò ti faccio un favore. Venti sterline per rompere il contratto di quel ragazzo.”

“Ma va’ al diavolo.”

“Volentieri, se mi ci posso portare anche Sherlock Holmes.”

“Oh, e va bene” fece Michael in tono esasperato. “Fai pure beneficenza. Adotta il piccolo tossico rompicoglioni.” Le rivolse un ghigno cattivo. “Spero che ti pianti almeno metà delle grane che ha piantato a me. Te lo meriti, stronza.”

Irene si alzò in piedi raddrizzandosi l’abito di Alexander McQueen.

“Di’ la verità, Michael” mormorò, quasi facendo le fusa. “È perché alla festa di Capodanno non te l’ho succhiato.”

Lui impallidì e mise su un sorriso di circostanza.

“Sai che gran perdita.”

Irene si allontanò in direzione dei camerini mettendo particolare enfasi nell’ondeggiare i fianchi.

“Pensa a me la prossima volta che ti fai una sega” cantilenò alzando due dita nella sua direzione.

 

*

 

Quando Sherlock entrò nel suo camerino e cominciò a spogliarsi della toga senza nemmeno guardarsi intorno, Irene emise un lungo fischio. Il ragazzo sobbalzò e alzò su di lei due occhi azzurrissimi  e sospettosi.

“Hai capito il piccolo tossico” disse Irene. “Mica male. I veri costumi di scena ti staranno a meraviglia.”

“Impresaria teatrale” disse Sherlock percorrendo la sua figura stravaccata sulla sedia con sguardo clinico. “Ha una gemella omozigote. Ieri ha saltato l’appuntamento con il dentista. Va a letto con la costumista del suo teatro.”

Irene si permise un’aria stupefatta per appena qualche decimo di secondo, dopodiché riassunse la sua espressione maliziosa.

“Fidati, se la vedessi non mi biasimeresti.”

“Non il mio campo.”

“Oddio, un altro.” Alzò gli occhi al cielo. “Questi attori. Finocchi dal primo all’ultimo. Ma vi mettete tutti d’accordo prima?”

“Che cosa vuole?”

“Mmmh” fece Irene, accendendosi una sigaretta. “Parlare di affari. Prima però rivestiti. Se entrasse qualcuno, potrebbe pensare male.”

“La gente fa poco altro” disse Sherlock facendo spallucce. Ma obbedì, e si infilò una t-shirt grigia e un paio di jeans. Dopodiché si appoggiò alla malconcia specchiera e attese a braccia conserte.

Irene sorrise lentamente.

“Quanti anni hai?”

“Ventuno.”

“Sì, e mia nonna è Mata Hari. Quanti anni hai?”

Sherlock aggrottò le sopracciglia.

“Venti.”

“Psssh.”

“Diciannove.” Il ragazzo si schiarì la voce. “Fra un mese.”

Irene assunse un’espressione fintamente deliziata.

“Oh, un capricorno. Bene, bando ai convenevoli. Avevo poche speranze quando sono venuta a caccia qui dentro, ma poi ti ho visto recitare e penso che tu sia un genio.”

Sherlock batté le palpebre, abbandonando per un attimo la propria aria di superiorità e tornando a essere semplicemente un ragazzino compiaciuto.

“Beh, grazie…”

“Tieni chiuso quel becco. Hai tutto. Buona statura, bella presenza, una voce che può far stringere il cuore al pubblico, una faccia di gomma…”

“Ma che razza di complimento è?”

“Il più grande complimento che si possa fare ad un attore. Una faccia di gomma è una faccia che può essere brutta, bella, sofferente, radiosa, rilassata, devastata dalla malattia o dall’infelicità. Una faccia dove le battute del copione si stampano sopra.” Si accese un’altra sigaretta e lanciò il pacchetto a Sherlock. “Prendine una, così ti rilassi e la smetti di fare i capricci come un poppante. Dunque. Dove eravamo. Ah sì. Hai un senso del ritmo quasi perfetto. E quello non si impara, lo si ha per natura. Parli qualche altra lingua?”

“Il francese.”

“Perfetto. Ho già una parte in mente per te. Un diplomatico.” Gli lanciò l’accendino, che lui prese al volo. “Quanto guadagni?”

“Settanta sterline a settimana.”

“Bugia. Cinquanta, ne guadagni, e non le vali nemmeno. Con me ne guadagnerai quaranta.”

“Quaranta?!”

“Sssh, a cuccia. Hai buona memoria? Dovresti, alla tua età.”

Sherlock gonfiò il petto come un gallo.

“Posso imparare qualsiasi parte in un’ora scarsa.”

“Molto bene. Ora, prima di firmare per me, un’ultima cosa.”

Sherlock si irrigidì, divenne tutto rosso sugli zigomi e guardò per terra.

“Se pensa che verrò a letto con lei…”

Irene non poté farne a meno: scoppiò a ridere.

“Tesoro, se pensi che abbia tempo o voglia per queste cose!...  E fidati: tra le sessioni di prove, gli spettacoli serali e le eventuali matinée, neanche tu avrai né tempo né voglia di andare a letto con chicchessia. Sarai buono solo a dormire. E poi  basta con questa fastidiosa cocaina. Le uniche strisce che vedrai nella tua vita da ora in poi saranno solo quelle pedonali. Entendu?

 

*

 

Negli anni successivi Irene affidò a Sherlock parti sempre più grandi e adatte al suo talento. Dai camerieri e diplomatici francesi passò ad aristocratici, re, ufficiali dell’esercito, tutti ruoli che facevano brillare il suo carisma e il magnetismo della sua voce. Da sempre bravissima a menare la stampa per il naso, fece credere a tutti i critici di aver scoperto per caso un diamante grezzo, mentre invece era lei che spingeva Sherlock sotto le luci della ribalta. Sfruttò al massimo i costumi di scena per far risaltare il suo fisico alto e slanciato e in breve tempo il pubblico non poté fare altro che pendere dalle labbra del suo pupillo.

Quando giudicò i tempi abbastanza maturi, scritturò Sherlock per la parte di Hedda Gabler in un adattamento en travesti dell’opera di Ibsen. Il ruolo gli si adattava a meraviglia e il successo fu clamoroso. La gente non riusciva a staccare gli occhi dal modo insinuante con cui riusciva a caricare di sex-appeal quel personaggio freddo ed egoista. L’uscita del teatro era assediata dagli ammiratori e Sherlock a malapena si riusciva a muovere nel suo camerino per la quantità di fiori che gli venivano mandati.

Vi era solo un unico neo in tutto quel trionfo: Irene non aveva mai visto un attore più negato per le scene d’amore.

“Non così, per l’amor di Dio!” sbraitava dalla sua posizione strategica nella prima fila della platea, mentre Sherlock teneva fra le braccia la malcapitata di turno come fosse un sacco di patate. “Quella donna è tutta la tua vita! Vuoi darle un’intera squadra di calcio di figli! Ti devi sentire il fuoco dentro quando la baci, le ossa fuse dentro! E invece la guardi come se fosse coperta di piaghe!”

Sherlock tirava su col naso, offeso, e rimaneva intrattabile per tutta la giornata. Irene sapeva che faceva così perché si rendeva conto che lei aveva ragione. Per quanto sensuale fosse la sua presenza sul palco, quando si trattava di dichiarazioni e giuramenti d’amore diventava rigido come uno stoccafisso e non sapeva dove mettere le mani, come guardare con passione, come parlare con la voce rotta dal sentimento.

Le cose miglioravano un minimo quando doveva lavorare con Mary Morstan, la quale, al contrario di tutto il resto della compagnia, gli stava vagamente simpatica e con le sue battutine rassicuranti lo spingeva a sciogliersi un po’. Ma se l’andazzo generale rimaneva quello si poteva scordare le parti di Romeo, di Lisandro, di Cyrano. E Irene era intenzionata a spremerlo come un limone per far fruttare il più possibile il suo teatro.

 

*

 

Un giorno, durante un periodo di vacanza di Sherlock, lo tirò per un orecchio in teatro e lo obbligò a guardare con lei le prove del “Riccardo III”.

“Guarda!” sibilò indicandogli l’attore biondo e minuto al centro del palco, ingobbito e completamente calato nella parte. “Guarda come si fa credere a una donna che è la cosa più squisita del mondo dopo i bigné alla crema!”

Era la scena del discorso della regina Anna, cui Riccardo aveva appena ucciso il marito. Un capolavoro di manipolazione e veleno intriso di finta arrendevolezza. Solo un istrione della più alta categoria riusciva a raggiungere il giusto mix di seduzione e meschinità. E Dio la fulminasse sul posto se Irene non pensava che John Watson fosse perfetto.

Tirò una gomitata eloquente a Sherlock, che guardava le prove con aria indecifrabile, perfettamente fermo e zitto di fianco a lei.

“Allora? Hai capito come darti una svegliata? Prendi esempio da quel Watson. Ah, sgraffignarlo a quegli imbecilli del Barbican è stato un vero colpo da maestro.”

“Mmmh” rispose distratto Sherlock, non distogliendo neanche per un attimo gli occhi da quel re piccolo e zoppo che sembrava troneggiare come un gigante.

 

*

 

Irene, che si considerava un genio, e a ragione, trovò il rimedio perfetto facendoli recitare insieme in “Ricorda con rabbia” di Osborne. Sherlock faceva Jimmie, Mary faceva sua moglie Alison, e John faceva il loro convivente e amico Cliff.

La parte di Jimmie era piena di arroganti monologhi al vetriolo, superbamente scritti, che sembravano tagliati su misura su Sherlock, e le scene d’amore erano poche. Lo spettacolo fu un altro enorme successo e consolidò il trionfo di John dopo il “Riccardo III”. Ora entrambi erano proiettati nel cielo delle stelle del palcoscenico.

Sherlock cambiava del tutto modo di recitare – e in meglio – quando si trovava a lavorare con John. Sembrava impaziente di dimostrare il suo meglio, persino di mettersi in mostra, pavoneggiarsi. L’altro lo copriva di complimenti e insulti affettuosi e si rivelò perfettamente complementare a lui. Insieme facevano scintille. La chimica era innegabile. Irene non stava nella pelle per la soddisfazione.

Ma inorridì quando un giorno, mentre osservava le prove di “A Single Man”, un adattamento dell’omonimo film (altra sua geniale idea), assistette a uno spettacolo semplicemente inaccettabile. I due stavano provando una scena in cui dovevano bisticciare amorevolmente e poi baciarsi; ed era la cosa meno simile al teatro che Irene avesse mai visto

Fumante di rabbia convocò Sherlock nel suo ufficio e lo ricoprì di insulti.

“Tu non stavi recitando!” sbraitò gesticolando furiosamente e spargendo cenere dappertutto. “Se cercassi un idiota che cola melassa addosso al suo collega mi prenderei uno dei fanboy pubescenti di John! Non deve essere vero, Sherlock, deve sembrare vero. La verità non mi interessa, e nemmeno la naturalezza, tantomeno la spontaneità e tutte quelle cazzate. Il teatro non è questo. Il teatro è artificio. Stupendo, levigato, memorabile artificio. E quella robaccia che ho visto prima non lo è.”

“Non capisco di cosa tu stia parlando” replicò gelido Sherlock, che si era fatto un po’ pallido.

Irene si alzò in piedi e sbatté i pugni chiusi sulla scrivania.

“Sto parlando di tenere la tua vita privata separata dal lavoro, come si confà all’adulto che sei. Fuori da questo teatro puoi portare il tuo John al parco a guardare i cigni, adottare bambini cambogiani con lui, fargli un pompino nei bagni di una discoteca, quello che accidenti vuoi – ma dentro questo teatro, voglio che tu reciti con lui come un dannato professionista. È chiaro?”

Sherlock incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, per niente impressionato.

“La tua costumista ti ha lasciato, per caso? O è quel momento del mese?”

“Non fare il finto tonto, Sherlock, o ti risbatto nei vicoli più sordidi di Londra a mendicare per una dose. E ora fuori.”

Gli indicò la porta, che lui si chiuse dietro sbattendola.

Irene si prese la testa fra le mani.

“Maledetti attori” borbottò, mettendosi a contare gli incassi della sera prima per calmarsi. “Se solo si potesse fare teatro senza di loro.”

 

*

 

“Allora?” le disse sogghignando Sherlock da dietro il sipario, truccatissimo per sembrare più vecchio e assolutamente raggiante. Gli applausi sembravano voler tirare giù i muri. Accanto a lui, John aveva quasi le lacrime agli occhi. “Cos’è che non era vero teatro?”

Irene sbuffò e gli rivolse un’occhiata incendiario.

“Il pubblico non capisce mai un accidenti di niente. E ora fuori, che vi vogliono per il bis.”

 

*

 

“Hai bisogno di una vacanza” disse Irene con i nervi a fior di pelle. “Per riflettere sulle tue colpe. Perché così non si può andare avanti. Tu,” disse sventolandogli un dito sotto il naso con fare minaccioso, “Sherlock Holmes, sei un vero attore, uno che con un solo sguardo può prendere il pubblico per la collottola e urlargli silenziosamente ora occhi solo su di me, brutti bastardi. E stai sciacquando via il tuo talento per colpa di questa infatuazione cretina per quell’altro cretino-”

“Di nuovo, non capisco di cosa tu stia parlando.”

Scopatelo, per carità del Signore. Legalo al letto e rotolati nelle lenzuola con lui per una settimana e dopo torna te stesso. Così magari ti togli anche la verginità, che sarebbe anche ora. O vuoi perderla con il vicino di letto dell’ospizio?”

“Grazie al mio talento sciacquato stai facendo incassi d’oro.”

“Con il tuo intelletto fuori dalla norma sarai stato in grado di capire, mio caro ragazzo, che io non faccio teatro per i soldi. I soldi sono un mezzo per raggiungere un fine, che è: buon teatro. Ottimo teatro. Entertaining e arte ai massimi livelli. Quindi tu adesso ti prendi un aumento sul tuo stipendio e te ne vai in Costa Azzurra per una settimana.”

“Io odio la Costa Azzurra.”

“Non me ne può fregare di meno. E vedi di tornare con un po’ più di distacco. Sono arcistufa di vederti spogliare John con lo sguardo anche in una scena in cui lo devi uccidere.

 

*

 

Otto giorni dopo, Irene sentì bussare alla porta del suo ufficio.

“Avanti” disse con voce indaffarata.

Sherlock, scottato dal sole sul naso e sugli zigomi, entrò lentamente e si chiuse la porta alle spalla. Irene non alzò nemmeno lo sguardo dalla burocrazia che stava sbrigando.

“Bentornato, cucciolo. Sarai l’incubo dei truccatori con quell’aragosta che ti ritrovi al posto della faccia. La mamma non ti ha insegnato che se si è pallidi come gli stucchi delle chiese bisogna mettere la cremina?”

Sherlock sembrò non averla nemmeno ascoltata. Si avvicinò alla scrivania, zitto, il viso una maschera impassibile, poi con una rapida mossa la prese per entrambe le spalle e le diede una violenta scrollata.

 “Ha funzionato il tuo sporco piano, eh?” urlò fuori di sé dalla rabbia, paonazzo in volto. “ Non sei altro che una schifosa egoista! Distrarmi per mandarlo via e avermi tutto per te! Non è forse andata così, razza di strega?”

Irene si divincolò dalla sua stretta, si alzò in piedi e gli tirò uno schiaffo in pieno viso. Poi, con la massima calma, si risiedette e si accese una sigaretta.

Lo guardò crollare sulla sedia di fronte alla scrivania con una mano sulla guancia dolorante e lo sguardo perduto.

“Bevi” disse, spingendo nella sua direzione il whisky che teneva sempre con sé quando doveva occuparsi delle scartoffie. “Ricomponiti, da bravo, e quando ti sei dato una calmata, dimmi che accidenti ti è preso.”

“Una tournée in America” sibilò Sherlock con disprezzo. “Repliche per sei mesi.”

Irene sbuffò una nuvola di fumo.

“Ebbene?”

“Perché?”

“Perché me l’hanno chiesto in prestito.”

“Anche Mary?”

“No, lei gliel’ho consigliata io.”

Sherlock scagliò il suo bicchiere di whisky a terra. Irene alzò gli occhi al cielo.

“Vedo che stai cominciando a sentirti a tuo agio nei panni della primadonna.”

“Mostro,” disse Sherlock con gli occhi arrossati. “Sei un mostro.”

Lei fece per mettergli una mano sul braccio ma Sherlock si ritrasse con espressione disgustata.

“Ma perché non hai ascoltato il mio consiglio?” gli chiese in tono ragionevole. “Perché non gliel’hai detto, invece di dannarti con tutti quei silenzi e quelle occhiate? Non è un semidio, è solo un uomo. Lo puoi toccare. Lo puoi avere.”

“Il lavoro era più importante” sbottò Sherlock tormentandosi le mani. “Non avremmo più potuto passare così tanto tempo insieme se il nostro rapporto fosse diventato più teso.”

“Più teso?”

“Se lui mi avesse detto di no. Le cose si sarebbero… complicate.”

“Santa Maria madre di Dio, perché mai avrebbe dovuto dirti di no?”

Sherlock le rivolse uno sguardo così ingenuo, confuso e spaventato che Irene quasi sobbalzò per la sorpresa.

“Porca puttana” sussurrò orripilata. “Sei innamorato.”

“No” ribatté brusco Sherlock, ma ormai era tutto inutile.

Irene batté con delicatezza la testa sulla scrivania.

“Solo chi è innamorato ha queste paure cretine” gemette.

“Non sono cretine” disse Sherlock con voce offesa. “John potrebbe… non avere quella qualità che tu trovi tanto banale negli attori.”

Irene gettò la testa all’indietro e rise di gusto.

“Sherlock, persino Ben Whishaw è più eterosessuale di John quando ti guarda. E si è sposato l’anno scorso con un uomo. Non dire stupidaggini.”

“Gli piace Mary” disse Sherlock con una voce piccola che Irene non aveva mai sentito.

“Se la sarà voluta portare a letto a un certo punto, ma questo non cambia il fatto che ti consideri la creatura più divina che abbia mai calcato un palcoscenico dopo Eleonora Duse.”

Sherlock la considerò a lungo con sguardo perplesso.

“Mi hai sempre detto che sono uno stronzo, gelido palo della luce così snob che persino la Regina mi prenderebbe a calci in culo.”

“Esattamente.”

“Perché mai dovrei piacere a uno come John?”

“Per la stessa ragione per cui ha accettato quella parte in Love Actually. Perché è completamente pazzo. Ma anche molto coraggioso.” Gli fece gesto di versarsi un altro bicchiere di whisky e Sherlock obbedì. “Ma devi essere tu a fare il primo passo, cucciolo, perché sei un criptico bastardo. E John sarà anche spericolato, ma non vuole certo rischiare di essere respinto in malo modo da uno che considera i sentimenti al pari delle ernie del disco.”

Sherlock annuì.

“Quando tornerà” mormorò quasi fra sé e sé, “glielo dirò.”

Irene finse di asciugarsi una lacrima.

“Commovente. Ora fila in sala trucco e preparati a farti venire un naso più lungo delle pudenda del tuo amato Watson. Cominci le prove del Cyrano settimana prossima.” Gli sorrise con qualcosa di molto simile all’affetto. “Penso proprio che tu sia pronto per la parte.”

 

*

 

Irene lesse del matrimonio sul Daily Mail. Si erano sposati a Las Vegas.

Nei mesi successivi Sherlock ebbe un crollo che agli occhi di tutti sembrò un miglioramento di carattere, ma che a quelli della sua impresaria pareva piuttosto una lenta ma inesorabile discesa verso la depressione.

Parlava solo durante le prove, in occasione delle sue battute, e aveva smesso completamente di dedurre e maltrattare i suoi colleghi. Durante gli spettacoli era splendido, controllatissimo, misurato, del tutto padrone di sé. Sembrava brillare di una luce pallida e malinconica che faceva risaltare la sua bellezza come mai prima. Durante le sue scene tragiche la gente si asciugava furtivamente gli occhi. Sherlock moriva meravigliosamente. Aveva imparato a declinare le sue vere emozioni in forme d’arte.

Quando John e Mary tornarono, sorridenti, abbronzati e con un lieve accento americano che Irene tolse loro a suon di urlate e minacce di licenziamento, cominciarono finalmente a provare insieme il Cyrano.

John ora sembrava a disagio in presenza di Sherlock. Non riusciva a guardarlo negli occhi, dimenticava le battute, inciampava nei propri piedi, litigava con gli sceneggiatori. Sherlock d’altro canto era il ritratto stesso del sostegno, della premura, della buona volontà. Lavorò come un cavallo da tiro per la buona riuscita dello spettacolo e si guadagnò la stima anche di quei pochi che non consideravano il suo talento sufficiente per dargli ammirazione.

Irene lo sorprendeva a guardare John con un tale represso, disperato desiderio che spesso si ritrovava a distogliere gli occhi. Sherlock stava buttando tutto quello che aveva nel lavoro e si era snaturato il carattere pur di stargli vicino, pur di farsi amare incodizionatamente almeno come amico.

Un giorno in cui la melanconia di Sherlock traspirava da ogni suo poro e John era particolarmente distratto e irritabile, Irene prese da parte quello che ormai considerava un uomo odioso e vigliacco e gli fece una partaccia su come non si meritasse di lavorare con qualcuno del livello di Sherlock.

John rise, si strofinò il collo e abbassò lo sguardo a terra.

“Lo so che non me lo merito. Lo so che non sono abbastanza per lui. La verità è che non capisco come non si sia ancora stufato di me.”

“Sei un povero coglione” disse Irene, e non si stava più riferendo alle sue doti recitative. “E ora è troppo tardi.”

 

*

 

La sera della prima del Cyrano, Irene bussò al camerino di Sherlock per fargli i consueti auguri di rito.

“Mettili al tappeto, spilungone” gli disse, dandogli una pacca incoraggiante sulla spalla in un raro moto d’affetto.

Lui sembrò riprendere per un momento il suo vecchio atteggiamento strafottente e le sorrise con sufficienza.

“Contaci, strega.”

 

*

 

Nel guardare Sherlock suggerire a John tutti i modi migliori di corteggiare la donna di cui era segretamente innamorato da sempre, Irene pianse dall’inizio alla fine. Non aveva mai visto un’interpretazione così. Non aveva mai creduto che si potesse recitare così – con così tanto cuore, e così tanta eleganza. Sherlock era straordinario, indescrivibile. Non gli si sarebbe potuto staccare gli occhi di dosso nemmeno se il teatro fosse andato in fiamme. Doveva distaccarsi da una situazione fin troppo simile alla sua per non crollare in mille pezzi; e quello sforzo inumano lo rendeva sublime. Ciò che diceva, faceva, come si muoveva – era tutto più vero del vero.

Quando incrociò il suo sguardo dopo che il sipario fu calato, e l’aria venne invasa dal frastuono quasi insopportabile degli applausi e dei fischi, Irene scosse la testa fra le lacrime e gli rivolse un inchino silenzioso.

Non aveva più nulla da insegnargli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice: *guarda l’orologio* *geme*

Sono le sei del mattino. L’ultima volta che ho controllato era l’una di notte e io avevo appena cominciato a scrivere. Sigh.

*Nessun rimpianto degli 883 playing in the distance*

Ordunque, questa fic è un omaggio a uno dei miei libri preferiti, “La diva Julia” di W. S. Maugham. Sì, lo stesso di You’re No God. Mi piace parecchio, se non si fosse capito :3

Ma è anche un omaggio ad Irene. Mi piace molto, Irene, al di là della fine indegna di ASIB, e avevo voglia di scrivere ancora di lei. Ho cercato di trasportare il suo lato dominatrix nel personaggio della tirannica impresaria, aggiungendoci un po’ di comicità. Spero di esserci riuscita.

John, come dice giustamente la Adler, è un coglione. Molti riferimenti a lui sono tratti dalla realtà – il “Riccardo III”, Love Actually. Sherlock è principalmente lo Sherlock della s3. Hedda Gabler, Ricorda Con Rabbia e il Cyrano de Bergerac sono fra le mie opere teatrali preferite. La canzone in apertura è bellissimissima.

Tutta la fic è un po’ un esperimento nello spingere una AU al limite dell’OOC.

Grazie di aver letto, come sempre. :***

   
 
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