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Autore: misslittlesun95    07/09/2014    4 recensioni
Gaia Olivietti.
Ragazzina nel 1979, ragazza nel 1982, donna nel 2009.
Genova.
Il terrorismo, la droga, la malattia.
La storia di una ragazza che diviene donna, di un padre che va via troppo presto, di un amico mangiato da qualcosa più grande di lui.
Una storia di Italia, di italiani, di quotidianità distrutte.
Una storia così tremenda da poter essere quasi vera.
(Altissimo contenuto ANGST!)
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
E u l’à ripurtòu inderée sensa ciü un sensu
Ma òua che ghe vedemmu v Dumàn tüttu u cangiàa

Invisibili – Cristiano de André
(Questo tempo
Che si è preso la bellezza e il nostro canto
E ce lo ha riportato indietro senza più un senso
Ma adesso che ci vediamo
Domani tutto cambierà
)


Epilogo
Genova, 2009

L'età adulta, quella delle grandi scelte e dei grandi momenti, aveva colto Gaia e Simone impreparati nei giorni dei due lutti che avevano scosso le loro giovani esistenze.
A guardarsi indietro, arrivati ormai entrambi a quarantacinque anni suonati, vedevano netta la linea di confine tra quello che erano stati prima e ciò che erano divenuti dopo.
Ma si sentivano soddisfatti di loro nel pensare che, dopo tutto, non si erano mai dimenticati di essere se stessi, di inseguire i loro sogni e di cercare il loro posto in quel mondo che sembrava odiarli tanto.
Alla fine degli anni Ottanta Antonello ed Elisa avevano avuto il loro primo ed unico figlio, Alfio, Patrizia aveva sposato Amedeo ed era incinta della piccola Sara e anche Gaia e Fabrizio si trovavano vicini al loro sì definitivo.
Una mattina come un'altra, di quelle che ormai scorrevano troppo veloci tra un caffè al volo ed un ufficio o un'aula universitaria da raggiungere sempre troppo in fretta, i giornali titolarono dell'arresto di un gruppo terroristico di estrema sinistra e, due settimane, dopo il nome dell'assassino del procuratore Olivietti era noto a tutti.
Beatrice e i figli avevano seguito il processo e visto in faccia l'uomo che aveva distrutto le loro vite.
Nessuno di loro si era mai confidato con gli altri sui sentimenti che provavano quando si trovavano nell'aula di quel tribunale, che poi era lo stesso in cui Alfio lavorava e davanti al quale era stato ucciso, ma Gaia, proprio come aveva ipotizzato tanti anni prima, si era sentita del tutto apatica in quei momenti.
Aveva il cuore e l'anima pesanti, ma se le avessero chiesto cosa li riempiva non sarebbe stata in grado di dare una risposta.
Al termine del lungo processo, quando ormai Gaia si era sposata, l'uomo era stato condannato a diversi ergastoli, tra cui uno proprio per la morte del magistrato.
Con quelle sentenze il senso comune sperava di mettere fine a quel periodo oscuro che per troppo tempo aveva inghiottito il paese, ma chiudere in quel modo una parentesi tanto drammatica, andare oltre dall'oggi al domani, significava porre una barriera invisibile tra chi quegli anni li aveva vissuto solo tramite la televisione ed i giornali e chi, come la famiglia Olivietti, era stata invece, senza neanche volerlo, parte integrante di quella lucida follia tutt'altro che rivoluzionaria.
Nell'estate del 1989 Gaia e Fabrizio si erano sposati, in una calda giornata di fine luglio in una chiesa piccola e fresca sulle colline intorno a Genova, per poi cambiare completamente scenario per il pranzo, passato in riva al mare.
Era stata una cerimonia molto intima, vicino agli sposi c'erano state solo le famiglie e gli amici più cari
proprio come aveva fatto con Patrizia anche al matrimonio di Gaia era stato Antonello ad accompagnare la sposa all'altare.
Era stato un momento toccante, forse anche più delle promesse che quei giorno si erano fatti sull'altare.
Col tempo l'avevano capito tutti, purtroppo; avevano capito che l'assenza di Alfio non sarebbe stata forte nei giorni tristi come quello dell'anniversario della sua scomparsa, lo sarebbe stata nei giorni più felici.
Compleanni, matrimoni, anniversari, nascite, sarebbero stati quello i momenti in cui più di tutto avrebbero sentito la mancanza del Procuratore.

I tre figli, diventando a loro volta genitori, si erano spesso chiesti che nonno sarebbe stato quel padre affettuoso e mai troppo severo che loro avevano avuto la fortuna di avere vicino anche se per poco tempo.
Avrebbero raccontato ai loro bambini di lui, dell'amore che gli aveva donato durante quegli anni e del sogno di giustizia che glielo aveva portato via troppo presto.
Gli anni novanta erano iniziati, per l'Italia, nel peggiore dei modi.
Tolta la caduta del Muro di Berlino a novembre del 1989, fatto che aveva nuovamente sconvolto i fragili equilibri internazionali, il bel paese si era trovato ad affrontare il crollo dei suoi equilibri e dei partiti che per quasi quarant'anni avevano fatto il buono e il cattivo tempo.
Erano nati nuovi movimenti, venute fuori nuove personalità politiche, ma, con non poco qualunquismo e populismo, la gente continuava a dire che tanto non sarebbe mai cambiato nulla e, giusto per rendere questa una profezia che si sarebbe auto avverata, nessuno tentava mai di fare in modo di cambiar qualcosa.
Per la famiglia Olivietti, però, l'arrivo dell'ultima decade del ventesimo secolo era stata colma di gioia, perché tra il '92 e il '94 le due figlie erano diventate di nuovo o per la prima volta madri.
Gaia aveva avuto Claudio nel 1992 e Cristina due anni dopo, mentre Patrizia, aveva partorito per la seconda volta nell'anno di mezzo, dando alla luce due bellissime gemelle, Isabella e Martina.
A ormai quindici anni dalla morte del marito la signora Beatrice si sentiva nuovamente piena di vita circondata da tutti quei nipotini a cui dare affetto.
Erano rimasti tutti a Genova, vicini alla madre, ai ricordi e tra di loro, immersi in quotidianità perfettamente normali.
Coppie che si amavano, bambini felici, malgrado il pezzo di cuore che a ognuno di loro sarebbe sempre mancato si sentivano ancora vivi e in grado di continuare.
Simone aveva superato poco per volta il dolore per la perdita del suo migliore amico, rimanendo anche lui spezzato a metà.
Aveva inseguito i suoi sogni nel lavoro, sperando che tutto quell'impegno potesse toglierli il tempo per continuare a rimuginare su l'accaduto, e quando il pensiero si faceva troppo forte aveva sempre Gaia, che mai gli aveva negato un abbraccio senza timore né vergogna quando era stato il momento.
Era stato proprio lui il primo a sapere delle sue gravidanze, prima ancora del marito o di Luisa, che comunque che era rimasta la sua migliore amica.
Non era mai stata certa della correttezza di dire una cosa simile per primo ad un uomo che non era il padre del bambino, a dire il vero, ma di certe convenzioni sociali se ne era importata poco, ché Simone era stato al suo fianco nei momenti peggiori e si meritava di fare lo stesso in quelli migliori.

Il ragazzo diventato ormai uomo era stato felice di quel privilegio, ma poco per volta si era accorto di sentire la mancanza di una figura femminile al suo fianco, una donna che lo amasse e che, perché no, lo rendesse papà.
Non era mai stato però bravo a cercare, figurarsi a farsi trovare. E man mano che la sua migliore amica e suo marito si godevano la gioia di essere genitori lui perdeva le speranze.
Ma alla fine del 1995, per caso, era entrata nella sua vita Gloria, che aveva otto anni meno di lui ed era di origine fiorentina, con una forte C aspirata e dei luminosi ricci rossi.
Neanche lei cercava o trovava, soprattutto perché era oltremodo disordinata e di solito perdeva.
Simone era probabilmente stata la sua eccezione alla regola, perché neanche un anno dopo il loro primo incontro si erano sposati e il loro amore non sembrava volersi perdere.
All'inizio del nuovo millennio, finalmente, anche loro erano divenuti madre e padre, di Davide nel duemila preciso e di Giorgia tre anni dopo, chiamata così non certo per caso.
Dopo un'agonia più lunga di quella della migliore amica anche lui aveva trovato qualcosa che somigliava alla pace, un momento di gioia grande come gli occhi blu della sua bambina, presi da quell'oceano che Gloria teneva incastonato nel viso in due diamanti.
Malgrado i figli delle due sorelle fossero ben più grandi dei piccoli di Simone andavano molto d'accordo, soprattutto perché Isabella, Martina e Cristina non perdevano occasione per fingersi mamme di quelli che per loro erano come cuginetti.
Il dramma li aveva colpiti di nuovo pochissimo tempo dopo, però, quando Giorgia non andava ancora all'asilo e un controllo di routine aveva rilevato qualcosa di sbagliato nei seni di Gaia.
Una situazione impensata, inimmaginabile.
Interventi e cure avevano guarito la donna, era vero, ma dopo mesi che mai avrebbe voluto vivere, perché pensava di aver sofferto abbastanza, che lei e i suoi cari avessero sofferto abbastanza.
Ed evidentemente si sbagliava, evidentemente l'abbastanza non esisteva, non nelle loro vite.

Ma pazienza, si era detta, alla fine tutto era andato per il verso giusto e quello era l'importante.
I capelli che le pesanti terapie le aveva fatto cadere, quei bellissimi capelli neri identici a quelli che fino a pochi anni prima aveva la madre, erano tornati a crescere ordinati e curati come lei sempre li aveva tenuti.
Aveva ricominciato a lavorare, alla fine era riuscita a diventare insegnante di lingue alle scuole superiori, e aveva cominciato di nuovo a fare la mamma e la moglie, quei lavori tipicamente femminili per cui lei molto più di altre donne aveva una naturale inclinazione.
Perché ne era certa, per quanto la natura volesse diversamente non tutte erano fatte per quello.
La sua amica Luisa, ad esempio, che aveva preferito farsi una carriera in banca invece che una famiglia, anche se poi era nato Matteo e i suoi occhi quando parlava del figlio si illuminavano come pochi.
Simone aveva vissuto con apprensione la malattia della sua più cara amica, trovando anche quelle briciole di Fede in Dio che con gli anni aveva perso, pregando e chiedendo aiuto perché forse lui non era un bravo Cristiano ma lei sì, lei doveva smetterla di soffrire in quel modo atroce, atroce come la sua malattia, e ricominciare a vivere. Ancora una volta.
Era durato tutto pochi mesi, era vero, ma quanto lunghi era apparsi a Gaia e i suoi cari, quante giornate erano sembrate senza fine tra le visite, le analisi, le cure e i momenti in cui la donna era stata male, malissimo.
Per Patrizia, Antonello e Beatrice era poi stato ancora peggio, si erano così illusi di poter vivere una vita normale ed erano invece stati nuovamente presi in giro dal fato.
Fino alla guarigione, però, perché poi avevano riso di quel destino beffardo che aveva provato a separarli ancora ma no, non ne era stato capace.
Gaia aveva festeggiato nel vero senso della parola la sua fine di quella storia, con gli amici ma soprattutto con la famiglia, con Claudio e Cristina che avevano avuto fin troppa paura di perdere la loro mamma.
Ma era finita, per fortuna.
E non sarebbe ricominciata, non doveva farlo.

*****

A Febbraio del 2009 Genova era stata ricoperta da un'abbondante nevicata, tanto che per limitare problemi e pericoli un pomeriggio tardi la giunta comunale aveva deciso di chiudere le scuole per i due giorni successivi.
Si aspettava per le quarantotto ore seguenti una diminuzione delle precipitazioni, e se non c'erano stati grandi disastri fino a quel momento nessuno capiva perché rischiarli appena prima e condizioni meteo tornassero alla normalità.
Claudio e Cristina non avevano potuto essere più felici, anche perché erano impegnatissimi in una partita uno contro l'altra alla playstation e avere due giorni completamente liberti per fare solo quello non gli dispiaceva affatto.
Per Gaia, invece, non c'era stata differenza; il primo di quei due giorni lo aveva comunque preso di ferie per motivi personali.
Si era alzata con calma e sempre con la stessa tranquillità si era preparata per uscire.
Era ben coperta, il freddo fuori era ancora pungente, e aveva scelto una grossa borsa, ben più grande di quelle che era solita utilizzare.
Quando aveva lasciato la sua abitazione i figlie erano in pigiama ma già davanti la televisione e il loro videogioco. Di solito li avrebbe rimproverati, malgrado fossero ormai abbastanza grandi entrambi, ma quella mattina aveva altro per la testa.
Aspettò con pazienza i mezzi pubblici, rallentati anche loro da quel meteo terribilmente nordico, e quando finalmente arrivò l'autobus che attendeva si trovò a dover viaggiare in piedi in mezzo all'umanità più varia e ad acqua, neve e fango che si mischiavano sul pavimento della vettura.

Si portò la sciarpa in alto sul viso, fino a coprire bocca e naso, tenendosela stretta davanti alla faccia nella speranza di non respirare qualcosa di sbagliato. Quel viaggio le era parso lungo un'eternità, eppure erano i soliti quindici minuti, forse qualcuno in più per via del traffico e della strada scivolosa.
I soliti quindici minuti, quelli che separavano casa sua da casa di Simone, il luogo in cui era diretta.
Qualcuno avrebbe pensato che a lungo andare i migliori amici di un tempo fossero diventati amanti, magari anche una naturale evoluzione di quel rapporto così spesso provato dagli eventi della vita.
Ma no, le cose non stavano così.
Gaia suonò e in breve si trovò davanti Simone, l'unica persona che voleva accanto in quel momento.
Migliori amici sempre, da piccoli e da grandi, nei momenti belli in quelli brutti.
Dalla grossa borsa con cui era uscita di casa la donna tirò fuori dei fogli dei quali si vedeva solo l'intestazione, quella dello stesso ospedale in cui quasi trent'anni prima era morto suo padre.
Lei non disse niente, lui non domandò niente.
Si limitò ad abbracciarla e a scaldare il suo cappotto di calde lacrime, lacrime che forse non doveva piangere ma che gli fu impossibile trattenere.
Amici nei momenti brutti, abbracci pieni di affetto anche quando si era più vicini ai cinquanta che ai quaranta.
La ragazzina figlia del Procuratore, divenuta ormai più che donna, aveva scelto di sprofondare in quelle braccia perché più di tutte la facevano sentire a casa.
Amici anche nei momenti brutti, pronti a sostenersi in quella vita maledetta ancora una volta.
Forse l'ultima.

****

Era tornato, il male.
Tornato con una violenza e una cattiveria - o forse sarebbe stato meglio dire
malignità – di gran lunga maggiore rispetto alla prima volta.
Diagnosi severa, era stato il primo responso dei medici, quello che Gaia aveva in mano a casa di Simone a Febbraio.
Severa nel senso che due giorni dopo era stata ricoverata e fin quasi ad Aprile non aveva più visto altro che non fossero le pareti bianche dell'ospedale.
Era tornata a casa poco prima del terremoto dell'Abruzzo.
Nuovamente era senza capelli, smagrita, col volto di un colore strano tra un giallo pallido ed un grigio.
Respirava solo grazie all'ossigeno, non era più autonoma nel farlo, e per i lunghi spostamenti aveva bisogno di una sedia a rotelle poiché le gambe, anche quelle sempre più fini, non la reggevano più.
Ma era raro ci fossero per lei lunghi spostamenti, tolti quelli verso l'ospedale, perché più il tempo passava più le veniva meno anche la semplice forza di pensare di uscire di casa.
La madre e i fratelli si alternavano per farle un poco di compagnia, anche se la signora Beatrice, ormai anziana, non aveva sempre il coraggio necessario a stare al capezzale della figlia.
Claudio e Cristina provavano a fare ciò che potevano, nessuno aveva nascosto loro la gravità delle condizioni della madre, sapevano che di lì a poco sarebbero potuti rimane orfani.
Come lo sapevano i cugini, naturalmente, e tutti quelli che li erano vicini eccezione fatta, per ovvie ragioni, per i figli di Simone, che volevano un gran bene a Gaia ma erano ancora troppo piccoli per sopportare una cosa del genere.
Anche se l'uomo aveva deciso che quando e se la situazione fosse degenerata avrebbe provato a spiegare ai suoi bambini cosa stava per accadere alla loro zia acquisita.
Fabrizio, forse il più coinvolto, ancora non si capacitava di come potesse essere accaduta una cosa simile.
Quando sua moglie si era ammalata la prima volta era stato un fulmine a ciel sereno, non aveva nessun tipo di sintomo, semplicemente era andata a fare un controllo ginecologico di routine ed era saltata fuori la notizia.
Era agli inizi e il calvario era stato corto e positivo.
Ma quella seconda volta no, non era andata così bene. Gaia aveva accusato parecchi sintomi e anticipato con urgenza i controlli che comunque doveva fare.
Aveva sperato fino all'ultimo che fosse un errore, che stesse male per altri motivi o che almeno si trattasse di un'altra brutta e dolorosa parentesi che sarebbe passata in fretta.
E invece no, malgrado ogni tentativo verso la fine di Maggio la prognosi era diventata quella che tutti temevano.
A Gaia Olivietti non rimanevano neanche sei mesi di vita.

****
Giugno era sempre stato un bel mese, anche perché era il mese in cui Gaia, Giorgio e Simone si erano conosciuti, il mese in cui arrivava definitivamente il caldo, iniziavano le scuole, si mangiavano gelati e si andava al mare.
Quell'anno era solo un mese, un mese in meno da segnare su un calendario che ufficialmente non c'era ma tutti loro avevano ben stampato nella testa e nel cuore.
È difficile vedere una persona che si ama muoversi per casa come un fantasma, parlare con una voce sempre più bassa, vederla dormire per la maggior parte della giornata con la paura che per qualche motivo smetta di respirare in anticipo rispetto a ciò che un medico o un altro hanno detto.
Claudio e Cristina non erano mai stati studenti modello, era vero, lui aveva appena finito il terzo anno di scientifico e lei il primo di pedagogico, ma quell'anno, nel secondo quadrimestre, avevano dato il massimo, ce l'avevano messa tutta per dare un'ultima soddisfazione alla loro mamma.
Era tutto ultimo, in quel periodo maledetto.
L'ultima soddisfazione, l'ultima estate insieme.
A volte quasi le dispiaceva di averlo scoperto così tardi, se solo avesse saputo l'autunno prima quanto il destino si sarebbe accanito ancora su di lei si sarebbe goduta sapendolo l'ultimo compleanno e l'ultimo Natale insieme ai suoi cari, ma forse era stato meglio che le cose fossero andate in quel modo.
Non ci sarebbe stata una reale gioia in una situazione simile, tanto meglio per chi rimaneva ricordare la sua felicità in un Natale come un altro, con la certezza che niente di male sarebbe potuto accadere.
Una mattina di fine Giugno, dopo aver parlato con il marito e le persone che curavano costantemente Gaia in quel periodo, Simone si era preso un giorno di ferie e aveva caricato la sua migliore amica in macchina per portarla a Loano, lì dove si erano incontrati da bambini.
La donna aveva trovato forse proprio nei ricordi la forza per andare, anche se non sarebbero potuti stare via molto, le sue condizioni erano quello che erano.
Non era una giornata calda, anzi, il sole sembrava quello di un giorno di fine inverno, ma meglio così, poiché in quel momento a lei giovava più un po' di freddo dal quale coprirsi per bene che il troppo caldo capace di toglierle l'ultimo briciolo di forze che ancora le rimaneva.
La spiaggia era deserta, si erano messi a diversi metri dalla riva su degli asciugamani, come se fosse una normale giornata al mare.
Lei non aveva avuto il coraggio di togliersi neanche le scarpe, le pareva che liberare anche solo un minimo il suo corpo dai vestiti ancora pesanti che lo chiudevano potesse farle chissà cosa.
Si sentiva così fragile in quei suoi ultimi mesi, fragile come i sorrisi che stava riservando al suo migliore amico così caro quella mattina.
Aveva l'ossigeno come sempre, e stava chiusa tra le braccia di Simone, non poteva guardarlo in faccia ma lo sentiva addosso a sé.
Era un abbraccio puro, il loro, talmente puro e casto da farle ricordare perché non avesse mai potuto pensare a lui come un possibile amante o marito.
Stare tra quelle braccia era come stare tra quelle di Antonello, Simone era per lei un fratello, un amore così grande da non poter essere semplicemente fisico né da poter essere dichiarato eterno da un contratto matrimoniale.
Non lo amava, il sentimento che provava per lui andava oltre.
E la cosa era reciproca, tanto che lui, forse egoisticamente, credeva che la sua sofferenza sarebbe stata maggiore rispetto a quella di Fabrizio, perché il marito di Gaia si sarebbe potuto innamorare ancora, ma lui un rapporto come quello che aveva con la donna non lo avrebbe mai più avuto con nessun altro.
- Te lo ricordi? È stato proprio su questa spiaggia che ci siamo conosciuti.- Le disse tenendola stretta.
- Già... Esattamente quarant'anni fa, no?-
Simone annuì.
Quarant'anni prima non avrebbero mai potuto immaginare come sarebbero andate le cose, erano solo bambini e come tali volevano vivere le loro vite felici, sognando un futuro simile ai lieti finali delle favole che ascoltavano prima di dormire dai genitori.
Invece le cose erano andate diversamente; prima il papà di Gaia, ucciso dall'assurdità di fare il lavoro sbagliato nel posto sbagliato quando lui voleva solo fare la sua parte nel mondo.
Poi Giorgio, portato via, forse, dalla sua solitudine, dall'incapacità di chiedere aiuto quando ce ne era bisogno.
E in fine lei, che ogni minuto che passava si avvicinava sempre con più consapevolezza al momento dell'ultimo addio.
- L'altro giorno pensavo che tra meno di tre mesi saranno già trent'anni che papà non c'è più... e io non sarò vicino a mamma, Antonello e Patrizia.
Anzi, forse loro saranno tristi il doppio perché non ci sarò più neanche io...- Sospirò facendo scendere qualche leggera lacrima sui suoi lineamenti del tutto scolpiti e sciupati dalla malattia.
- Ci sarò io, con loro. Te lo prometto.- Le disse Simone accarezzando con dolcezza il foulard con cui Gaia proteggeva il capo totalmente privo di capelli.
- Stai vicino ai miei piccoli... Hanno quell'età in cui ti senti grande ma... ma non lo sei, non abbastanza da superare certe cose. E sicuramente Fabrizio farà del suo meglio, è un padre meraviglioso, ma anche lui è distrutto da questa situazione e non credo possa aiutarli se non sa aiutare se stesso.-
La donna si strinse tra le spalle per farsi tenere ancora più stretta dall'amico, cercando protezione.
Quando suo padre era morto aveva quasi sedici anni, in quel momento Claudio ne aveva diciassette e Cristina quindici, sapeva benissimo cosa sarebbe stato per loro.
Anche se era diverso, era vero, perché in quei mesi avevano un minimo di tempo per realizzare cosa sarebbe accaduto, mentre lei non aveva avuto neanche quello.
Ma chissà se davvero ci si può abituare all'idea che una persona che si ama, un genitore, possa andare via per sempre.
Rimasero in silenzio qualche minuto, il rumore del mare e dei gabbiani bastavano, l'aria di salsedine la faceva sentire viva, più viva di come era stata negli ultimi mesi.
Quando Simone le aveva proposto di fare quella breve gita non era stata subito d'accordo, aveva avuto paura di non farcela fisicamente e mentalmente, perché pensare a tutto quello che avrebbe perso da lì a poco non le faceva piacere, anzi.
Eppure, mentre si trovava lì, a vedere uno dei luoghi che più le ricordava il periodo più bello della sua vita, dalla nascita all'omicidio di suo padre, si sentiva in pace, quasi felice.
- Ho tirato un bilancio...- Disse dopo poco. La voce era flebile, affaticata, ma se l'uomo le avesse detto che forse era il caso di andare a casa era certa che si sarebbe impuntata, stanchezza permettendo, per rimanere ancora un poco, proprio come se fosse stata ancora una bambina.
- Della... della tua vita?- Era difficile per lui parlare di quello che stava accadendo, di come di lì a poco Gaia non ci sarebbe stata più.
- Sì, e stavo pensando che forse non devo avere rimpianti, dopo tutto malgrado quello che è successo... malgrado i dolori tremendi che abbiamo sopportato credo di aver sempre avuto al mio fianco persone meravigliose.
Tu, mia mamma, i miei fratelli, mio marito e i miei piccoli... è grazie a voi che malgrado tutto sono ancora qui, anche se non per molto... forse il mio unico rimpianto è quello di dovervi lasciare...-

Simone ebbe un'immensa voglia di piangere, e per quanto si obbligò a non farlo non fu semplice per lui non lasciar scendere qualche lacrima.
La donna si voltò leggermente, facendo un po' di fatica, e questa volta fu lei ad abbracciarlo, a stringerlo forte per scacciare le sue paure.
- Andrà tutto bene, abbiamo già affrontato momenti simili ma ne siamo usciti, vedrai.-
L'uomo non rispose, si limitò a pensare che in quegli altri momenti terribili, ad esempio la morte del Procuratore o di Giorgio, erano in due, c'erano entrambi, mentre quando Gaia si sarebbe spenta lui sarebbe rimasto solo, per sempre.
No, non se lo sarebbe mai immaginato, quarant'anni prima, di rimanere l'ultimo sopravvissuto di quei tre bambini che giocavano su quella stessa spiaggia dove in quel momento, per l'ultima volta, la sua migliore amica si godeva l'aria pulita.

****


Furono costretti a muoversi verso Genova meno di un'ora dopo, quando la donna ebbe un violento attacco di tosse tanto che Simone le chiedette più volte se non fosse il caso di andare verso l'ospedale.
Ma lei era stata chiara, non c'era bisogno, semplicemente doveva riposare.
Avevano passato insieme delle ore meravigliose, probabilmente il suo ultimo ricordo migliore, però alla fine dovevano arrendersi allo stato delle cose.
Parcheggiò precisamente davanti casa sua e l'aiutò a salire.
Non c'era nessuno, né il marito né i figli, e l'uomo decise quindi di non lasciarla sola, non poteva permettersi che accadesse qualcosa.
Secondo Gaia tutte quelle sue attenzioni erano inutili, come lo erano quelle degli altri suoi cari. Benché facesse di tutto per non dimostrarlo lei soffriva, soffriva nel corpo nello spirito.
Quando chi l'amava provava a fare qualcosa per allungare anche di una sola ora la sua vita per Gaia era un dolore doppio, perché per quanto lo facessero per lei nessuno capiva davvero quale sofferenza fosse per lei continuare anche solo a respirare in quelle condizioni.

Naturalmente non aveva il coraggio di spiegarlo, sarebbe stato terribilmente doloroso per chi la assisteva e lei non voleva fare altro male a quelle persone che fino alla fine della sua vita avrebbe amato, e così si mostrava un minimo sorridente e felice di tutti quei tentativi vani anche più delle tremende terapie che fino a poco prima aveva continuato a fare.
Si sedettero nel salotto di casa, dove c'erano due grosse poltrone molto comode sulle quali la donna rimaneva spesso anche per riposare perché, oltre tutto, la tenevano alta e le permettevano di respirare meglio.
Parlarono un poco ricordando qualche vecchio aneddoto, erano successe così tante cose anche belle in quei quarant'anni.
Ricordarono Giorgio, i suoi modi di fare, il suo tono di voce che nella mente di Gaia non era mai sfumato.
Qualche volta le capitava anche di sognarlo, ancora così giovane, ancora così pieno di vita.
Si domandarono come sarebbe diventato se fosse sopravvissuto a quel mostro, se si fosse ripulito.
Per come era fatto sarebbe stato in grado di scherzarci su, prima o poi, Simone ne era sicuro, il suo migliore amico sarebbe stato così.
Non lo disse a voce alta, ma l'uomo si chiese anche che reazione avrebbe avuto Giorgio di fronte alla malattia di Gaia e alla sua ormai prossima dipartita, evento sicuramente ineluttabile a prescindere dal rapporto che l'altro ragazzo aveva avuto con la droga.
Forse sarebbe stato coraggioso, forse sarebbe scappato.
In ogni caso per lei sarebbe stato meno peggio averlo ancora vicino, non tenere ancora quel tremendo peso sul cuore.

Perché malgrado la maturazione e la crescita tanto Simone quanto la donna avevano continuato, anche inconsciamente, a sentirsi colpevoli di quella morte prematura e forse evitabile.

Mentre chiacchieravano il discorso cadde, e fu Gaia a farcelo cadere, sul dopo.
Non tanto su come sarebbero stati dopo i suoi cari e tutti gli altri, sapevano fin troppo bene cosa volesse dire sopravvivere a qualcuno, ma il suo dopo, l'eventuale vita dopo la morte.
- Sono sempre stata Credente e spesso ho parlato a mio padre, o anche a Giorgio, guardando il cielo. Solo che quando ti tocca in prima persona è diversa, la paura che dopo non ci sia nulla è orribile... Però sai, se qualsiasi cosa ci sia io potessi rivederli credo che sarei tranquilla, averli vicino mi basterebbe.
Ma è molto più probabile che... che saremo solo corpi... ossa... e poi polvere...-
Abbassò di nuovo la voce sulle ultime parole, stanca ed affaticata.
In quel momento rincasò Fabrizio, accompagnato da Celina, l'infermiera Sudamericana che si occupava di fare iniezioni e flebo all'ammalata.

Gaia fu portata in camera dal marito, doveva mettersi a letto e fare alcune flebo, i soliti medicinali ed antidolorifici che provavano a rendere meno dolorosi quegli ultimi mesi con i soliti pochi risultati soddisfacenti.
Simone la salutò dopo le pratiche mediche, baciandole dolcemente la fronte mentre Fabrizio abbassava le tapparelle delle finestre della stanza per consentirle di riposare in totale tranquillità.
I due uomini poi tornarono nel salone ma si diressero al tavolo, dove l'ospite si sedette aspettando che il padrone di casa prendesse da bere.
Benché prossimo a rimanere vedovo perdendo il più grande ed unico amore della sua vita non aveva mai pensato di darsi all'alcolismo, aveva Claudio e Cristina che ancora per poco avrebbe dovuto crescere e tutta la vita costruita assieme a Gaia non poteva essere mandata al diavolo solo perché il suo cuore avrebbe cessato di battere.
Anzi, se c'era un solo metodo, uno solo per farla continuare a vivere era proprio non dimenticare neanche per errore tutto quello che c'era prima e andare avanti come se lei fosse rimasta al suo fianco.
La formula canonica del matrimonio diceva “Finché morte non ci separi” ma lui era certo che il suo amore sarebbe andato ben oltre la semplice fine della vita fisica e terrena di Gaia.
Indipendentemente da cosa ci sarebbe stato dopo per lei.
Ma la situazione era complessa, difficile, dolorosa, e ogni tanto si concedeva un goccetto in più, magari in compagnia di qualcuno come in quel momento.
- Oggi è stata bene.- Raccontò Simone mentre bevevano. - Fisicamente, intendo, sembrava leggermente più in forze. Mentre mentalmente era proprio come rinata, questa gita deve averle fatto bene. Certo, il pensiero costante è sempre uno tanto per noi quanto per lei, e vorrei vedere, ma l'ho vista felice, felice come non era da tempo.-
- Spero solo che non ci siano effetti collaterali, il medico ha detto che ora l'unico rischio sono le infezioni che potrebbero...- Non era in grado di finire la frase, era bravissimo a girare intorno al fatto che sua moglie, la sua Gaia, presto non ci sarebbe stata più.
- Potrebbero peggiorare la situazione più in fretta?- Chiese Simone.
E quella frase era il modo meno doloroso di dire “potrebbe morire prima”, perché a quei livelli l'unico peggioramento ancora possibile era quello. Ammesso che a quel punto per lei smettere ogni sofferenza fosse davvero peggiorare.
Rimasero insieme ancora una decina di minuti e poi si salutarono, Fabrizio accompagnò l'uomo alla porta ringraziandolo infinitamente per ciò che aveva fatto quella mattina.
Non aveva mai visto Simone come un rivale in amore, ma come un aiuto per la sua amata sì, e in quel momento per la prima volta provava un minimo di gelosia, forse perché c'erano cose che Gaia era in grado di dire solo a lui.
Chiusa la porta di casa tornò nella camera da letto e si sdraiò accanto alla donna che già dormiva.

Non disse nulla, la accarezzò e basta.
Avrebbe parlato alle sue foto, alla sua lapide, al cielo convinto che potesse sentirla.
Ma il calore della sua pelle no, quello non lo avrebbe più avuto vicino.

****

Lasciata casa di Fabrizio e Gaia Simone si era diretto verso il lungomare, dove Gloria lo aspettava con i bambini per fare quattro passi e provare a distrarsi un minimo dai terribili pensieri che non lo abbandonavano mai.
Vedere i suoi piccoli lo rallegrò un poco e, per la prima volta dopo tantissimi anni, gli venne voglia di andare in un posto dove non tornava da tempo.
Caricò la famiglia in macchina e si diressero a Quarto dei Mille, dove avevano vissuto, lui, Gaia e Giorgio, la loro ultima giornata felice.
Portò Davide e Giorgia allo scoglio da cui erano salpati Garibaldi e i Mille, raccontando loro la storia dell'uomo che aveva unificato l'Italia.
Era stato lì con i suoi migliori amici per l'ultima volta poche settimane prima di smettere di parlare al ragazzo, pochi mesi prima di perdere per sempre una parte di sé.
Ricordava perfettamente come lui, Giorgio, avesse parlato di andare via, di salpare verso un posto migliore come Garibaldi.
Era paradossale che parlasse di lasciare l'Italia dal posto in cui l'Italia aveva cominciato a nascere, ma forse inconsciamente lui già sapeva che avrebbe lasciato la vita, non il suo paese, e quel posto migliore che cercava poteva essere quello dove alla fine era andato.
Dove chissà, forse presto l'avrebbe raggiunto anche Gaia.
Ripensò al discorso fatto con lei nel primo pomeriggio, a quell'idea che qualsiasi cosa ci fosse dopo le sarebbe bastato rivedere chi amava.
Non era male come idea, pensare che passava dalle braccia di chi amava ed era ancora in vita a quelle di chi amava ma non c'era più.
Razionalmente, per Simone, dopo la morte non c'era nulla, ma proprio nulla, eppure la possibilità di trovare qualcuno era rassicurante, e forse quando hai poco da vivere la razionalità lascia il tempo che trova.
- Papà, papà Davide ha detto che una volta vuole partire come Garibaldi! - Lo disse la bambina distogliendolo dalle sue riflessioni.
- E tu vuoi andare con lui, Giorgina? -
- No. Solo se ci siete anche tu e la mamma.-
Simone prese in braccio la figlia. - Ma quando tu e Davide sarete abbastanza

grandi da poter fare il viaggio di Garibaldi io e la mamma saremo vecchi e stanchi, non saremo forti come voi.-
- Sarai come la zia Gaia papà?- Chiese il bambino, che più della piccola aveva capito come la donna stesse male.
- Non lo so.- Sospirò l'uomo.
- Ma è vero quello che ci hai detto? Che forse non la vedremo più?-
Gloria rimase lievemente in imbarazzo, ai bambini era stato fatto un accenno della situazione ma loro sembravano aver capito più del dovuto.
Simone si avvicinò allora al cordone che separava lo scoglio da mare tendendo la bimba tra le braccia e il maschietto per dietro le spalle, facendo guardare entrambi verso l'immensa distesa azzurra che avevano davanti.
- Sì, è vero, presto la zia sarà per noi invisibile- Gli spiegò. - Ma, sapete, quando una persona è invisibile significa solo che non la possiamo vedere. Lei può ancora ascoltarci, ci possiamo parlare, e se stiamo ben attenti anche noi possiamo sentire quello che ha da dirci.-
- Quindi se noi da grandi faremo il viaggio di Garibaldi senza te e la mamma in realtà l'unica differenza sarà che non vi potremo vedere?- Chiese Davide.
- Sì, esattamente.-
- Allora va bene, forse.- Disse Giorgia stringendosi al padre.
Gaia presto sarebbe diventata invisibile, era vero.
Non avrebbe più visto la sua migliore amica, avrebbe perso quell'abbraccio che per quarant'anni era stato sinonimo di casa.
Forse, come sperava, lei avrebbe rivisto il suo adorato papà e il suo carissimo Giorgio, forse c'era davvero qualcosa dopo.
Avrebbe rivisto chi amava e tutto sarebbe andato bene per lei, no?
Simone e tutti quelli che rimanevano avrebbero dovuto farsi forza pensando che non vederla e non toccarla sarebbero state le uniche differenze, che l'amore tra loro sarebbe rimasto sempre immutato.
- Papà se tutti quelli che vanno via alla fine diventano invisibili non è che poi c'è un posto dove gli invisibili possono vedersi tra loro?- Domandò Giorgia forse perdendosi tra le sue parole.
Era un suo concetto di Paradiso, probabilmente, e Simone l'abbracciò forte rispondendo di sì.
- Allora dobbiamo solo aspettare. - Disse la bambina. - Non è vero che non la vediamo più, dobbiamo solo aspettare di essere anche noi invisibili.-
L'uomo sorrise.
Era certamente così.
E chissà, forse solo loro non potevano vedere ma lei avrebbe potuto continuare a stargli dietro ovunque, forte proprio della sua invisibilità.
Tornarono indietro passando per Piazza Crispi, dove avevano salutato per l'ultima volta il Procuratore.
Simone rimase alcuni minuti a guardarla e pensò a quella mattina di settembre di trent'anni prima.
Ripensò alle ultime parole di Alfio Olivietti.
“Trattatemela bene, è l'unica che ho ancora piccola.”
Sorrise.
“L'ho fatto fino alla fine, dottore.”
pensò dentro di sé. “Se qualcosa ho sbagliato un giorno potrai dirmelo. Ma prima me la farai abbracciare. Di nuovo, ancora.
Non c'è niente di brutto nell'essere invisibili, basta non esserlo da soli.
E no, non lo saremo mai più”.


Fine.

Sarà quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare.

Francesco Guccini – L'ultima volta

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Si sono in ritardo di tre mesi, lo so, ma ero stanca distrutta prima quanto dopo l'intervento e quindi tra una cosa e l'altra ho fatto passare l'estate, perdonatemi.
Allora, ultimo capitolo, come avevo preannunciato gonfio di una sua tristezza e sì, lo so, sono una brutta persona :( ma eravate stati avvisati.
Sinceramente il finale non mi piace troppo, lo avevo in mente per bene e me lo sono scordata -.-” ne ho praticamente scritti tre diversi e questo è stato quello che ho preferito, nella speranza possa piacere anche a voi.
Spero che non abbiate pianto troppo (fatemi sapere u.u) e che malgrado tutto la storia vi sia piaciuta.
Io vi ringrazio tantissimo per essere arrivati fino a qua e vi invito ad ascoltare le due canzoni citate, Invisibili di Cristiiano de Andrè e L'ultima volta di Guccini, che credo sia una canzone adatta a riassumere l'intera storia di Gaia.
Per il resto vi ringrazio ancora moltissimo per tutto, soprattutto per la pazienza dell'attesa e la sopportazione della tristezza, e vi abbraccio fortissimo.
Un grosso bacio a voi tutte/i


;Sun

   
 
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