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Autore: Black Chandelier    07/09/2014    5 recensioni
[Tratto dal 1° capitolo]
Il sole splendeva a Poway: l’estate era finalmente arrivata.
Le persone organizzavano grigliate, feste e andavano in vacanza, la scuola era terminata e per chi lavorava c’erano le ferie.
Preparare una valigia non era mai stato così facile per me, che di estivo non avevo niente se non una o due canottiere nere, per il resto il mio armadio era composto solo da magliette di gruppi musicali.
Non ero molto amante dell’estate, preferivo l’inverno, le cioccolate calde, la neve e il Natale.
I miei migliori amici, Mark e Tom, mi avevano costretta ad andare in vacanza con loro e, come rifiutare davanti a due ragazzi che ti ripetono in continuazione, facendo gli occhioni, “Dai, vieni con noi!” portandoti all’esaurimento nervoso?
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Scott Raynor, Tom DeLonge
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tuuuuutti *spolvera la storia* come state? Tutto bene?
Io sono presa male perché tra una settimana inizia la scuola, ma tranquille, ho già preparato le scalette dei prossimi capitoli e vi avviso che in questo ci sarà un colpo di scena.
Ne rimangono altri 4 o 5, dipende anche se sono più propensa a farne 4 perché ho già pianificato tutto, ma ora vi spiego: la storia avrà un seguito e in questo seguito sarà passato un po' di tempo. Non picchiatemi, ma dovevo farlo, era lì nella mia mente! *risata malefica*

Mi scuso in anticipo se questo capitolo non è nulla di che, sono stata precedentemente in vacanza e non ho scritto praticamente nulla, però era tutto ben impresso nella mia mente perfida!
Non volevo lasciarvi senza capitolo per altri due mesi perché non sapevo come riempirlo, quindi sempre meglio di niente, no?
Buona lettura!

P.S. ah, mi sono appena accorta che il titolo della storia combacia perfettamente con ciò che succederà. sono un genio. 



 
Did you know? I'm here to stay. 
 

8. Colpita e affondata. 


 

Mi ritrovai immersa in una folla di gente sudicia che gridava in continuazione il nome di una band emergente che quella sera doveva suonare su quella sottospecie di palco che poteva contenere al massimo due persone.

Tom ci aveva portato ad una festa, o meglio, ci aveva costretti ad andarci in quanto aveva già comprato i
biglietti.

Sbuffavo in continuazione cercando di evitare le gomitate delle persone che mi stavano attorno, ogni tanto afferravo il braccio dei miei migliori amici per evitare di morire spiaccicata.

“Tom riusciremo mai a raggiungere un tavolo che preferibilmente non abbia litri di sudore sopra?” Urlai al moro, mentre ci facevamo spazio.

Quel locale era piuttosto piccolo per una band emergente molto conosciuta e quale idea migliore di aggiungersi a loro?

Ci sedemmo tutti quanti ad un tavolo che si appoggiava alla parete del muro - stranamente era pulito ed ordinato – e cercammo con lo sguardo una cameriera che potesse aiutarci.

“D’ora in poi non ti seguirò più.” Dissi puntando il dito verso il mio migliore amico che se la rideva tranquillamente sotto ai baffi nonostante sia io che Jen lo stessimo guardando male.

“Eddai, mica possiamo vivere come pensionati!” Affermò lui sfoggiandoci un sorriso.

“ Spero che la band sia ascoltabile.”

“Ragazzi mi sa che dobbiamo andare al bancone.” Ci avvisò Mark sbuffando e voltandosi verso la fila di persone che c’era di fianco all’entrata, “Tom, che ne dici andiamo?”

“Sì, birra per tutti?”

Io e Jennifer annuimmo all’unisono e scoppiammo a ridere subito dopo aver visto i due cercare per l’ennesima volta di farsi spazio tra le persone che avevano iniziato ad urlare il nome della band in quanto
erano in ritardo.

“Secondo te sono tutti amici della band?” Domandai curiosa, alzando la voce.

“No, non credo.” La ragazza fece una smorfia e scosse la testa, indignata. “Che bordello, avrei preferito la serata anziani dell’hotel.” Dichiarò subito dopo, io risi cercando con lo sguardo i due.

“Spero che non si perdano.”

“Tra l’altro devo andare in bagno, morirò spiaccicata. Mi aspetti qui?” Chiese Jen alzandosi e sbuffando verso la folla inferocita.

“Vai, tranquilla, mi dispiacerebbe però se ti spiaccicassero.” Scoppiai in una sonora risata alla vista del suo sguardo malefico.

Afferrai un tovagliolo dalla scatolina bianca al centro del tavolo sulla quale vi era scritto il nome del pub e tenta di farmi aria con quel piccolo pezzo di carta: nonostante quella sera indossassi una canotta nera abbinata a degli shorts avevo la sensazione di esser ricoperta di maglioni e coperte invernali.

Amavo i concerti in generale e i pub che davano a band emergenti la possibilità di farsi conoscere ma allo stesso tempo odiavo i posti piccoli e affollati.

In un certo senso però mi accontentai, era meglio essere immersi in quella folla piuttosto che in una discoteca dove le persone pensavano solo alla loro notorietà e alle/ai ragazze/i  su cui avrebbero fatto
colpo.

Fin da piccola ero cresciuta con la musica rock, punk e sottogeneri  e spesso, soprattutto i primi anni di liceo, mi sentivo a disagio con i miei coetanei perché non sapevo nulla riguardante il genere commerciale ma a me andava bene così, non volevo cambiare per essere accettata.

“Scusa, questo tavolo è libero?”

Alzai lo sguardo e un ragazzo piuttosto alto, con il viso tondo, i capelli neri mossi che parevano formare tanti boccoli e le sue labbra sottili che andavano a formare un sorrisetto malizioso.

“Evidentemente no.” Risposi in tono ovvio, alzando un sopracciglio.

“Oh, peccato.” Incalzò un tono da finto offeso per poi scoppiare in una sonora risata. “Non ci sto provando, se è questo che insinui. Non sei il mio tipo.”

“Ora dovrei essere offesa?”  Chiesi semplicemente.

“In teoria sì … aspetta, ma quei due idioti che c’erano con te prima sono tuoi amici?”

“Quei due idioti, come li definisci tu, sono i miei migliori amici.” Risposi arrogante, guardandolo male. “Tu chi sei? Ci conosciamo? No, ciao.”

“La mora è occupata?” Parve non udire per niente il mio rifiuto verso di lui, sbuffai e feci cenno di sì con la testa, pregando che Mark e Tom sarebbero tornati presto.

Il ragazzo dal nome sconosciuto se ne andò lentamente, quasi confuso sul da farsi: se c’era un tipo di persone che non sopportavo erano quelli che da lontano un miglio era evidentemente chiaro che ci stessero provando con qualcuno ma non lo ammettevano.

Odiavo esser stata così scontrosa con quel tipo, ma quando si trattava dei miei migliori amici nessuno riusciva a fermarmi e anche mia madre lo sapeva bene, visto che lei da sempre affermava con convinzione il fatto che non li sopportasse e io di conseguenza mi arrabbiavo molto.

"Mah, che tipo." Dissi sbuffando.

Jennifer tornò dal bagno con una faccia sconvolta e spaventata, si sedette al tavolo e mi guardò con occhi serrati: “Io in quel bagno non ci torno.”

“Che è successo? Qualcuno ti ha fatto del male?” Domandai alzando la voce, “Se è così giuro ch-…”

“No, tranquilla. Sembrava solamente di essere in un puttanaio, ho aspettato dieci minuti perché una coppia doveva scopare!”

Una smorfia schifata si formò sul mio viso, ma d’altronde quella notizia non mi stupì più di tanto perché in quasi tutti i locali di San Diego accadevan queste cose.

Mark e Tom nel frattempo  tornarono e tenevano in mano due birre ciascuno, che una volta appoggiate al tavolo presero a bere con ingordigia e velocità.

La band tanto acclamata in quel momento uscì sul palco e la folla sembrò parecchio contenta, iniziarono a suonare dopo uno scambio di battute (pessime) ed io non potei fare a meno di non notare lo sguardo
sognante di Tom verso il palco.

Sapevo che in quel momento stava sognando di esserci anche lui su quel palco, amava suonare insieme a
Mark ma purtroppo non trovavano mai nessuno in grado di suonare la batteria a Poway e questo discorso veniva a galla ogni volta che si parlava di musica.

Mi dispiaceva vederlo così, con aria sognante ma allo stesso tempo triste, perché io più volte avevo ripetuto ad entrambi che se ci credevano prima o poi il loro momento sarebbe arrivato.

“Non mi piacciono, non vedo il motivo di pogare così tanto per un semplice melodia” Disapprovò Mark sbuffando subito dopo, “Saranno sicuramente dei raccomandati del cazzo.”

Tom annuì e sia io che Jennifer ci limitammo a rimanere in silenzio.

Improvvisamente sentii il mio cellulare vibrare nella tasca dei miei jeans rigorosamente corti e sobbalzai, riferendo ai ragazzi che sarei uscita per rispondere.

Controvoglia mi feci spazio ancora una volta tra la folla sudaticcia e maleducata, ricevetti spintoni, gomitate e perfino insulti di ogni genere ma sinceramente non mi importava.

Una volta raggiunta l’entrata il cellulare smise di suonare, come era giusto che fosse, ed io guardai infastidita chi mi aveva chiamato.

Papà.

Scoppiai in una sonora risata e mi appoggiai al muro ruvido e freddo del locale, convincendomi del fatto che sicuramente aveva sbagliato numero, perché di rado quell’uomo che aveva deciso di lasciarmi sola mi chiamava se  non per qualche urgenza.

Attesi cinque minuti e quel piccolo aggeggio prese a squillare di nuovo tra le mie mani, così titubante ma allo stesso tempo preoccupata risposi senza però spiaccicar parola.

“Kay? Ci sei?” Dall’altra parte del telefono, oltre alla sua voce, proveniva una melodia strana e la voce di una donna che lo chiamava in continuazione.

Rabbrividii sperando che non si trattasse della sua compagna – che io non avevo mai conosciuto in quanto quando ero obbligata a vederlo lo incontravo da solo – e sussurrai un “Sì” poco convinto.

“Kay, sono io, tuo padre.” In quel momento l’istinto di chiedergli se lo fosse davvero mi raggiunse, ma non lo feci. “Senti, ho precedentemente chiamato tua madre e mi ha detto che sei in vacanza a San Diego.”

“E quindi?”

“E quindi mi ha anche detto che ha trovato un posto fisso a New York e preferisce che tu vada con lei. So che ti starai chiedendo il motivo per cui non te lo sta dicendo lei ma siccome l’ho aiutata a trovare un piccolo appartamento mi ha chiesto di dirtelo perché non ne aveva il coraggio.”

Calò il silenzio.

Rimasi a fissare per cinque minuti buoni la strada davanti a me con gli occhi sbarrati, non volevo crederci.

Sperai che fosse uno scherzo di cattivo gusto, sperai che mio padre mi dicesse da un momento all’altro che scherzava e voleva che passassi una giornata con lui, sperai che tutto quello non finisse.

Non avevo intenzione di andarmene dalla California ma tanto meno di andare a vivere con mio padre e la sua compagna a Los Angeles come alternativa al trasferimento di New York.

Ero finita in un vortice di ingiustizia e di tristezza, mi sentivo impotente in quanto non potevo far niente per cambiare le cose perché d’altronde a mia madre serviva un posto fisso.

A Poway lavorava ma saltuariamente, non aveva mai un lavoro fisso e spesso abbiamo rischiato entrambe di finire in banca rotta, ma per fortuna si presentava sempre qualcosa da fare.

Non riuscivo ad essere felice per lei perché l’idea di trasferirmi in una città dall’altra parte dello stato mi spaventava e creava in me un senso di soffocamento, avrei dovuto abbandonare i miei migliori amici, la scuola e tutto il resto.

Chiesi con voce strozzata quando avrei dovuto andarmene  e mio padre rispose che sarei potuta restare a San Diego solo per una settimana. Era decisamente un incubo.

“Domenica prossima tua madre ha il volo.”

“Ma non avete pensato a me? Devo frequentare l’ultimo anno e devo cambiare scuola, devo lasciare i miei amici e trasferirmi dall’altra parte degli Stati Uniti!” Alzai la voce, ero arrabbiata e delusa.  Mio padre si limitò a scusarsi, sembrava davvero dispiaciuto ma io ero disperata.

Quando terminai la chiamata asciugai le lacrime sul mio viso e rientrai nel locale sperando che non si accorgessero di nulla, non avevo intenzione di dirglielo quella sera e di rovinare loro il divertimento.

La folla si era leggermente calmata così io raggiunsi il tavolo tranquillamente e un sorriso sincero mi si formò sul viso notando che i ragazzi stavano ridendo insieme.

“Kay, sei viva!” Urlò Mark indicandomi con il dito, io scoppiai a ridere e mi sedetti al mio posto, cercando di rimanere tranquilla.

Avevo intenzione di divertirmi durante quella settimana rimanente e godermi gli ultimi momenti con loro, non volevo piangermi addosso né tantomeno rendere i miei amici tristi e fare discorsi che non stavano né in cielo né in terra.

“A proposito, tutto bene? Qualcuno ti disturbava?” Domandò Tom tranquillamente, trangugiando l’ultimo sorso di birra che gli era rimasto.

Scossi la testa, “No tranquillo, era solo mia madre che voleva sapere come stavo.”

“Ah, meno male.”

Non sapevo in che modo glielo avrei detto, ma quasi sicuramente mi avrebbero capita, mentire non era nei miei piani ma a volte era necessario farlo per evitare casini e tristezza.
 
 
 
 
 

okay, ora odiatemi. 
 

   
 
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