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Autore: Royal Blood    07/09/2014    4 recensioni
"Sei in cerca di guai, bello?"
"No, bello" risposi leccandomi le labbra "Ho sete."
Genere: Dark, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aro, Demetri, Felix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Sete di sangue
 
 
Demetri
​Novembre 1996, 03:30 del mattino
Sud della Francia


 
Percepivo il suo sfarzo troppo nitidamente per opprimere quel senso di superbia innata, la sua corsa disperata m’infondeva una forza che solo in quelle occasioni avevo il permesso di provare. La mia mente elaborava così tante informazioni, collegate e contrapposte, che nemmeno un calcolatore modernamente aggiornato e tecnologico avrebbe potuto eguagliare quel notevole quantitativo di dettagli e nozioni ben impresse nella mia memoria. Tutta la mia esistenza ruotava attorno a questa capacità, quella di captare, catalogare ed assegnare una determinata percezione ad ogni minima materia esistente; seguire quella strada immaginaria che la mia testa creava indipendentemente mi rendeva il segugio più abile del pianeta. Non dovevo far altro che lasciarmi guidare da quella tonalità personale.
Mentre caccio, l’universo stesso diviene invisibile e quella scia incomprensibile m’induce a percorrerla, cercando un’appagazione che però non arriva mai. Inseguo un qualcosa di sconosciuto cercando d’afferrarlo il più celermente possibile, ma poi quando finalmente raggiungo la mia preda, tutte le sensazioni che hanno oscurato la mia realtà svaniscono nel nulla, lasciandomi totalmente spaesato, incompleto.
Lo bloccai all’improvviso, spingendolo contro un’alta parete in marmo di un amaranto sbiadito. Mi avventai contro di lui senza proferire parola alcuna, schivando i suoi colpi inesperti con eleganza. Grazie ai miei sensi nettamente più sviluppati e all’attento addestramento che possedevo alle spalle, quel piccolo ed innocuo combattimento si concluse alla svelta, permettendomi di portare a termine la mia mansione. Gli spezzai prima le braccia e poi il collo, decapitandolo. Alzai gli occhi per assicurarmi che non ci fosse nessuno e, tirando fuori un accendino dalla tasca dei jeans, diedi fuoco al corpo.
Lanciai una rapida occhiata alle ceneri ancora ardenti per poi incamminarmi per quelle fredde stradine francesi, lasciando che fosse il vento a disperdere i resti di quel pezzente.
Vivevo in quell’onda quotidiana da secoli, eppure non riuscivo ancora a capacitarmi di quell’incompletezza irritante che ogni volta mi disarmava. Ero un cacciatore indubbiamente abile, eppure era come se avessi fallito ogni battuta, come se non fossi mai arrivato veramente a destinazione e ciò che mi infastidiva sopra ogni dire era che non ero in grado di trovare la soluzione a quell’enigma, di trovare la sorgente del mio vuoto inesplicabilmente persistente, e sapevo che se non ci fossi riuscito, non avrei mai potuto provare quella sensazione di appagamento che tanto bramavo. 
 
Percorrevo quel selciato nascosto nella penombra della notte, mentre la mia figura slanciata veniva illuminata solo dalla fievole luce della luna. Vi era un’aria tagliente, quella sera, un venticello leggero, ma la temperatura doveva essere molto bassa, o almeno era quello che la natura lasciava intendere, anche se ormai non se ne poteva dare molto conto a causa degli innumerevoli artifici che l’uomo aveva imposto a quel povero pianeta.
Camminavo senza alcuna fretta verso una direzione ben precisa, a sud. Avrei dovuto fare ritorno al castello prima dell’alba per adempiere ai miei soliti impieghi. I miei padroni non avrebbero accettato di buon grado un ritardo immotivato e, cosa ancor più grave, avrebbero potuto associare la mia azione ad una forma di ammutinamento, e perciò punirmi.
Non avevo nessuna buona motivazione per correre un rischio tanto alto, così non potei far altro che accelerare maggiormente il passo, superando gli ultimi caseggiati di quella cittadella di cui mi sfugge il nome.
Percorsi un piccolo tratto desolato per poi immergermi in un’altra città dai palazzi settecenteschi. Fu proprio mentre superavo l’ennesimo edificio alto e prominente che, dalla tasca dei jeans, percepii la vibrazione del cellulare che mi portavo appresso per eventuali aggiornamenti improvvisi di cui sarei dovuto essere informato. Estrassi il dispositivo mobile visualizzando all’istante il messaggio appena ricevuto.
 
1 message received:
11/11/1996
03:45
Da: +393384259102
Ti ho interrotto?

 
Feci una smorfia leggendo, ma non persi tempo a rispondere.
 
11/11/1996
03:45
A: +393384259102
No.

 
Stavo per reinserire il telefono nella tasca anteriore, quando una nuova vibrazione mi fece intendere che la conversazione non aveva ancora avuto fine.
 
1 message received:
11/11/1996
03:46
Da: +393384259102
Peccato :(

 
Non so cosa avrei risposto se le cose fossero andate diversamente. Fu come se il mio corpo si fosse mosso da solo, come se la mia mente si fosse improvvisamente spenta, l’unica cosa che sentivo era quella prelibatezza sublime che non faceva altro che accendere delle fiamme ardenti nella mia gola. Non ero più in grado di ragionare lucidamente, ne ero consapevole, com’ero consapevole del fatto che non potessi fermarmi.
Cominciai a correre ad una velocità progressiva, lasciando che i miei piedi sfiorassero a malapena il suolo. Cacciare per il sangue non era nemmeno lontanamente confrontabile come cacciare una preda, erano due corse contraddistinte. Nella prima ogni mia particella spingeva per giungere alla sorgente di quel nettare prelibato, mentre nella seconda tutto ciò che componeva sia la mia persona che ciò che mi stava attorno spariva nel nulla. In una provavo una sete immane, nell’altra ero esente da ogni cosa.
Balzai con agilità tra un tetto ed un altro, attento a non provocare il benché minimo rumore. Sapevo che il tempo mi stava scivolando dalle dita, ma l’unica cosa che pretendevo in quel momento era quel liquido caldo e rossastro mentre mi scorreva giù per la gola.
Atterrai frettolosamente sul duro asfalto e girai l’angolo, ritrovandomi di fronte due figure umane in atteggiamenti tutt’altro che legali, a meno che le molestie non rientrino nella legge francese, in quel caso non avrei da obbiettare.
La donna mi fissava con uno sguardo pietoso, scongiurandomi di salvarla dalle grinfie di quel vile ubriacone che le stringeva i polsi. Se solo fosse stata a conoscenza della mia reale natura, non mi avrebbe guardato con quegli occhi lucidi e speranzosi.
“Che hai da guardare, tu?" sbottò l'uomo quasi barcollando su se stesso, poi squadrandomi con più attenzione contiuò "Come diavolo sei vestito? Guarda che la fiera medioevale è finita da un pezzo.”
Le sue parole derisorie non mi sfioravano affatto, non ero un ragazzo suscettibile su certi punti di vista così frivoli, ma il mio orgoglio non mi permetteva di farmi trattare in un modo così maleducato, soprattutto se il mio interlocutore altro non era che uno zotico troglodita dalle maniere così poco curate.
“Sei ancora qui? Ma allora non hai proprio capito. Cos’è, sei sordo, sottospecie di fenomeno da baraccone? Te ne devi andare.”
“La tua cortesia lascia molto a desiderare.” snocciolai scoccandogli un'occhiata sprezzante.
“Sei in cerca di guai, bello?”
“No, bello." risposi leccandomi le labbra "Ho sete.”
Cominciai a camminare nella sua direzione, avvicinandomi sempre di più. Oramai mi guardava quasi fossi pazzo. Come dargli torto? Uno straniero che sbuca all’improvviso, ammantato di nero, parlando tranquillamente e con un sorriso poco rassicurante sulle labbra.
“Se cerchi ristoro devi andare più avanti.” dal timbro della sua voce si poteva avvertire una nota di preoccupazione, per non dire paura.
“Puzzi di fumo e alcool, ma posso benissimo mettere da parte il mio lato schizzinoso e accontentarmi.”
Se prima potevo dedurre un suo possibile terrore, ora ne avevo la prova. Cominciò ad allontanarsi lentamente, ad ogni mio passo corrispondeva un suo indietreggiamento, ma non avevo di che preoccuparmi, non avrebbe potuto fuggire lontano.
“Chi sei?”
Allungai il braccio, afferrandolo per il colletto della camicia macchiata di vino e portandolo molto vicino al mio viso, perché potesse guardarmi dritto negli occhi, in quei buchi neri assetati, e comprendere.
Non avevo voglia di giocare, così affondai direttamente i denti nella sua morbida carne, bevendo avidamente davanti allo sguardo allibito e frastornato della giovane donna che avevo a fianco.
Il suo sangue era aspro, ferroso e nonostante avesse placato almeno in parte la mia sete, non ero per niente soddisfatto e l’unica cosa in cui potevo sperare era che quello della femmina che avevo accanto fosse migliore.
“Signorina, mi permette?”
Non le lasciai nemmeno la possibilità di rispondere che mi avventai contro di lei di slancio.
Avevo ragione, il suo sangue in confronto era nettamente più gustoso, ma amaro.
Lasciai i due corpi inanimi al suolo, incamminandomi per quelle stradine spente e deserte, in cerca di una nuova vittima per cancellare del tutto quel sapore ripugnante.

​***
 
Riuscivo già a scorgere la torre con l’orologio di Palazzo Priori, ancora qualche minuto e sarei giunto finalmente a destinazione. Il Sole non era ancora sorto, ma era un’effimera questione di tempo, ormai.
Nella mia mente il ricordo della mia entrata nella casata si faceva sempre più vivido e insistente, ogni qualvolta mettevo piede in quella città al termine di una missione il passato si rifletteva davanti ai miei occhi, sempre con più prepotenza. Dei miei anni umani non avevo granché memoria, se non immagini offuscate da una nebbia persistente, ma per quanto riguarda l’inizio della mia nuova vita, tutto era chiaro e limpido.
Il mio creatore si era dato parecchio da fare per mettere su una messinscena coi fiocchi, mentendomi spudoratamente su come fossi stato trasformato. Per secoli non sono stato altro che una marionetta nelle mani di quel falso, gli avevo dato tutta la mia stima, tutta la mia fiducia, per poi essere ricompensato con cosa? Con innumerevoli menzogne dettate da un insensato desiderio di potere.
Aro non è mai entrato nei dettagli circa la mia prima vita, nonostante mi abbia fornito un quadro generale della situazione.
Nato principe, morto immemore.
Benché abbia partecipato a tutti i miei doveri al di fuori di ciò che oramai chiamavo casa, nella mia terra natia non avevo più messo piede. Per prima ragione perché non ce n’era stata occasione, e per seconda, mi rifiutavo categoricamente di riscoprire una terra modificata. Se mai avessi voluto rivederla, avrei dovuto addentrarmi negli angoli bui della mia memoria e cercare di ricordare.
Superai uno per uno i cunicoli stretti di quella piccola cittadina italiana, sino ad arrivare ad una squallida e tetra entrata che avrebbe ripugnato anche la più disgustosa delle creature abominevoli: un tombino.
“Sono stato troppo lento.”
La voce era fin troppo profonda e famigliare per non associarla all’unica persona con cui avevo instaurato realmente un rapporto.
“O io troppo abile per concludere in un lasso di tempo maggiore. E dire che me la sono presa anche con calma.” esclamai di rimando senza voltarmi a guardarlo.
“Oh, oh; la tua vanità mi suggerisce che non vi è stato nessun intoppo.”
“Felix, sbagliare non è un termine conosciuto al mio vocabolario.”
Il buio di quei corridoi era disarmante, non un lume se non quello provocato da semplici torce fissate alle pareti in marmo grigio.
Grazie al mio udito, potei constatare che a breve avremmo incontrato qualche altra guardia di rango inferiore, e difatti non sbagliai. Dovevano essere nuovi, perché non avevo mai avuto il piacere d’incontrarli o di rivolgere loro la parola.
Aspettai che si fossero allontanati abbastanza da non udire la mia voce, poi mi girai verso il mio accompagnatore, che comprese subito.
“Non so i loro nomi, si sono arruolati di loro volontà, ma Aro non si è mostrato particolarmente estasiato dopo averli letto la mente. Non ti ci affezionare.”
“Non mi abbasserei mai.”
La distanza tra noi e la sala comunale diminuiva ad ogni passo, sino a rendere visibile il grande portone in cedro, con due soldati di guardia. Come al solito, lasciammo che ci aprissero il passaggio.
Quando varcammo la soglia d'entrata il sorriso di Aro di accolse a braccia aperte: cortese, affabile, studiato​.
“Demetri, quale gioia riaverti qui a palazzo, mio caro ragazzo.”
“Mio signore.” m’inchinai rispettosamente.
Con il passare degli anni, Aro non aveva più ritenuto necessario sfiorarmi o chiedermi alcunché. Se qualcosa fosse andato storto, sarei dovuto essere io in primis a riferirglielo, il prima possibile.
In quel momento un leggero bussare attirò l’attenzione di tutti i presenti.
Doveva essere una nuova segretaria, perché prima di lasciare il palazzo ero più che sicuro che ce ne fosse una bionda. Questa era piuttosto bassina, mora, con un fisico asciutto, ma niente di che. Non possedeva una bellezza invidiabile ed ero più che sicuro che non avesse nemmeno un dono particolarmente raro. In parole povere, sarebbe stata il mio pasto a breve, molto a breve.
“Non ora.” l’ordine del mio Maestro era stato meno di un sussurro, appositamente per non turbare l’anima già di per sé fragile di quella donna.
Avevo sete.
Tanti anni d’immortalità e addestramento svanivano quando avevo davanti del sangue ed ogni volta resisterne era la più atroce delle torture.
Felix comparve al mio fianco, all’istante, probabilmente ad un segno impercettibile di Aro. Lui aveva il compito di frenarmi o portarmi via se necessario. Tutto questo da quando Aro toccò la mano del mio creatore e vide ciò di cui ero capace, tutta la mia resistenza pressoché nulla.
Fissavo quella ragazza quasi fosse stata un dolce ed ero più che sicuro che i miei occhi avessero assunto la stessa tonalità di un pozzo senza fondo, due buchi neri in cui chiunque avrebbe potuto smarrirsi. Sentivo il suo cuore palpitare sempre più rapidamente, quel liquido caldo vagare per tutto il suo esile corpicino. Vedevo quelle dannatissime linee rosse in mezzo alla sua sclera. Pregustavo il suo sapore sulla lingua, la sua tenera carne mentre si lacerava sotto i miei canini affilati. I miei nervi erano tirati al massimo per resistere alla tentazione, ma qualunque pensiero avessi potuto escogitare per distrarmi, non sarebbe stato abbastanza. Vedevo le sue labbra muoversi con lentezza, probabilmente impaurita dal mio sguardo truce. Aro tentava invano di rassicurarla, ma le sue parole non avevano effetto.
Le fiamme che avevo in gola ardevano sempre di più. Continuavo a dirmi di non respirare, di restare fermo, perché altrimenti avrei perso del tutto il controllo.

 
Non inspirare.
La sua lingua era rossa.
Rossa.
Come le rose.
Come il tramonto.
Come il fuoco che avevo dentro.
Come … il sangue.

 
Non cedere.

Riuscivo a distinguere ogni sfumatura della sua pelle, riuscivo a captare ogni singolo spostamento dei suoi muscoli, a fissare quelle fessure carminee che aveva negli occhi.

Non è nulla di che.
Vedevo la sua giugulare salire e riscendere, il suo sudore colare dalla sua fronte con dannata lentezza. Quel profumo così invitante.
 
Non farlo.
Solo un pochino, massimo un secondo per gustarne almeno un assaggio.
 
Devi resistere.
Solo un morso, niente di più.
 
Non resisteresti mai.
Sii uomo e accetta la sfida, vinci il tuo istinto.

No.
Sì.
 
Non puoi.
Ne hai bisogno.
 
Deve restare viva.
Può anche morire, non ha alcuna utilità.

Vuoi vincere la tua sete.
E allora fallo.

Aprii i miei polmoni e il suo profumo di ciliegie mi colpì con la stessa violenza di un treno merci.
Nessun pensiero logico, solo io e la mia preda.
Nessuna voce in sottofondo, il silenzio più totale.
C’ero andato così vicino, potevo sentire i miei denti pulsare insistenti a pochi millimetri dalla gola di quell’insulsa umana, potevo percepire le mie braccia tirate verso la parte opposta, una presa ferrea e stretta attorno ai miei polsi, un’ira crescente fuoriuscì sottoforma di ringhia dal mio petto.
Uno.
Due.
Tre.
Quanti altri battiti doveva fare quel cuore?
Mettetelo a tacere, mi sta dilaniando.
Non lo sentite questo suono insopportabile? Non vi fanno male le orecchie?
Se solo provaste a mettervi nei miei panni almeno per un momento.
Uno solo.
Lasciatemi.
Non ce la faccio più, fa male.
La voglio.
La esigo.
Ora
 
Le sue urla risuonavano per l’intero palazzo, acute e strazianti. Se mi avessero lasciato ucciderla il suo grido sarebbe stato soffocato da un sonno perenne, le avrei donato la pace eterna.
“Va tutto bene, mia cara Amanda, nessuno si è fatto male. Non c’è alcun motivo di farsi prendere dal panico. Quindi su, calmati.”
Il rumore assordante era finito, ma i suoi occhi restavano spalancati, pieni di paura e non riuscivano a staccarsi dal mio volto. Aveva ragione a temermi, non sapevo con quale sguardo la stessi fissando, ma doveva essere di sicuro sadicamente crudele e affamato.
“Dillo.” la voce di Felix mi sussurrava all’orecchio, ormai eravamo praticamente attaccati e non riuscivo a scrollarmelo di dosso. “Dillo. Dem, dillo. Starai meglio, lo sai.”
Non riuscivo a farlo, non ero abbastanza cosciente per dire o fare qualcosa che non fosse ucciderla.
Felix strinse la presa “So che è difficile, ma puoi. Dai, dillo. Si sistemerà tutto.”
Riunii tutte le mie energie, tutte quelle che avevo. Dovevo riuscirci, dovevo dirlo. Ne sarei uscito, sarei resistito perché dovevo resistere, dovevo vincere, dovevo …
​"Ci sono tre cose che non puoi nascondere."
​"Cosa? Dem, cosa?"
​Strinsi i denti fino a farli stridere "Il Sole. La Luna. La Verità."
​"Di nuovo." mi spronò Felix mantenendo salda la presa sul mio corpo.
Tentai di distogliere lo sguardo dalla segretaria e chiusi le palpebre a forza.
"Il Sole. La Luna. La Verità."
"Di nuovo."
​"Il Sole. La Luna. La Verità."
"Di nuovo."
​Non so quante volte recitai quel mantra, ma più lo ripetevo e più sentivo la sete dileguarsi nell'ombra. Quando anche l'ultima oncia di essa parve essere sparita riaprì gli occhi.
​"Ok. Ok, sto bene."​​
Smisi di respirare all’istante e, poco dopo, percepii la morsa di Felix farsi progressivamente più larga, fino a quando non mi sentii completamente libero dalle sue forti braccia.
Non guardai la segretaria, non le lanciai nemmeno uno sguardo di scuse, il mio sguardo era fisso sul pavimento, mi sentivo .. debole. Qualunque cosa facessi, qualunque scelta prendessi, qualunque pensiero formulassi … avrei potuto portare a termine mille altre missioni, distruggere altri venti clan,  migliorare le mie abilità di rintracciamento,  apprendere più mosse di combattimento, più tecniche di attacco e difesa, più arti marziali … qualsiasi pregio o merito veniva sopraffatto dal sangue, dal bisogno repellente di soddisfare la mia sete. Come avrebbero mai potuto prendermi sul serio, quando tutti i miei ideali, tutti  i miei valori, i miei poteri e la mia coscienza svanivano nel nulla davanti ai miei impulsi?
Non passa giorno in cui io non mi maledica per questo, in cui non mi dica ‘ora basta’, e poi tutta la mia autostima svanisce, mentre ricado di nuovo nella sete immane della mia stessa natura.


E vorrei solo chiudere gli occhi e non sentire più nulla, dimenticare tutto e ascoltare il silenzio ...
 
 


 
Spiegazioni (forse) necessarie:
Ho sempre pensato che Demetri, essendo un Tracker, possedesse dei sensi molto più sviluppati rispetto agli altri vampiri e che, di conseguenza, il sangue fosse una cosa molto più persistente nella sua eternità.
Insomma, il fatto di possedere un olfatto molto più fino gli permette di percepire l’odore del sangue da molto più lontano, mentre l’udito lo obbliga ad ascoltare questo battito intermittente del cuore di ogni essere umano. Sinceramente mi sembra una cosa alquanto frustrante. Credo che il riuscire a percepire odori e suoni che agli altri sfuggono lo rendano più soggetto a stress, sempre in allerta. Insomma, la mia idea è di questo vampiro che vuole un po’ di pace, che vuole sentirsi
forte, riuscendo a resistere alla tentazione di dissanguare i propri ospiti, e che brama il tanto agognato silenzio che non potrà mai avere a causa del suo dono sovrannaturale.

Quella cosa che ripete continuamente è un mantra di Buddha utilizzato per placare i sensi e raggiungere l'equilibrio interiore che ci permette di agire e di ragionare con lucidità.

p.s.: il numero di telefono è inventato, evitate di chiamare ... in caso esista davvero >.<



 
  
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