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Autore: flatwhat    08/09/2014    1 recensioni
Erik ha un'idea tutta sua su dove andare a vivere. Peccato non sia così facile.
Raoul e Christine cercano di assecondarlo come possono, ma è evidente che c'è un'altra soluzione, più semplice e più piacevole, ai suoi problemi.
(Erik/Christine/Raoul; piccolo sequel di "Durante le ore di musica")
Genere: Comico, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Christine Daaé, Erik/Il fantasma, Raoul De Chagny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io, lei, e il prof di musica'
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Avevo voglia di scrivere ancora su questi tre idioti.
Non prendetela troppo sul serio.


“Come sta andando il progetto della sirena?”.
Erik sospira, mettendo giù il bicchiere. Tira fuori dalla sua valigetta un foglio che Raoul conosce molto bene.
“Non s’ha da fare. Il Daroga me l’ha bocciato sul nascere”.
Raoul si sistema gli occhiali e prende il foglio che Erik gli ha passato. Effettivamente, sopra tutti i progetti e i disegni di Erik, c’è scritto in rosso un gigantesco “NO” a caratteri cubitali.
“Peccato”, dice Raoul, “A me piaceva”.
“Anche a me”, dice Christine, sorseggiando il suo drink, “Ma possiamo provare a rivederlo e cambiarlo un po’”.
“Non cambierebbe nulla”, mormora Erik, contrariato, “Quell’idiota non lo approverebbe a prescindere. Sembra che dovrò continuare vivere nel mio insulso monolocale ancora a lungo”.
Sia Raoul che Christine roteano gli occhi. Hanno cercato di assecondare lo squinternato sogno di un sotterraneo personale di Erik, ma, sinceramente, non avevano tenuto in conto delle continue lamentele sul suo “insulso monolocale”. Va detto, quel posto è piuttosto brutto, ma va anche detto che, con buona probabilità, Nadir Khan non approverà alcuna delle strambe idee di Erik. Anzi, è più probabile che, al contrario di ciò che dice Erik, non abbia nemmeno un posto da lasciargli usare. Effettivamente, che dovrebbe fare lui, semplice poliziotto, per qualcuno che sta cercando di nascondere il più possibile?
“Erik, ascolta…”, comincia Christine. Getta un’occhiata a Raoul alla ‘E ora come faccio a dirglielo?’.
Raoul, da sotto il tavolo, le prende la mano, anche se non sa nemmeno lui come introdurre l’argomento. Si schiarisce la voce.
“Noi pensavamo che… sì, insomma…”, tossisce, poi. Christine lo guarda male.
“Almeno per il momento, forse dovresti abbandonare questa idea”, dice d’un fiato Christine.
Erik insiste ancora nell’indossare la maschera nera, quando non sono da soli (anche se, forse, attira ancora di più l’attenzione su di lui, a giudicare dallo sguardo dei clienti agli altri tavoli) ma, anche se si possono vedere solo gli occhi e la bocca, è inconfondibile, l’espressione di puro tradimento che Christine e Raoul possono vedere sul suo volto.
“Ma come…?”, balbetta lui, per poi diventare arrabbiato, “Perché me lo state dicendo ora?”.
La verità è che, da una parte, volevano vederlo felice, ma dall’altra, il suo progetto è impossibile. Ma forse è meglio addolcirla un po’, quella verità.
“Lo sai com’è fatto Khan, no? È difficile che gli vada a genio qualcosa”, dice Raoul, cercando di allentare la tensione.
“Già”, interviene Christine, “Potresti passare anni a cercare di convincerlo!”.
Erik sospira, sconfitto.
“Questo è, purtroppo, vero. Niente da fare…”, si prende la testa fra le mani.
“Niente casa sul lago sotterranea, niente sirena, niente organo…”, geme.
“Niente bara…”. Christine e Raoul si scambiano un’occhiata. È la prima volta che sentono nominare una bara.
“Niente di niente, per il povero vecchio Erik!”, geme Erik. Alza la testa, riprendendo fiato. È una questione di secondi.
“Niente, a parte quel tre volte maledetto, orrido, insulso monolocale!”.
Appunto.
Christine si preme una mano sugli occhi, mentre Erik continua a parlare da solo su quanto faccia schifo quel posto, e la padrona di casa che ogni volta ne cerca una, prima l’affitto, poi è mica lei a fare tutto quel frastuono, la smetta di suonare (anche se Erik è convintissimo che nessun altro possa volontariamente decidere di vivere in un complesso così assurdo, non si stupirebbe a essere l’unico fantasma lì dentro),e visto che questa donna viene spesso e volentieri senza annunciarsi, Erik non può nemmeno togliersi la maschera per due minuti che lei è di nuovo a sbraitare dietro la porta.
Raoul trattiene una risata, guardando Christine che affonda sempre di più la faccia sulla tovaglia del tavolino a cui sono seduti. Lei e Erik, li vorrebbe abbracciare entrambi, in questo momento. Christine perché, poveretta, li aveva portati in questo locale così si sarebbero svagati un po’, eppure non sta succedendo. Erik perché è sempre il solito Erik, con le sue manie assurde e la maschera che toglie solo quando è a casa con loro. Gliela vorrebbe strappare, quella maschera, e baciarlo lì, davanti a tutti, anche con il rischio di causare un conato di vomito universale, nella sala. Christine gli darebbe un pugno sulla spalla, poi, però, perché non importa, le intenzioni erano buone, ma Erik non voleva che gli togliessi la maschera. 
(È una buona cosa, che la sua coscienza abbia la voce di Christine. Forse la sente così anche Erik. È solo un po’ strano quando le scappa un’imprecazione in svedese).
Raoul posa il suo bicchiere. Sta un po’ esagerando, stasera.
Mentre Erik monologa, Christine cerca di calmarlo, e il resto dei presenti guardano verso di loro come se fossero usciti da un film, prova a riprendere il filo dei propri pensieri.
Sempre il solito Erik, con le sue manie assurde e la maschera che toglie solo quando è a casa con loro.

A casa con loro.

Tombola.
“Erik, stammi un attimo a sentire”, dice, con un tono di voce forse un po’ troppo alto. Ora, i presenti stanno guardando male lui.
“Perché non ti stabilisci da noi, almeno finché non trovi un altro posto?”, chiede.
Erik lo guarda, poi guarda Christine.
“Per te andrebbe bene?”, le domanda.
Christine, risollevata, fa di sì con la testa.
“Sì, ne avevamo parlato qualche tempo fa. Però deve andare bene a te, prima di tutto”.
Erik riflette un attimo.
“Mmmh. Non sono un tipo che occupa molto spazio”, tranne quando si tratta di inserire decorazioni quali organi, bare, e quant’altro, a quanto pare.
“Potrei anche dormire sul divano”.
“Potresti anche dormire direttamente con noi”, Raoul gli fa l’occhiolino, “Sai com’è. Non ci darebbe affatto fastidio”.
“E poi potrei vedervi molto più spesso di prima. È un plus”, fa Erik. È chiaro che sta arrossendo, anche con tutta la maschera.
Christine esulta.
“Allora è deciso!”, esclama e prende le mani dei suoi due amati, congiungendole insieme, vittoriosa, “Si abita tutti insieme! Khan non avrà nulla da ridire”.
Raoul sorride, raggiante. Anche se non li può abbracciare ora (sarebbe il momento in cui gli altri clienti penserebbero sul serio di essere finiti in un film), non è detto che non possa farlo dopo, quando saranno tutti e tre seduti sul divano per la solita serata film.
Erik ha un timido sorriso in faccia mentre guarda le loro mani tutte insieme.
Poi, lentamente, il suo sorriso lascia posto ad un’altra espressione.
Raoul e Christine conoscono quella espressione.
Vuol dire che sta macchinando qualcosa.
“Mi si è appena accesa una lampadina. Voi non avevate detto di volervi fare una cantina, in casa?”. Ghigna. 
Certamente, Raoul de Chagny e Christine Daaé pensano entrambi, quando si guardano, non avevano in programma di farsi una cantina con un lago.
Oh, beh, si vedrà, è quello che pensano, guardando Erik che ha già tirato fuori carta e penna per realizzare un nuovo progetto.
  
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