Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: __Di    09/09/2014    3 recensioni
Il suo compleanno è un evento funesto.
È sempre stato così e sempre lo sarà: non ha mai amato festeggiare, dover partecipare a questa sorta di convenzione sociale, un po' gli toglie il respiro, anche se poi alla fine mette su un sorriso falso e vuoto. Non gli piace festeggiare perché è fatuo e vuoto, di cosa dovrebbe gioire? Dopo le feste la gente va via e lui resta solo coi suoi pensieri. Anche se...
Il suo compleanno gli ricorda come è cominciata e finita con suo fratello, la follia di Ashura e di suo padre, la fine che hanno fatto tutti, le maledizioni, il dolore. Ogni cosa, che già ricorda ogni giorno con la sua stessa vita, col solo fatto di vivere, viene amplificata e torna ridondante e potente, come fosse sotto una campana di bronzo a mezzogiorno, in una chiesetta di paese e tutto rimbomba violentemente. Ma lui non è rintontito, lui si rattrista e in quel periodo si chiude a riccio e non parla più.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Umaretekite  Kurete  Arigatou

 

Il suo compleanno è un evento funesto.
È sempre stato così e sempre lo sarà: non ha mai amato festeggiare, dover partecipare a questa sorta di convenzione sociale, un po' gli toglie il respiro, anche se poi alla fine mette su un sorriso falso e vuoto. Non gli piace festeggiare perché è fatuo e insulso, di cosa dovrebbe gioire? Dopo le feste la gente va via e lui resta solo coi suoi pensieri. Anche se...
Il suo compleanno gli ricorda come è cominciata e finita con suo fratello, la follia di Ashura e di suo padre, la fine che hanno fatto tutti, le maledizioni, il dolore. Ogni cosa, che già ricorda ogni giorno con la sua stessa vita, col solo fatto di vivere, viene amplificata e torna ridondante e potente, come fosse sotto una campana di bronzo a mezzogiorno, in una chiesetta di paese e tutto rimbomba violentemente. Ma lui non è rintontito, lui si rattrista e in quel periodo si chiude a riccio e non parla più.
Che poi, come fa a dire quando sia esattamente il suo compleanno lo sa solo lui: non può effettivamente averne la certezza matematica vivendo in una dimensione che non è la sua e avendo conosciuto solo l'inverno sotto quella torre. E così in inverno si rattrista, anche se gli piace la sensazione del gioco di temperature che c'è fuori dal suo letto. Gli piace anche la neve, non può dire di no, ma ama anche il cielo sereno che si vede terso e luminoso dal giardino, dove è cresciuto lui c'erano solo nuvole grigie.
Comunque, stava pensando effettivamente al suo compleanno, al fatto che non l'ha festeggiato davvero da quando ha lasciato Celes, ad Ashura faceva piacere (quando almeno fingeva di essere più stabile mentalmente) per quanto lui si opponesse a celebrazioni di ogni tipo, anche perché non c'è motivo di festeggiare se non puoi farlo col tuo gemello e per quanto la vita che stia vivendo porti il nome di quel suo fratello adorato, non può certo accettare di festeggiare se sa già che il suo desiderio non si può avverare. E poi, ancora, ha sempre saputo di essere un disastro, che la sua vita non vale neanche due sacchi di paglia, e che quindi celebrare un specie di meteora è una cosa stupida.
Così, ora che sta a seduto sotto il pergolato che dà sul piccolo giardino, non può far a meno di rattristarsi ancora un po', mentre fissa la neve che scende lentamente ad imbiancare i dintorni.

Kurogane torna a casa dopo una lunga missione, sono giorni che non lo vede, settimane. La neve l'ha preso all'improvviso mentre col suo gruppo procedeva per far rapporto al castello e ora ha tutti i capelli bagnati e umidi e in testa solo una cosa, sempre la solita cosa, si potrebbe dire, quel mago. Ma non è un pensiero pervertito o sconcio, il suo, stavolta. È semplicemente una preoccupazione.
Quello lì, infatti, già strano normalmente, in inverno, con la prima neve, diventa ancora più strano. Sta sempre lì a sospirare, a vagare per la casa o a star seduto in disparte. E certo vivere tre mesi buoni con una sorta di guscio vuoto depresso un po' fa deprimere anche lui che, facendo quello che fa nella vita, è temprato per ogni fatica, per ogni dolore.
Prima di aprire la porta, si scrolla di dosso la neve e sospira a lungo prima di decidersi ad entrare. Ha preso qualche giorno di permesso in più, Amaterasu in persona gliel'ha accordato, perché possa prendersi cura del mago con molta più attenzione e molto più riguardo del normale. Deve riuscire a fargli dimenticare tutto, almeno questa volta.
Stanno insieme da un po' in quella casa, tre inverni per l'esattezza, senza contare il tempo (che non è possibile definire in quanto relativo) in cui erano un po' più che amici ma meno che partner, e i loro corpi si tenevano compagnia quando dividevano la stanza, durante il viaggio, e quindi un po' ha cominciato a conoscerlo meglio. Sa che quando i suoi occhi diventano cupi bisogna tirarlo su di morale in qualche modo, basta anche portarlo fuori di casa o regalargli un mazzolino di fiori e lui si risolleva subito; quando invece ha degli scatti di ira, bisognerebbe farlo sfogare, anche tirando fuori un argomento di litigio a casaccio, come quella volta in cui s'era lamentato che i suoi virilissimi calzini bianchi erano diventati rosa perché l'idiota aveva lavato insieme un qualcosa di rosso, probabilmente il suo tanga che da allora era sparito (tanto al mago non piaceva), e aveva finto un'arrabbiatura solo perché lui gli dicesse sinceramente quale cretinata stesse distruggendogli la testa. Col tempo, è diventato più paziente e ha cominciato a contare fino a dieci (a volte tocca arrivare anche a venti) prima di reagire o parlare, in maniera tale da pesare bene le sue azioni e a non farlo scappare, perché quello scemo è un gran codardo.
E poi, ha imparato che quando lo guarda in un certo modo, che non è effettivamente in grado di descrivere, deve limitarsi a fargli sentire la sua presenza, senza fiatare, a fargli capire senza una parola che l'ama e ci sarà sempre per lui, anche quando la sua vita sarà arrivata al limite. Sempre.
Allora, entra Kurogane e la casa è ghiacciata. Quel cretino starà sicuramente sul retro, seduto con una tazza di tè in mano, alla menta per giunta!, a guardare quello spettacolo ben poco rassicurante della neve che riempie il loro giardino.
Ah, deve far qualcosa. Deve. Fare. Qualcosa.
Toglie in fretta i calzari, butta il mantello in un angolo anche se lo terrebbe volentieri addosso, sicuro è più caldo il mantello bagnato che il corridoio di casa sua, e poi si precipita, in tutta la sua goffa irruenza, verso il giardino sul retro. Fortuna che la casa non è un maniero ma una casetta del tutto rispettabile per due persone.
Lui è lì gli occhi arrossati e l'espressione vuota. Scemi e idioti, tutti a lui capitano!
Kurogane si acquatta, si allunga verso di lui e l'osserva in silenzio. Il passo ben poco felpato che l'aveva portato lì avrebbe dovuto avvertire il mago che effettivamente era tornato a casa, ma lui è nel suo mondo, a guardare la neve e a ricordarsi di chissà quale orribile passato.
Ha l'aria sbattuta, come chi ha pianto per ore e non ha ormai i condotti lacrimali secchi e vuoti, come è vuoto il suo sguardo mentre fissa la neve che si accumula sempre di più.
Gli accarezza il viso con la punta delle dita, sposta una ciocca di quei capelli morbidi e lui trasale, gli cade la tazza di mano e bagna a terra con quell'orribile tè alla menta zuccheratissimo ormai freddo. Kurogane neanche se ne cura, si allunga a baciargli una guancia, silenzioso e poi torna in posizione, gli occhi rosso fuoco che lo fissano.
E anche lui lo guarda, però è come se fosse disorientato, come se fosse stato lontano per giorni e l'avesse appena ritrovato.
Lui ha imparato, in quei tre anni in cui hanno cominciato a convivere, a farsi vedere per quello che è realmente e non per quello che vuole mostrare: e quindi non nasconde più i suoi veri pensieri. Così, stenta un sorriso che tradisce tutta la disperazione nella sua testa.
Kurogane senza mezze misure si allunga e lo abbraccia, è ghiacciato quel mago, mentre lui è un po' umido. «Bagno.» sibila senza dire altro.
Lui annuisce e si lascia portare in casa a guisa di principessa, senza fiatare.

Kurogane è silenzioso e calmo, forse un attimo imbarazzato. La sua giovinezza si può evincere dal fatto che una certa emozione che guizza dalle sue parti basse è lì da un po', in fondo sono a stecchetto da un po', si parla di settimane, o forse sono mesi? Fosse stato un altro giorno, lui gli avrebbe dato del pervertito e sarebbe stato al gioco, si sarebbe preso cura di quella sua tumultuosa emozione e avrebbe spartito con lui il piacere di assolvere certi compiti. Ma oggi è il primo giorno effettivo d'inverno, è appena caduta la prima neve e per quanto quella cosa ingombrante tra le sue gambe lo stia fissando (inutile dire che quei suoi begli occhi vermigli sono più su), non ha proprio la forza per farsi amare, oggi. E lui l'ha capito, tant'è che ha provato un paio di volte a nascondere quella sua condizione, per poi cedere e dirgli che forse doveva uscire dal bagno prima per permettergli di porre rimedio a quella situazione.
Avevano smesso di imbarazzarsi così tempo prima, durante il viaggio. E lui avrebbe anche potuto dirgli, in effetti, che poteva far tutto lì, mentre c'era anche lui, non era certo un problema. Ma era stato zitto. E una volta riscaldato a dovere, (e doveva essere Kurogane a decidere quando sarebbe stato il momento adeguato per uscir dall'acqua), avrebbe potuto prendere un telo, asciugarsi, rivestirsi e andare nell'altra stanza.
Aspetta ancora un po' e poi esce, permettendogli di metter mano a quella condizione che in effetti lo fa arrossire ancora, per quanto ormai sia un po' il tempo che spartiscono insieme.

È cominciata con un bacio rubato a non so quale festival cui era voluto andare, convincendo Shaoran e Mokona con poco, con la promessa di tante peculiarità storiche, giochi e un sacco di prelibatezze da mangiare, costringendo, invece, materialmente il povero Kuro-rin ad accompagnarlo. Senza motivo, o forse per dimenticare, aveva cominciato a bere e beveva e beveva e all'improvviso s'era ritrovato sorretto da lui, che pazientemente l'aiutava a stare in piedi, che ubriaco marcio com'era non riusciva neanche a stare in piedi. Gli aveva borbottato qualcosa, una specie di rimprovero ma lui l'aveva zittito con un bacio, non saprebbe dire quanto impetuoso o affamato, e poi s'era ritrovato chino in terra a rimettere quel che aveva bevuto e quel poco che aveva mangiato. Si ricordava solo quel bacio e i rimproveri di Kurogane che intanto gli teneva indietro i capelli.
La mattina dopo, tralasciando il mal di testa allucinante che l'affliggeva, si era ritrovato a dividere fisicamente il letto, e non solo la stanza!, col burbero ninja.
Era cominciata solo come un tenersi compagnia, un prendersi cura a vicenda. Lui, il giapponese, non sembrava per niente il tipo in grado di prendere e innamorarsi, piano piano s'erano trovati sempre più spesso l'uno addosso all'altro, sempre di più con le bocche incollate, con gli spiriti uniti come i loro corpi. E un giorno, uno come tanti, mentre lui era impegnato a fare qualcosa, una qualsiasi cosa, neanche se lo ricorda, avevano cominciato a parlare ed era uscito fuori tutto, sinceramente, dolcemente, s'erano stretti l'uno all'altro e avevano capito che sì, c'era quel sentimento che li univa e non era solo passione.

Kurogane ha raggiunto il mago e se l'è abbracciato con calma. «Non dovresti stare all'aperto con questo tempaccio... prenderai un raffreddore!».
Lui sospira. «Scusami».
«Ah, ne abbiamo già parlato. Non devi chiedere scusa per ogni singola cosa!» sbuffa e stringe di più l'abbraccio. «E asciugati i capelli con uno di quei tuoi trucchetti!» brontola.
Annuisce, il mago, e alza gli occhi a guardare Kurogane che, con gli occhi vermigli, se lo guarda.
Sospira, fiaccamente. «Hai sistemato il tuo amichetto lì in basso?».
«Oggi non era aria di fare certe cose con te...» risponde.
«Ah, Kuro-rin, come sei premuroso! Hai riconosciuto il mio malumore e hai capito che oggi la mogliettina era svogliata!» pigola con un sorriso sulle labbra e gli occhi tristi.
Il ninja, con uno scatto degno di questo appellativo, gli raccoglie il mento tra le dita e guida il suo viso verso il proprio. «Non voglio chiederti niente, ma se vuoi parlare io─».
«Non voglio parlare, grazie.» risponde calmo e un po' sbrigativo e si stacca da lui. «Vado a letto. Non vorrei prendermi l'influenza...».
Sospira. «D'accordo, cucino io stasera».
«Ci sono degli avanzi, io non... non voglio niente, Kuro-wan.» risponde e si rintana in camera da letto.
Ecco, è questo suo fare da passivo-reattivo che lo fa impazzire: dovrà usare la tecnica del litigio, per farlo sfogare, dovrà trovare un pretesto decente, per sapere cosa lo sta facendo sentire a quel modo.


Si sveglia, stanco, eppure ha dormito per ore, è crollato appena entrato in camera, giusto il tempo di sdraiarsi a letto. Neanche aveva sentito Kuro-rin prendere il suo posto nel letto. Tra l'altro, che fine ha fatto?
Si tira su. La testa gli gira e gli occhi gli fanno un gran male. Davvero tanto male. Si stropiccia tutto il viso e sbuffa sonoramente. È come se non avesse affatto dormito, eppure è mattina, e, sì, ha dormito davvero un sacco. E deve aver dormito con la bocca spalancata e mezzo scoperto a giudicare da quanto gli raschia la gola.
La porta si apre, c'è Kurogane nel corridoio, ancora nel suo yukata scuro con le cuciture rosse, è ancora a casa, perché è già in piedi? Si sforza di sorridere e lui grugnisce ed entra nella loro camera da letto.
«Non devi uscire, Kuro-tan?» domanda, la voce roca roca. «Non hai il lavoro?».
Quello scuote il capo. «Hai un po' d'influenza, come dicevo io. Prima avevi un po' di febbre, ma ora sembra che ti stia riprendendo un po'.» ringhia e gli porge una scodella. «Brodo di pollo. Accontentati».
Lo guarda un po' inquieto per quella sua reazione: se Kuro-rin ha brontolato così, per quanto sia un brontolone, l'ha fatta davvero grossa. «Scusami, non credevo...».
Kurogane sospira e non dice niente, si siede sul letto lì, vicino a lui. Preme con forza l'indice e il medio contro la sua fronte. «Devi prenderti cura di te, lo so che diventi strano in inverno... qui la gente muore per un influenza, devi capirlo e io non voglio certo seppellirti a... quanti anni hai apparentemente? Venticinque? Facciamo venticinque... Io lo so che tu diventi ancora più strano quando comincia l'inverno, e neanche posso chiederti che cosa ti passa nella testa...».
Lui lo guarda, ora sbalordito: ecco cosa l'ha fatto alterare!
Sorride, dolcemente, sincero. «Scusami».
«Non fare quella faccia, idiota.» replica.
«Ti stai preoccupando per me?» domanda.
«Tch'.» rimbrotta facendo vibrare la lingua sul palato. «È che io non ho intenzione di vivere con uno che tre mesi l'anno, almeno, diventa una specie di corpo vuoto... sospiri, sei infelice, hai un'aria triste e sembri assorto in pensieri pesanti. Non amo camminare sui gusci delle uova, e per quanto io voglia stare con te, se continui...» ferma il suo brontolio prima di finire quel periodo ipotetico. «Se non posso sapere cosa ti passa per la testa, non posso neanche aiutarti, lo capisci questo, sì?» replica.
Il suo sorriso sparisce. «Non mi ami più?».
«Non ho detto questo. Ho detto che non amo stare sulle spine così, è difficile, ogni cosa che dico ti rattrista e per questo stavolta te ne parlo. Gli anni scorsi ho sopportato in silenzio. Ti ho lasciato i tuoi spazi ma, prima che tu cominci a dormire nell'altra stanza... vorrei affrontare la cosa.» risponde, calmo. 
«Sono solo stupido, non c'entri tu.» replica, lui spostando lo sguardo dal brodo di pollo alla finestra, chiusa. La neve, candida, ammassata fuori dalla stanza.
«Io c'entro finché si tratta di te, io c'entro sempre.» mormora, cercando di vedere, lì fuori quello che vede lui. «Sei una mia responsabilità. Ti ho preso in casa mia, ti ho accolto nel mio letto... e non puoi svignartela, non puoi dire che io non c'entro, perché ora fai parte della mia vita e io della tua. E se qualcosa ti fa male, devi dirmelo e io cercherò di tenere lontano tutto».
Gli occhi gli bruciano, sarà la stanchezza o saranno le sue parole, gli viene da piangere ma stringe la lingua tra i denti, la morde forte pur di non farlo.
Kurogane recupera la scodella dalle sue mani e la poggia da qualche parte, lui sente solamente il rumore della scodella sul legno. Lo tira a sé, e si spinge la sua testa contro il petto. «Sfogati».
«Non voglio.» risponde rigido tra le sue braccia.
Gli bacia dolcemente i capelli. «Mh».
«Scusami io... non voglio.» ripete e morde l'interno della guancia pur di non piangere.
«Ti dico sinceramente quello che penso, eh? Così, giusto perché tu capisca che io ci sono qua, e vedo come ti comporti e come ti faccia male quello che sta nella tua testa.» mormora.
Lui non risponde, sta lì e ascolta quella sua voce profonda e calda, che sembra lava a circondargli quel suo cuore ghiacciato da quei pensieri tristi e gelidi come la sua infanzia, come il suo passato.
«Quello che è successo io non posso cancellarlo, posso renderti felice, però. Posso fare in modo che tu vada avanti e che quello che ti fa sentire uno schifo, che ti fa dimenticare di essere in un posto che è diventato casa tua, diventi piano piano più leggero.» dice calmo. «Non posso alterare i tuoi ricordi, non posso farti dimenticare quello che è successo, non posso riportare indietro tuo fratello... sono completamente inerme... ma posso almeno dividere questa tristezza con te. Se la neve ti rattrista, chiudi le tende, siamo solo io e te nella stanza e ti farò dimenticare che fuori è inverno e passerà più in fretta.» aggiunge. «Se vuoi piangere tuo fratello, fallo tra le mie braccia che per lo meno posso rassicurarti e riscaldarti, almeno posso stringerti contro di me... non so se posso accettare che tu pianga quel pazzo che chissà che ti ha fatto mentre eri nel suo regno, in casa sua...» bofonchia. «Però cercherò di farti stare bene, per quanto mi sia possibile».
Le sue braccia si muovono da sole a rispondere all'abbraccio di Kuro-rin. Che è davvero un uomo adorabile quando fa questi discorsi, cioè lo è generalmente ma adesso anche di più. Ma, francamente, lui non sa che dire, non sa che fare. Perché i suoi pensieri sono pesanti, sono dolorosi e aspri come l'inverno perenne in cui è vissuto e ha paura ad aprire la bocca perché possono fargli ancora più male. 
Kurogane gli accarezza dolcemente i capelli. «Posso restare così quanto vuoi.» farfuglia. «Anche per un mese intero, anche per tutta la stagione».

Il gesto con cui gli accarezza la testa è cadenzato, sempre lo stesso da un tempo indefinibile. Non si è spostato di un millimetro e non gli ha permesso di spostarsi.
Per un po' ha singhiozzato, a dire la verità, pieno di un qualcosa di travolgente, un senso di colpa tanto grande e atroce da strappargli il fiato e costringerlo a piangere. Lui non ha detto niente, ha avuto quel che voleva, gli ha permesso di sfogarsi ed è stato lì, in silenzio mentre lui lo faceva, gli ha dato una spalla (o sarebbe più indicato dire un petto) su cui piangere e non ha cercato di parlare neppure una volta. Kurogane l'ha compreso quel dolore a cui lui non ha voluto dare voce, sì, ma solo in parte. Solo la parte in cui la neve gli spezza il cuore.
La parte più grande e dolorosa, quella che l'ha fatto pensare a lungo, il giorno prima, mentre la neve ricopriva il giardino, ancora non ha avuto il cuore di spiegargliela e non sa se avrà mai la forza di farlo, ma in fondo lo sa, glielo deve, merita almeno una spiegazione, mezza o intera poco importa.
Sente il suo respiro. È rassicurante stare con lui, ha un che di calmante il suo profumo, il modo in cui gli sta accanto, e non solo perché si tratta di un omone grande e forte, ma, soprattutto, perché ogni singola parte di lui gli dice che l'ama, sinceramente, dolcemente, anche se l'avrà detto solo una volta o due a voce alta che l'ama con tutto il cuore.
«Il mio compleanno...» dice, dopo un po'.
E la mano di Kurogane si ferma un istante, per poi ricominciare a far scivolare le dita tra i suoi capelli.
«Pensavo al mio compleanno.» mormora.
Non dice nulla.
«Pensavo al fatto che non riesco a festeggiarlo perché non è solo il mio compleanno ma anche quello di Fay.» aggiunge. «E lui è morto e festeggiare è... assurdo, no?».
Il ninja non risponde, lo sa che è una domanda retorica, che la risposta lui l'ha già.
«Come può essere un peccato il solo fatto di essere nati...? Non abbiamo fatto altro che venire alla luce insieme... siamo solo nati. Questo è tutto.» mormora e ripete quelle parole che aveva detto quel giorno ai piedi della torre, quando il terrore gli mangiava l'anima e suo fratello era vivo, in cima. «E ora io sono vivo e lui è morto, ed è una colpa che mi porterò per sempre. Lui ha scelto per me, lui ha deciso di lasciarmi vivere...» farfuglia. «E non ha senso festeggiare se non c'è lui, se io porto il suo nome ma sono io quello vivo...».
Il ninja stringe di più l'abbraccio su di lui, lo stringe così forte che, se ci fosse qualcuno lì, impallidirebbe e sarebbe costretto a distogliere lo sguardo. Sta zitto, non dice niente, l'ascolta come ha fatto prima, mentre piangeva muto.
«E poi, sì, la neve mi ricorda la torre e anche Celes, gli orrori di re Ashura...» sospira. «Ma soprattutto mi ricorda che io e Fay siamo nati in inverno, anche se non credo che a Valeria ci fosse mai l'estate... e mi ricordo che lui è morto con la neve... e torno ogni volta intrappolato lì, sotto la torre, nella mia infanzia.» mormora. «Però poi mi rendo conto che la neve che ha accompagnato tutta la mia infanzia, in fondo mi piace... e mi sento ancora più uno schifo».
Kurogane sospira, silenzioso, le sue mani bollenti che lo stringono forte.
«Sono stupido, eh?» farfuglia tirando su col naso, sonoramente, arricciandolo appena.
«Neanche a me piace festeggiare i compleanni.» borbotta. «Quindi è un bene che tu non voglia festeggiare... non sono il tipo».
Questa reazione, queste parole, lo fanno ridacchiare. È davvero un amore quando fa così.
«Anche perché poi non so che giorno tu sia nato... e soprattutto, come dovrei chiamarti quel giorno?» bofonchia.
Continua a ridere. In effetti, poveretto, ha sempre manifestato una certa confusione quando provava a chiamarlo per nome, e quindi finiva sempre con l'optare per il più semplice “mago” o l'altrettanto apprezzabile “idiota”.
«Pertanto, non festeggiamo nessun compleanno.» brontola.
«Con Ashura festeggiavo.» mormora.
Lui lo stringe un po' di più. «Ah?».
Annuisce e alza appena lo sguardo, sorridendogli. «Sì, nel senso non sapendo bene in che periodo dell'anno ci trovassimo... aveva deciso che avremmo festeggiato il giorno in cui mi aveva preso con sé».
Kurogane aggrotta di più le sopracciglia. «Vuoi far lo stesso qui? Possiamo, eh, a te piacciono certe romanticherie».
Ridacchia. «Sarai mica geloso?».
«.» risponde con una noncuranza quasi bambinesca.
«Non è necessario.» borbotta stringendosi nelle spalle.
«Essere geloso di quell'individuo? Certo che è necessario, anche se è morto! T'ha avuto con sé per non so quanto tempo...» ringhia.
Scuote il capo, ride ancora. «No, dico: non è necessario festeggiare quando sono venuto qui con te.» mormora.
«E perché no? A te piacciono queste cose, sbaglio?» brontola.
«Sì che mi piacciono.» replica. «Però, festeggiare il mio compleanno il giorno in cui tu ed io ci siamo trasferiti qui, non mi sembra indicato... perché poi è meglio considerarlo come un anniversario per la nostra relazione... e non come un giorno solo per me».
Kurogane lo fissa. Gli occhi infuocati, profondi, assoluti e sinceri. Potrebbe vivere anche solo nutrendosi della luce che quegli occhi riflettono, potrebbe sentirsi appagato anche solo di un suo sguardo. Ah! Sì che potrebbe!
«Cosa?» gli chiede poi, un po' intimidito da quello che potrebbe effettivamente dire, ora.
«Io sono qua.» dice semplicemente. «Sarò qua sempre ad ascoltarti, quindi non tenerti tutto dentro, perché io posso dividere con te ogni singolo dolore. Ho le spalle larghe, posso portarlo con te questo fardello.».
«Sembra una proposta di matrimonio.» pigola, alzando di tono la voce.
Ma il ninja ignora ogni provocazione e si allunga a baciargli un angolo della bocca. È un bacio dolce e misurato, mentre forse vorrebbe fare molto di più. «Dovresti cominciare a pensare di vivere felice».
«Cosa? Ma io sono felice.» risponde.
«Sì, ma io sto parlando con te, Yui, e non con Fay.» borbotta. «Questa tua vita con me, è la tua e basta. E non quella di Fay. Perché ora sei sempre più Yui.» brontola.
Lo fissa, gli occhi sgranati e una fitta al cuore colossale che non lo fa ribattere. È come se gli avessero piantato una lancia nel petto, un colpo così forte e duro da strappargli il respiro. Ma è un dolore dolce, come se il suo cuore ghiacciato si stesse finalmente sciogliendo in quel dolce abbraccio caldo e prorompente.
«E lo so che tu volevi continuare a vivere per lui, in sua vece, ma ora più che mai la tua vita è con me. Dalla a me la tua vita se non la vuoi, dalla a me. Io ne avrò cura.» borbotta. «E lo so che sono egoista, eh, e geloso...».
Sinceramente sconcertato, esterrefatto e senza parole, lo guarda. Non saprebbe dire con quanta emozione negli occhi, ma è sicuramente abbastanza da incastrargli in gola ogni singola parola, ogni lettera. «Tu─».
«Io non capisco?» decide che è quello ciò che gli vuole dire.
«No, tu sei meraviglioso.» risponde ciancicando le parole a fatica, miste alle lacrime che vorrebbe tener per sé. «Sei davvero meraviglioso!».
Kurogane gli sfiora il viso con la mano vera, in carne ed ossa. «Puoi farti chiamare come ti pare, ma per me tu sei tu: che sia Yui o Fay il tuo nome, per me non cambia nulla. Io conosco quello che c'è dentro al tuo cuore, il centro dei tuoi sinceri sentimenti... e certo hai deciso per te e non per tuo fratello di amarmi, sbaglio?».
In realtà non ha deciso niente. Il suo cuore ha decretato che non potesse far altro che amare quel gigante buono dagli occhi infuocati che si nasconde sotto quella cappa nera. Ma, sicuramente, è il suo cuore e non quello di Fay ad aver scelto di affidarsi a Kurogane. «. Ho scelto io.» ammette.
Sorride, il ninja, e il suo sorriso è come quello dei bambini, dolce e sincero, pulito e affettuoso. Sorride poco, ma quelle volte che sorride, sembra che esista solo lui al mondo e nessun altro. Solo lui, Yui. «E allora forse è il momento che tu cominci a vivere da Yui. Lascia che io ti vizi, apriti, chiedimi tutto quello che vuoi e io ti prometto di renderti felice. A me basta averti qui, e non dico semplicemente nel mio letto, avere te ad accogliermi a casa, e nulla di più».
Sorride. «Tu sei... il mio amore».
«Tuo e solo tuo.» risponde.
«Puoi continuare a chiamarmi come al solito comunque.» mormora.
Lui sogghigna e si stacca da lui. «Io sono Kurogane,» bofonchia porgendogli la mano, come a volersi presentare. «Abbi cura di me da qui in avanti».
«Yui,» dice la voce flebile, stentando un sorriso che però gli fa ancora un po' male, comunque bypassando la sua mano e gettandoglisi al collo. «Sarò nelle tue mani d'ora in poi. Prenditi cura del mio cuore».
Lo stringe a sé, quell'omone buono e paziente (fin troppo, con uno come lui!), affonda il viso sotto il suo collo e ci incatena un bacio dopo l'altro, seguendo il corso della giugulare.
Gli fa il solletico, ridacchia, mentre lui lo ricopre di baci e carezze. «Fammi l'amore, Kurogane».
Lui si ferma, scioglie l'abbraccio e lo guarda. Quando usa il suo nome, è una cosa seria. «Vai prima in bagno che ti sei appena svegliato, e poi tutto quello che vuoi lo farò».
«Okay.» annuisce e si trascina fuori dal letto a malincuore, gattonando verso la porta.
«Ohi?» lo chiama, e quando si volta, Kurogane sogghigna. «Cerca di fare in fretta».

Il tocco leggero delle dita di Kurogane gli incendia la pelle, mentre con un bacio dopo l'altro percorre in linea retta, dalle labbra in poi, tutta la pelle che il tessuto del suo yukata ormai slacciato non copre più. Quando incontra qualcosa che possa interrompere il percorso, la sposta senza troppe moine. Ma va piano, adagio, senza troppa irruenza o fretta, per quanto sia un uomo focoso anche nelle piccole cose. Si vede dai suoi occhi che gli piace da morire fare questo genere di cose. Lui è dannatamente bravo a farsi desiderare, a farsi chiedere di più.
Il cuore, il suo cuore ghiacciato è, ora, coperto di mille attenzioni da parte sua, riscaldato dai soli occhi vermigli del suo amore, in primo luogo, e poi da tutto il resto, da tutte le altre attenzioni.
Ogni tanto lo guarda, tra un bacio e l'altro, mentre si sposta verso il basso ventre. «Sei contento di vedermi, eh?» sogghigna.
«Ah! Alla mia età!» bofonchia lui, coprendosi la bocca col pugno.
«Che cretino, sei!» borbotta, spostandogli la mano. «E non trattenerti, chi vuoi che ci senta, la neve?».
Ridacchia appena, mentre lui riprende la sua strada, lenta ma inesorabile, verso l'argomento d'interesse di quel momento.
Lascia correre le mani verso quei capelli neri e glieli stropiccia tutti. «Vieni qua, sei troppo lontano».
Lanciandogli uno sguardo alla “ma se sto addosso a te!”, Kurogane lo guarda e poi sogghigna per andare a prendersi cura delle sue labbra. È impetuoso quel bacio e bollente, quanto le sue mani, quanto il suo respiro, come il suo sguardo e il sentimento che li lega. L'irruenza con la quale le loro lingue si ricorrono e le loro labbra si modellano l'une addosso alle altre, è sconcertante. Si staccano solo per respirare e se potessero non farlo, respirare, non sarebbe necessario interrompere quel bacio. Starebbero sempre così, bocca a bocca, le dita intrecciate, i corpi avvinghiati. Sempre. E non è solo quello che sente lui, ma anche il corpo di Kurogane manifesta la stessa foga, la stessa volontà. Il bacio continua, si prolunga appena, tanto da portarlo all'affanno mentre Kurogane si slaccia l'obi con un gesto meccanico.
Vuole baci e amore, amore e baci. Vuole carezze che sappiano di lui, vuole far parte della vita di Kurogane sempre e che lui sia il centro del suo mondo finché avrà respiro (certo, il respiro a forza di baciarsi così prepotentemente lo perderà presto, ma son dettagli). Vuole chiedergli tutto, come se non gli bastasse già tutto quello che lui gli dà. Ma d'altra parte sa già che Kurogane ha già tutto di lui, ogni singola parte del suo corpo risponde e risponderebbe solo a lui, sempre.
E ora che il respiro s'affanna e morde l'aria davanti al suo naso, gemendo appena, mentre lui l'ama e gli dona ciò che ha chiesto, si dimentica della neve che lo fissa fuori, che s'ammassa fuori da quell'idillio che è la loro stanza da letto. Loro. Perché quella è casa anche sua, chissà quante volte glielo avrà ripetuto quel suo adorato omone.
 

Kurogane copre l'idiota, se lo tira contro il petto e poggia il mento sulla sua testa in un gesto estremamente possessivo. Seduti, stanno seduti sul futon a guardare qualcosa in un angolo non ben specificato di quel loro nido. Forse, visto come gli dolgono i muscoli ha un po' esagerato con quelle attenzioni che gli ha regalato o per meglio dire, con quelle tenerezze che si sono concessi. Il corpo del mago freme ancora, imperlato di sudore come il suo. Le gambe di entrambi incatenate tra loro, nel silenzio di quella stanza lontana dall'inverno che non entrerà da quella finestra. Nasconde il viso del mago contro di sé, lo protegge dalla vista della neve e dal riaffiorare infelice di quei ricordi. Lo sa che non può proteggerlo dal suo passato, ma è pronto a spartire il dolore con lui, è pronto a dividere la sua tristezza. Ha le spalle larghe, lui, e terrà quel peso per entrambi. Sì.
Il mago ridacchia e si stringe un po' di più a lui. «Mi piace l'inverno, dopotutto».
«Come mai?» domanda.
«Perché posso stare abbracciato così a te, che sei caldo caldo, Kuro-pon.» mormora.
Se l'imprime più addosso, lo stringe con più forza come a volerselo incastonare nel petto, ma non dice nulla e anche lui si zittisce, lasciandosi abbracciare docilmente.
Sta lì, in silenzio. Vuole godersi quella calma e basta, vuole solamente abbracciarlo e tenere lontano da quella zucca bionda i cattivi pensieri.
«Grazie per avermi ascoltato, Kuro-tan.» dice piano piano, all'inizio dello sterno.
Sogghigna, beffardo. «Guarda che l'ho fatto più per me che per te: voglio il mio solito mago».
Il mago si sistema meglio, lo guarda. «Tu mi rendi felice».
«E tu rendi felice me.» raccoglie il suo mento tra le dita. Lo fissa, serio serio e poi sorride, come prima, tenero e forte quel sorriso. «Ti ringrazio per essere nato».
«Guarda che non è mica merito...» comincia a dire e poi sgrana gli occhi. Un'espressione adorabile, non c'è che dire, è sgomento, sperduto, come se avesse appena detto qualcosa di orribile e insieme vitale. «Cosa?».
Non lo ripete, lo sa che ha capito, si limita a sogghignare e gli accarezza il viso.
Annaspa, le lacrime gli scorrono lungo le guance, gli occhi sgranati e le pupille strette strette. «Tu... cosa hai detto?» farfuglia, respira a fatica. «Tu─» scuote il capo.
Gli bacia la fronte e se lo stringe di nuovo contro il petto. «Non te l'ha mai detto nessuno. Tu sei importante. Non è colpa essere nati.» bofonchia, con calma e sicurezza. «Io ti ringrazio di essere qui con me, di essere nato. E te lo dirò per tutti gli anni in cui non te l'hanno detto, per tutte le cose brutte che hai sofferto in passato.» aggiunge, dolcemente. Anche se forse al mago basterebbe quest'unica volta e forse, se lui non ne fosse tanto innamorato, tanto perso per lui, non si piegherebbe a nulla di simile.
Il mago lo guarda ancora, gli occhi sgranati e lucidi, scuote la testa.
Kurogane sorride, ora, appena appena, non può fare altro. Gli bacia una guancia e poi l'altra, per asciugargli le lacrime e poi poggia la fronte contro la sua, tiene gli occhi fissi nei suoi, ci si può specchiare in quel mare azzurro. «Tutti i giorni, ti farò capire che non è una colpa essere nato.» aggiunge, nascondendo le dita tra i suoi capelli. «Ti ricorderò ogni giorno che sei importante e sono immensamente grato a tuo fratello: ti ha lasciato a me, al prossimo bon dovremmo accendere un cero per lui, mh?».
Tiene gli occhi spalancati, sorride e piange ancora.
«Te lo dirò ogni giorno, mh?» ripete.
«Mi basta questa volta.» sussurra. «Tu mi rendi felice. Immensamente».
Si tira di nuovo il mago contro il petto, lo stringe forte e gli bacia i capelli. «Anche tu, anche tu».
Piange, poi. È davvero un piagnucolone quel suo adorato scemo, ma se sono lacrime di gioia, almeno vale la pena piangere. E lui si limita ad abbracciarlo, in silenzio, dolcemente, semplicemente, lo stringe forte e lo lascia piangere, nemmeno ci prova a consolarlo, se tanto è felice, se tanto quelle lacrime sono per lui e per lui soltanto.

E la neve è lì fuori dalla stanza e lì resterà.
Certo, ogni tanto il cuore del mago verrà imbiancato un po', ma ci sarà il suo caldo abbraccio a sciogliere quel suo piccolo cuore.
E anche quest'inverno, passerà.

 

 

Salve!

Prima di tutto, vi ringrazio di essere giunti fin qui! Sono davvero contento di essere riuscito a pubblicare questa storiellina qua.
È tranquilla, sì. Stranamente tranquilla, per essere scritta da me. C'è sempre quel solito tocco di angst giusto un filino, perché ci sta sempre bene, come il peperoncino nella pasta (o il cacio, dipende da che gusti abbiate). Comunque sono contento che questa storia sia nata, in fondo è stato divertente scriverla, in una nottata, tra il 29 e il 30 agosto.
E voialtri mi direte «E perché la pubblichi ora, oh, malefico autore?», perché volevo pensarci un po', prima di pubblicarla, tutto qua. (E non è che poi siano passate ere geologiche da quando l'ho scritta...).
Sono contento però, perché non è venuta tanto male e non l'ho neanche rimaneggiata granché dopo averla scritta.

Due (o forse tre) note:
- l'età apparente dell'idiota... è apparente: ora non venite a dirmi che ne dimostra di meno o di più, semplicemente volevo giocare col fatto del compleanno e con il fatto che, in effetti, lui ha vissuto già di più di Kurogane (che però è un giovine virgulto, nevvero?)
- il titolo (ovvero la risposta al vostro «Perché diamine Malefico Autore, ultimamente pubblichi solo storie co' nipponaggini?») se ho ben capito, o se mi sono ben informato “Umaretekite kurete arigatou”, vuol dire “Grazie di essere nato”. Mi pareva carino scrivere una cosa del genere, perché lo sappiamo tutti che Kurogane, per quanto senta sulle sue spalle la responsabilità materiale della vita del mago, è ben contento di avercelo intorno.
-“Come può essere un peccato il solo fatto di essere nati...? Non abbiamo fatto altro che venire alla luce insieme... siamo solo nati”, parole prese dall'edizione italiana di Tsubasa Reservoir Chronicle, numero 20: precisamente il capitolo 157 “L'ultima scelta”, pagina 144, mi sembrava doveroso specificarlo v__v

Spero vivamente che la storia vi sia piaciuta almeno un pochino.
A presto.
D.
















   
 
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