Umaretekite Kurete Arigatou
Il suo compleanno è
un evento funesto.
È sempre stato così e sempre lo sarà: non ha mai amato
festeggiare, dover partecipare a questa sorta di convenzione sociale, un po' gli
toglie il respiro, anche se poi alla fine mette su un sorriso falso e vuoto. Non gli
piace festeggiare perché è fatuo e insulso, di cosa dovrebbe gioire? Dopo
le feste la gente va via e lui resta solo coi suoi pensieri. Anche
se...
Il suo compleanno gli ricorda come è cominciata e finita con suo
fratello, la follia di Ashura e di suo padre, la fine che hanno fatto tutti, le
maledizioni, il dolore. Ogni cosa, che già ricorda ogni giorno con la sua stessa
vita, col solo fatto di vivere, viene amplificata e torna ridondante e potente,
come fosse sotto una campana di bronzo a mezzogiorno, in una chiesetta di paese
e tutto rimbomba violentemente. Ma lui non è rintontito, lui si rattrista e in
quel periodo si chiude a riccio e non parla più.
Che poi, come fa a dire
quando sia esattamente il suo compleanno lo sa solo lui: non può effettivamente
averne la certezza matematica vivendo in una dimensione che non è la sua e
avendo conosciuto solo l'inverno sotto quella torre. E così in inverno si
rattrista, anche se gli piace la sensazione del gioco di temperature che c'è
fuori dal suo letto. Gli piace anche la neve, non può dire di no, ma ama anche
il cielo sereno che si vede terso e luminoso dal giardino, dove è cresciuto lui
c'erano solo nuvole grigie.
Comunque, stava pensando effettivamente al suo
compleanno, al fatto che non l'ha festeggiato davvero da quando ha lasciato
Celes, ad Ashura faceva piacere (quando almeno fingeva di essere più stabile
mentalmente) per quanto lui si opponesse a celebrazioni di ogni tipo, anche
perché non c'è motivo di festeggiare se non puoi farlo col tuo gemello e per
quanto la vita che stia vivendo porti il nome di quel suo fratello adorato, non
può certo accettare di festeggiare se sa già che il suo desiderio non si può
avverare. E poi, ancora, ha sempre saputo di essere un disastro, che la sua vita
non vale neanche due sacchi di paglia, e che quindi celebrare un specie di
meteora è una cosa stupida.
Così, ora che sta a seduto sotto il
pergolato che dà sul piccolo giardino, non può far a meno di rattristarsi ancora un po',
mentre fissa la
neve che scende lentamente ad imbiancare i dintorni.
Kurogane torna a casa dopo una lunga
missione, sono giorni che non lo vede, settimane. La neve l'ha
preso all'improvviso mentre col suo gruppo procedeva per far rapporto al
castello e ora ha tutti i capelli bagnati e umidi e in testa solo una cosa,
sempre la solita cosa, si potrebbe dire, quel mago. Ma non è un pensiero
pervertito o sconcio, il suo, stavolta. È semplicemente una preoccupazione.
Quello lì, infatti, già strano normalmente, in inverno, con la prima neve,
diventa ancora più strano. Sta sempre lì a sospirare, a vagare per la casa o a
star seduto in disparte. E certo vivere tre mesi buoni con una sorta di guscio
vuoto depresso un po' fa deprimere anche lui che, facendo quello che fa nella
vita, è temprato per ogni fatica, per ogni dolore.
Prima di aprire la porta,
si scrolla di dosso la neve e sospira a lungo prima di decidersi ad entrare. Ha
preso qualche giorno di permesso in più, Amaterasu in persona gliel'ha accordato, perché possa
prendersi cura del mago con molta più attenzione e molto più riguardo del
normale. Deve riuscire a fargli dimenticare tutto, almeno questa volta.
Stanno insieme da un po' in quella casa, tre inverni per l'esattezza, senza contare il
tempo (che non è possibile definire in quanto relativo) in cui erano un po' più
che amici ma meno che partner, e i loro corpi si tenevano compagnia quando
dividevano la stanza, durante il viaggio, e quindi un po' ha cominciato a
conoscerlo meglio. Sa che quando i suoi occhi diventano cupi bisogna tirarlo su
di morale in qualche modo, basta anche portarlo fuori di casa o regalargli un
mazzolino di fiori e lui si risolleva subito; quando invece ha degli scatti di
ira, bisognerebbe farlo sfogare, anche tirando fuori un argomento di litigio a
casaccio, come quella volta in cui s'era lamentato che i suoi virilissimi
calzini bianchi erano diventati rosa perché l'idiota aveva lavato insieme un
qualcosa di rosso, probabilmente il suo tanga che da allora era sparito (tanto
al mago non piaceva), e aveva finto un'arrabbiatura solo perché lui gli dicesse
sinceramente quale cretinata stesse distruggendogli la testa. Col tempo, è
diventato più paziente e ha cominciato a contare fino a dieci (a volte tocca
arrivare anche a venti) prima di reagire o parlare, in maniera tale da pesare
bene le sue azioni e a non farlo scappare, perché quello scemo è un gran
codardo.
E poi, ha
imparato che quando lo guarda in un certo modo, che non è effettivamente in
grado di descrivere, deve limitarsi a fargli sentire la sua presenza, senza
fiatare, a fargli capire senza una parola che l'ama e ci sarà sempre per lui,
anche quando la sua vita sarà arrivata al limite. Sempre.
Allora, entra Kurogane e la casa è ghiacciata.
Quel cretino starà sicuramente sul retro, seduto con una tazza di tè in mano,
alla menta per giunta!, a guardare quello spettacolo ben poco rassicurante della
neve che riempie il loro giardino.
Ah, deve far qualcosa. Deve. Fare. Qualcosa.
Toglie in fretta i calzari, butta il mantello in un angolo anche
se lo terrebbe volentieri addosso, sicuro è più caldo il mantello bagnato che
il corridoio di casa sua, e poi si precipita, in tutta la sua goffa
irruenza, verso il giardino sul retro. Fortuna che la casa non è un maniero ma
una casetta del tutto rispettabile per due persone.
Lui
è lì gli occhi arrossati e l'espressione vuota. Scemi e idioti, tutti a lui capitano!
Kurogane si acquatta, si allunga verso di lui e l'osserva in silenzio. Il
passo ben poco felpato che l'aveva portato lì avrebbe dovuto avvertire il mago
che effettivamente era tornato a casa, ma lui è nel suo mondo, a guardare la
neve e a ricordarsi di chissà quale orribile passato.
Ha l'aria sbattuta,
come chi ha pianto per ore e non ha ormai i condotti lacrimali secchi e vuoti,
come è vuoto il suo sguardo mentre fissa la neve che si accumula sempre di
più.
Gli accarezza il viso con la punta delle dita, sposta una ciocca di quei
capelli morbidi e lui trasale, gli cade la tazza di mano e bagna a terra con
quell'orribile tè alla menta zuccheratissimo ormai freddo. Kurogane neanche se
ne cura, si allunga a baciargli una guancia, silenzioso e poi torna in
posizione, gli occhi rosso fuoco che lo fissano.
E anche lui lo guarda, però
è come se fosse disorientato, come se fosse stato lontano per giorni e l'avesse
appena ritrovato.
Lui ha imparato, in quei tre anni in cui hanno cominciato a
convivere, a farsi vedere per quello che è realmente e non per quello che vuole
mostrare: e quindi non nasconde più i suoi veri pensieri. Così, stenta un
sorriso che tradisce tutta la disperazione nella sua testa.
Kurogane senza
mezze misure si allunga e lo abbraccia, è ghiacciato quel mago, mentre lui è un
po' umido. «Bagno.» sibila senza dire altro.
Lui annuisce e si lascia portare
in casa a guisa di principessa, senza fiatare.
Kurogane è silenzioso e calmo, forse un attimo imbarazzato. La sua giovinezza si può
evincere dal fatto che una certa emozione che guizza dalle
sue parti basse è lì da un po', in fondo sono a stecchetto da un po', si parla di settimane, o forse sono mesi? Fosse stato un altro giorno, lui gli avrebbe
dato del pervertito e sarebbe stato al gioco, si sarebbe preso cura di quella
sua tumultuosa emozione e avrebbe spartito con lui il piacere di assolvere certi
compiti. Ma oggi è il primo giorno effettivo d'inverno, è appena caduta la prima
neve e per quanto quella cosa ingombrante tra le sue gambe lo stia fissando
(inutile dire che quei suoi begli occhi vermigli sono più su), non ha proprio la
forza per farsi amare, oggi. E lui l'ha capito, tant'è che ha provato un paio di
volte a nascondere quella sua condizione, per poi cedere e dirgli che forse
doveva uscire dal bagno prima per permettergli di porre rimedio a quella
situazione.
Avevano smesso di imbarazzarsi così tempo prima, durante il
viaggio. E lui avrebbe anche potuto dirgli, in effetti, che poteva far tutto lì,
mentre c'era anche lui, non era certo un problema. Ma era stato zitto. E una
volta riscaldato a dovere, (e doveva essere Kurogane a decidere quando sarebbe
stato il momento adeguato per uscir dall'acqua), avrebbe potuto prendere un
telo, asciugarsi, rivestirsi e andare nell'altra stanza.
Aspetta ancora un
po' e poi esce, permettendogli di metter mano a quella condizione che in effetti
lo fa arrossire ancora, per quanto ormai sia un po' il tempo che spartiscono
insieme.
È cominciata con un bacio rubato a non so
quale festival cui era voluto andare, convincendo Shaoran e Mokona con poco, con
la promessa di tante peculiarità storiche, giochi e un sacco di prelibatezze da
mangiare, costringendo, invece, materialmente il povero Kuro-rin ad
accompagnarlo. Senza motivo, o forse per dimenticare, aveva cominciato a bere e
beveva e beveva e all'improvviso s'era ritrovato sorretto da lui, che
pazientemente l'aiutava a stare in piedi, che ubriaco marcio com'era non
riusciva neanche a stare in piedi. Gli aveva borbottato qualcosa, una specie di
rimprovero ma lui l'aveva zittito con un bacio, non saprebbe dire quanto
impetuoso o affamato, e poi s'era ritrovato chino in terra a rimettere quel che
aveva bevuto e quel poco che aveva mangiato. Si ricordava solo quel bacio e i
rimproveri di Kurogane che intanto gli teneva indietro i capelli.
La mattina dopo,
tralasciando il mal di testa allucinante che l'affliggeva, si era ritrovato a
dividere fisicamente il letto, e non solo la stanza!, col burbero
ninja.
Era cominciata solo come un tenersi compagnia, un prendersi cura a
vicenda. Lui, il giapponese, non sembrava per niente il tipo in grado di
prendere e innamorarsi, piano piano s'erano trovati sempre più spesso l'uno
addosso all'altro, sempre di più con le bocche incollate, con gli spiriti uniti
come i loro corpi. E un giorno, uno come tanti, mentre lui era impegnato a fare
qualcosa, una qualsiasi cosa, neanche se lo ricorda, avevano cominciato a
parlare ed era uscito fuori tutto, sinceramente, dolcemente, s'erano stretti
l'uno all'altro e avevano capito che sì, c'era quel sentimento che li univa e
non era solo passione.
Kurogane ha raggiunto il mago e se
l'è abbracciato con calma. «Non dovresti stare all'aperto con questo tempaccio...
prenderai un raffreddore!».
Lui sospira. «Scusami».
«Ah, ne abbiamo già
parlato. Non devi chiedere scusa per ogni singola cosa!» sbuffa e stringe di più
l'abbraccio. «E asciugati i capelli con uno di quei tuoi trucchetti!»
brontola.
Annuisce, il mago, e alza gli occhi a guardare Kurogane che, con
gli occhi vermigli, se lo guarda.
Sospira, fiaccamente. «Hai sistemato il tuo
amichetto lì in basso?».
«Oggi non era aria di fare certe cose con te...»
risponde.
«Ah, Kuro-rin, come sei premuroso! Hai riconosciuto il mio malumore
e hai capito che oggi la mogliettina era svogliata!» pigola con un sorriso sulle
labbra e gli occhi tristi.
Il ninja, con uno scatto degno di questo
appellativo, gli raccoglie il mento tra le dita e guida il suo viso verso il
proprio. «Non voglio chiederti niente, ma se vuoi parlare io─».
«Non voglio
parlare, grazie.» risponde calmo e un po' sbrigativo e si stacca da lui. «Vado a
letto. Non vorrei prendermi l'influenza...».
Sospira. «D'accordo, cucino io
stasera».
«Ci sono degli avanzi, io non... non voglio niente, Kuro-wan.»
risponde e si rintana in camera da letto.
Ecco, è questo suo fare da
passivo-reattivo che lo fa impazzire: dovrà usare la tecnica del litigio, per
farlo sfogare, dovrà trovare un pretesto decente, per sapere cosa lo sta facendo
sentire a quel modo.
Si sveglia, stanco, eppure ha dormito per ore, è crollato
appena entrato in camera, giusto il tempo di sdraiarsi a letto. Neanche aveva
sentito Kuro-rin prendere il suo posto nel letto. Tra l'altro, che fine ha
fatto?
Si tira su. La testa gli gira e gli occhi gli fanno un gran male.
Davvero tanto male. Si stropiccia tutto il viso e sbuffa sonoramente. È come se
non avesse affatto dormito, eppure è mattina, e, sì, ha dormito davvero un
sacco. E deve aver dormito con la bocca spalancata e mezzo scoperto a giudicare
da quanto gli raschia la gola.
La porta si apre, c'è Kurogane nel
corridoio, ancora nel suo yukata scuro con le cuciture rosse,
è ancora a casa, perché è già in piedi? Si sforza di sorridere e lui
grugnisce ed entra nella loro camera da letto.
«Non devi uscire, Kuro-tan?»
domanda, la voce roca roca. «Non hai il lavoro?».
Quello scuote il capo. «Hai
un po' d'influenza, come dicevo io. Prima avevi un po' di febbre, ma ora sembra
che ti stia riprendendo un po'.» ringhia e gli porge una scodella. «Brodo di
pollo. Accontentati».
Lo guarda un po' inquieto per quella sua reazione: se
Kuro-rin ha brontolato così, per quanto sia un brontolone, l'ha fatta davvero
grossa. «Scusami, non credevo...».
Kurogane sospira e non dice niente, si siede sul letto lì,
vicino a lui. Preme con forza l'indice e il medio contro la sua fronte. «Devi
prenderti cura di te, lo so che diventi strano in inverno... qui la gente muore
per un influenza, devi capirlo e io non voglio certo seppellirti a... quanti
anni hai apparentemente? Venticinque? Facciamo
venticinque... Io lo so che tu diventi ancora più strano quando comincia
l'inverno, e neanche posso chiederti che cosa ti passa nella testa...».
Lui
lo guarda, ora sbalordito: ecco cosa l'ha fatto alterare!
Sorride,
dolcemente, sincero. «Scusami».
«Non fare quella faccia, idiota.»
replica.
«Ti stai preoccupando per me?» domanda.
«Tch'.» rimbrotta facendo
vibrare la lingua sul
palato. «È che io non ho intenzione di vivere con uno che tre mesi l'anno, almeno,
diventa una specie di corpo vuoto... sospiri, sei infelice, hai un'aria triste
e sembri assorto in pensieri pesanti. Non amo camminare sui gusci delle
uova, e per quanto io voglia stare con te, se continui...» ferma il suo
brontolio prima di finire quel periodo ipotetico. «Se non posso sapere cosa
ti passa per la testa, non posso neanche aiutarti, lo capisci questo, sì?»
replica.
Il suo sorriso sparisce. «Non mi ami più?».
«Non ho detto
questo. Ho detto che non amo stare sulle spine così, è difficile, ogni cosa che
dico ti rattrista e per questo stavolta te ne parlo. Gli anni scorsi ho
sopportato in silenzio. Ti ho lasciato i tuoi spazi ma, prima che tu cominci a
dormire nell'altra stanza... vorrei affrontare la cosa.» risponde, calmo.
«Sono solo stupido, non c'entri tu.» replica, lui spostando lo sguardo dal
brodo di pollo alla finestra, chiusa. La neve, candida, ammassata fuori dalla
stanza.
«Io c'entro finché si tratta di te, io c'entro
sempre.» mormora,
cercando di vedere, lì fuori quello che vede lui. «Sei una mia responsabilità.
Ti ho preso in casa mia, ti ho accolto nel mio letto... e non puoi svignartela,
non puoi dire che io non c'entro, perché ora fai parte della mia vita e io della
tua. E se qualcosa ti fa male, devi dirmelo e io cercherò di tenere lontano
tutto».
Gli occhi gli bruciano, sarà la stanchezza o saranno le sue parole,
gli viene da piangere ma stringe la lingua tra i denti, la morde forte pur di
non farlo.
Kurogane recupera la scodella dalle sue mani e la poggia da
qualche parte, lui sente solamente il rumore della scodella sul legno. Lo tira a
sé, e si spinge la sua testa contro il petto. «Sfogati».
«Non voglio.»
risponde rigido tra le sue braccia.
Gli bacia dolcemente i capelli. «Mh».
«Scusami io... non voglio.» ripete e morde l'interno della
guancia pur di non piangere.
«Ti dico sinceramente quello che
penso, eh? Così, giusto perché tu capisca che io ci sono qua, e vedo come ti
comporti e come ti faccia male quello che sta nella tua testa.» mormora.
Lui
non risponde, sta lì e ascolta quella sua voce profonda e calda, che sembra lava
a circondargli quel suo cuore ghiacciato da quei pensieri tristi e gelidi come
la sua infanzia, come il suo passato.
«Quello che è
successo io non posso cancellarlo, posso renderti felice, però. Posso
fare in modo che tu vada avanti e che quello che ti fa
sentire uno schifo, che ti fa dimenticare di essere in un posto che è diventato casa tua,
diventi piano piano più leggero.» dice calmo. «Non posso alterare i tuoi ricordi,
non posso farti dimenticare quello che è successo, non posso riportare indietro tuo
fratello... sono completamente inerme... ma posso almeno dividere questa
tristezza con te. Se la neve ti rattrista, chiudi le tende, siamo solo
io e te nella stanza e ti farò dimenticare che fuori è inverno e
passerà più in fretta.» aggiunge. «Se vuoi piangere tuo fratello, fallo tra le
mie braccia che per lo meno posso rassicurarti e riscaldarti, almeno posso stringerti
contro di me... non so se posso accettare che tu pianga quel pazzo
che chissà che ti ha fatto mentre eri nel suo regno, in casa sua...» bofonchia.
«Però cercherò di farti stare bene, per quanto mi sia possibile».
Le sue braccia si muovono da sole a rispondere
all'abbraccio di Kuro-rin. Che è davvero un uomo adorabile quando fa questi
discorsi, cioè
lo è generalmente ma adesso anche di più. Ma, francamente, lui non sa
che dire, non sa che fare. Perché i suoi pensieri sono pesanti, sono
dolorosi e aspri come l'inverno perenne in cui è vissuto e ha paura ad
aprire la bocca perché possono fargli ancora più male.
Kurogane gli accarezza dolcemente i capelli. «Posso restare
così quanto vuoi.» farfuglia. «Anche per un mese intero, anche per tutta
la stagione».
Il gesto con cui gli accarezza la testa è cadenzato, sempre lo
stesso da un tempo indefinibile. Non si è spostato di un millimetro e non gli ha
permesso di spostarsi.
Per un po' ha singhiozzato, a dire la verità, pieno
di un qualcosa di travolgente, un senso di colpa tanto grande e atroce da
strappargli il fiato e costringerlo a piangere. Lui non ha detto niente, ha
avuto quel che voleva, gli ha permesso di sfogarsi ed è stato lì, in silenzio
mentre lui lo faceva, gli ha dato una spalla (o sarebbe più indicato dire un
petto) su cui piangere e non ha cercato di parlare neppure una volta. Kurogane
l'ha compreso quel dolore a cui lui non ha voluto dare voce, sì, ma solo in
parte. Solo la parte in cui la neve gli spezza il cuore.
La parte più grande e dolorosa, quella che
l'ha fatto pensare a lungo, il giorno prima, mentre la neve ricopriva il
giardino, ancora non ha avuto il cuore di spiegargliela
e non sa se avrà mai la forza di farlo, ma in fondo lo
sa, glielo deve, merita almeno una spiegazione, mezza o intera poco importa.
Sente il suo respiro. È rassicurante stare con lui, ha un che di calmante il suo profumo, il modo
in cui gli sta accanto, e non solo perché si tratta di un omone grande e forte,
ma, soprattutto, perché ogni singola parte di lui gli dice che l'ama, sinceramente, dolcemente,
anche se l'avrà detto solo una volta o due a voce alta che
l'ama con tutto il cuore.
«Il mio compleanno...» dice, dopo un po'.
E la
mano di Kurogane si ferma un istante, per poi ricominciare a far scivolare le
dita tra i suoi capelli.
«Pensavo al mio compleanno.» mormora.
Non dice
nulla.
«Pensavo al fatto
che non riesco a festeggiarlo perché non è solo il mio compleanno ma anche
quello di Fay.» aggiunge. «E lui è morto e festeggiare è... assurdo,
no?».
Il ninja non risponde, lo sa che è una domanda retorica,
che la risposta lui l'ha già.
«Come può essere un peccato il solo fatto di essere nati...? Non
abbiamo fatto altro che venire alla luce insieme... siamo solo nati.
Questo è tutto.» mormora e ripete quelle parole che aveva detto quel giorno ai
piedi della torre, quando il terrore gli mangiava l'anima e suo fratello era
vivo, in cima.
«E ora io sono vivo e lui è morto, ed è una colpa che mi porterò per
sempre. Lui ha scelto per me, lui ha deciso di lasciarmi vivere...» farfuglia.
«E non ha senso festeggiare se non c'è lui, se io porto il suo nome ma sono
io quello vivo...».
Il ninja stringe di più l'abbraccio su di lui, lo
stringe così forte che, se ci fosse qualcuno lì, impallidirebbe e sarebbe
costretto a distogliere lo sguardo. Sta zitto, non dice niente, l'ascolta come
ha fatto prima, mentre piangeva muto.
«E poi, sì, la neve mi ricorda la torre
e anche Celes, gli orrori di re Ashura...» sospira. «Ma soprattutto mi ricorda
che io e Fay siamo nati in inverno, anche se non credo che a Valeria ci fosse
mai l'estate... e mi ricordo che lui è morto con la neve... e torno ogni volta
intrappolato lì, sotto la torre, nella mia infanzia.» mormora. «Però poi mi
rendo conto che la neve che ha accompagnato tutta la mia infanzia, in fondo mi
piace... e mi sento ancora più uno schifo».
Kurogane sospira, silenzioso, le
sue mani bollenti che lo stringono forte.
«Sono stupido, eh?» farfuglia
tirando su col naso, sonoramente, arricciandolo appena.
«Neanche a me piace festeggiare i compleanni.» borbotta.
«Quindi è un bene che tu non voglia festeggiare... non sono il
tipo».
Questa reazione, queste parole, lo fanno ridacchiare. È davvero
un amore quando fa così.
«Anche perché poi non so che giorno tu sia nato...
e soprattutto, come dovrei chiamarti quel giorno?» bofonchia.
Continua a
ridere. In effetti, poveretto, ha sempre manifestato una certa confusione quando
provava a chiamarlo per nome, e quindi finiva sempre con l'optare per il più
semplice “mago” o l'altrettanto apprezzabile “idiota”.
«Pertanto, non
festeggiamo nessun compleanno.» brontola.
«Con Ashura festeggiavo.»
mormora.
Lui lo stringe un po' di più.
«Ah?».
Annuisce e alza appena lo
sguardo, sorridendogli. «Sì, nel senso non sapendo bene in che periodo dell'anno
ci trovassimo... aveva deciso che avremmo festeggiato il giorno in cui mi aveva
preso con sé».
Kurogane aggrotta di più le sopracciglia. «Vuoi far lo stesso
qui? Possiamo, eh, a te piacciono certe romanticherie».
Ridacchia. «Sarai
mica geloso?».
«Sì.» risponde con una noncuranza quasi bambinesca.
«Non è
necessario.» borbotta stringendosi nelle spalle.
«Essere geloso di quell'individuo? Certo che è necessario, anche
se è morto! T'ha avuto con sé
per non so quanto tempo...» ringhia.
Scuote il capo, ride
ancora. «No, dico: non è necessario festeggiare quando sono venuto qui con te.»
mormora.
«E perché no? A te piacciono queste cose, sbaglio?» brontola.
«Sì
che mi piacciono.» replica. «Però, festeggiare il mio compleanno il giorno in
cui tu ed io ci siamo trasferiti qui, non mi sembra indicato... perché poi è
meglio considerarlo come un anniversario per la nostra relazione... e non come
un giorno solo per me».
Kurogane lo fissa. Gli occhi infuocati, profondi,
assoluti e sinceri. Potrebbe vivere anche solo nutrendosi della luce che quegli
occhi riflettono, potrebbe sentirsi appagato anche solo di un suo sguardo. Ah!
Sì che potrebbe!
«Cosa?» gli chiede poi, un po' intimidito da quello che
potrebbe effettivamente dire, ora.
«Io sono qua.» dice
semplicemente. «Sarò qua sempre ad ascoltarti, quindi non tenerti tutto dentro, perché
io posso dividere con te ogni singolo dolore. Ho le spalle larghe,
posso portarlo con te questo fardello.».
«Sembra una proposta di matrimonio.»
pigola, alzando di tono la voce.
Ma il ninja ignora ogni provocazione e si
allunga a baciargli un angolo della bocca. È un bacio dolce e misurato, mentre
forse vorrebbe fare molto di più. «Dovresti cominciare a pensare di vivere
felice».
«Cosa? Ma io sono felice.» risponde.
«Sì, ma io sto parlando con te, Yui, e non con Fay.» borbotta. «Questa tua vita
con me, è la tua e basta. E
non quella di Fay. Perché ora sei sempre più Yui.» brontola.
Lo fissa, gli
occhi sgranati e una fitta al cuore colossale che non lo fa ribattere. È come se
gli avessero piantato una lancia nel petto, un colpo così forte e duro da
strappargli il respiro. Ma è un dolore dolce, come se il suo cuore ghiacciato si
stesse finalmente sciogliendo in quel dolce abbraccio caldo e prorompente.
«E lo so che tu volevi continuare a vivere per lui, in sua
vece, ma ora più che mai la tua vita è con me. Dalla a me la tua vita se non la
vuoi, dalla a me. Io ne avrò cura.» borbotta. «E lo so che sono
egoista, eh, e geloso...».
Sinceramente
sconcertato, esterrefatto e senza parole, lo guarda. Non saprebbe dire con
quanta emozione negli occhi, ma è sicuramente abbastanza da incastrargli in gola
ogni singola parola, ogni lettera. «Tu─».
«Io non capisco?» decide
che è quello ciò che gli vuole dire.
«No, tu sei meraviglioso.» risponde
ciancicando le parole a fatica, miste alle lacrime che vorrebbe tener per sé.
«Sei davvero meraviglioso!».
Kurogane gli sfiora il viso con la mano vera,
in carne ed ossa. «Puoi farti chiamare come ti pare, ma per me tu sei tu: che
sia Yui o Fay il tuo nome, per me non cambia nulla. Io conosco quello che c'è
dentro al tuo cuore, il centro dei tuoi sinceri sentimenti... e certo hai deciso
per te e non per tuo fratello di amarmi, sbaglio?».
In realtà non ha deciso niente. Il suo cuore ha decretato
che non potesse far altro che amare quel gigante buono dagli occhi infuocati che
si nasconde sotto quella cappa nera. Ma, sicuramente, è il suo cuore e non
quello di Fay ad aver scelto di affidarsi a Kurogane. «Sì. Ho
scelto io.» ammette.
Sorride, il ninja, e il suo sorriso è come
quello dei bambini, dolce e sincero, pulito e affettuoso. Sorride poco, ma quelle
volte che sorride, sembra che esista solo lui al mondo e nessun altro. Solo lui,
Yui. «E allora forse è il momento che tu cominci a vivere da Yui. Lascia che io ti vizi,
apriti, chiedimi tutto quello che vuoi e io ti prometto di renderti felice. A me
basta averti qui, e non dico semplicemente nel mio letto, avere te ad
accogliermi a casa, e nulla di più».
Sorride. «Tu sei... il mio
amore».
«Tuo e solo tuo.» risponde.
«Puoi continuare a chiamarmi come al
solito comunque.» mormora.
Lui sogghigna e si stacca da lui. «Io sono
Kurogane,» bofonchia porgendogli la mano, come a volersi presentare. «Abbi cura
di me da qui in avanti».
«Yui,» dice la voce flebile, stentando un sorriso che però gli fa
ancora un po' male, comunque bypassando la sua mano e gettandoglisi al collo.
«Sarò nelle tue mani d'ora in poi. Prenditi cura del mio cuore».
Lo stringe a
sé, quell'omone buono e paziente (fin troppo, con uno come lui!), affonda il
viso sotto il suo collo e ci incatena un bacio dopo l'altro, seguendo il corso
della giugulare.
Gli fa il solletico, ridacchia, mentre lui lo
ricopre di baci e carezze. «Fammi l'amore, Kurogane».
Lui si ferma, scioglie l'abbraccio e lo guarda. Quando usa il suo nome, è
una cosa seria. «Vai prima in bagno che ti sei appena svegliato, e poi tutto quello
che vuoi lo farò».
«Okay.» annuisce e si trascina fuori dal letto a
malincuore, gattonando verso la porta.
«Ohi?» lo
chiama, e quando si volta, Kurogane sogghigna. «Cerca di fare in fretta».
Il tocco leggero delle dita di Kurogane gli incendia la pelle,
mentre con un bacio dopo l'altro percorre in linea retta, dalle labbra in poi,
tutta la pelle che il tessuto del suo yukata ormai slacciato non copre più.
Quando incontra qualcosa che possa interrompere il percorso, la sposta senza
troppe moine. Ma va piano, adagio, senza troppa irruenza o fretta, per quanto
sia un uomo focoso anche nelle piccole cose. Si vede dai suoi occhi che gli
piace da morire fare questo genere di cose. Lui è dannatamente bravo a farsi
desiderare, a farsi chiedere di più.
Il cuore, il suo cuore ghiacciato è, ora, coperto di mille
attenzioni da parte sua, riscaldato dai soli occhi vermigli del suo amore, in primo luogo, e poi da
tutto il resto, da tutte le altre attenzioni.
Ogni tanto lo guarda, tra un
bacio e l'altro, mentre si sposta verso il basso ventre. «Sei contento di
vedermi, eh?» sogghigna.
«Ah! Alla mia età!» bofonchia lui, coprendosi la
bocca col pugno.
«Che cretino, sei!» borbotta, spostandogli la mano. «E non
trattenerti, chi vuoi che ci senta, la neve?».
Ridacchia appena, mentre lui
riprende la sua strada, lenta ma inesorabile, verso l'argomento d'interesse di
quel momento.
Lascia correre le mani verso quei capelli neri e glieli
stropiccia tutti. «Vieni qua, sei troppo lontano».
Lanciandogli uno sguardo alla “ma se sto addosso a te!”,
Kurogane lo guarda e poi sogghigna per andare a prendersi cura delle sue labbra.
È impetuoso quel bacio e bollente, quanto le sue mani, quanto il suo respiro,
come il suo sguardo e il sentimento che li lega. L'irruenza con la quale le loro
lingue si ricorrono e le loro labbra si modellano l'une addosso alle altre, è
sconcertante. Si staccano solo per respirare e se potessero non farlo,
respirare, non sarebbe
necessario interrompere quel bacio. Starebbero sempre così, bocca a bocca, le
dita intrecciate, i corpi avvinghiati. Sempre. E non è solo quello che sente lui,
ma anche il corpo di Kurogane manifesta la stessa foga, la stessa volontà. Il bacio
continua, si prolunga appena, tanto da portarlo all'affanno mentre Kurogane si
slaccia l'obi con un gesto meccanico.
Vuole baci e amore, amore e baci. Vuole
carezze che sappiano di lui, vuole far parte della vita di Kurogane sempre e che
lui sia il centro del suo mondo finché avrà respiro (certo, il respiro a forza
di baciarsi così prepotentemente lo perderà presto, ma son dettagli). Vuole
chiedergli tutto, come se non gli bastasse già tutto quello che lui gli dà. Ma
d'altra parte sa già che Kurogane ha già tutto di lui, ogni singola parte del
suo corpo risponde e risponderebbe solo a lui, sempre.
E ora che
il respiro s'affanna e morde l'aria davanti al suo naso, gemendo appena, mentre
lui l'ama e gli dona ciò che ha chiesto, si dimentica della neve che lo fissa
fuori, che s'ammassa fuori da quell'idillio che è la loro stanza da letto.
Loro. Perché quella è casa anche sua, chissà quante volte
glielo avrà ripetuto quel suo adorato omone.
Kurogane copre l'idiota, se lo tira contro il
petto e poggia il mento sulla sua testa in un gesto estremamente possessivo. Seduti, stanno seduti sul
futon a guardare qualcosa in un angolo non ben specificato di quel loro nido.
Forse, visto come gli dolgono i muscoli ha un po' esagerato con quelle
attenzioni che gli ha regalato o per meglio dire, con quelle tenerezze che si
sono concessi. Il corpo del mago freme ancora, imperlato di sudore come il suo.
Le gambe di entrambi incatenate tra loro, nel silenzio di quella stanza lontana
dall'inverno che non entrerà da quella finestra. Nasconde il viso del mago
contro di sé, lo protegge dalla vista della neve e dal riaffiorare infelice di
quei ricordi. Lo sa che non può proteggerlo dal suo passato, ma è pronto a
spartire il dolore con lui, è pronto a dividere la sua tristezza. Ha le spalle
larghe, lui, e terrà quel peso per entrambi. Sì.
Il mago ridacchia e si stringe un po' di più a lui. «Mi piace
l'inverno, dopotutto».
«Come mai?» domanda.
«Perché posso stare
abbracciato così a te, che sei caldo caldo, Kuro-pon.» mormora.
Se l'imprime
più addosso, lo stringe con più forza come a volerselo incastonare nel petto, ma
non dice nulla e anche lui si zittisce, lasciandosi abbracciare
docilmente.
Sta lì, in silenzio. Vuole godersi quella calma e basta,
vuole solamente abbracciarlo e tenere lontano da quella zucca bionda i
cattivi pensieri.
«Grazie per avermi ascoltato, Kuro-tan.» dice piano piano,
all'inizio dello sterno.
Sogghigna, beffardo. «Guarda che l'ho fatto più per
me che per te: voglio il mio solito mago».
Il mago si sistema meglio, lo
guarda. «Tu mi rendi felice».
«E tu rendi
felice me.» raccoglie il suo mento tra le dita. Lo fissa, serio serio e poi
sorride, come prima, tenero e forte quel sorriso. «Ti ringrazio per essere
nato».
«Guarda che non è mica merito...» comincia a dire e poi
sgrana gli occhi. Un'espressione adorabile, non c'è che
dire, è sgomento, sperduto, come se avesse appena detto qualcosa di orribile e
insieme vitale. «Cosa?».
Non lo ripete, lo sa che ha capito, si
limita a sogghignare e gli accarezza il viso.
Annaspa, le lacrime gli scorrono lungo le guance,
gli occhi sgranati e le pupille strette strette. «Tu... cosa hai detto?» farfuglia,
respira a fatica. «Tu─» scuote il capo.
Gli bacia la fronte e se lo stringe di nuovo
contro il petto. «Non te l'ha mai detto nessuno. Tu sei importante. Non è colpa
essere nati.» bofonchia, con calma e
sicurezza. «Io ti ringrazio di essere qui con me, di essere nato. E te lo dirò
per tutti gli anni in cui non te l'hanno detto, per tutte le
cose brutte che hai sofferto in passato.» aggiunge, dolcemente. Anche se forse al mago basterebbe quest'unica volta
e forse, se lui non ne fosse tanto innamorato, tanto perso per lui, non si piegherebbe
a nulla di simile.
Il mago lo guarda ancora, gli occhi
sgranati e lucidi, scuote la testa.
Kurogane sorride, ora, appena
appena, non può fare altro. Gli bacia una guancia e
poi l'altra, per asciugargli le lacrime e poi poggia la fronte contro la sua,
tiene gli occhi fissi nei suoi, ci si può specchiare in quel mare azzurro.
«Tutti i giorni, ti farò capire che non è una colpa essere nato.» aggiunge,
nascondendo le dita tra i suoi capelli. «Ti ricorderò ogni giorno che sei
importante e sono immensamente grato a tuo fratello: ti ha lasciato a me, al
prossimo bon dovremmo accendere un cero per lui, mh?».
Tiene gli occhi
spalancati, sorride e piange ancora.
«Te lo dirò ogni giorno, mh?»
ripete.
«Mi basta questa volta.» sussurra. «Tu mi rendi
felice. Immensamente».
Si
tira di nuovo il mago contro il petto, lo stringe forte e gli bacia i capelli.
«Anche tu, anche tu».
Piange, poi. È davvero un
piagnucolone quel suo adorato scemo, ma se sono lacrime di gioia, almeno vale la
pena piangere. E lui si limita
ad abbracciarlo, in silenzio, dolcemente, semplicemente, lo stringe forte e lo lascia piangere, nemmeno
ci prova a consolarlo, se tanto è felice, se tanto quelle
lacrime sono per lui e per lui soltanto.
E la neve è lì fuori dalla stanza e lì resterà.
Certo, ogni
tanto il cuore del mago verrà imbiancato un po', ma ci sarà il suo caldo
abbraccio a sciogliere quel suo piccolo cuore.
E anche quest'inverno, passerà.
Salve!
Prima di tutto, vi
ringrazio di essere giunti fin qui! Sono davvero contento di essere riuscito a
pubblicare questa storiellina qua.
È tranquilla, sì. Stranamente tranquilla,
per essere scritta da me. C'è sempre quel solito tocco di angst giusto un
filino, perché ci sta sempre bene, come il peperoncino nella pasta (o il cacio,
dipende da che gusti abbiate). Comunque sono contento che questa storia sia
nata, in fondo è stato divertente scriverla, in una nottata, tra il 29 e il 30
agosto.
E voialtri mi
direte «E perché la pubblichi ora, oh, malefico autore?», perché volevo pensarci un po', prima di pubblicarla, tutto qua. (E non
è che poi siano passate ere geologiche da quando l'ho
scritta...).
Sono contento però, perché non è venuta tanto male e non l'ho neanche
rimaneggiata granché dopo averla scritta.
Due (o forse
tre) note:
- l'età
apparente dell'idiota... è apparente: ora non venite a dirmi che ne dimostra di
meno o di più, semplicemente volevo giocare col fatto del compleanno e con il
fatto che, in effetti, lui ha vissuto già di più di Kurogane (che però è un
giovine virgulto, nevvero?)
- il titolo (ovvero la risposta al vostro
«Perché diamine Malefico Autore, ultimamente pubblichi solo storie co'
nipponaggini?») se ho ben capito, o se mi sono ben informato
“Umaretekite kurete arigatou”, vuol dire “Grazie di essere
nato”. Mi pareva carino scrivere una
cosa del genere, perché lo sappiamo tutti che Kurogane, per quanto senta sulle
sue spalle la responsabilità materiale della vita del mago, è ben contento di
avercelo intorno.
-“Come può essere un peccato il solo fatto di essere
nati...? Non abbiamo fatto altro che venire alla luce insieme... siamo solo
nati”, parole prese dall'edizione italiana di Tsubasa Reservoir Chronicle,
numero 20: precisamente il capitolo 157 “L'ultima scelta”,
pagina 144, mi sembrava doveroso specificarlo v__v
Spero
vivamente che la storia vi sia piaciuta almeno un pochino.
A
presto.
D.